Per Newton lo spazio assoluto è reale, e deve considerarsi come il "sensorium" in cui Dio ha la percezione immediata dell'universo materiale. Per il suo seguace Samuel Clarke lo spazio è una conseguenza immediata e necessaria dell'esistenza di Dio, la proprietà di una sostanza incorporea, il posto non solo dei corpi, ma anche delle idee.
«Noi abbiamo delle idee, come quelle di eternità e di immensità», dice Clarke, «idee che ci è assolutamente impossibile distruggere o bandire dal nostro spirito, e che devono perciò essere gli attributi di un essere necessario altamente esistente ... Lo spazio è una proprietà della sostanza che esiste per sè stessa e non una proprietà di qualsiasi altra sostanza. Tutte le altre sostanze sono nello spazio e lo spazio le penetra, ma la sostanza che esiste per se stessa non è nello spazio e non è da esso penetrata. Essa è, per così esprimermi, il "substratum" dello spazio, il fondamento dell'esistenza dello spazio e della durata stessa».
Secondo la dottrina "nativista" (quella che ammette il carattere innato e congenito d'una funzione, d'un organo, d'una qualità), lo spazio è un dato assolutamente "a priori" che noi troviamo nel nostro spirito e che applichiamo alle cose; le sue proprietà essenziali, che sono l'omogeneità, o identità perfetta delle sue parti, la grandezza e la divisibilità illimitata - proprietà per loro natura inafferrabili dall'esperienza - provano che esso é un dato naturale "a priori" del pensiero.
Così per Kant lo spazio è il molteplice "a priori" come forma del senso esterno; ogni rappresentazione di un "di fuori" presuppone, infatti, per base la nozione di spazio. L'originaria rappresentazione dello spazio è necessaria perchè, quantunque si possano astrarre gli oggetti dallo spazio, non si può però mai fare astrazione dallo spazio stesso, ed è la rappresentazione di una quantità infinita, la quale come concetto comprende infinite altre rappresentazioni: è dunque una "visione sintetica a priori" che in sé congiunge la realtà empirica e l'idealità trascendentale.
Per Hegel lo spazio è mera forma, l'astrazione della esteriorità immediata; l'Idea come natura comincia appunto a porsi come l'essere che è esteriormente ed è altro: «La prima e immediata determinazione della natura è l'universalità astratta della sua esteriorità, la cui indifferenza, priva di mediazione, è lo spazio. Lo spazio è la giusta posizione del tutto ideale, perché è l'essere fuori di se stesso, e semplicemente continuo, perchè questa esteriorità è ancora del tutto astratta e non ha in sè alcuna differenza determinata». [ G. F. Hegel: Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, pag 204 Ed. Laterza ]
Secondo Alexander e C.L. Morgan, «lo spazio-tempo è la matrice del mondo dalla quale sono emerse la materia, la vita, la coscienza e la divinità. Il mondo, come noi lo conosciamo, si è evoluto dallo spazio-tempo originario». [Dagobert D. Runes: Dizionario di filosofia, Mondadori ]
Albert Einstein e Leopold Infeld nel loro libro L'evoluzione della fisica scrivono: «Rammentiamo che la velocità della luce nel vuoto, altrimenti detto etere, è di 300.000 Km circa al secondo, e che la luce è un'onda elettromagnetica propagantesi attraverso l'etere... Prendiamo a considerare un'altra esperienza basata su di un'idea semplicissima. Immaginiamo una ruota che giri molto rapidamente. Secondo la nostra supposizione l'etere viene trascinato dal moto e vi partecipa. Un'onda luminosa transitante vicino alla ruota dovrebbe dunque possedere una velocità differente, secondo che la ruota fosse in moto od in riposo. La velocità della luce dell'etere in riposo dovrebbe essere differente da quella nell'etere trascinato rapidamente dal movimento della ruota, precisamente come la velocità di un'onda sonora differisce secondo che l'aria è calma o che tira vento. Ma nessuna differenza del genere è mai stata constatata. Qualunque sia il lato di approccio della questione e qualunque sia l'esperienza cruciale ideata, il verdetto è sempre contro la supposizione che l'etere venga trascinato dal moto. Pertanto, il risultato delle nostre considerazioni, confermato da numerosi argomenti d'indole tecnica, è:
La velocità della luce non dipende dal moto della sorgente emittente. Non si deve supporre che il corpo in moto trascini l'etere che lo circonda.
