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Sarebbe sbagliato dire che nella terra del teismo per eccellenza non siano sorte dottrine con tendenza al crudo materialismo. La caratteristica fondamentale di queste dottrine non sta tanto nel rifiutare l'esistenza di una natura spirituale, quanto nel non accettare che esista un ordinamento morale che ci sovrasti. Dunque, l'esistenza di un Essere Supremo che abbia legiferato sul come comportarsi.

E' strano però che di questi pensatori materialisti non sia giunto a noi alcuno scritto, almeno che sia a nostra conoscenza. Le loro idee possiamo dedurle solo dalla esposizioni dei loro avversari, tendenti a sconfiggerle.

Forse non è inutile aggiungere che non si conoscono con esattezza neanche l'epoca in cui sarebbero vissuti i maestri più importanti, né ciò che avrebbero detto e fatto. Possiamo però, senza poterne essere assolutamente certi, dire qualcosa a riguardo della datazione della loro maggiore diffusione.

L'Ajnanika (l'agnosticismo)
Abbiamo notizie dal Dighanikaya (importante testo buddhista) che all'epoca del Buddha, a Magadha, viveva un filosofo di nome Sanjaya (o Sanjayin) Vairattiputra. In seguito i suoi seguaci furono chiamati Ajnanika, o assertori della Ajnana-vada, la dottrina della non-conoscibilità delle cose.

La caratteristica principale di costui era che quando gli venivano rivolte domande di carattere filosofico vertenti sull'esistenza o meno dello spirito, della realtà di Dio e questioni del genere, si rifiutava di rispondere e affermava che a riguardo nulla di certo poteva essere detto.

Il suo schema era diviso in quattro punti. Egli sosteneva che non si poteva dire

1.  se era così,
2.  se non era così,
3.  se lo era e non lo era allo stesso tempo,
4.  se non era in questo modo e nemmeno in quest'altro.

In questa maniera viene elusa qualsiasi enunciazione che riguardasse argomenti che fossero al di là dell'esperienza sensoriale. In parole povere, tutto ciò che non si può vedere e toccare forse esiste, forse no, comunque noi non siamo in grado di dirne nulla.

Secondo gli Ajnanika qualsiasi affermazione positiva o negativa è condizionata da una preferenza o da una avversità del soggetto giudicante e dunque non possiamo mai essere certi che il verdetto sia privo di errori. E qualsiasi giudizio che pecchi di esattezza provoca un turbamento dello spirito e un'instabilità della capacità di giudizio. Solo la verità ci fa rimanere in uno stato di pace interiore, per cui ciò che non può essere affermato con certezza non deve essere detto affatto. Gli Ajnanika bandivano anche le discussioni che erano tanto in voga in quel periodo, poiché provocavano amicizie e ostilità in un meccanismo di dualità in cui ogni cosa avrebbe sempre condotto al suo opposto.

Il saggio non deve mai permettere a nulla e a nessuno di scuotere la propria imperturbabilità e dunque è necessario astenersi da ogni affermazione.

Nulla può essere detto né negato, la conoscenza è un dono di cui l'uomo è privo.

Il Carvaka (il materialismo edonistico)
Nel suo significato originale, si occupa del materialismo quella parte delle scritture vediche che vogliono spiegare i complessi fenomeni del mondo terreno, quello in cui viviamo e che comprendono tutte le scienze che hanno rilevanza per la vita in questa dimensione materiale.

Poi il materialismo ha assunto connotati diversi, diventando una concezione filosofica secondo cui la realtà sarebbe composta solamente di materia. Di conseguenza tutto ciò che noi definiamo con i termini "spirito", "vita" e "coscienza" (qualora questi elementi esistano) sono tutte funzioni e manifestazioni della materia, in quanto non esiste null'altro.

