Sankhya
La parola Sankhya significa letteralmente "numero": dunque sta ad indicare una dottrina basata sull'enumerazione e sull'analisi. Più ampiamente, il sistema Sankhya potrebbe essere definito come quel sistema che intende accostarsi alla Realtà Ultima mediante un'enumerazione esatta e onnicomprensiva dei suoi principi costitutivi (tattva). Perciò è una descrizione completa della creazione e dei suoi meccanismi.
La tradizione scritta e orale vuole che i rappresentanti autentici della dottrina filosofico-scientifica Sankhya siano i tre saggi figli di Brahma (Sanaka, Sanandana e Sanatana Kumara) e il saggio Kapila (il figlio di Kardama e Devahuti), il quale la insegnò ad Asuri, il quale a sua volta lo trasmise a Pancashikha. La settima autorità Sankhya sarebbe il saggio Vodhu, del quale non si sa praticamente nulla.
Tra questi, il più celebre è senz'altro Kapila. La tradizione insegna che una filosofia fondata sull'analisi sistematica fu impartita molti milioni di anni fa dal Rishi Kapila a sua madre Devahuti. A chi sostiene che il saggio e il suo insegnamento non possono essere tanto antichi, diciamo che l'unica fonte di informazioni a riguardo di ciò sono le Scritture stesse, senza le quali non avremmo neanche saputo dell'esistenza di questi personaggi e delle loro filosofie. Sono le stesse Scritture che ci danno un'idea del periodo della loro nascita. Così i Purana affermano che Kapila apparve addirittura durante lo Svayambhuva Manvantara.
Del Sankhya inteso come un sistema filosofico preciso si trovano chiari riferimenti anche nei Veda più vetusti, come il Rig Veda. Dunque non possiamo certo far risalire gli albori del Sankhya a un'epoca seguente la nascita del Cristo.
Molti Purana (come il Brahmanda Purana, il Vayu Purana e il Bhagavata Purana) e grandi autorità in materia parlano di Kapila come di un Vishnu avatara, un'incarnazione divina. Non solo, ma troviamo l'intera storia della sua nascita, della sua vita e dei suoi insegnamenti nel Terzo Canto dello Shrimad-Bhagavatam, anch'esso posto per iscritto ben cinquemila anni orsono. Nello stesso Purana troviamo anche altre storie che riguardano Kapila. Inoltre, la figura del saggio appare sovente anche nel Maha-bharata.
Sembra che il Rishi abbia scritto due libri, il Sankhya-pravacana e il Tattvasamasa, ma di essi non c'è menzione nelle Scritture antiche; tutto ciò viene affermato solo nelle tradizioni che dicono di appartenere alla sua dinastia spirituale.
Nipote di Brahma e figlio di Kardama Muni e di Devahuti, Kapila parla per la prima volta la filosofia immortale del Sankhya a sua madre; un sistema, come già detto, che si basa sull'analisi metodica della natura materiale, in secondo luogo dell'energia spirituale e di un susseguente confronto delle qualità opposte delle due realtà.
La confusione sul Sankhya nacque molto tempo dopo, quando venne progettato un sistema di "tipo analitico" simile al precedente e che fu chiamato allo stesso modo, Sankhya per l'appunto. Gli autori furono Ishvarakrishna e Kapila (ovviamente un omonimo dell'antico saggio).
La differenze fra le due filosofie è nettissima: la prima è di natura teistica, accettata da tutti gli studiosi Vaishnava, mentre l'altra è, come vedremo, fondamentalmente ateistica e materialistica.
Storicamente la contrapposizione dei due sistemi ha sempre caratterizzato le vicende di questo sistema. I punti di convergenza e di divergenza diventeranno chiari nel corso della nostra esposizione.
Il Sankhya dell'avatara Kapila
2a) Cenni storici e introduzione
Noi conosciamo il Sankhya principalmente grazie alla Bhagavata Purana (Terzo Canto), dove si narra, con dovizia di particolari, il sacro dialogo svoltosi fra Kapila Muni e la madre Devahuti. Quando la virtuosa donna viene abbandonata dal marito Kardama che aveva scelto la strada della rinuncia ed era andato nella foresta per svolgere discipline ascetiche lei, addolorata per il fatto di essere rimasta sola, si rivolge al figlio per una consolazione che potesse darle sollievo dalle sue pene.
Nasce così un sistema di origini divine che ha lo scopo di diffondere la conoscenza trascendentale nella società umana.
2b) la filosofia
Rispondendo alle domande di Devahuti, Kapila esordisce dicendo che il più alto sistema di Yoga è quello che insegna la verità a riguardo del Signore (Paramatma) e dell'anima individuale (jivatma), e che dà beneficio vero e conclusivo a tutti quegli esseri viventi che soffrono vittime dell'illusione. Una qualità aggiuntiva deve essere quella di provocare il distacco sia dalle pene che dalle felicità del mondo materiale. Egli dice a sua madre di ascoltare con attenzione quell'antichissima saggezza, un sistema Yoga che non ha inizi nel tempo e che in precedenza aveva già enunciato a grandi saggi, dei quali non specifica l'identità.
Inizia dando una definizione della vita condizionata. Quella situazione in cui la coscienza dell'entità vivente è attratta ai “tre modi" della natura materiale è chiamata, per l'appunto, vita condizionata. E la liberazione da questa falsità consiste nell'attaccamento alla Suprema Personalità di Dio e si ottiene nel momento in cui si diventa completamente privi di ogni impurità causate della lussuria e dalle avidità.
Questi sentimenti negativi vengono prodotti dalla falsa identificazione col corpo. Quando si eliminano le concezioni errate per cui "l'io" è il corpo e tutto ciò che lo riguarda è "il mio", la mente si purifica. In quella condizione si trascende lo stadio delle cosiddette felicità e sofferenza materiali.
A quel tempo l'anima si vede nella giusta prospettiva, cioè nelle vesti di un'entità trascendentale, mai frammentata e, sebbene molto minuta in grandezza, in nessun momento è soggetta alle tenebre dell'ignoranza. In quella posizione di realizzazione del sé, grazie alla pratica del servizio devozionale (che prevede la rinuncia al godimento dei sensi) lo yogi diventa indifferente a ogni illusione e l'influenza della materia agisce su di lui con incisività sempre decrescente.
Kapila adesso ribadisce forse con maggiore forza di altri il modo di ottenere la perfezione, quando afferma che nessuno, per quanto potente possa essere, è in grado di realizzarsi pienamente a meno che si impegni nella pratica del servizio devozionale alla Suprema Personalità di Dio. Dunque Sri Kapila pone enfasi sulla bhakti in modo molto vigoroso.
Ogni uomo istruito sa bene che l'attaccamento per le cose materiali è la più grande prigionia dell'anima spirituale, ma dovrebbe anche sapere che ciò che deve essere cambiato non è l'attaccamento in sé, ma l'oggetto a cui si rivolge l'attenzione. Infatti quello stesso attaccamento applicato a un soggetto di natura trascendentale apre le porte del mondo spirituale.
Per esempio, si dovrebbe sviluppare amore per quegli esseri che hanno già ottenuto la liberazione. Chi sono queste persone? I sintomi grazie ai quali possiamo riconoscere questi sadhu (persone sante) sono numerosi, ma i principali sono il distacco dalle cose terrene e l'intenso amore per Dio, che li porta a essere sempre impegnati a servirLo. E per questo servizio il bhakta rinuncia a ogni altra relazione, quale quella che lo lega alle famiglia o agli amici. In compagnia di tali puri devoti, le discussioni dei passatempi e di tutte le altre attività della Suprema Personalità di Dio risultano estremamente piacevoli per l'orecchio e per il cuore. E la conoscenza spirituale penetra all'interno del fortunato cuore, che gradualmente avanza lungo il sentiero della liberazione.
Eventualmente il praticante si libera dai desideri degli oggetti materiali, anzi comincia a sentirne disgusto e la sua attenzione nei confronti di Dio diviene totale. Solo allora comincia la vera devozione e il servizio devozionale che ne consegue.
Questo Sankhya-yoga (o Coscienza di Krishna) è il processo più semplice ed efficace che esista. Se rifiutiamo di coinvolgerci nelle logiche depravate dei modi della natura materiale e vediamo crescere in noi la conoscenza e il piacere della rinuncia, e se ci aiutiamo con la pratica dello Yoga, che facilita la concentrazione, noi, i praticanti, in questa stessa vita possiamo ottenere la visione perfetta.
A questo punto Devahuti chiede ragguagli sulla pratica del Bhakti-yoga, che è un altro nome che designa il Sankhya-yoga. Come deve praticarlo? E come deve integrarlo con le discipline dello Yoga mistico?
Kapila risponde dando delucidazioni sul sistema Sankhya, nel quale si sottolinea l'importanza dell'uso di ogni parte di sé stessi. E' una combinazione di discipline yogiche, di esercizi intellettuali, di servizio devozionale. Poi il saggio precisa che tale saggezza è stata già tramandata in questo mondo attraverso il sistema parampara (tradizione nella quale la conoscenza discende da maestro a discepolo).
L'inclinazione naturale dei sensi è di agire secondo le direzioni delle ingiunzioni vediche, e quella della mente è di servire gli interessi dell'anima, cioè del proprio sé. Quando queste funzioni naturali sono impiegate nel servizio di devozione (del tipo puro, cioè privo di motivazioni personali), questo stadio è persino migliore della Salvezza, meglio cioè di abbandonare il mondo materiale per raggiungere Vaikuntha. Di per sé, per propria potenza intrinseca, la bhakti può dissolvere il corpo sottile dell'entità vivente il quale, con le sue chimere di felicità, la tiene prigioniera. Questo risultato può essere conseguito anche senza sforzi separati, senza nessun'altra pratica aggiuntiva.
Ma si deve stare attenti a non cadere nelle trappole micidiali di Maya: mai si deve desiderare di diventare un tutt'uno con Dio; bisogna sempre essere coscienti della Sua natura suprema.
Assorti in questa coscienza spirituale, i bhakta perdono completamente ogni connessione con l'esterno. Non si devono desiderare le gioie dei pianeti celestiali, né i poteri mistici che si ottengono con la pratica dell'ashtanga-yoga e neanche voler andare a godere delle gioie del regno di Narayana. Abbandonata ogni altra aspirazione, il devoto si trasferisce nella dimensione che è al di là della nascita e della morte. Solo allora si è protetti da ogni pericolo.
Poi Kapila Muni sottolinea ancora una volta che il servizio devozionale è il solo mezzo che consenta di ottenere la perfezione finale della vita.
Ora Kapila procede a descrivere le differenti categorie della Verità Assoluta, premettendo che solo conoscendole è possibile liberarsi dalle influenze diaboliche della natura materiale. La conoscenza perfetta è in sé la Perfezione Ultima, in quanto ha il potere di tagliare i nodi dell'attaccamento alle cose del mondo materiale.
