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Haá¹­ha yoga e tantrismo

HAṬHA YOGA E TANTRISMO

Di Śri Svāmi Prashantānanda[1]

 

Lo Haṭha Yoga o Yoga fisico ha origine dal Tantrismo, un grande movimento filosofico e religioso apparso in India fin dal quarto secolo della nostra era.

Si pensa che la parola tantra derivi dalla radice tan (diffondere) o da tatri, nel senso di origine o conoscenza. Così essa è stata usata con diversi significati come cerimonia, rito, dottrina e scienza. In quest'ultimo senso viene usata nelle opere della filosofia sāṁkhya chiamata Ṣaṣṭhi-Tantra-Śāstra[2] e anche in altri vecchi trattati filosofici. Col passare del tempo, la parola tantra fu usata impropriamente per indicare ogni tipo di letteratura scientifica o filosofica; più tardi, comunque, il termine venne usato esclusivamente per indicare un insieme di scritti comprendenti l’intera cultura di un'epoca che potrebbe essere localizzata nel Medioevo indiano. Particolare caratteristica di questa letteratura è di contenere in se stessa i fondamenti della civiltà anteriore a quella vedica e di aver tentato di conciliarli con la cultura del suo tempo.

È importante ricordare che il Tantrismo si sviluppò principalmente in due regioni limitrofe dell’India dove l’influenza spirituale degli abitanti aborigeni era predominante. Alcune sue dottrine filosofiche e pratiche religiose possono apparire molto strane ai nostri occhi, ma senza dubbio esse sono illuminanti e rivelano molti anelli mancanti nella storia e nello sviluppo dell'Induismo moderno.

Per la prima volta nella storia spirituale dell'India ariana, la Grande Dea acquistò una posizione preminente: era l’avanzata irresistibile della "religione della Madre" che nei tempi antichi regnò sui popoli aborigeni dell'India, e fu tramite questo canale che le credenze autoctone penetrarono nell'Induismo. La Śakti, o forza cosmica, fu innalzata al rango di una divina Donna o Madre che sostiene non solo l'universo ma anche le varie gerarchie divine.

Dal punto di vista filosofico, la riscoperta della Grande Dea è scaturita dall'indirizzo materialistico del Kaliyuga. Così, le dottrine tantriche apparvero come una nuova rivelazione delle eterne verità rivolte all'uomo di questa "età oscura" in cui lo spirito è nascosto profondamente nella carne. Queste dottrine sostengono che l'uomo non possiede più la forza spirituale e il vigore fisico dei tempi passati; così egli deve iniziare il cammino partendo dalla primordiale e completa esperienza della sua condizione di caduta - cioè, dalle origini stesse della sua vita. Questa potrebbe essere una giustificazione delle pratiche magiche ed erotiche del Tantrismo, il quale potrebbe apparire un facile sentiero che porta alla Liberazione piacevolmente e quasi senza impedimenti.  Ma la "facilità" del sentiero tantrico è più apparente che reale. Il fatto è che questa via presuppone una sādhanā lunga e difficile. Come ogni misticismo o movimento spirituale che si diffonde tra le masse, lo Yoga tantrico non riuscì a evitare la degradazione mentre penetrava sempre più nello strato sociale. Questo è il rischio di ogni messaggio spirituale assimilato e vissuto dalle masse prive di adeguata preparazione.

Questo fenomeno di degradazione si accompagna alla corsa precipitosa nella materia che è tipica di questa età: durante il Kaliyuga la verità è sepolta nelle tenebre dell’ignoranza. Ecco perché nuovi Maestri appaiono continuamente a rinsaldare la dottrina eterna cercando di adattarla alle capacità attitudinali di un'umanità in decadimento.

Non ci interesseremo di tutte le pratiche tantriche, ma solo di quella che ha attinenza con l'apparizione dello Haṭha Yoga. Prima della nostra epoca, nella storia spirituale dell'India e del mondo, non era mai stata data tanta importanza al corpo. Esso era generalmente considerato un peso e un ostacolo per la salvezza, specialmente nella Tradizione cristiana; ed è improbabile che nell'era precristiana siano stati fatti esperimenti sugli effetti psico-fisiologici di certe posizioni del corpo.

Il corpo non è più visto come fonte di dolore o come ostacolo alle pratiche spirituali, ma come lo strumento più idoneo ed efficace a disposizione dell'uomo per la liberazione; e poiché questa può essere ottenuta perfino in questa stessa vita, il corpo dev'essere mantenuto in condizioni perfette. La giustificazione dello Haṭha Yoga si fonda sul fatto che il corpo è solo uno strumento fornitoci dal nostro Creatore con cui fare qualunque cosa e perfino esistere su questo piano fisico della manifestazione.

