Commento al VivekacÅ«á¸Ämaṇi: sÅ«tra 22-24
Il commento di Bodhānanda ai sūtra del Vivekacūḍāmaṇi, il gran gioiello della discriminazione, è parte di un lavoro collettivo di commento di alcuni sūtra di quel testo svolto dagli allora partecipanti alla mailing list Advaita-Vedanta che si articolò per un buon numero di anni, circa dal 2000 al 2005. Il testo di riferimento è quello dell'edizioni Parmenides (prima Asram Vidya).
Nel brano che segue si riportano i commenti ai sūtra 23 e 24 di Bodhananda .
Si segnala, per la sua “originalità” il commento al sūtra 24 (sulla pazienza), decisamente divertente (e istruttivo).
Sūtra 22. Śama è la condizione di mente pacificata che contempla costantemente la meta (Brahman), dopo essersi distaccata dalla molteplicità degli oggetti sensibili perchè ne ha messo in evidenza la loro vacuità.
Sūtra 23. Dama, o auto dominio, si ha quando si staccano i due gruppi di organi sensoriali dai loro oggetti corrispondenti, riportandoli ai loro rispettivi centri. Il raccoglimento è reputato perfetto (uparati) quando gli oggetti esterni cessano di mettere in moto le modificazioni mentali (vṛtti).
Commento di Bodhānanda
L'auto dominio è la vera meditazione, il completo ritiro dall'adesione del mondo fenomenico.
Ritiro dall'adesione, non ritiro dal mondo fenomenico.
Molti credono che la meditazione sia una sorta di stato in cui rifugiarsi per qualche ora al riparo dai disturbi mondani.
In realtà possiamo chiamare meditazione il centrarci sulla nostra vera natura di essere, è allora che i due gruppi di organi vengono padroneggiati.
Questo auto dominio non è il risultato di un atto volitivo, quanto il risultato di una pratica di osservazione.
La pratica di osservazione che potremmo chiamare meditazione, si scopre che non è facilmente ottenibile con la mente volitiva.
Spesso ci si accorge che si naufraga nel tentativo di auto osservarsi, questo perchè inizialmente ciò che si vorrebbe osservare sembra essere anche quello che osserva.
In realtà, l'azione dell'auto osservazione trova il suo frutto non come conseguenza della sua pratica in sé, ma piuttosto proprio nel suo praticare.
Nel tentativo di auto osservarsi, viene tolta energia o movimento alla mente che, mano a mano, andrà fermando il movimento auto sostenuto.
Ne segue che il principio più importante dell'auto osservazione o indagine sul sé, è la capacità di ricominciare l'osservazione senza giudizio quando, per un qualsiasi motivo, esso è cessato causando l'adesione.
Sutra 24. Titikṣā, o la pazienza, è quella condizione che sa accettare le afflizioni senza risentimento o ribellione, trovandosi libera da ogni ansietà e da ogni lamento.
Commento di Bodhānanda
Quando ci si confronta con opere appartenenti alla Tradizione non duale e, quando tali opere sono attribuite unanimemente a determinati Maestri, ci si rende conto che nei sūtra spesso ci possono essere più livelli di lettura, livelli che di solito leggiamo in funzione delle nostre esperienze e relativa consapevolezza acquisita.
Da un certo punto di vista si può considerare ognuno, Maestro o discepolo, come aspirante nella tradizione, perchè è veramente difficile conoscere il reale livello coscienziale di ognuno.
In passato ebbi modo di ascoltare un jīvanmukta, definire sè stesso (per necessità di linguaggio): "aspirante".
Detto questo, siamo tutti aspiranti!
Quindi, per ampia che sia la consapevolezza, è probabile che ci sia sempre da imparare!
Leggendo questo sūtra sulla pazienza, di primo acchito il pensiero che è sorto è stato: "Bella forza! Se la persona che esercita la pazienza è un realizzato, che sforzo ci vuole?"
Poi però è sorto il ricordo di un incontro con Sai Baba, dove gli fu data una risposta similare.
Stava parlando con una persona di alcune problematiche fisiche e Sai Baba portava come esempio sé stesso.
La persona, una devota di lunga data, rispose esattamente così: "Bella forza, Bhagavān! Tu sei Dio!".
Al che lui rispose: "No! Io sono Dio, ma questo corpo no. Questo corpo è umano e soggetto alle condizioni umane".
Ci sarebbe stato molto da disquisire sulla risposta, ma si preferì non entrare in merito.
Però è anche vero che Sai Baba fu quello, dicono, che un giorno, trovandosi davanti allo specchio con i primi capelli bianchi, non trovandolo un aspetto decente per un avatāra, li sfiorò con la mano facendoli tornare nero corvino [e così rimasero fino alla morte]. Ma trattandosi del solito sentito dire, si preferì tacere prima di essere ripreso.
Il punto però rimane. Un giovane aspirante tende, spesso se non sempre, a sviluppare delle opinioni che poi proietta sull'Ideale e infine si convince che esse siano veritiere.
In questo caso viene da dire che in fondo non ci vuole chissà quale abilità per un Realizzato a praticare la pazienza, ma è un'opinione e, in quanto tale, ha ben poco valore.
Si ricorda un interessantissimo dolore di denti (si dovette procedere ad un'operazione notturna d'urgenza per risolverlo) che abbassò di parecchio la boria del sottoscritto.
Dato che, per le circostanze della vita, si era andata sviluppando una capacità di sopportazione del dolore molto alta, ci si sentiva un “domineiddiointerra”, ossia un aspirante già anziano.
Quel mal di denti fu divertentissimo… c'era il corpo messo lì che doleva e il sottoscritto che "stifiniava" (in siciliano dirne di tutti i colori) mentre cercava di stemperare il dolore col ghiaccio: "Ecco! Tu! Con tutta la tua prosopopea! Ti sta bene! Così impari a sentirti 'sto cavolo!".
Si alternavano momenti di riso e momenti di lamento, riso per la stupidità , la presunzione e l'avere creduto a delle opinioni della propria mente (che basandosi su qualche scottatura e un paio di fratture aveva decretato che il sottoscritto era un aspirante molto avanzato).
È tornato in mente perchè ieri sera, avendo fatto molto tardi, prima sul lavoro e poi ad una riunione, scendendo dal marciapiede al buio, c'era una buca e si è presa una di quelle "storte" alla caviglia storiche.
Oggi, eroicamente, ci si è recati senza fiatare al lavoro, facendo "l'incarnazione della pazienza".
Per fortuna i colleghi hanno preso il sottoscritto per cretino e lo hanno convinto che forse era il caso di fare una radiografia al piede, visto che il dolore non scemava.
Ho scoperto che in realtà il sottoscritto mica accetta le afflizioni, si contenta di sopportarle! (e mica in silenzio, di volta in volta si accidenta tutto il sacro Pantheon Pre-Vedico, Vedico, Puranico, Tantrico, Taoista e Cristiano). Forse non è il commento più adatto al sūtra, ma altro non è venuto fuori.
Sarà pur vero quello che dice il sūtra, lungi dal sottoscritto l'idea di negare le parole attribuite a Śaṅkara, ma ci sono cose che si fanno perchè si sentono e non si crede di esercitare la pazienza, altre non le si fanno proprio, e lì si è sicuri di non esercitare la pazienza!
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