Inizia col descrivere le caratteristiche della Suprema Personalità di Dio, definendolo come una Persona Suprema e dotato di ogni qualità trascendentale.
Per una esibizione di esuberanza interiore, questa Persona Suprema manifesta l'energia materiale sottile, nella quale ci sono le tre influenze della natura materiale. Questi guna sono divisi in tre sezioni ed è grazie alla loro potenza che la natura materiale è in grado di creare la diversità.
Le anime spirituali che scendono in questa dimensione sono confuse dalla energia illusoria, la quale ha proprio questa funzione, cioè quella di velare il vero stato delle cose; in altre parole, promuove la falso e copre il vero. Confusa e dimentica, colei che originalmente era un'entità trascendentale, giunge ad accettare la natura (materiale) come il campo delle proprie attività e di conseguenza si considera l'autrice delle proprie azioni.
La causa prima delle vita condizionata è la coscienza materiale, cioè la convinzione di essere parte dell'energia esterna; non appena si sente accettata, questa impone alle jiva i suoi condizionamenti. E le malcapitate iniziano a diventare coinvolte in una situazione di incubo.
Dunque il campo d'azione (il mondo) e il veicolo adatto ad agire al suo interno (il corpo) vengono provveduti dalla natura materiale (prakriti), mentre tutti quegli atti che richiedono una presenza soggettiva (come le sensazioni di felicità e sofferenza) non possono che provenire dall'anima spirituale stessa.
A questo punto Devahuti chiede al figlio di chiarirle come è composta la natura materiale. E Kapila riprende a spiegare.
Inizialmente esiste un'agglomerato energetico "immanifesto" e indiviso, il quale è eterno di natura. Questo viene chiamato pradhana ed è la culla degli elementi materiali. Quando si manifesta all'esterno e diventa visibile, è chiamato prakriti.
Questa prakriti è composta di 24 elementi, che sono così suddivisi: cinque elementi grossolani, cinque elementi sottili, quattro sensi interni, cinque sensi per ottenere conoscenza e cinque organi interni di azione. Questi esistono in forma latente anche nel pradhana.
I cinque elementi grossolani (maha-bhuta) sono: terra, acqua, fuoco, aria ed etere. I cinque elementi sottili (tan-matra) sono: l'olfatto, il gusto, il colore, il tatto e il suono. I sensi per ottenere conoscenza (jnana-indriya) sono: il senso dell'ascolto, il senso del tatto, il senso della vista, il senso del gusto e il senso dell'olfatto. Gli organi dell'azione (karma-indriya) sono cinque, e sono: l'organo della parola, le mani, i piedi, gli organi generativi e gli organi di escrezione.
Deve essere aggiunto che lo strato materiale sottile è composto da quattro elementi, che sono: la mente, l'intelligenza, l'ego e la coscienza contaminata. In realtà non si tratta proprio di quattro elementi distinti, cioè non si tratta di entità separate, ma di uno stesso elemento che compie differenti funzioni e che possiede caratteristiche varianti.
Tutti questi sono considerati Brahman con qualità (saguna-brahman); in altre parole, l'aspetto materiale del Signore Supremo.
Poi Kapila aggiunge una venticinquesima entità, che è l'elemento mescolatore, cioè il Tempo (Kala). Questo è considerato una componente fondamentale, in quanto è detto che la presenza del Purusha si nota proprio dal fattore Tempo, la cui funzione, tra le altre, consiste nel generare la paura della morte in chi sia vittima del falso ego (ahankara). E' lui, Kala, che agita la natura neutrale non manifesta e fa sì che la creazione possa cominciare.
Il Signore, il Dio Supremo, è presente nel creato in un duplice modo: all'interno del cuore delle entità vivente e degli atomi della materia è Paramatma, mentre all'esterno è il Tempo distruttore. Con questi Egli aggiusta tutti i differenti aspetti del creato.
Nel momento in cui la Suprema Personalità di Dio, grazie alla Sua potenza interna, impregna la prakriti, ecco che la natura materiale fa sbocciare la somma totale dell'"intelligenza cosmica", conosciuta come Hiranmaya (mahat-tattva, cioè la differenziazione degli elementi materiali). In altre parole, a quel punto gli elementi si differenziano e sono quindi pronti per l'uso creativo. Questo meccanismo scatta quando la natura è agitata dall'arrivo delle anime condizionate. Dopo essersi variegato, lo sfolgorante mahat-tattva, che in sé contiene tutti gli universi, si manifesta.
Il "modo" della pura virtù (vasudeva), è il primo a manifestarsi, proprio perché è la qualità divina necessaria a ogni forma di vita. Al contrario di quella contaminata, la pura coscienza è chiara, dolce e limpida.
La creazione è stata concepita per le anime condizionate, le quali devono perciò necessariamente essere dotate di ego materiale, che scaturisce dall'azione di maya, l'energia illusoria. Questo "ego falsato" (ahankara) è dotato di un potere attivo che può essere di tre generi: virtuoso (sattva), passionevole (rajas) e ignorante (tamas). Tutta la varietà della quale siamo testimoni si evolve da questi tre tipi di "modi di essere" delle persone e degli oggetti. Il falso ego e i tre guna dunque caratterizzano l'intera creazione materiale.
Dal falso ego caratterizzato della virtù si evolve la mente; infatti il desiderio nasce dai pensieri e dalle riflessioni. Dal falso ego della passione nasce l'intelligenza. La funzione di quest'ultima consiste nell'oculato accertamento della natura degli oggetti nel momento in cui questi vengono analizzati e di aiutare i sensi nel loro lavoro. Dal falso ego in ignoranza, quando agitato dall'energia sessuale che proviene dalla Suprema Personalità di Dio, il suono è manifestato, e dal suono viene il cielo (cioè l'etere) e di conseguenza il senso dell'ascolto.
Non appena gli elementi si sono separati e l'Uovo Cosmico (l'universo è a forma ovoidale), la Suprema Personalità di Dio, in una delle sue forme (Garbhodakashayi Vishnu) vi entra dentro e lo divide in sette sistemi planetari. A quel punto appare anche la divinità che presiede alla coscienza (Paramatma). Ora tutto è veramente pronto. La creazione può avere inizio.
Gli yogi meditano su quel Paramatma, che è presente nel cuore di ogni entità vivente: infatti questo aspetto divino concede il distacco e l'avanzamento nella conoscenza spirituale.
Chi vuole liberarsi deve trascendere le influenze dei tre guna; non deve sentirsi esuberante di fronte alle cose belle e piacevoli (sattva), né acceso dal fuoco del potere e del senso di poter disporre di cose e persone (rajas), né ammorbato dalla languidezza del buio intellettuale. Non deve subirle, ma trascenderle.
Quando la jiva è sotto l'incantesimo della natura materiale e del falso ego, credendo che il corpo sia il proprio sé, diviene assorta in attività materiali e si illude di essere la proprietaria di tutto. Per questa ragione trasmigra nelle differenti specie di vita e diventa un uomo, una donna, un Deva, un animale, una pianta, o entra in una qualsiasi delle 8.400.000 diverse forme di vita disponibili in questo universo.
L'anima è fatta di energia di natura trascendentale ma, a causa della sua mentalità di voler spadroneggiare su tutto, non riesce a risollevarsi dallo stato di profonda illusione e come risultato sperimenta la sensazione della sofferenza. Questa emozione le è del tutto nuova, in quanto la jiva è fatta di felicità (ananda).
Grazie alla pratica costante di tutte le discipline che compongono il Sankhya-yoga (chiamato anche Bhakti-yoga), immergendosi completamente (samadhi) dentro i passatempi trascendentali del Signore e meditando sui vari punti del corpo trascendentale di Krishna, si raggiunge la perfezione dell'esistenza: l'eterno rapporto d'amore con il Dio Supremo.
Il Sankhya e lo Yoga sono due sistemi, in genere considerati insieme perché hanno molte dottrine comuni, tranne il fatto che alcune correnti del Sankhya non ammettono l'esistenza di Dio mentre lo Yoga la postula.
L'esposizione più antica del Sankhya è l'opera di Isvarakrsna intitolata Sankhyakarika (IV-V secolo d.C.) in 72 versi.
Invece la letteratura yoga si incentra intorno agli Yogasutra di Patanjali (2° sec. a.C.).
Sia il Sankhya che lo Yoga ammettono due sostanze opposte ma ugualmente eterne: da un lato le anime (purusha), che sono infinite e semplici, e dall'altro la prakrti, che sarebbe un po' la nostra natura o materia, unica, dinamica, complessa. Il processo cosmico o, come diremmo noi, l'evoluzione della natura o della materia è ciclico (teoria accettata da tutte o quasi le scuole dell'India) e può avvenire ovviamente in due sensi: o dall'alto verso il basso, dalla natura evoluta alle sue forme più semplici, o dal basso verso l'alto, prendendo in considerazione le forme più semplici fino ad arrivare a quelle più evolute. Le anime sono luminose, pura intelligenza, ma inattive, impassibili, non soggette né a gioia né a dolore: sono all'incirca l'io della coscienza. Le anime devono conquistarsi la liberazione definitiva attraverso l'esperienza della vita: occorre che avvenga il contatto con la materia, e quindi la conquista della consapevolezza attraverso la sofferenza vissuta, perché sia per sempre rotto l'incanto e la materia non possa più avere presa sull'anima. Fino a quanto ciò non avviene, l'anima è incatenata al fascino del materiale. Il ciclo samsarico avrà fine quando nascerà nella psiche, attraverso la conoscenza data dal Sankhya e dallo Yoga, la consapevolezza della distinzione tra l'anima (purusha) e la psiche stessa (buddhi). Essendo così eliminata l'ignoranza, la psiche (buddhi) ritorna allo stato di purezza originaria.
Ernesto Riva - Tratto da linguaggioglobale.com
Una presentazione ed un dibattito.
di Manonath Desa - Scritto nel Gennaio 1996
delle note...
Introduzione
Queste erano delle note destinate a diventare un libro sul Sankhya scritto a quattro mani. Il progetto del libro c'e' sempre, tuttavia forse richiederà più tempo. Per questa ragione abbiamo deciso di pubblicare il presente articolo, pur incompleto e probabilmente pieno di errori.
1. I due Kapila
La parola Sankhya significa letteralmente "numero". Dunque è quella dottrina che si occupa di enumerare i principi (tattva) che compongono l'universo materiale.
Originalmente questa fu insegnata molti millenni fa da un saggio di nome Kapila. Ancora oggi è ritenuto da grandi autorità un Vishnu avatara, un'incarnazione divina. Figlio di Kardama Muni e di Devahuti, Kapila parlò per la prima volta la filosofia immortale del Sankhya, che si basa sull'analisi metodica della natura materiale, per poi passare a quella dell'energia spirituale, in modo da poterle porre a confronto. La storia della nascita, della vita e degli insegnamenti di Kapila è narrata nel quarto canto della Srimad-Bhagavatam.