In questa valutazione del corpo umano e delle sue possibilità possiamo distinguere due orientamenti:

1)   La posizione di tutte le scuole tantriche che sottolineano l'importanza di una totale esperienza di vita come parte integrante della sādhanā;

2)    il punto di vista degli Haṭhayogin che cercano di dominare il corpo con la volontà al fine di trasmutarlo in un corpo divino in armonia con il cosmo.

Il dominio del corpo è basato sulla profonda conoscenza degli organi e delle loro funzioni, assieme a certe discipline fisiche. Ma benché la mèta sia la perfezione, non si tratta né di perfezione atletica né di quella igienica. Lo Haṭha Yoga non dovrebbe essere confuso con la ginnastica o con qualunque tipo di terapia.

L'apparizione dello Haṭha Yoga è collegata al nome di Gorakhnāth, il fondatore dell'ordine dei kānphatayogi. Questo movimento acquistò considerevole importanza e divenne molto popolare dopo il dodicesimo secolo della nostra Era. Esso ebbe origine dalle storiche figure di Gorakhnāth, Matsyendranāth e altri famosi siddha[3] che più tardi furono elevati a mistici nelle leggende popolari e nelle letterature dialettali. Come per tutte le altre correnti indiane, è difficile districare la realtà storica che potrebbe nascondersi in queste tradizioni. I nomi stessi indicano gradi di spiritualità più che personaggi umani. Tramite lo yoga, Gorakhnāth si identificò con Śiva e il culto popolare lo considerò come una Sua incarnazione (nel Tantra, lo yoga viene definito come l'unione del jīvātman con il Paramātman o Parami Śiva).

Tutti gli yogin che raggiungevano la perfezione potevano ricevere il nome di siddha ma in realtà questo termine è stato sempre collegato a poteri miracolosi. Lo Haṭhayogapradīpikā, un autorevole trattato sullo Haṭha Yoga, contiene un elenco di mahāsiddha, che comincia con Ᾱdinātha (nome mitico di Śiva) e menziona Matsyendranāth, Gorakhnāth, Kāpāla e molti altri. Il problema degli "ottantaquattro siddha" non è stato ancora spiegato. Il numero 84 non corrisponde a una realtà storica: è un numero mistico, ricorrente in tutte le tradizioni indiane, e probabilmente esprime completezza, totalità. Così, gli ottantaquattro siddha rappresenterebbero una "rivelazione nella sua totalità". Potremmo concludere che Matsyendranāth e il suo discepolo Gorakhnāth rivelarono una nuova possibilità che, come essi stessi dichiararono, ricevettero direttamente da Śiva. Il mito della trasmissione della dottrina era ben noto ed è stato spesso impiegato in passato; in questo caso era rappresentato dal dialogo iniziatico[4] tra il Dio Śiva e la sua paredra[5] Durgā, udito per caso da un essere semidivino (Matsyendranāth) il quale ne divenne il messaggero.

Malgrado le chiare indicazioni di Patañjali nei suoi Yogasūtra[6] e di altre scuole di yoga per quanto riguarda le siddhi, l'assimilazione dello yogi al mago è stata quasi inevitabile, poiché il popolo, nella sua semplicità, poteva facilmente confondere il mago con l'uomo liberato (jīvanmukta) che aveva accesso a tutte le esperienze senza essere soggetto agli effetti karmici. Così la "liberazione" poteva manifestarsi sotto innumerevoli forme, alcune delle quali rientravano nei canoni riconosciuti dalla società, altre esulavano dalle pratiche religiose comunemente accettate, come gli eccessi e le aberrazioni che si svilupparono nel Tantrismo. Ma, per la gloria dell'India, dobbiamo dire che tali estremismi sono sempre rimasti abbastanza limitati e i grandi movimenti spirituali non hanno mai incoraggiato o giustificato gli eccessi e le aberrazioni; gli adepti delle "scuole estremiste" nella maggior parte dei casi sono rimasti ai margini del puro ascetismo indiano.

Per quanto riguarda l'ordine dei kānphaṭayogi, esso aderì alla tradizione dello śivaismo estremista e la sua teologia era molto elementare: Śiva è il Dio supremo e la salvezza consiste nell'unione con la divinità tramite lo yoga. Essi sostengono di essere maestri nell'arte della respirazione, ma sono conosciuti e rispettati soprattutto per la loro abilità nella magia e godono di notevole considerazione come guaritori e maghi. Essi non vengono cremati quando muoiono, ma sono sepolti nella posizione della meditazione, perché si suppone che continuino a rimanere nel samādhi. L'usanza di seppellire gli asceti (sādhu) e gli yogi è molto antica in India; è un modo per proclamare che il sādhu si è identificato con Śiva, il cui segno (linga) consacra la tomba che può, nel tempo, trasformarsi in un santuario. La tomba diventa un luogo sacro perché non contiene un cadavere, ma il corpo di un "liberato", in uno stato di meditazione permanente.

