Commento al Vivekacūḍāmaṇi: sūtra 32-38 e 253
Commento al Vivekacūḍāmaṇi: sūtra 32-38 e 253
Con i commenti a questi sūtra termina il commento collettivo al Vivekacūḍāmaṇi svolto nella lista Advaita-Vedānta tra il 2002 e il 2005. In questo caso i commenti furono tutti di Bodhānanda.
È stata aggiunta anche la risposta a una domanda sul sūtra 253, pur se precedente al lavoro di gruppo.
Il testo di riferimento è quello dell'edizioni Parmenides (prima Asram Vidya).
Con l'augurio di poter accostare e assimilare il Gran gioiello della discriminazione con la stessa pazienza e delicatezza della lumaca che si immerge nel fiore.
Ringraziamo Bodhānanda per l'insegnamento- esempio di umiltà e di pazienza - che ci ha liberamente donato nei suoi commenti e dialoghi sui sūtra del Vivekacūḍāmaṇi.
Sūtra 32. V'è chi sostiene che la ricerca verso la verità del Sè non sia altro che bhakti. Chi aspira alla verità dell'atman deve, avendo le qualificazioni suddette, avvicinare un saggio Istruttore che lo guidi ad emanciparsi dalla schiavitù.
Così chiaro da non trovare commento.
"Avvicinare un saggio Istruttore che guidi ad emanciparsi dalla schiavitù"... bello, vero?
Eccoci proiettati alla ricerca del Maestro, dell'anziano, per poi andare avanti...
Come se fosse facile.
Perché non è facile?
Perchè quasi tutti saltiamo la parte più importante, quell'"avendo le qualificazioni suddette".
Senza qualificazioni l'approccio sarà di tipo orizzontale, si chiederanno fenomeni, mentre si dovrebbe già essere oltre i fenomeni...
Per questo a volte è preferibile l'approccio devozionale e di servizio.
Quanti di quelli che cercano un Maestro che uccida le loro ultime tracce di individualità, sono ridotti alle tracce o comunque sono disposti a morire come ego?
Se non si è arrivati a soffrire la percezione, il sensibile, ad ambire il Sè più di ogni altro concetto, se il pensare ad altro non è dolore... forse è meglio che si cerchi una via che abbia il sostegno del cammino, del lavoro, del servizio, della famiglia, della devozione...
Nuovamente si chiede indulgenza perchè queste note sono preparate di corsa senza possibilità di rilettura.
Sūtra 33. Un Saggio (Istruttore) che sia versato nella Sruti, vero conoscitore del Brahman, che, senza desideri, sia raccolto in Brahman e calmo come il fuoco che ha consumato tutto il combustibile, (un Saggio) che sia divenuto un oceano di misericordia e la cui benevolenza si espanda in modo inesauribile su quanti a lui si prosternano.
La conoscenza tradizionale non può prescindere dalla realizzazione.
Per quanto si possa possedere ampia erudizione, essa non è sufficiente a rendere fonte di luce realizzativa per degli aspiranti discepoli.
Ugualmente, al fine di tracciare un solco che possa essere seguito così come le acque si incanalano su una traccia nella terra, è opportuno che il Realizzato abbia una conoscenza della Tradizione.
Per quanto egli abbia pieno accesso alla Conoscenza, è bene poter dare dei riferimenti affinchè l'aspirante possa confrontarsi con essi.
Questo perché il Saggio realizzato non ha nulla di proprio da proporre, non si tratta di nuove vie, nuove tecniche... ciò che egli vive è quanto ogni rishi ha vissuto dall'alba dei tempi.
Esaurito ogni seme causale, egli è immobile nella propria coscienza e nel mondo, e ogni suo movimento è apparente, egli si limita ad essere mosso dalla vita stessa.
Il suo insegnamento non è nelle parole nè nelle azioni, esso è tutto nel silenzio che sottende le une e le altre.
Nè si creda ai suoi momenti di ira, essi sono istruzioni al pari delle altre, ma trovare un tale saggio ed avere a lui accesso, è un sì raro evento.
Sūtra 34. A questo guru il discepolo deve avvicinarsi con profonda devozione e, offrendogli umilmente i servigi, chiedergli ciò che deve conoscere.
All'aspirante che approcci questi sūtra (33 e 34) può capitare di interrogarsi sulle modalità di riconoscimento del vero conoscitore del Brahman, senza desideri, etc. etc.
Solitamente viene detto che chi necessiti di un tale Saggio sia prossimo a tale stato, pertanto il riconoscimento è immediato perchè non è un atto di gnosi, ma di vero e proprio ri-conoscimento...
è una conoscenza-presenza già esistente che torna nuovamente in essere dopo essere stata velata.
Questi sūtra sono da applicarsi da coloro che possiedono i requisiti del discepolo e non dal neofita che approcci la strada, perchè forse questi non necessita di un vero conoscitore del Brahman quanto di un aspirante versato sul cammino.