Molto tempo dopo un altro Kapila venne, progettando anch'egli una filosofia di tipo "analitico", chiamandola alla stessa maniera, Sankhya. Nonostante i casi di omonimia, le differenze fra le due è nettissima: la prima è di natura teistica, accettata da tutti gli studiosi vaishnava, mentre l'altra è, come vedremo, fondamentalmente ateistica e materialisitica.
Precisata la differenza fra i personaggi storici, con la raccomandazione di non confondere le due figure, ora, in questo articolo, ci occuperemo del secondo Kapila, l'eretico, quello che ha proposto conclusioni contrarie agli insegnamenti dei Veda.
Presentazione
2. L'analisi della natura
Da sempre i filosofi hanno tentato di spiegare l'origine della creazione, e lo stesso tentativo fu compiuto da Kapila. A ben ragione la sua filosofia può fregiarsi del titolo di filosofia materialistica, in quanto rifiuta la supremazia dell'elemento spirituale su quello materiale.
Gli elementi originali sono due: Mula-prakriti, sostanza materiale allo stato non-manifestato e Purusha, sostanza spirituale. Ambedue sono originali e non prodotti da nulla e nessuno; dunque sono ambedue eterni.
Ora vediamo cosa è la natura materiale.
La parola Mula significa radice, e viene chiamata Mula-prakriti proprio perchè è la sostanza che è alla radice di tutta la creazione. Questo elemento non-manifestato è anche chiamato Pradhana, e quando sarà manifesato avrà il nome di Prakriti, o Natura.
Prakriti è sottile e inconoscibile, se non grazie agli effetti (sat-karya). E' un caso di origine che è scomparsa nell'effetto stesso, come del grano diventato farina.
Pradhana (o Mula-prakriti) è costituito da un perfetto equilibrio interno di tre dei suoi attributi fondamentali, che sono chiamati Guna. I tre Guna sono:
sattva, ritmo, che causa piacere, e serve ad illuminare,
rajas, attività, che causa dolore, e serve ad attivare,
tamas, inerzia, che causa offuscamento, e serve a limitare.
Ma prima di procedere vediamo meglio cosa sono i Guna.
La parola Guna può significare cose diverse. I filosofi Sankhya attribuiscono al termine il significato di "qualità" o "caratteristiche". Queste sono i tre ingredienti fondamentali dei quali Prakriti è composta, in maniera inscindibile, così come il calore è la caratteristica fondamentale e inerente del fuoco e da esso non può mai separarsi (un fuoco che non avesse calore non sarebbe tale). Prakriti (come viene anche chiamata Mula-prakriti) e l'armonica mistura dei tre Guna sono la stessa cosa. Definiamoli con maggiore precisione.
La definizione di sattva è ritmo, o esistenza stabile, esistenza che si mantiene, o anche la capacità intrinseca di mantenersi secondo un proprio "ritmo" o "ragione" di esistenza. E' leggero e luminoso.
La definizione di rajas è attività, capacità e ragione di muoversi, di trasformarsi, di procedere in altri stadi di esistenza. E' stimolante e mobile.
La definizione di tamas è inerzia, o stato di non-movimento, prossimo dunque alla distruzione delle forme che la materia soggetta alla sua influenza assume. E' pesante e opaco.
Solo quando avviene uno squilibrio fra questi tre elemeti costitutivi avviene la creazione dell'universo in cui viviamo.
3. Prakriti e Purusha esaminati
Ora specifichiamo meglio le qualità inerenti di Prakriti e introduciamo quelle del Purusha. Stiamo entrando nel merito dell'eresia fondamentale da parte dei Sankhya-anishvara (Sankhya-atei).
Abbiamo detto che Prakriti non è causata, dunque è eterna. Pervade ogni cosa, non agisce (dunque è eternamente immobile), è unico (dunque non differenziato), non si poggia su nulla, poichè è un elemento originale e dunque indipendente, indissolubile, poichè non composto di parti. Come abiamo detto, è formato dai tre elementi costitutivi (i Guna), campo di esperienza delle anime, insienziente e produttivo.
In altre altre parole, Prakriti è vista come energia eterna e onnipervadente. Eterna perchè ciò che non ha fine non può avere neanche un inizio, onnipervadente perchè i suoi prodotti si possono osservare ovunque, (vedi Sankhya-sutra 6.36). E' la radice o causa primordiale, non esiste causa al di là di essa, proprio come la radice è la causa dell'albero ma essa non ha un'altra radice che la genera; (Sankhya-sutra 1.67). E' la causa materiale di tutto, ma essa (Prakriti) non ha un'ulteriore causa.
Mula Prakriti è così descritta come eterna e originale: ciò significa che, sebbene essa stessa sia la cuasa di tutto, niente e nessuno ne è stata la causa. Eternamente Prakriti produce tutto, e anche se essa stessa sia insenziente (dunque non-intelligente), è la causa del godimento e della liberazione di innumerevoli esseri senzienti. Qui abbiamo toccato un punto fondamentale che riprenderemo fra poco: lo scopo di Prakriti è di dare esperienza e infine liberazione alle anime.
Ma come possiamo capire la sua esistenza? Essendo al di là della possibilità di percezione sensoriale, è impossibile da captare mediante qualsiasi strumento, ma la sua esistenza può essere dedotta dai suoi effetti (concetto già espresso in precedenza). E sebbene unica in entità, possiede molti attributi eterogenei e grazie alla sua capacità di modificare produce questo mondo fantastico.
Passiamo ora a definire il Purusha.
Secondo il Sankhya ateo, il Purusha (l'anima spirituale) non è parte di Prakriti, ma è un'entità separata, sebbene simile ad essa in molti aspetti. Tanto simile alla materia non-manifestatata (avyakta) quanto dissimile la ritroviamo nel suo stadio manifestato (vyakta).
Isharakrishna dà cinque ragione perchè l'anima esiste. 1) perchè nessuna aggregazione può esistere per se stessa, ma per qualcos'altro, 2) perchè questo qualcos'altro deve essere l'inverso dei tre Guna, 3) perchè ci deve necessariamente essere un controllo che presieda a tutto, 4) perchè deve esserci un soggetto fruitore, 5) perchè c'è una naturale tendenza alla liberazione.
Purusha è eterno e privo di causa, pervadente perchè lo ritroviamo praticamente ovunque nella creazione, è il principio in grado di identificarsi, ma non produce niente, perchè è statico e immodificabile. Sempre fermo, immobile nella sua essenza, non può mai cambiare ciò che è. Senza attributi, è mera coscienza onni-pervadente, ma si amalgama completamente nei corpi che assume, anche se ne è a contatto per così tanto tempo. Indissolubile, non è costituito di parti, ed è per sempre indipendente. E' sempre privo dei Guna, non oggettivo, individuale, senziente e mai produce alcunchè. Possiamo capire che questo Purusha esiste perchè la realtà è stata capace edi organizzarsi. Senza l'azione del Purusha, Prakriti non avrebbe mai potuto creare nulla.
Ma perchè Prakriti crea l'universo? Per il bene esclusivo del Puruusha, rispondono i Sankhya. Infatti l'entità materiale (una qualsiasi) può creare qualcosa solo per beneficio di qualcun altro, e mai per sè stessa, in quanto priva di vita, di coscienza e quindi di interessi personali. A questo proposito, nel Sankhya-sutra (1.66) leggiamo proprio questo: che l'energia prakritica (nello stadio manifestato) non crea e agisce per prorpio interesse, ma per quello dell'anima individuale.
Questo concetto è importante; quindi ne riassumiamo i punti salienti:
1) la creazione ha come scopo la liberazione, ma non dell'elemento creatore (Prakriti), ma quella di qualcun altro (o qualcos'altro), del Purusha,
2) anche perchè essa (Prakriti) non è mai un elemento "allo stato puro", bensì esiste sempre sotto forma di "composto" o "combinazione",
3) e ogni combinazione è sempre in funzione dell'uso di qualcun altro, e mai fine a se stessa.
Per chiarire il punto 3, i Sankhya propongono l'esempio di una sedia, che è un composto di elementi e che esiste per le finalità personali di un principio dissimile da esso. Il legno non si siederà mai sulla sedia, ma serve perchè qualcuno ci si sieda sopra. Nè può asserire che i vari composti organizzino "un lavoro di gruppo" per servire interessi in comune. In special modo si deve escludere che un'entità composta possa essere personale, e dunque è priva di interesse verso la prigionie come verso la liberazione.
Il Purusha deve essere eterno, in quanto è definito come "libero da ogni azione e modificazione". Infatti l'atto di essere creato comporta una modificazione rispetto allo stato inziale. Se il Purusha non può cambiare, non è neanche in grado di passare dallo stato non-esistente a quello di esistente, perchè ciò mostrerebbe, appunto, la capacità di modificarsi.
Il Purusha è inattivo: l'anima non può agire e non è in grado di provare la gioia, perchè tale qualità non fa parte della sua natura. Soffrire e godere, così come la capacità di agire, appartiene a Prakriti e non a Purusha, dicono i Sankhya. Ma, dovuto all'illusione che lo imprigiona, l'uomo pensa erroneamente che sia Purusha colui che agisce e che gode e soffre, e che può arrogarsi il diritto alla felicità.
Le anime sono plurali. Non esiste un "blocco unico" trascendentale, ma le anime sono individuali. Ishvarakrishna dice infatti che ciò viene provato 1) dal fatto che la nascita, la vecchiaia e la morte siano detrminati individualente, 2) dal fatto che esistono azioni non simultanee, 3) dal fatto che ci sono differenze nella proporzione dei tre elementi costitutivi nelle diverse entità.
4. La meccanica della creazione
Quando avviene uno squilibrio fra i tre attributi di Prakriti, la stessa comincia a trasformarsi, ad assumere aspetti più evoluti.
In quel momento, quando Prakriti comincia a muoversi e dunque a differenziarsi (caratteristica di rajas), assistiamo alla trasformazione di Prakriti in Mahat, che è il totale degli elementi materiali "differenziati", dunque pronti alla creazione di forme specifiche. Appena gli ingredienti sono maturi, la stessa potenzialità di creazione fa scaturire fa scaturire ahankara, che è l'energia di identificazione necessaria agli esseri viventi per vivere le esperienze di questo mondo. A questo punto sia gli ingredienti materiali che le basi dell'esistenza condizionata sono pronti, e da ahankara scaturiscono i 5 tanmatra, che sono i 5 oggetti dei sensi (suono, tatto, ecc.). Poi i due tipi di sensi (i sensi cogniticvi e i sensi d'azione); infine gli elementi grossolani.
Dunque, secondo il sistema Sankhya, i 24 tamatra (o elementi primordiali) sono Prakritici, cioè di natura strettamente materiale, senza connessione alcuna con realtà trascendentali.
Questi sono, secondo i Sankhya, i 25 elementi che costituiscono la natura materiale.