I Kānphaṭa chiamavano se stessi semplicemente yogi o Gorakhnātha o Nātha, e la loro particolare disciplina fu chiamata Haṭhayoga[7]. Ben presto questo termine designò genericamente le tecniche e le discipline tradizionali che rendevano possibile l’ottenimento della perfetta padronanza del corpo. La parola haṭha (letteralmente "violenza o sforzo violento") viene spiegata da ha che significa “sole” e da ṭha che significa "luna", l'unione del "sole" e della “luna” prodotta dall'unificazione dei respiri e delle energie vitali che circolano attraverso le narici destra e sinistra (ida e pingala).

Gli haṭhayogin danno grande importanza alla purificazione preliminare delle nāḍhī o canali sottili attraverso i quali circola l'energia vitale chiamata prana. I nervi, le vene e i "centri" energetici (cakra) senza dubbio corrispondono a esperienze psicosomatiche collegate alla vita profonda dell'essere umano; essi non indicano organi anatomici o funzioni fisiologiche ma rappresentano piuttosto stati yogici di coscienza. Così, la fisiologia mistica è il risultato e la concettualizzazione degli esperimenti   intrapresi da tempi   molto antichi   dagli   asceti e dagli yogi. Tutte le tecniche dello Haṭhayoga -  come le āsana, il prāṇāyāma, le mudrā e i bandha - consistono in esercizi psicosomatici. Sfortunatamente, questo punto è poco compreso dai moderni professionisti i quali sostengono che tali pratiche possano essere eseguite   senza   considerazioni di tempo, di clima e di morale personale, e che gli intricati esercizi prāṇici possano essere svolti tramite le mudrā e i bandha senza le discipline purificatrici prescritte nei testi sanscriti classici.

I tre testi considerati come le fonti classiche dello Haṭhayoga, sono lo Haṭhapradīpikā di Svātmārāna Svāmi, probabilmente dell’XII secolo, la Gheraṇḍa Saṁhitā e la Śiva Saṁhitā; quest’ultimo è più esteso dei due precedenti e più elaborato filosoficamente, uno yoga tantrico con una spiccata impronta vedānta.  Di questi tre testi, il più antico sembra essere la Pradīpikā, che secondo la tradizione è basata sullo Haṭhayoga di Gorakhnāth, andato perduto. Essi contengono istruzioni dettagliate sulla salute, la dieta, la condotta sociale, ecc.; naturalmente la pratica (abhyāsa) gioca un ruolo decisivo. I testi dello Haṭhayoga impressionano per il loro carattere sperimentale, ma gli esperimenti sono compiuti a livelli diversi da quelli della vitta di ogni giorno: gli yogi li compiono facendo uso di sensi, di stati di tensione e subconsci inaccessibili all'uomo comune; così, essi diventano padroni di una zona molto più estesa della normale coscienza, potendo penetrare nella profondità dell'inconscio e risvegliare la supercoscienza primordiale che è solo latente negli altri esseri umani.

Il corpo così costruito nel corso del tempo dagli Haṭha­yogin corrisponde in parte al "corpo divino", o corpo del dio-uomo, un concetto che si trova nella preistoria, sia indo­ariana che pre-ariana. È il concetto di "superuomo", cioè della trasformazione del corpo umano in un microcosmo in armonia col macrocosmo, una teoria arcaica e una disciplina che sono individuabili in quasi tutto il mondo e che, nell'India ariana, hanno trovato espressione dall'età vedica.

Lo Haṭhayoga, come complemento del Rājayoga[8] e di altri tipi di yoga, è compreso nella struttura dell'Induismo e inoltre è stato per lungo tempo praticato in India dai seguaci di diverse religioni, a volte sotto altri nomi. Lo Haṭhayoga è suscettibile di applicazioni in molti campi e contiene in sé un numero considerevole di varianti. Praticato da solo o come elemento principale in una disciplina individuale, è ritenuto sufficiente per condurre lo yogi al più alto grado di evoluzione spirituale. Ci sono sempre stati, e ci sono ancora oggi in India, grandi asceti che non hanno mai seguito altra disciplina. Essi vivono di solito molto ritirati, spesso nella foresta o sulle montagne, quasi inaccessibili alle persone comuni, e solo raramente accettano discepoli.

