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Advaita Bodha Dipikā Khilakāṇḍa - mokṣa sūtra

(Advaita Bodha Dipikā Khilakāṇḍa, di Bodhānanda, Capitolo XII – Videhamukti – Ed. I Pitagorici, pag 172-176)

«Quali che siano le siddhi o quali che siano i frutti della conoscenza metafisica fruibili su questo piano di esistenza essi non vanno gustati, perché essi non appartengono ad altri se non alla Vita che ne dispone. Adesso caro figlio è giunto il momento che tue siano parole di commiato per colui che afflitto dalla triplice sofferenza e cercando intensamente la liberazione si sia avvicinato a queste pagine e che tua si alzi la voce che testimonia, con le parole della liberazione».

Il discepolo poggia la fronte alla polvere dei piedi del Maestro e, rialzato il corpo, testimonia:

«Siano queste la parole della liberazione (moka sūtra).

«Si rende omaggio all’unica tradizione metafisica universale che, in più forme, luoghi e tempi, vivente si mostra a sostegno dell’equilibrio e armonia dei mondi.

«Si rende omaggio a quei Conoscitori che, risolta ogni individuazione ancora nel corpo, hanno testimoniato l’unica tradizione metafisica non duale della pura Realtà dell’Essere identica alla Realtà assoluta che manifesta i mondi dei nomi e delle forme.

«Si rende omaggio a quei Conoscitori che primi, in ogni luogo e tempo, hanno acceso i punti di luce che indicano il cammino ad ogni aspirante. Si rende omaggio e rispetto a Colui che, pura Intelligenza e Signore dell’anāhatacakra, chiamo Maestro, Egli è caro più del caro, identico ad Essi e loro divina voce, seppur diviso nella forma.

«Quanto qui è esposto, come piccola fiamma per chi voglia bruciare sé stesso nel fuoco dell’autoconoscenza, non è opinabile, né prodotto da intelletto, né ad alcuno appartenente, se non alla tradizione unica, metafisica ed universale.

«La sofferenza discende dalla percezione del sensibile come altro da sé. L’esistenza del sensibile è determinata dall’adesione dell’Essere alla sua medesima manifestazione. E l’Essere e la sua manifestazione sono gradatamente reali, nella loro non realtà, perché espressione dell’unica Realtà Assoluta.

«La risoluzione della sofferenza consiste nel riconoscimento dell’ente della propria natura prima di puro Essere, slegato da ogni catena causale, inferenza, opinione e produzione. L’essente disconoscendosi come artefice, restituisce al puro Essere il primato sui mondi.

«Colui che voglia divenire l’artefice lasci cadere queste parole e altrove si rivolga. Qui viene mostrato l’insegnamento per giungere ove non c’è riconoscimento di artefice, azione e fenomeno, e neanche di Demiurgo.

«Più di una moltitudine sono coloro che si propongono come Maestri in ciò che non conoscono. Più di mille moltitudini seguono coloro che si propongono senza essere. Perché colui che sa, conosce il prezzo che pochi se non meno sono disposti a pagare.

«Un prezzo che non è in oro, pietre e terre. Un prezzo che non è in successo, pubblico o seguaci. Un Conoscitore è tale in sé, perché in sé è completo più del pieno più pieno e libero più del vuoto più vuoto. Se anche verrà riconosciuto, sarà riluttante non avendo azioni da compiere se non quelle che la vita gli porrà innanzi.

«Quella tradizione unica metafisica universale che qui viene esposta, non ha né padre né madre e nessuno, né uomo o dio, può dirsene artefice. Essa è là ove giace, sul piano che le compete, accessibile a chiunque pagatone il prezzo possa coglierla per poi testimoniarla.

«Se mille sono i cammini che dirigono alla realizzazione dell’Uno senza secondo, uno solo è il sentiero cui essi conducono, pur se celato con diversi nomi, forme e fattezze. Di questo qui si espone, ma ricorda che se questa lettura riterrai, sarà comunque un’opinione, perché quanto qui è dato è solo testimonianza non identica a ciò che essa porge.

«L’unico sentiero si mostra come rituale di sacrificio nell’azione, da compiersi per l’ente senza adesione ai suoi effetti e con l’equanimità richiesta dal ruolo che le cause esistenti hanno dato. Questo è il sentiero di colui che vive nell’azione. Taluni lo chiamano karmayoga.