Una filosofia ateistica e materialistica fu propagata in India da Carvaka Muni. L'epoca ci è sconosciuta: certamente prima del Buddha, in quanto sembra che l'Illuminato ne abbia parlato in diverse occasioni. In ogni caso sia i canoni buddhisti che quelli jaina ne trattano profusamente. Alcuni sostengono che il personaggio non sia mai veramente esistito.

Il nome del filosofo può avere diversi significati. Infatti in sanscrito carv significa masticare e così Carvaka può riferirsi a chiunque piaccia mangiare. Altra traduzione possibile sta nel dividere la parola in caru e vaka, e cioè colui che parla in modo piacevole. Perciò c'è chi sostiene che il personaggio sia solo fittizio e che stia a indicare una certa mentalità.

Ma abbiamo ragione di credere che l'uomo sia realmente esistito. Pare che prima di Carvaka non ci fosse un vero e proprio materialismo inteso come dottrina organizzata e che solo dopo la predicazione del Muni la cosa avesse assunto una certa importanza (anche se limitata) nella vita culturale e sociale del popolo.

Delle idee di Carvaka e dei suoi seguaci non esiste alcuno scritto, almeno che ci sia noto.

Questi afferma che all'inizio di tutto ciò che vediamo esistono più elementi (dottrina detta bhutavada), i quali si differenziano senza che ci sia stata la necessità di una qualsiasi ragione. Il caso è la legge alla base di questo movimento originale. La creazione è sorta, ma poteva benissimo anche non sorgere mai e sarebbe stata esattamente la stessa cosa. Non c'è nessuna ragione dietro al creato.

La realtà tutta è composta di soli quattro elementi (terra, acqua, aria e fuoco) e anche i vari tipi di corpi non sono altro che una combinazione di questi quattro elementi originali.

Non si può parlare del corpo e dell'anima come di due essenze separate: in realtà sono un tutt'uno. Ciò che noi chiamiamo anima è qualcosa del tutto simile a un qualsiasi arto del corpo, come a un braccio, a una gamba o al cervello; ne è parte integrante e non può mai separarsi dal resto. La vita si diffonde in tutto il corpo come un fluido e la pelle la tiene all'interno. Finito il corpo, la vita si disperde nel nulla.

L'uomo è dunque una entità unica, in lui non esistono elementi che si contrappongono. Tutto proviene dalla stessa sostanza materiale. E' un'illusione parlare dell'anima come differente dal corpo, così come certamente non esiste nulla di sovrannaturale. Secondo Carvaka, la teologia è un inganno.

Ora, quali sono i mezzi che abbiamo a disposizione per ottenere una conoscenza certa a riguardo delle cose? Solo la percezione sensoriale (pratyaksha) può dare cognizioni vere, risponde Carvaka. E' vero che i sensi sono limitati e tutt'altro che infallibili, ma dove essi non giungono non c'è bisogno di conoscere nulla, in quanto si entra nel reame dell'illusorio.

Sorge una questione: come spiegare la varietà esistente nella creazione? Specialmente l'uomo, e cioè la vita, manifesta eccezionale varietà e vitalità, tutte qualità difficilmente riscontrabile negli elementi materiali. I Carvaka rispondono parlando di svabhava (disposizioni naturali). In altre parole, nella materia stessa deve esserci la capacità di organizzare una varietà quale quella che vediamo nel mondo. La natura ha provveduto in questo modo.

Dopo la morte non esiste più nulla. Non si deve aver paura di punizioni nel caso di peccati commessi durante la vita, né ci si deve illudere di ottenere un qualche paradiso nel caso che ci siamo comportati in modo pio. La vita è fatta per godere di ogni cosa possibile e ogni mezzo è lecito. Carvaka diceva:

"Fintanto che si vive, si mangi più ghi possibile. Se non lo si ha e non si ha denaro per acquistarlo, lo si chieda in prestito, lo si rubi, si faccia qualsiasi cosa pur di goderne."

Il ghi (burro chiarificato) è l'elemento base per rendere gustosa una pietanza. Godere dei sensi è lo scopo della vita; riuscire a prendere ciò che c'è di piacevole ed evitare le sofferenze è l'arte della vita.