5. Perchè esiste il dolore?
Una delle domande che ci vengono in mente con maggiore frequenza, riguarda il dolore: perchè soffriamo?
Abbiamo detto che secondo i Sankhya le qualità presenti in questo mondo sono l'effetto della mescolanza delle tre qualità in un momento di squilibrio interno. E' proprio a causa dello squilibrio che queste tre caratteristiche tanto diverse tra di loro pervadono tutta la nostra vita. Così talvolta siamo gioiosi, altre volte sofferenti, oppure spesso confusi.
In genere troviamo tutti i tre Guna nello stesso oggetto, anche nello stesso momento, secondo la prospettiva di persone differenti che lo osservano in momenti e situazioni differenti. Una bella ragazza può essere oggetto di gioia per l'amante accettato, oggetto di dolore per il rivale rifiutato e oggetto di indifferenza per un asceta; lo stesso causa dunque tre sensazioni differenti a tre persone che lo osservano con visione diversa. Una moglie, quando di buon umore, causa gioia, quando irritata causa dolore e quando lontana è sorgente di rimpianti e dunque di illusione. Lo stesso oggetto causa alla stessa persona tre esperienze diverse a causa di altrettante condizioni diverse. Questa, secondo la filosofia Sankhya, è la causa della sofferenza: l'azione dei tre Guna nel soggetto vittima dell'illusione.
6. Il fine dell'esistenza
Quando Prakriti e Pradhana si incontrano, essi si sovrappongono e questo fenomeno produce fra di loro un interscambio di attributi; cioè la coscienza (o l'intelligenza) appare nella materia e la capacità di agire e di godere nello spirito. Questo fenomeno si chiama adhyasa, o sovrapposizione, ed è la causa dell'illusione dell'uomo, che pensa che le due entità abbiano proprietà di cui in realtà sono prive.
La natura è incosciente, ma il contatto con lo spirito la fa apparire cosciente. D'altra parte, lo spirito non è nè l'agente nè il goditore, ma il contatto con la materia lo fa apparire tale.
La sofferenza che sperimentiamo nella vita nasce da questo adhyasa, o discernimento errato, mentre la liberazione consiste nel realizzarne la differenza. Colui che è diventato indifferente alla materia (Prakriti) ha ottenuto moksha (liberazione).
7. Il metodo dell'indagine
Vediamo ora come gli studiosi e i filosofi Sankhya impostano la loro ricerca.
In questo sistema i metodi per arrivare a pramana (la conoscenza vera) sono tre, e cioè:
1) pratyaksha, la percezione sensoriale,
2) anumana, la deduzione (comprendere la verità dai "segni"), e
3) shabda, la testimonianza.
Un Sankhya sutra dice: "Un oggetto di studio può (e deve) essere vagliato in tre maniere. Non ce ne possono essere di più perchè sulle basi di queste tutto il conoscibile può essere accertato, senza che si presenti la necessità di ricorrere al metodo aggiuntivo della comparazione, che secondo il nyaya è un mezzo particolarmente valido di conoscenza."
Questi tre metodi sono accettati anche dai Veda. Nessuno studioso accetterà mai nessuna conclusione che non sia formata da una concordanza di questi tre elementi. Non ci può essere verità dove le scritture (shastra) non concordano, dove la logica è frustrata, dove manca ampia discussione degli elementi a favore e contrari. Il grande santo ed erudito Krishnadas Kaviraja Gosvami accetta questi tre metodi della ricerca della verità (Shri Caitanya Caritamrita, Madhya-lila 22,65).
"Colui che è esperto nella logica, nella argomentazioni e nelle scritture rivelate, e che ha ferma fede in Krishna, è classificato come un devoto del grado più alto..."
Un dibattito
Gli studiosi della filosofia vedica non concordano con le idee promosse da Kapila. Ora presenteremo le ragioni del dissenso.
8. Pradhana è privo di intelligenza direttiva
Ci sembra giusto cominciare menzionando una scrittura di grande importanza come il Vedanta-sutra, la quale sostiene che:
racana-anupapattesh-ca na-anumanam
"Ciò la cui esistenza è deducibile dai suoi stessi effetti (Pradhana, cioè la creazione stessa), non è la causa del mondo, perchè impossibilitata a creare l'universo (in quanto priva di intelligenza)." Vedanta-sutra, 2.2.1
Qui Pradhana è chiamato anumanam, "ciò che è dedotto", poichè la sua esistenza è puramente ipotetica. Infatti l'origine di tutto è totalmente invisibile ai nostri occhi. Il sistema degli assiomi talvolta è necessario. I più grandi scienziati hanno li hanno usati per poi giungre alle più grandi scoperte della storia. Srila Baladeva Vidyabhushana porta l'esempio delle etere, l'esistenza della quale è postulata allo scopo di spiegare fenomeni come la luce o il magnetismo. Per poter spiegare il fenomeno della creazione, i filosofi Sankhya hanno accettato l'assioma dell'esistenza di una energia che chiamano Pradhana (o Prakriti). C'è una sottile differenza tecnica tra i due termini, ma ciò lo vedremo in seguito, ma l'esistenza di tale energia è appunto indimostrata e indimostrabile. Nessuno strumento potrà mai provare la sua esistenza, anche perchè oramai si è dissolto nel suo effetto primario, cioè la creazione stessa.
Ma questo ipotetico Pradhana non può essere nè la causa materiale nè la causa operativa, giacchè ciò è smentito proprio dal suo presunto effetto. Il mondo è infatti una realtà magnifica, impareggiabile in molti dei suoi aspetti, ed è impossibile ed illogico che la materia priva di intelligenza (come rientra nella ideologia Sankhya) possa aver prodotto tutto ciò, priva della azione direttiva di un agente dotato di facoltà intellettive, di gusto, di qualità personali, caratteristiche che sono tuttora necessarie per opere anche molto più semplici di un universo. Nessuno di noi ha mai assistito al fenomeno di un palazzo scaturito da una casuale combinazione di mattoni, calce e altre componenti, senza l'azione diretta e attiva di un soggetto intelligente, come un architetto, dei muratori e via dicendo.
A ciò, la filosofia Sankhya così ribatte:
"Nell'energia-materia è presente una certa capacità vitale, cosciente, anche se in forma ridotta e spesso potenziale, nel senso che per essere manifestata necessita dell'intervento del Purusha. Questo possiamo osservarlo nella realtà, dove alcuni oggetti fisici hanno la capacità di provocare in noi delle sensazioni. Se vediamo un bel fiore, diciamo "che bel fiore", e ci sentiamo pervadere da un sentimento poetico che ci provoca del piacere. Questa sensazione prima della sua nascita era assente in noi, in quanto prima della visione del fiore non esisteva. L'ha provocata il fiore; dunque la sensazione del piacere è insita negli oggetti del mondo."
Questo è un argomento privo di forza. Infatti è più che ovvio che il sentimento di piacere non può essere un sentimento esterno, bensì interno.
Non possiamo dire che il piacere è insito nella natura dei fiori, poichè non a tutti provocano la stessa emozione. Ciò che fa sospirare un innamorato lascia indifferente un'altra persona priva di quella particolare sensibilità. Gli oggetti eccitano il piacere, ma è il soggetto che "riceve l'informazione", la elabora e poi sente piacere. Un fiore non provoca nulla a un soggetto privo di vita, privo di vista, o assente davanti ad esso. Insomma il piacere è un sentimento interno, un attributo dell'anima e giammai della materia.
Non possiamo così dire che la qualità della gioia e altre siano proprie degli oggetti materiali.
I Veda classificano la materia fra la lista degli elementi inerti. Ma vediamo che si muove, potrebbe obiettare qualcuno. Difatti i Sankhya sostengono che è Pradhana ad essere in grado di muoversi, e non lo spirito.
A questa obieizone il Vedanta-sutra (2.2.2) dice:
Pravittesh-ca
"La materia inerte diventa attiva solo quando in essa c'è l'azione direttiva dell'intelligenza."
Anche quando vediamo che si muove, in realtà la materia (Prak-riti) non è mai attiva. Osserviamo questa semplice verità anche nella vita di tutti i giorni. Se vediamo muoversi la manica del maglione che indossiamo non diremo "il maglione si muove, è vivo dunque", diremo piuttosto che è il braccio all'interno della manica che lo fa muovere. E il movimento è diretto dall'intelligenza (che consiste nella capacità di discriminare).
9. Il mondo non è creato dall'incontro tra Pradhana e Purusha
Ora analizziamo come secondo la filosofia Sankhya questo mondo sia potuto scaturire da un elemento come Pradhana.
I filosofi Sankhya, certamenti più intelligenti dei moderni "pensatori" atei, si sono guardati bene dall'assegnare alla materia qualità come l'intelligenza e la coscienza. Infatti che essa ne sia priva è sotto l'occhio di tutti, nel modo più ovvio. Quindi hanno mantenuto saldo il principio che Pradhana è solo un meccanismo, e non un'entità vivente. Non potendo escludere dalla paternità del creato un principio di natura spirituale (Purusha), lo hanno ammesso, ma allo stesso tempo gliene hanno riconosciuta solo parzialmente. Vediamo cosa dicono.
"La creazione è stata resa possibile grazie a una combinazione 'sovrapposta' di spirito e materia (Purusha e Prakriti), ed è a causa di questa mutua sovrapposizione che viene ad apparire come se le due entità si siano scambiate le loro caratteristiche fondamentali."
Questa idee chiamata adhyasa (sovrapposizione delle nature) fa acqua da tutte le parti. Prima di proporre questa tesi, i Sankhya avrebbero dovuto rispondere a queste domande:
prima: qual'è la causa della sovrapposizione?
seconda: come è composta questa energia che spinge a sovrappore?
terza: quali sono le leggi che regolano la sua esistenza e la sua azione?
E' forse una sostanza intrinseca nell'esistenza intima dello spirito e della materia? Questo non può essere perchè se la capacità di sovrapporsi con la materia è propria dello spirito, allora non potrebbe esistere la liberazione, poichè a quel punto appena uno si libererebbe si sovrapporrebbe immediatamente con l'energia materiale e cadrebbe di nuovo preda dell'illusione materialistica.
Oppure che sia un elemento modificato che è scaturito dallo spirito o dalla materia? Certamente non può provenire dalla materia perchè non potendo avere qualifiche superiori alla sua origine non potrebbe agire in nessun modo. Nè può essere una modificazione dello spirito in quanto, in accordo al sistema Sankhya, lo spirito è immodificabile. In altre parole, lo spirito non può mai cambiare ciò che è.