Dobbiamo dunque rinunciare all'analogia tra onde sonore e onde luminose e contemplare la seconda possibilità, quella cioè che tutta la materia si muova attraverso l'etere, senza che questo prenda parte al moto. Ciò significa ammettere l'esistenza di un oceano d'etere, nel quale tutti i sistemi di coordinate si trovano immersi, siano essi in riposo o in moto relativamente ad esso». [ Albert Einstein e Leopold Infeld: L'evoluzione della fisica. Boringheri ]
Questa, pur essendo una congettura intuitiva di Einstein, è molto illuminante e significativa.
La Dottrina tradizionale sostiene che prima della formazione degli universi, a qualunque grado di sostanzialità possano trovarsi, esiste una matrice pregenetica chiamata dal Vedānta mūlaprakṛti (radice di prakṛti) da cui ogni cosa, comprese le varie polarità, è emersa; è la χώρα di Platone.
Possiamo dire che prima di ogni manifestazione oggettiva o soggettiva, grossolana, sottile o causale, esiste lo Spazio metafisico, o lo Spazio astratto, rappresentato da ogni Dottrina tradizionale dal cerchio, non come limite chiuso, ma come infinitezza.
Tale spazio però non è l'Assoluto in quanto tale, non è il Nirguṇa, privo cioè di ogni qualificazione, ma è la determinazione pre-causale da cui viene originata l'intera manifestazione. In altri termini, lo Spazio è la determinazione dell'Assoluto il quale, per essere tale, non si esaurisce in esso, ma lo trascende - pur essendo anche in esso immanente.
Così inteso, lo spazio è potenza pura e per il semplice fatto che esso è potenziale, indistinto, indifferenziato e ancora non-qualificato, é il solo principio che possa dirsi inintellegibile, non perchè in esso non possa essere conosciuto, ma perchè in esso non v'è niente in quanto oggetto distinto che possa essere conosciuto.
La materia dei fisici non può essere considerata come spazio essenziale della Dottrina perchè i fisici la suppongono dotata di certe proprietà, proprietà che rappresentano quantità attuali.
La materia dei fisici può considerarsi una materia seconda, mentre quella della Dottrina una materia prima; è la χώρα sovrasensibile di Platone. Lo spazio di cui parliamo non è quindi quello misurabile dalla scienza perchè non ha estensione nè occupa un "posto" correlato ad altro posto o punto spaziale. Il numero e i punti geometrici emergono dallo spazio metafisico, ma essi non sono lo spazio metafisico. Il nostro spazio può essere considerato come non-misurato perchè non ha ancora alcuna possibilità di misurazione. Esso è amātra (privo di misura) secondo la Māṇḍukya Upaniṣad.
Il non-misurato è l'illimitato, origine del finito-misurato e del non-finito senza misura. Questo spazio metafisico é la Tenebra originaria da cui, mediante il Fiat Lux, emerge il manifestato e il non-manifestato principiale o avyakta in termini Vedanta.
Dallo "zero spaziale" metafisico emerge il Punto o il germe di ciò che sarà una manifestazione, l'Uovo d'oro.
Nel simbolismo iniziatico viene difatti rappresentato dal punto entro il cerchio. A sua volta il punto si sdoppia realizzando così la polarità primordiale; il positivo e il negativo emergono dalla Notte primordiale e incominciano a reagire fra loro creando un campo teso. Tale stadio di sviluppo viene rappresentato con una linea orizzontale inscritta nel cerchio.
L'interrelazione dei poli (Puruṣa e Prakṛti; Chokmah e Binah; Padre e Madre) fa emergere un terzo fattore che rappresenta il Verbo, il Logos, l'Idea nella quale tutte le potenzialità della manifestazione sono incluse. Così, lo spazio metafisico è il contenitore di una triade essenziale che rappresenta l'archetipo su cui tutte le cose sono modellate. Possiamo quindi raffigurarci, secondo i vari rami della Tradizione, una serie simbolica di triadi che costituiscono sempre l'archetipo principiale.