Sūtra 35. O Maestro e amico di coloro che si abbandonano a te, io mi inchino. Affrancami dall'oceano delle nascite e delle morti in cui mi dibatto, guardami con i tuoi occhi penetranti che infondono influssi di grazia.
36. Salvami dalla morte perchè sono preda delle fiamme inestinguibili del samasra e in balia degli impetuosi venti delle avversità. Nel mio spavento cerco rifugio in te perchè non conosco nessun altro in cui cercare riparo.
Seppur la mancanza di relativo viene vista come meta finale, la visione avviene nel sensibile, nel relativo stesso.
Quivi alcune leggi regolano il relativo stesso e da queste leggi non possono sfuggire quegli aspetti che vi si estrinsecano.
Considerando solo il relativo, esiste un Demiurgo, un ordine, una gerarchia.
A questi tutto è relato, da questi occorre intercessione, da questi discende la grazia.
La non dualità non deve divenire strumento di fuga dal relativo, perché sino alla sua integrazione/sublimazione la percezione (fisica, mentale e emotiva) è la realtà.
Sūtra 37. Vi sono anime sante, serene e magnanime, che simili alla primavera, effondono una benefica influenza per il bene dell'umanità. Costoro avendo trasceso l'oceano delle nascite e delle morti, per un atto di amore aiutano i loro simili a trascenderlo a loro volta.
Sūtra 38. Invero è nella natura del magnanimo aiutare gli altri a rimuovere l'incompiutezza, come la luna spontaneamente rinfresca la terra arsa dagli infuocati raggi del sole.
Durante la sua ultima visita in Italia, Svami Veetamohānanda riportava l'aneddoto dei tre amici che sulla via incontrano un alto muro da cui provengono dolci suoni e, mentre i primi due una volta saliti a vedere presi dalla bellezza non ritornavano, il terzo rimaneva in cima al muro per avvisare i passanti dell'opportunità disponibile.
Dal punto di vista duale questa azione può essere vista come una rinuncia all' "oltre il muro", dal punto di vista non duale non c'è alcuna rinuncia dato che quell' "oltre" viene affermato essere "qui e ora".
Il Cristianesimo ha tratteggiato in maniera egregia la contemporaneità della natura umana e di quella assoluta di tali esseri, e ne abbiamo esempi più recenti in figure come Ramakrishna e Ramana.
A tratti vediamo sovrapposizioni o addirittura l'aspetto grossolano sembra prendere il sopravvento, e questo alle volte può turbare il neofita.
Eppure è proprio la presenza dell'aspetto umano a rende possibile la partecipazione.
Questi esseri possono partecipare alle nostre vite e quindi comunicare con noi grazie alla loro umanità, spogliati della quale ci sarebbero completamente estranei, inavvicinabili, inconcepibili nella loro assolutezza slegata dal relativo delle nostre vite.
Dov'è la grandezza e il sacrificio del Cristo se nella passione non avesse sentito le percosse, se non sulla croce non avesse sentito le ferite?
Immaginate un Cristo che dileggi i persecutori perchè: "Tanto io non sento alcun male perchè sono il Figlio di Dio!".
Dove sarebbe il suo sacrificio per l'umanità, e che senso avrebbe la resurrezione da una morte che non è stata una morte (senza agonia)?
La grandezza del Verbo è proprio nel farsi carne, assumendo su di sè tutte le relatività della carne, compresa la crescita e la relative assimilazioni.
Il problema di alcuni e' la difficoltà ad accettare questo.
Svami Vivekananda dubitò del Maestro sino alla fine, Pietro tradì il Cristo la notte stessa per tre volte.
Ecco a quale terribile realtà si condannano questi esseri, non vengono riconosciuti nemmeno dalle persone che più dovrebbero comprenderli.
Per questo vale il detto: "Nessuno è profeta nella sua patria" e l'altro che sostiene che solo un realizzato possa riconoscerne un altro.
L'atto d'amore che permette a questi esseri di rimanere, forse non è veramente compreso... accetteremmo di passare l'intera nostra vita chiusi in una scatola di legno, impediti in mille e mille cose?
Sì, potremmo sentire, parlare, comunicare, portare in giro la scatola...
253. L'universo non è altro che un onda-pensiero-oggetto proiettata sullo schermo dell'infinito akasha, che permane fino a quando il Sognatore cosmico non si sveglia alla sua intrinseca essenza.
D. Ho qualche domanda da fare sulla interpretazione di ciò.
Il Sognatore cosmico non è cosciente del suo sogno? In questo caso chi è il Sognatore? Forse il Brahman Universale?
Bodhānanda
Entri in una diatriba che nel vedānta si porta avanti da secoli...
Dal punto vista del vedānta duale, il sognatore è Iśvara, il Demiurgo, il Dio persona.
Da quello non duale è l'azione di maya, emanazione del Brahman.
Su un testo che si sta traducendo appare invece essere lo stesso Sè, il Brahman, il sognatore, ma aspetto di finirlo per leggerlo bene.
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