Il dilemma di questo misterioso fenomeno di adhyasa rimane tale. Ma i Sankhya potrebbero tentare di presentare un'altra ipotesi, e cioè:
"Il latte si trasforma in yoghurt perchè è una qualità inerente (cioè il latte si trasforma in yoghurt perchè ciò è parte delle sue caratteristiche naturali). Per spiegare poi le differenze sostanziali che acquista si potrebbe fare l'esempio dell'acqua piovana: quando essa cade dalle nuvole ha un solo sapore, poi quando entra nei vari frutti acquista sapori differenti. In modo analogo Pradhana, sebbene come energia sia omogenea, in accordo al tipo particolare di karma della jiva con le quali viene a contatto, acquista caratteristiche diverse. La differenza nei corpi e nelle circostanze della jiva è dovuto proprio agli effetti dei passati karma dei Purusha. Dunque l'adhyasa avviene perchè è una capacità intrinseca della natura materiale che si manifesta appena viene a contatto con lo spirito."
Ma anche questa ipotesi è scartata dai testi vedici. Il Vedanta-sutra (2.2.3), infatti, afferma:
payo'mbu-vac-cet-tatra-api
"Se si afferma che Pradhana si modifica da sè nei suoi vari prodotti, come (ad esempio il latte (payas) o l'acqua (ambu), senza la guida di nessuna intelligenza replichiamo che anche in quel caso il cambiamento è guidato dall'intelligenza."
L'affermazione di Vyasa, l'autore dei sutra del Vedanta, è corretta e sostenuta dalla ragione. Infatti esiste una legge precisa che regola la tramutazione, ad esempio, dell'acqua piovana in differenti sapori e odori; ciò non accade mai seguendo un meccanismo casuale, perchè se la causa fosse tale, casuale sarebbe anche l'effetto. Così una vlta un albero di mele darebbe mele, altre volte pere o ciliege. Oppure potremmo avere mele dal sapore di pere o viceversa. Invece qesto non è mai accaduto. Se dunque gli effetti sono così precisi e determinati significa che esiste una legge determinatrice intelligente e allora anche la causa alla radice deve essere intelligente.
L'esempio del latte proposto da Vyasa segue la stessa logica. Il latte si trasforma in yoghurt seguendo regole precise, in circostanze simili e il risultato è sempre lo stesso. E' ovvio che una regola intelligente ne guida la trasformazione.
Sebbene i nostri sensi non sempre percepiscono o comprendono questa legge o questo legislatore, tuttavia possiamo dedurre le qualità della causa osservando gli effetti; esiste infatti un preciso rapporto di somiglianze qualitative tra la causa e l'effetto. Se l'effetto segue criteri di intelligenza e logica, vuole dire che la causa deve essere inyelligente e logica.
L'argomento è ben sviluppato nella sezione Antaryami Brahmana del Brihad-Aranyaka Upanishad.
Cenni storici e introduzione
I testi canonici di questa seconda tradizione Sankhya sono due: il Sankhya-karika di Ishvarakrishna e il Sankhya-sutra di Kapila.
La prima è un'opera abbastanza breve: è costituita di poco più di settanta versi. Nell'introduzione, l'autore afferma di rifarsi agli insegnamenti di Kapila e nei versi concludenti dice che quel saggio aveva avuto un discepolo di nome Asuri, il quale poi a sua volta avrebbe trasmesso quella conoscenza a Pancashikha. A meno che non si tratti di un caso straordinario di omonimia plurima (l'avatara Kapila aveva avuto discepoli dallo stesso nome), dobbiamo ritenere che Ishvarakrishna si riferisse proprio a lui oppure che la seconda discendenza sia stata costruita di proposito per assomigliare all’altra.
Ma allora verrebbe da chiedersi come mai Ishvarakrishna dichiari la sua appartenenza a una scuola con la quale si trova in un contrasto ideologico tanto netto e dalla quale sarebbe poi stato considerato un eretico.
Ci sono due risposte possibile. La prima che Ishvarakrishna tenti di far risalire il sistema da lui ingegnato al Kapila antico con lo scopo di dargli dignità di sistema classico. Riguardo a questo, la mentalità indiana è sempre stata diversa da quella occidentale: da noi l'originalità è sempre stata un vanto, mentre in India chi non fosse parte di una sampradaya rispettabile non godeva di grande considerazione. Era il prezzo per essere presi sul serio. La seconda che avesse assunto una missione particolare, cioè di giocare la parte dell'eretico per provvedere agli atei una teoria che sostenesse le loro convinzioni. Nella storia della filosofia indiana non sarebbe la prima volta. Tra i nomi più eclatanti troviamo persino quelli di Buddha e di Shankara.
Sembra comunque certo che Ishvarakrishna non sia l'ideatore di quel sistema Sankhya ateo. Probabilmente è stato un ordinatore dalla dubbia fedeltà intellettuale di una tradizione orale preesistente.
Per quanto riguarda invece Kapila, si ritiene che fosse vissuto nel quindicesimo secolo e che avesse scritto il Sankhya-sutra. C'è chi nutre persino dubbi che questo personaggio sia mai esistito. Costoro affermano che qualcuno ha assunto il nome di Kapila e ha codificato gli insegnamenti del Sankhya in forma di sutra per la necessità di conferire al sistema autorità e dignità. A quel tempo la dottrina era continuamente attaccata dagli assertori del Sankhya teista, che proclamavano l'estraneità degli avversari alla loro tradizione filosofica. Da lì il bisogno del Sankhya-sutra, oltre al già esistente Karika di Ishvarakrishna.
Una prima analisi del Sankhya-karika ci porta subito a notare che gli argomenti trattati possono essere classificati nelle seguenti sezioni: i giusti mezzi per ottenere vera conoscenza, le cause del creato, i tre elementi che costituiscono la natura, l'anima, l'unione anima-natura materiale, l'origine dei principi cosmici e il loro funzionamento, la triplice natura del mondo fenomenico e della definitiva liberazione dell'anima grazie all'opera della materia.
Andiamo ora a vedere questi punti uno per uno.
La dottrina
Ishvarakrishna premette che il desiderio di conoscere nasce dai tormenti causati dalle sofferenza dell'esistenza materiale. Infatti è grazie al sapere che si possono evitare gli errore che nascono dall'ignoranza e accedere così alla Verità. Ma subito gli studenti sono avvertiti: solamente questo sistema può dare la liberazione, e non quelli che sono privi di carattere assoluto e che non risolvono in modo definitivo il problema dell'esistenza.
Si comincia subito con la descrizione della prima due sostanze che, secondo il Sankhya-nirishvara (Sankhya-ateo), sono alla radice del creato: cioè la natura materiale primordiale (prakriti).
La prima delle sue caratteristiche è che non è mai prodotta. Dunque è eterna. I sette principi che scaturiscono da essa (l'intelligenza, il senso dell'io e i cinque elementi sottili) sono invece prodotti e a loro volta producono degli elementi. I sedici (gruppo composto dai cinque organi di senso, dai cinque organi d'azione, dalla mente e dai cinque organi pensanti) sono soltanto prodotti e non producono null'altro.
La seconda di queste sostanze originali è l'anima (purusha). Anch'essa non è mai prodotta (dunque è eterna), ma a differenza della materia non sarebbe in grado di produrre nulla (in quanto inerte).
Dunque sono due i principi primordiali e supremi: la materia e lo spirito. Questi sono dotati di caratteristiche tra loro diverse.
Torniamo alla prima. Prakriti è vista come un'energia eterna e onnipervadente. Eterna perché ciò che non ha fine non può neanche avere un inizio; onnipervadente perché i suoi prodotti si possono osservare ovunque. Infatti nei sutra Sankhya si dice che non è possibile osservare prakriti se non deducendone l'esistenza dai suoi prodotti, che sono presenti ovunque. E' la radice di tutto, la causa primordiale. Non esiste causa al di là di essa, proprio come nell'esempio della radice e dell'albero: la prima è la causa dell'albero e non c'è un'altra radice che la genera. Tutto viene da lei, ma prakriti non proviene da niente e nessun altro. La sua funzione eterna è di produrre tutto ciò che noi vediamo nell'universo. Ma questa natura materiale primordiale, priva di intelligenza perché composta di sola materia bruta, è la causa del godimento perverso e, solo alla fine, della liberazione di innumerevoli esseri senzienti.
Torniamo a porci la domanda: da cosa possiamo capire senza ombra di dubbi la sua reale esistenza? Solo dai suoi effetti, risponde l'autore. La materia nella sua forma originale è scomparsa nella creazione ed è rimasta solo quest'ultima. Sebbene la sua natura sia unica (nel senso di non diversificata), possiede molti attributi eterogenei e, attraverso i suoi poteri di modificazione, produce questo mondo fantastico e tutti i suoi fenomeni.
Ora vediamo qual è la sua composizione interna.
Agli albori della creazione, prakriti esiste in uno stato di equilibrio interiore dei suoi attributi fondamentali, che vengono chiamati Guna. Questi sono tre: sattva (ritmo), rajas (attività) e tamas (inerzia). La loro natura consiste rispettivamente nel piacere, nel dolore e nell'offuscamento; i Guna servono a illuminare, ad attivare e a limitare. Attraverso le loro interazioni qualitative, la varietà è creata. Ma ci sono numerose altre caratteristiche. Infatti il sattva è leggero e luminoso, il rajas è stimolante e mobile, il tamas è pesante e opaco.
La parola Guna può avere accezioni diverse. I filosofi Sankhya attribuiscono al termine il significato di "qualità" o "caratteristica". La prakriti è composta di questi tre ingredienti fondamentali in modo totalmente inscindibile, come il calore è la caratteristica fondamentale e inerente del fuoco e da esso non può mai separarsi: infatti un fuoco che non fosse caldo non sarebbe tale. Prakriti e la mistura armonica dei tre Guna sono la stessa cosa. Ma è un punto importante, per cui occorre definirlo con maggiore precisione.
Sattva è ritmo, o esistenza stabile, esistenza che si sostiene, o anche la capacità intrinseca di mantenersi secondo un proprio "ritmo" o "ragione" di esistenza. Provoca gioia. Rajas è atti-vità, capacità e ragione di muoversi, di trasformarsi, di procedere in direzione di altri stadi di esistenza. Provoca dolore. Tamas è inerzia, o stato di non-movimento, prossimo dunque a distruggere le numerose forme che la materia stessa assume. Causa illusione e la confusione più profonda.
Ora passiamo a parlare dell'anima. Se non ci fosse quest'ultima, nulla avrebbe senso, in quanto ogni aggregazione esiste sempre in rapporto a qualcos'altro. Nessun "composto", specifica Ishvarakrishna, può essere fine a se stesso. Infatti la natura, in quanto priva di vita e interessi, non avrebbe ragione di esistere. Il Purusha è il diretto interessato degli avvenimenti. Egli è il soggetto fruitore e tutte le attività vertono in direzione della sua liberazione. In ogni corpo, dunque, c'è un'anima ed essa è testimone, libera, indifferente, spettatrice e inattiva.