Per quanto riguarda la liberazione, non c'è nulla che abbia necessità di liberarsi, per cui la liberazione è la morte stessa. Ci libereremo della vita quando saranno terminati i nostri giorni. Alla luce di tutto ciò, che senso ha fare austerità e sacrifici per poi ottenere la stessa cosa che ottengono tutti allo stesso modo, e cioè di vedere terminare l'esistenza?

Nel corso della storia sono esistite diverse scuole materialistiche che si sono rifatte a Carvaka, come quella senz'altro meno grossolana che viene chiamata sushikshita. Questa ammette che lo spirito è un elemento differente dalla materia, ma che tuttavia si estingue con la morte.

L'idea edonistica del "bere, mangiare e divertirsi" non ha mai avuto grande fortuna in India, da sempre terra amante dei principi teisti e spiritualisti, ma certamente ci sono stati un certo numero di personaggi anche importanti che hanno sposato queste idee. In alcuni testi buddhisti e jaina, infatti, si narra del principe Payasi che, convinto dell'inesistenza dello spirito, conduce esperimenti sui condannati a morte per dimostrare che oltre la materia non può esistere nulla. Egli fa uccidere l'uomo e poi sfida i saggi a mostrargli dove fosse l'anima del condannato.

Anche i testi vedici più antichi ci informano dell'esistenza dei materialisti in epoche antiche. Per esempio il Ramayana riporta un dialogo fra Rama e Jabali, durante il quale il monarca tenta di convincere il secondo dell'inesattezza delle sue convinzioni atee.

Ajivika (il fatalismo)
Il fatalismo è la fede nel potere assoluto del destino, inteso come potenza impersonale e meccanica. Dietro questa legge non c'è necessità che debba esistere un Dio dispensatore di premi e punizioni.

La scuola che insegnò questa tesi fu chiamata Ajivika. Come fondatore viene indicato un certo Goshala, un altro contemporaneo del Buddha. Come accadde per Sanjaya e Carvaka, di lui non abbiamo nulla di scritto. Solo in seguito qualcuno tentò di codificare questa dottrina e di dargli dignità di sistema filosofico vero e proprio.

L'Ajivika afferma che all'inizio esistono cinque entità: atomi eterni di terra, d'acqua, di fuoco, d'aria e di vita. Quest'ultima classificazione è composta da veri e propri atomi spirituali.

Le jiva (le anime spirituali) conducono le loro attività in questo mondo forzati dal destino e quindi non sono né colpevoli né innocenti delle loro azioni. E neanche Dio è responsabile di ciò che accade: nessuno lo è, in quanto non c'è alcuna volontà né umana né divina.

L'anima trasmigra da un corpo all'altro e gioisce o soffre delle attività che si trova costretto a compiere. Noi vedremo cessare l'intensa sofferenza solo quando avremo compiuto l'intero ciclo della trasmigrazione delle anime, come scritto nel libro del nostro ineluttabile destino. Dopodiché l'anima verrà liberata e raggiungerà una dimensione dove non esiste il dolore. Questo mondo è una dimensione certamente di stampo impersonale.

Ma gli ajivika non credono nell'eternità della liberazione.

Questa non sarebbe altro che un momento come tanti di cui è composta l'eternità. Dopo un certo periodo di tempo, le jiva tornano nel samsara per poi liberarsi di nuovo e ricadere una volta ancora, prigionieri di una spirale senza fine.

Tutto ciò che esiste non cessa mai di esserlo. In certi momenti la forma specifica della cosa viene a manifestarsi e in altri momenti si cela: ma tutto esiste eternamente.

E' ben comprensibile come questa filosofia, forse più delle altre, fosse avversata dai rappresentanti dei Veda, come anche dai Buddhisti. Sembra anzi che il Buddha stesso abbia definito la teoria di Goshala come "la peggiore delle dottrine".

Anonimo

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