«L’unico sentiero si mostra come rituale di sacrificio nel sentimento, da compiersi per l’ente con completa donazione all’ideale e con l’equanimità di vederLo come causa ed effetto di ogni fenomeno. Questo è il sentiero di colui che vive nel sentimento. Taluni lo chiamano bhaktiyoga.

«L’unico sentiero si mostra come rituale di sacrificio nel pensiero, da compiersi nel pieno distacco discriminando sui livelli di realtà del pensiero. Ritenendo solo quanto più di reale è. Questo è il sentiero di colui che vive nel pensiero. Taluni lo chiamano jñānayoga.

«L’unico sentiero non si mostra perché è l’estinzione naturale di ogni sentiero, di ogni movimento, di ogni rituale, di ogni sentimento, di ogni pensiero. Questo è il sentiero nel manifesto e nell’immanifesto, degli uomini, degli yogi e degli Dei. Taluni lo chiamano ajātivāda.

«L’unico sentiero è quello della pura consapevolezza che non necessita alcun sostegno o strumento. Esso è quando l’Essere decide di mostrarsi a sé stesso o quando l’essente sciolto ogni contenuto addiviene alla sua natura di Essere. Questo è il sentiero di pura consapevolezza di colui che è. Taluni lo chiamano asparśayoga

«In realtà tutto è l’unico sentiero, diversi sono solo i mondi ove viene percorso. Per questo il Conoscitore che ha realizzato la conoscenza di sé come puro Essere identico alla Realtà assoluta, pur se riluttante, può essere di indirizzo per ogni aspirante.

«L’unico sentiero è tale che quale sia la forma prescelta, condurrà comunque alla liberazione dal fenomenico. Per questo il vero aspirante che lo percorre, mai lo propone in alternativa ad altri e non ne sostiene il primato.

«La liberazione dal fenomenico è liberazione dai vincoli del fenomenico. Che il Conoscitore mantenga o meno il corpo è dovuto solo alle cause corporee preesistenti, essendo cadute tutte quelle (cause) che ancora non hanno portato effetto.

«L’unico sentiero è senza tempo, ma per l’ente che lo percorre esso può essere breve o lungo a seconda di quando lo intraprenda e in quali mondi egli lo percorra. Quale che sia [la posizione coscienziale del] l’aspirante, egli lo potrà intraprendere solo da dove è e non certo da dove non è.

«Il tempo affinché l’unico sentiero sia percorso discende dall’istanza realizzativa dell’aspirante. Essa è comunque sintomo della natura dell’aspirante. Più essa è forte e univoca, più il tempo apparrà breve, sino ad essere di un unico istante. Più è debole e dispersiva, più il tempo apparrà lungo. Taluni dicono più incarnazioni.

«Una volta esaurito l’unico cammino, l’ente non esiste più come essere individuato, sciolta l’individuazione, sarà sciolta anche l’apparenza di volontà ed esisterà solo il Puro Essere. Accade anche che le ultime tracce di individuazione siano di più difficile scioglimento. Questo determina un’oscillazione fra diverse posizioni coscienziali con conseguente sofferenza, sino a che si stempera. Poi, nell’oltre discende ogni possibilità che condensa quale Reale manifesto e puntuale nel suo stesso manifestarsi.

«Il tempo, ormai cessato, avrà ragione di tutto questo. Questo e Quello coincideranno, nessuna separazione, nessuna differenza, nessuna non differenza. Nulla di cui soffrire e nulla di cui non soffrire. Nell’immensità infinita dell’istante presente, universi nasceranno e universi morranno, Brahma inspirerà ed espirerà, e nulla sarà accaduto. E tutto questo, senza mai essere accaduto, continuerà ad accadere entro il sacro fuoco dell’Essere.

«Qui si concludono le parole sulla liberazione, possano essere di ausilio a quanti la ricercano e possa l’influsso di Maestri come Śrī Gauḍapāda, Śrī Saṅkaracharya, Śrī Vidyāraṇya, Śrī Ramakrishna, Śrī Ramana Mahārṣi e il Signore dell’anāhatacakra, stimolare al risveglio della consapevolezza del Sé-ātman, tutti coloro che ne abbiano le qualifiche».

Sia un sorriso il commiato.

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