A causa dell'unione dei due, ciò che è inconscio (la materia) appare essere cosciente; e ciò che è indifferente (l'anima) appare essere attiva nelle azioni causate dalle interazioni dei tre elementi costitutivi (Guna). Lo scopo ultimo di questa unione è di far capire all'anima la verità della natura materiale e di guadagnare liberazione dalla schiavitù, che è causa di grandi sofferenze.
Il purusha è il principio in grado di identificarsi, cioè è l'unico ente capace di dire "io sono questo". E' eterno e mai prodotto; ma egli non produce niente, perché è statico e immodificabile. Sempre fermo, immobile nella sua essenza, non può mai cambiare ciò che è. Privo di attributi, mera coscienza onnipervadente, non si amalgama completamente nei corpi che assume, anche se ne è a contatto per lungo tempo. La sua esistenza si deduce dal fatto che questa realtà materiale sia stata capace di organizzarsi. Senza la presenza del Purusha, Prakriti non avrebbe mai potuto generare alcunché ed è per il suo bene che Prakriti ha manifestato tutto ciò che esiste. Infatti, come già detto in precedenza, un'entità composta (come è la materia) può creare qualcosa solo se c'è qualcuno che poi ne beneficia, e mai per sé stessa. Egli (il purusha) è sempre libero da ogni azione e modificazione e dunque non può mai essere stato prodotto: è un principio eterno. Infatti l'atto di essere creato comporterebbe una modificazione rispetto allo stato iniziale, ma l'anima è sempre ferma nel suo essere e non può mai cambiare. E se il Purusha non può subire modificazioni, non è neanche in grado di passare da uno stato di non-esistenza a uno di esistenza, perché ciò mostrerebbe, appunto, la capacità di modificarsi; dunque è eterno. Secondo Ishvarakrishna, l'anima non può agire e non è in grado di provare la gioia, in quanto tale qualità non è parte della sua natura. Soffrire e godere, così come la capacità di agire, appartiene a Prakriti e non a Purusha. Ma, dovuto all'illusione che lo imprigiona, l'uomo pensa erroneamente che sia Purusha colui che agisce e che ha il diritto di godere.
Ora, come i Sankhya-nirishvara giudicano il processo conoscitivo? Come giungere a una conoscenza che sia priva di errori? I mezzi autentici e accettati sono solo tre: la percezione sensoriale (come la vista e l'udito), l'inferenza (che è la deduzione intellettuale) e la testimonianza degna di fede (come le scritture rivelate e i saggi realizzati). La qualità della conoscenza che scaturisce dipende dall'uso che si fa di questi strumenti. Infatti il saggio mette in guardia i suoi studenti dai problemi che possono generare dall'uso dei mezzi di conoscenza. Infatti, per fare un esempio, afferma di non fidarsi completamente dei sensi e delle capacità intellettive, in quanto limitati e imperfetti.
Passiamo ora ad enumerare i principi che costituiscono la natura nel suo stadio manifestato, cioè al momento presente, in cui la natura materiale si è totalmente espressa. Non approfondiremo la questione perché ci sono molte similarità col Sankhya teistico, per cui chi ha letto la prima parte può trovare superfluo rileggere la completa descrizione dei principi costitutivi della creazione.
Dalla natura (prakriti) viene l'intelletto (buddhi), da cui proviene il senso dell'io (ahankara); poi tutti gli altri elementi. La funzione dell'intelletto è quella di accertare come siano veramente le cose, ed è costituito dalla virtù, dalla conoscenza, dal distacco e dal potere. Queste qualità costituiscono il suo aspetto luminoso (sattvika).
La mente coordina il funzionamento degli organi di senso, ed è essa stessa un organo sensoriale.
Segue poi la descrizione degli altri elementi.
Il punto fondamentale del Sankhya ateo, comunque, rimane il fatto che l'unico scopo logico dell'azione è l'interesse dell'anima, cioè quello di volerla beneficiare. Un qualsiasi organo non può essere mosso ad agire da null'altro. Tutto è incentrato sull'aiutare l'anima a liberarsi dalle catene dell'ignoranza. Grazie all'opera dell'intelligenza diventa possibile determinare la sottile differenza fra natura e anima, tra materia e spirito, e grazie a questa sapienza siamo in grado di liberarci.
L'anima è prigioniera dell'idea errata di essere parte della materia, per cui soffre. Tutte le esperienze che subisce si accumulano nel corpo sottile (linga) e causa delle modificazioni, o modi di essere (bhava), che sono quelli che causano una nuova nascita. E lui, il purusha, è trascinato nel vortice dell'esistere. Ed è sempre per il bene ultimo dell'anima che il corpo sottile, in collaborazione con la natura, assume forme diverse.
In quali corpi è possibile andare a vivere? Ishvarakrishna specifica che ci sono tre tipi di corpi: quello degli esseri celesti, che vivono nei pianeti superiori, quello degli uomini, che popolano i pianeti mediani, e quello degli animali. In uno qualsiasi di queste forme viventi, l'anima sperimenta, in diversi gradi e forme, sempre la stessa cosa: la sofferenza. E tutto ciò va avanti fino all'estinzione del corpo sottile.
Come è stato già spiegato in precedenza, anche se vediamo gli organi di azione del corpo materiale agire, essi non lo stanno facendo per il proprio vantaggio, ma solo per quello del purusha, dell'anima. Questi è il beneficiario di tutto. Ishvarakrishna fa l'esempio del latte, che esiste in modo disinteressato per il benessere del vitello, il quale nulla dà al latte stesso, ma così tanto prende.
Cosa succede alla prakriti dopo la liberazione dell'anima? Il filosofo usa l'esempio della danzatrice e del pubblico; alla fine dello spettacolo, lei si ritira e il contatto cessa. Dunque la natura materiale, dopo aver salvato l'anima, smette ogni attività.
In cosa consiste la liberazione? Null'altro che nella presa di coscienza da parte del purusha di essere sempre stato libero, che la prigionia era in realtà illusione. E quando egli sarà finalmente arrivato ad aver realizzato questa verità, avrà capito che la conoscenza è un "io non sono", che "nulla è mio" e che in realtà "non c'è un io". Questa è liberazione perfetta, in quanto definitiva.
E quando anche gli ultimi effetti del karma cessano di agire, al momento della morte ogni attività si spegne e l'anima perviene all'isolamento liberatore che è la Perfezione Ultima e Suprema.
Un confronto ideologico
In questa sezione non vogliamo sviscerare tutte le ragioni filosofiche che sono alla base della discordia fra i due sistemi, anche perché i punti da discutere sono così tanti da richiedere troppo spazio. Ma crediamo che questi saranno parsi ovvi a tutti i lettori. Ne daremo solo qualche accenno.
Prima di tutto il Sankhya teistico pone un Purusha Supremo e personale all'inizio di tutto; nulla è più importante di stabilire questo punto fondamentale. Di questo il Sankhya-karika non parla affatto, anzi giustifica l'idea per cui la presenza di un Essere Supremo non è necessaria. Come se non fosse importante di-scutere dell'esistenza o meno di un Dio.
In secondo luogo l'esistenza e l'azione della prakriti. Nella filosofia Vedanta (ma anche nello stesso sistema Sankhya ateistico) appare chiaro che questa energia sia costituzionalmente priva di vita e di intelligenza. I Sankhya affermano che essa crea in modo indipendente, autonomo. Ma come avrebbe potuto farlo, essendo priva di vita e intelligenza? E visto che nulla che non abbia una vita può esistere all'infinito, come prakriti si è venuta a creare? E la creazione stessa: come potrebbe un elemento delle qualità di prakriti essere l'unica autrice della manifestazione cosmica?
Non da ultima, l'idea di un'anima descritta come inerte e incapace di produrre alcunché deve essere stata un vero orrore per i vedantisti, che vedono nell'energia spirituale l'unico motore di azione del creato.
In altre parole, il Sankhya-nirishvara è considerato dagli studiosi del Sankhya dell'avatara Kapila come un'aberrazione, un prodotto del materialismo a cui nessuna persona desiderosa di liberazione dalle sofferenze dell'esistenza materiale vorrà rivolgersi
Una presentazione ed un dibattito (Seconda parte)
di Manonath Desa - Scritto nel Gennaio 1996
10. Pradhana non può essere la sola causa
Ma vogliamo portare altri argomenti per rafforzare la nostra divergenza nei confronti della tesi che Pradhana sia l'unica causa originale della creazione. Rivediamo le nostre idee a riguardo.
"I Sankhya affermano che Pradhana è la sola forza creatrice. Pradhana può produrre indipendentemente tutta la creazione. Nè ci sarebbe stata la necessità dialtre cause poichè i movimenti sono auto-determinati e automatici. Niente può fermare o far muovere Pradhana all'infuori di sè stessa."
Le teorie dei Sankhya si calpestano fra di loro. Difatti prima proclamano la necessaria presenza dello spirito (necessario il suo apporto intellettivop e senziente), poi sostengono che Pradhana è indipendente, originale e non necessita altra causa. Se l'elemento intellettivo e senziente fosse stato necessario alla creazione, allora Pradhana non può essere stata la sola creatrice, in quanto ha avuto bisogno di un apporto insostituibile da parte del Purusha (senza contare l'elemento della finalità di ogni esistenza che vedremo in seguito, ma che rende l'elemento Purusha certamente non secondario). A questo proposito il Vedanta- sutra afferma:
"vyatireka-anuvashtiteshcha-anapekshattvat"
"Se prima della creazione non fosse esistita altra causa all'infuori di Pradhana, non ci sarebbe stata la necessità di nessun'altra causa all'infuori di Pradhana stessa per produrre i suoi cambiamenti." Vedanta-sutra 2.2.4
Se Pradhana avesse avuto bisogno di un altro elemento per produrre la creazione (difatti Purusha è dichiarato prodotto non originato) allora questa energia non poteva essere completa, perchè insufficiente all'atto creativo che, poichè lo testimoniamo di persona, è un dato di fatto inoppugnabile. L'effetto che osserviamo smentisce la presuntacausa dei Sankhya. Pradhana non è stata la sola causa della creazione. Dunque persino in accordo alla teoria Sankhya, Pradhana non è la sola creatrice; qualche legge misteriosa, in prossimità dell'elemento Purusha, causa la metamorfosi nel presunto elemento originale. In definitiva, dunque, anche i Sankhya non possono sostenere a lungo la tesi che la materia sia la sola sufficiente ad alcuna creazione senza contraddirsi.
Ma anche la teoria della prossimità delle due entità è discutibile.
In accordo ai Sankhya, i due elementi non causati (dunque cosa mai può significare non causati se non eterni?) coesistono in eterna vicinanza. E' proprio questa prossimità a causare il cambiamento. Dunque se il Purusha è sempre vicino a Prakriti, anche nello stato di pralaya (dissolvimento delle forme acquisite) questa prossimità non può essere interrotta. Se ciò fosse vero, pralaya diventerebbe un fenomeno inesistente, privo di senso, in quanto a causa della ininterrotta prossimità, la creazione comincerebbe automaticamente anche durante pralaya, col risultato che non ci sarebbe distruzione non solo dell'universo, ma anche di nessuna forma di vita. I nostri corpi dovrebbero diventare eterni. Ma la realtà smentisce questa teoria ridicola, in quanto assistiamo continuamente a dossolvimenti di forme organiche e inorganiche.