Questa forma di Haṭhayoga integrale non è adatta per gli Occidentali e perfino per gli Indiani che non siano capaci di sottoporsi a pratiche ardue, pratiche che debbono essere ripetute giorno dopo giorno, se non di ora in ora. Gli yogi che lo rappresentano non hanno mai commesso l'errore di affidarne gli insegnamenti alla parola scritta, eccetto che nei testi aforistici ermetici, inutilizzabili dalla maggioranza.

D'altra parte, gli elementi base dell'Haṭha yoga, praticati come disciplina semplificata, sono comunemente in uso oggi presso coloro che cercano di ottenere i vantaggi fisici e mentali che esso offre senza implicare regole religiose o spirituali per ottenere livelli di coscienza più elevati. Il vantaggio che può essere tratto dalla pratica regolare degli esercizi più elementari di Haṭhayoga è così grande che esso si è diffuso in Occidente come un incendio incontrollato. Le pubblicazioni dedicate a questa pratica e le "scuole" che lo propongono in modo specifico sono ora molte, come molti sono gli āśram che insegnano, in un modo piuttosto attenuato, il sentiero tradizionale dell’Aṣṭāṇgayoga,[9] essendo raramente offerta una guida individuale. I risultati incoraggianti ottenuti in un periodo di tempo relativamente breve con un minimo sforzo possono spingere il principiante privo di una guida qualificata a lanciarsi frettolosamente in tecniche pericolose e nocive per i sistemi respiratorio, circolatorio e nervoso.

La conoscenza accademica della filosofia yoga può essere ottenuta nelle Università indiane, ma lo yoga è soprattutto un codice di pratiche basate su princìpi metafisici e la sua conoscenza non può essere completa senza l'aspetto pratico delle sue dottrine che è insegnato dai veri yogi. Questi asceti non debbono essere cercati nelle città, bensì nei loro ritiri sull'Himālaya. Per la gloria dell'India si può dire che questi autentici yogi ancora esistono, ed è tra loro che di tanto in tanto emerge quel "meraviglioso guru" attraverso il quale si rivela la verità. Le celebrità spirituali dell'India contemporanea non possiedono quella conoscenza che ha reso questo Paese la terra classica della saggezza (jñāna bhūmi) in antitesi con i paesi occidentali, terre di godimento (bhoga bhūmi). Gli Indiani che ancora rappresentano questo aspetto elevato conducono una vita ritirata.

Possiamo dire che oggi esistono due Indie come sovrapposte: la "nuova India" che si è andata costituendo dall'Indipendenza, il cui scopo è di diventare moderna secondo il modello occidentale ed essere su un livello di parità con le nazioni libere del mondo; e la " vecchia India", radicata nella sua tradizione millenaria di ricerca spirituale, tesa a scoprire il significato della vita. La nuova India non sta solo cercando di essere moderna seguendo l'orientamento occidentale, ma sta regolando e adattando le sue vecchie tradizioni alle necessità materiali e spirituali della vita moderna. Essa appare fondata sulla solida roccia del passato e sorretta dall'ininterrotta catena di santi e saggi che hanno tenuto vivo il patrimonio spirituale degli antichi Ṛṣi.

 

[1] Svāmi Prashantānanda fu uno Svāmi della Divine Life Society.  organizzazione spirituale fondata da  Svāmi Sivananda Sarasvati nel 1936, a Muni Ki Reti, Rishikesh, India. Il brano è tratto da The Divine Life, gennaio e aprile 1975.

[2] “Dottrina delle sessanta concezioni”.

[3] Lett. “perfetto”. Per i termini sanscriti, cfr. Glossario Sanscrito. Ass. Ecocult. Parmenides.

[4] Il dialogo iniziatico tratta di cinque argomenti: la creazione, la dissoluzione del mondo, l’adorazione degli dei, l’acquisizione di facoltà superumane, l’unione con lo spirito supremo tramite la meditazione.

[5] Un paredro è una divinità il cui culto è associato a un'altra, genericamente di maggiore importanza e di sesso opposto. Il termine, di origine greca, significa "chi siede accanto"

[6] Cfr. Patañjali, La Via Regale della Realizzazione, a cura di Raphael. Si veda specialmente il terzo capitolo, sutra 16 e segg. Collezione Vidyā.

[7] Per una breve ed incisiva esposizione dell’Haṭhayoga, cfr. Raphael, Essenza e scopo dello Yoga. Collezione Vidyā.

[8] Il Rājayoga è stato codificato da Patañjali, nei suoi Yogasūtra. Raphael lo ha presentato ne La Via Regale della Realizzazione e in Essenza e Scopo dello Yoga. Op. cit.

[9] Lo “yoga degli otto mezzi” prospettato da Patañjali, nello Yogadarśana. Cfr. La via regale della Realizzazione di Raphael. Cit.

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