"Ma, sostengono i Sankhya, la creazione non può iniziare al tempo di pralaya poichè il karma delle jiva sono allo stato latente, come in uno stato di sonno. Per questa ragione la creazione non può iniziare a quel tempo."
Ma non riescono a spiegare in maniera convincente cosa causi il risveglio del karma nel momento maturo per la creazione. Giacchè gli ingredienti fondamentali sono presenti sia nel momento di pralaya sia nel momento in cui, secondo i Sankhya, la creazione prende luogo, qual'è l'elemento discernitore, cioè che sceglie il momento? Su quali basi e per quali leggi? Perchè la creazione prende luogo in quel preciso momento e non in un altro? E poi, come chiede Baladeva nel Govinda-bhashya, cosa impedisce al karma di risvegliersi durante pralaya?
La teoria del Sankhya non regge ed è chiaramente contraddittoria.
A riguardo ancora della forza che avrebbe dato impeto a Pradhana di subire una trasformazione, i filosofi Sankhya propongono un altra tesi.
"Noi vediamo, dicono, che ci sono alcuni fenomeni fisici (riguardanti oggetti quotidianamente osservati) che danno prova della autodeterminazione del Pradhana. Basti vedere come l'erba, ad esempio, o le piaticine o le foglie quando mangiate dalle mucche, grazie alla loro natura inerente, si trasformano da sole in latte, senza l'ausilio di nessun'altra causa. Ciò vuole dire che la possibilità di trasformazione esiste in quegli elementi senza che ci sia la necessità di un agente esterno.
"Se la cosa è possibile (e lo è perchè lo vediamo nella realtà), perchè anche Pradhana non avrebbe potuto traasformarsi in Mahat (e così via) senza l'ausilio di un principio intelligente?"
All'obiezione dei Sankhya risponde direttamente Badarayana.
"anyatra'bavaccha na trinadivat"
"Non è come la trasformazione dell'erba ecc. (in latte, quando mangiata da una mucca) perchè tale trasformazione non avviene in altre circostanze (cioè quando questi cibi sono mangiati, ad esempio, da un toro)." Vedanta-sutra 2.2.5
Come possiamo vedere, l'argomento dei Sankhya non regge, perchè se tali qualità fossero inerenti nell'erba stessa (quella di trasformarsi in latte) ciò dovrebbe succedere indipendentemente dalle circostanze esterne, ad esempio quando fosse mangiata da altri animali. Le mucche producono il latte, ma per quanta erba possano mangiare i tori non possono farlo.
In realtà, come vedremo in seguito, il fattore del volere su-premo di Dio è necessario alla realizzazione di qualsiasi fenomeno. Non solo dunque, sostiene Baladeva nel Govinda-bhashya (com-mento al sutra 2.2.5) il fenomeno non è determinato dalle qualità inerenti dell'oggetto, ma neanche dalle capacità intrinseche del soggetto che manipola.
11. Perchè Pradhana agisce?
Uno dei principi fondamentali dell'azione è la motivazione. Se noi andiamo da qualche parte è perchè abbiamo una ragione per farlo, e non esistono fenomeni naturali che non abbiamo un proprio motivo di essere in una certa maniera piuttosto che in un'altra. Dunque, secondo la filosofia Sankhya, perchè Pradhana agisce e crea? Qual'è la ragione che determina il moviento? non avrebbe potuto rimanere cos'ì com'era? Vediamo cosa ne pensano loro.
"Pradhana è determinato al movimento al preciso scopo di causare dapprima una serie di esperienze nella jiva, e poi, attraverso quelle, di permettere la sua liberzione. La jiva dopo averne goduto e averla trovata piena di negatività, riesce così a diventare indifferente a Pradhana e così ottiene la liberazione, che consiste proprio nell'indifferenza stessa. Dunque gli scopi di Pradhana sono puramente altruistici e hanno il fine di dare esperienze e gioie all'anima. Per sè stessa non ha scopi da raggiungere.
"Il Sankhya sutra 3.58 dichiara che:
"Pradhana genera per gli interessi di qualcun altro, proprio come un cammello porta lo zafferano non per sè stesso ma per il padrone. Noi crediamo (i Sankhya) che la jiva sia senza possibilità di agire, sebbene è il soggetto che sperimenta le situazioni. La jiva, dunque, non agisce, ma sperimenta i frutti dell'attività (senza che questo debba casare una contraddizione); come nell'esempio di una persona che non cucina per sè stesso, però mangia lo stesso perchè qualcun altro cucina per lui."
Così dice la filosofia Sankhya. Però:
In precedenza abbiamo stabilito che Pradhana non ha la possibilità di agire per conto proprio, ma anche se ammettessimo che tale possibilità esiste, ciò non aiuterebbe molto la causa dei Sankhya. La possibilità di ammettere l'idea di un movimento di Pradhana è contemplato dal Brahma-sutra stesso, solo allo scopo di muovere un altro tipo di obiezione.
Il Vedanta-sutra sostiene che:
"abhyupagame'pyarthabhavat"
"Anche se fosse accettato che Pradhana avesse potuto agire senza aiuti estranei, ciò rimarebbe una teoria inutile, perchè mancherebbe uno scopo." Vedanta-sutra 2.2.6
Anche ammettendone l'esistenza, tale attività di Prakriti non avrebbe senso: perchè Prakriti avrebbe dovuto creare? Ricapitolando, i Sankhya dicono che Prakriti agisce per
1, produrre esperienza nella jiva per mostrarle i differenti aspetti della sua realtà (quella Prakritica), e
2, provocare la liberazione della jiva, rendendola indifferente alle sue attrazioni.
Il primo dei suoi scopi non può essere il risultato di nessuna delle attività di Prakriti. I Sankhya stesso ammettono che precedentemente (al fenomeno della creazione) non esisteva nessuna attività in Prakriti, in quanto Purusha esisteva come mera intelligenza senza possibilità di azioni, cambiamenti, completamente soddisfatto in sè. La teoria dei Sankhya dice che Prakriti si muove per "spirito altruistico", e visto che all'origine Purusha non aveva bisogno di essere graziato da Prakriti di qualcosa che aveva già (cioè la liberazione), non si riesce a capire la ragione che avrebbe spinto la jiva ad uscire dal suo incantevole isolamento per andre ad osservare l'ingannevole gioco di Prakriti!
Questa scelta non può essere stata acausata dall'attività di Prakriti (la quale si mette in moto solo per "necessità altruistica") e quindi Purusha non può aver cambiato a causa sua. Nè può tale attività essere stata causata dal desiderio della liberazione, in quanto egli era già liberato; dunque perchè Prakriti avrebbe dovuto attivarsi per produrre qualcosa che già esisteva, che anzi era la naturale condizione del Purusha?
I Sankhya rispondono così:
"Essendo Purusha nelle prossimità di Prakriti, quando quest'ultima è attiva produce dei cambiamenti nella coscienza dell'entità spirituale; dunque la sola attività di Prakriti (che fa tutto di per sè) è la causa dell'esperieza di Purusha."
Ma se come dicono loro prima della creazione Prakriti non agiva, perchè non ce n'era la necessità. Difatti essa agisce solo "per gli interessi di qualcun altro e mai per se stessa". Purusha non aveva bisogno di lei, perchè era già liberato; dunque perchè ha cominciato ad evolversi?
Ma ammettiamo che Prakriti per qualche ragione misteriosa avesse cominciato a muoversi, perchè l'anima (Purusha) avrebbe dovuto rimanere condizionato solo perchè un'energia a lui estranea compie delle attività che non hanno niente a che vedere con i suoi interessi naturali? Se invece il condizionamento causato dal movimento di Prakriti fosse unaregola naturale, allora cadrebbe anche la possibilità della liberazione, perchè tali anime liberate (anche loro a contatto con la materia vibrante) sarebbero toccate da questo misterioso fenomeno e cadrebbero ancora, per poi liberarsi e ricadere all'infinito, in un ritmo vertiginoso, tale da far perdere ogni significato sia all'esistenza condizionata sia a quella liberata.
A questa conclusione ci porta la filosofia Sankhya: esistenza e liberazione esisterebbero e non esisterebbero allo stesso tempo, un assurdo inconcepibile in qualsiasi sistema filosofico basato sulla ragione. Difatto per loro la maetria è onnipervadente e anche la coscienza del purursha lo è, e così la prossimità delle due energie è eterna e indissolubile.
A questo i Sankhya rispondono così:
"Ammettiamo che Prakriti non abbia il potere inerente di essere attiva: la soluzione al problema potrebbe essere la seguente. Prakriti lo diventa mediante contatto con Purusha. Potremmo dire che la relazione tra lo spirito e la materia è simile a quella che si istaurerebbe tra un cieco e uno storpio che si incontrassero. Lo spirito non si può muovere, al materia non può vedere la realtà, è cieca, ma può muoversi. Da soli nessuno dei due sarebbe in grado di fare nulla, tutti e due hanno bisogno dell'altro.
"E' il contatto con lo zoppo (lo spirito) che rende il cieco (la materia) abile a muoversi. La coscienza spirituale la rende attiva e dirige i suoi movimenti.
"Un altro esempio. Il magnete è senza capacità motoria, ma può far muovere il ferro che gli sta vicino, così lo spirito mette in mozione Prakriti non appena i due vengono in contatto con l'altro. In questa maniera si mette in moto la sua capacità creativa."
Neanche questa proposta è accettabile secondo i canoni della conoscenza vedica. Vyasa infatti dice che:
"Purusha-ashmavaditi cet tathapi"
"Se venisse portato l'esempio dello zoppo e del cieco per spiegare come Prakriti possa creare, (e poi anche) l'esempio del magnete che sposta il ferro, questa teoria sarebbe aperta alle obiezioni." Vedan-ta-sutra 2.2.7
Ci deve pur essere un inizio. La materia insenziente non ha il potere di iniziare alcunchè da sola, e gli esempi del cieco e dello zoppo, o del magnete e del ferro, non rimuovono il prblema.
Senza Purusha, il Pradhana non può agire indipendentemente, ma egli secondo la teoria Sankhya non può aver iniziato l'opera di avvicinamento, in quanto dichiarato eternamente immobile.
Entrambi gli esempi hanno grossi difetti intrinsechi. Ad esempio, lo zoppo non può camminare, però possiede la capacità di vedere e di favorire l'incontro con il cieco, il quale viene diretto dallo zoppo in una situazione favoorevole a uno scambio di collaborazione. Ma ambedue sono esseri senzienti che hanno questa fondamentale caratteristica in comune, cosa che non riscontriamo nel Purusha e nel Prakriti dei Sankhya. Nel caso poi del magnete e del ferro l'azione di portare vicini i due elementi deve pur essere stato opera di qualcuno, e la capacità di generare qualsiasi situazione favorevole al loro avvicinamento non è possibile per nessuno dei due.
Quando si fanno degli esempi per spiegare un concetto, gli elementi usati devono avere delle similitudini sufficienti in relazione all'oggetto in questione; altrimenti sono invalidati. Nel caso del cieco e dello zoppo, si tratta di due entità entrambi senzienti, e quindi il valore dell'avvicinamento e lo scambio reciproco è possibile, mentre nel caso del magnete e del ferro trattiamo di due entità entrambi insenzienti, che quindi non hanno interesse alcuno ad avvicinarsi l'uno all'altro. Se Pradhana fosse davvero insenziente, che interesse avrebbe a facilitare l'esperienza e la liberazione dell'entità senziente, Purusha? E se Purusha fosse davvero senziente ma immobile, che interesse avrebbe a mettersi in un mondo di mobilità insenziente?
E' così fin troppo chiaro che l'argomento dei Sankhya non regge.
12. La creazione e la prevalenza di un Guna sull'altro
Vediamo ora come, secondo i Sankhya, accade che un'energia così originalmente ferma parta per una avventura di molteplicità.
"La creazione scaturisce quando uno o più Guna prendono il sopravvento sugli altri, causando uno squilibrio che mette in moto il processo creativo. Questo meccanismo scatta quando, come risultato di questa disuguaglianza, si viene a creare un nuovo tipo di interazione tra i differenti Guna.
"Naturalmente quando tutto è fermo secondo l'ordine l'ordine prestabilito iniziale (che come abbiamo detto è l'equilibrio dei tre Guna) niente può muoversi nè variare. Pradhana deve dunque diversificarsi se vuole creare la molteplicità. Il suo equilibrio essenziale, composto dai tre Guna, deve quindi rompersi. Appena ciò è avvenuto òa creazione può mettersi in moto.
Questa tesi è fortemente contestata dal Vedanta-sutra, dove si afferma:
"angittva-anupapatteshcha"
"E' impossibile che qualcuno dei Guna possa essere (evoluto fino a diventare) il principale nello stato di pralaya (prima della ceazione); dunque il mondo (vista questa difficoltà) non avrebbe potuto venire in esistenza." Vedanta-sutra 2.2.8
Pradhana è stato definito come l'equilibrio dei Guna, dove per equilibrio s'intende perfetta eguaglianza. Nello stato di Pradhana, per definizione, nessuno dei tre è superiore o inferiore all'altro. Di conseguenza la relazione squilibrata principale-subordinato non poteva esistere a quel tempo senza sconvolgere completamente le teorie Sankhya. E allora, cosa ha reso un Guna prevalente all'altro?
I filosofi Sankhya non possono certamente spiegare ciò affermando che Ishvara (il Signore, Dio), o Kala (il Tempo) possomno portare disturbo nell'eequilibrio, che potrebbe in qualche modo rendere un Guna superiore all'altro, in quanto per la filosofia Sankhya Ishvara non esiste e il Tempo è un'entità indipendente (quindi in grado di causare qualcosa che Prakriti non potrebbe causare da sè stessa). E' interessante vedere cosa Kapila asserisce a riguardo di Ishvara e Kala:
Innanzitutto:
"ishvarasiddheh"
"Non esiste alcuna prova dell'esistenza di Dio." Sankhya sutra 1.92
E poi,sempre a riguardo di Ishvara:
"muktabaddhayoranyatarabhavan na tat siddhih, ubhayatha'pyasat-karatvam"
"La sua esistenza non è provata, perchè chiunque esiste deve essere o libero (dall'illusione) o prigioniero (della stessa), ed egli non può essere nè l'uno nè l'altro, in quanto sia nel primo caso che nel secondo egli sarebbe inefficiente.
"Se fosse libero, sarebbe privo di desiderio, elemento (quest'ultimo) indispensabile a sentirsi spinto alla ceazione; se invece fosse legato, egli sarebe vittima dell'illusione..." Sankhya sutra 1.93
Poi a riguardo del tempo, Kapila afferma che:
"dik-kalavakasidibhyah"
"Lo spazio e il tempo sorgono dalle etere." sutra 2.12
Dunque non si tratta di un eleemnto primoridiale e quindi è incapace di casare qualcosa che lasua presunta causa originale non sia in grado.
"Nè l'elemento disturbatore di Prakriti può essere jiva, perchè essa è perfettamente indiffrente a tutto." sutra 1.163
Riferendoci infatti alla possibilità che i Sankhya potessero affermare che i Purusha siano gli elementi disturbatori, abbiamo menzionato il sutra 1.163. In realtà la creazione non è stata causata da nessuna superiorità o inferiorità dei Guna.
Se tuttavia qualcuno potesse supporre che i Guna diventano disuguali proprio a causa di questa dualità perenne di creazione e distruzione (pralaya), rima insoluto il dilemma di trovare la spinta iniziale che l'abbiano resi dissimili la prima volta.
Ma ammettiamo per un momento che alla presente creazione ci sia uno squilibrio tra i Guna, poi succederebbe che in pralaya la disparità continuerebbe a sussistere, con il risultato assurdo che pralaya non sarebbe più tale e la creazione sarebbe eternamente presente.
E se qualcuno tenta di sostenere che la disuguaglianza sia accaduta senza una causa precisa, ciò contraddirrebbe le teorie Sankhya per cui tutto esiste per il preciso scopo di causare esperienza e liberazione asl Purusha. Un caso, inoltre, può succedere una volta, due volte, ma se poi diventa un fatto regolare non si può più parlare di un caso, ma diventarebbe una regola, in quanto lo è di fatto.
"I Guna possono essere mossi grazie a una qualche loro misteriosa energia. Noi vediamo che i Guna manifestano attributi e capacità inconcepibili; lo testimoniano le meraviglie del mondo."
I Sankhya sostengono dunque che le tre influenze abbiano grandi e misteriosi poteri, ma ciò non risolve affatto il problema da noi sollevato. Pradhana rimane ancora insenziente e senza potere nè coscienza nè capacità di autodeterminarsi. Un'entità del genere non può creare nulla, perchè manca della possibilità di concepire un piano o un disegno, senza i quali nessuno può creare nulla. Concordiamo con il Vedanta-sutra quando dice:
"anyatha-anumittau cha jnashaktiviyogat"
"Anche se l'apparenza suggerisce diversamente, il Pradhana non può creare, perchè non è un'entità cosciente."
Esso non può dire, come farebbe un'entità intelligente "voglio fare questo in questa precisa maniera" e l'energia creativa seguirebbe immediatamente tale direttive poichè enunciata da un'entità cosciente.
Una qualsiasi creazione, dalla più elementare alla più complessa, non può mai scaturire dalla materia morta (nè tale fenomeno si è mai osservato), priva com'è di intelligenza. Persino per fare una casa (così semplice in confronto a un universo) necessita un architetto e dei muratori. Senza l'azione direttiva dell'intelligenza i Guna, per quanto meravigliosi nei loro poteri e attributi, non possono causare nulla. La filosofia Sankhya, dunque, è piena di contraddizioni e quindi è inaccettabile e inconsistente.
Per concludere, vedremo ora alcune delle più importanti contraddizioni nelle quali i Sankhya cadono. Essi dichiarono che Prakriti è attiva solo per Purusha, che è l'entità per natura preposta alla sperimentazione delle cose della vita. Il promotore Sankhya Kapila sostiene che l'anima è differente dai corpi che prende. Infatti:
"l'anima è differente dal corpo..." sutra 1.139
"La natura è una combinazione, e ciò che è composoto esiste solo per gli interessi di qualcos'altro." sutra 1.140
In questi due sutra lo spirito e la materia sono messi a confronto. Lo spirito è singolo, indivisibile e non materiale; al contarrio la materia è composta e divisibile, ed esiste solo per servire gli interessi dell'anima.
Ma in seguito la stessa nima viene definita senza azione, senza cambiamenti, senza attributi, incapace di agire, di fruttificare e di sentienza. E' dichiarata essere puro isolamento. Come può qualcosa di così "appartato" avere degli interessi da soddisfare se non quello di rimanere ciò che è per natura? E allora perchè Pradhana ha causato la sua caduta?
In un Sankhya sutra è dichiarato che jadah, o materia, è priva di luninosità; Purusha è luminoso: e cosa altro è la luminosità se non una qualità? Poi è detto che questa luminosità è la qualità della sua intelligenza, per poi sostenere che "l'anima non ha l'intelligenza fra i suoi attributi". Visto che pradhana ne è priva, dobbiamo dedurre che tutto sia privo di intelligenza? E'un concetto ovviamente errato.
Per vostra comodità di studio, riportiamo i Sankhya sutra che trattano di quest'ultimo argomento.
"L'anima è qualcosa di diverso dal corpo, perchè (nell'anima) c'è l'opposto delle tre qualità, i Guna (perchè nell'anima essi sono assenti)" sutra 1.141
"E l'anima non è materiale perchè sovraintende alla natura (perchè il sovraintendente è un essere dotato di intelligenza, mentre la natura ne è priva)." 1.142
"L'anima non è materiale perchè è colui che sente l'esperienza." 1.143
"E' per l'anima (che esiste il creato) e non per la natura (Prakriti), perchè l'attività esiste allo scopo di isolarsi da tutte le qualità, e ciò è possibile solo all'anima." 1.144
"Giacchè la luce non appartiene all'entità non intelligente, deve essere una qualità essenziale dell'anima..." 1.145
"L'anima non ha intelligenza come suo attributo, perchè essa è senza qualità." 1.146
Possiamo vedere come i Sankhya in un sutra sostengono che è l'anima, dovuto alla mancanza di discriminazione, che cade preda dell'illusoone, e che poi ottiene liberazione quando discrimina tra i Guna e il proprio sè, mentre in un altro sutra si dice che la prigionia e la liberazione sono circostanze entrambi appartenenti ai Guna e non all'anima, che in realtà è eternamente libera.
Difatti Kapila scrive:
"L'anima non è mai veramente prigioniera o libera... queste circostanze appartengono alla Natura soltanto..." sutra 3.71
"Appartiene alla Natura, attraverso consociazione (come una bestia, legata da una corda sente la sofferenza)" 3.72
Abbiamo così analizzato il sistema filosofico Sankhya alla luce della conoscenza vedica, e i numerosi errori e contraddizioni possono essere notati da chiunque sia riflessivo.
Difatti Vyasa, nel suo Vedanta-sutra, conclude la porzione che tratta della filosofia Sankhya dicendo:
"vipratishedhac-cha-asamanjasam"
"perchè (la teoria dei Sankhya è piena) di contraddizioni interne, dunque (non essendo una teoria consistente) è inaccettabile." Vedanta-sutra 2.2.10