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Commento al Vivekacūḍāmaṇi: sutra 1-7

Nel giugno del 2000 inizia, sulla lista Advaita-Vedānta, un lavoro collettivo di commento dei primi sūtra del Vivekacūḍāmaṇi di Śaṅkara, che dura a fasi alterne, fino al 2005.

Non tutti i sūtra riportano il commento di Bodhānanda, mentre alcuni vengono commentati anche da altri partecipanti.

In questo brano sono riportati i sūtra dall'1 al 7, con relative note di commento di Bodhānanda, ove presenti. Per il quarto sūtra è riportato anche il commenta di un fratello di allora.

Il brano originario era preceduto da una breve testimonianza di Bodhānanda sulla "lettura".

I sūtra del Vivekacūḍāmaṇi sono tratti dal testo delle edizioni Aśram Vidya, ora Parmenides.

 

 

Vivekacūḍāmaṇi: il gran gioiello della discriminazione

 

Questo è l’Advaita-Vedānta, il più alto sentiero metafisico che si conosca.

Esso può scuotere le fondamenta stesse dell’essere in quanto io-apparenza...

ma concede l’integrale liberazione da ogni conflitto e schiavitù psico-fisica.

Possa a tutti arridere la vittoria sulla grande illusione.  

Raphael

 

 

  1. Rendo onore al sadguru Govinda la cui natura è suprema beatitudine (paramāndaṁ), il quale si rivela mediante l'insegnamento vedantico che è di là dal linguaggio e dalla percezione mentale.

 

 Bodhānanda:

Qualsiasi azione compiuta da un Filosofo o Jñānin viene compiuta nella piena libertà da aspetti egoici e in nome della Tradizione.

Tradizione che gli è giunta attraverso il proprio Maestro.

È attraverso quel Maestro che l'istruzione gli è giunta, è attraverso questi che egli ha potuto liberarsi dalle catene dell'individuazione.

È lui che va ringraziato di tutto ciò che è il discepolo. 

Ma il Maestro non è l'uomo, non è l'involucro fisico, non è quella persona che ci porge l'insegnamento.

Il Maestro è la pura beatitudine in sè, è il puro Sè.

È il nostro stesso Sè che ci si mostra dall'esterno, perchè siamo sordi e ciechi al Sè che ci chiama dall'interno, per questo c'è un momento nella vita di ogni serio aspirante in cui finalmente arriva il Maestro. 

Ma quella natura "divina" che cogliamo nel Maestro non è un evento che generi dipendenza, ma, anzi, è la nostra stessa natura, una natura che può essere svelata attraverso l'insegnamento vedantico. 

Questo insegnamento non si esplica e applica in ambito eruditivo, non in ambito mentale, non in ambito verbale. 

Lo scritto, per sacro che sia, è semplicemente la traccia, è comunque relato alla pura verità, ma non è la pura verità perchè essa nella sua natura non duale non può essere esposta nel linguaggio senza corrompersi o senza essere travisata dalla mente che la affronti come atto intellettuale. 

Occorre che l'aspirante si doti del linguaggio adatto, occorre che lasci ogni preconcetto, occorre che rinunci ad ogni opinione, ma non per sostituirla con altra opinione, piuttosto per poter vivere se stesso senza opinioni e credenze.  

 

  1. Per tutte le creature viventi non è agevole avere una nascita umana, in particolare ottenere un temperamento maschile, più difficile è perseguire il sentiero della devozione vedica, più difficile ancora è acquisire la perfetta conoscenza delle Sacre scritture. Altresì è raro discriminare tra il Sé e il non-Sé (ātmānātmavivecanaṁ) e realizzare l'identità del Sé con Brahman (svanubhavo brahmātmanā). Questo tipo di liberazione perfetta è il risultato di meriti accumulati nel corso di innumerevoli nascite.

 

Bodhānanda:

Quanto viene affermato da Śaṅkara che è di difficile accettazione per molti aspiranti, ma è altresì vero che pochi sono coloro che sono pronti a morire a sé stessi, alle proprie opinioni, finanche al proprio cammino, credo e tradizione. 

Perchè in realtà si tratta pur sempre di interpretazione delle stesse.

Questa morte iniziatica dicono spaventi anche le anime più elevate.    

Quando, anni fa, si dovette cercare materiale per un testo attinente all'Advaita, si girarono scuole e università in India, non si trovò nessuno in grado di vivere la non dualità.  

Anni dopo parlando con un jīvanmukta, colui che ha realizzato la non dualità metafisica, egli fece notare che per quanto tanti ne parlino, pochi lo realizzano (l'advaita), ma quei pochi bastano, perchè sono essi il canale attraverso cui il mondo si sostiene, e a cui fanno riferimento tutti i ricercatori o i devoti.  

È vero che sono rari coloro che sono disposti a morire a sé stessi, ma essi ci sono e un certo numero è sempre presente su questo piano di esistenza e la loro influenza si fa sentire.  

Solo non lo vanno a raccontare in giro... e non è facile accedere a loro, o meglio è facilissimo avendone le qualificazioni. 

Cercarli per porre domande, non è una qualificazione.

Cercarli per sapere qualcosa, non è qualificazione. 

Cercarli, forse, non è una qualificazione.  Anche se è opportuno cercarli.  Anche se, forse, si trovano quando si è smesso di cercare.  

Per fortuna, non esiste solo l'Advaita Vedānta o l'Asparśa Vāda, altrimenti sì che saremmo messi male!

[L'Advaita Vedānta è la corrente non-duale del sistema Vedānta (uno dei sei sistemi - darśana - brahmanici delle filosofie indiane). È  stato codificato da Śaṅkara. L'Asparśa Vāda può essere considerato il suo aspetto pratico e operativo, codificato da Gauḍapāda, Maestro di  Śaṅkara.]

In sostanza sono la stessa cosa.

Per ogni discepolo, occorre ricordare, che il proprio Maestro è perfetto, un puro Realizzato, se non un avatāra o il più grande realizzato mai esistito. 

Questo avviene perchè il discepolo o il devoto sente nel Maestro l'immanenza del Divino, quindi potremmo dire che è il Divino stesso ad agire nel Maestro, o che il discepolo è Quello che vede.

Salvo poi fare i conti con gli eventuali aspetti individuali del Maestro o addebitare a dei presunti tali quelle prove che ci vengono fatte vivere. 

Certo è che, più grande è un Maestro, più ardua e dura è la selezione dei discepoli. Non confondendo con i discepoli coloro che seguono un Maestro o ne condividono un dharma. 

In ambito tradizionale un discepolo è colui che, raggiunta la perfetta realizzazione non duale, succede al Maestro nell'insegnamento. 

Gauḍapāda ebbe un solo discepolo:  Śaṅkara. 

Śaṅkara stesso ne aveva quattro o cinque. Ramakrishna,  sedici - diciotto. Ramana, nessuno. Cristo, dodici. Tutti gli altri possono essere considerati seguaci, simpatizzanti, devoti, etc. 

Ma d'altra parte dicono che quando il Maestro serve si presenti (...e allora sono dolori!) 

Nè ha senso disperarsi, potremmo essere tutti nel "caso" di Rāmaṇa, che realizzò il Sè senza alcun Maestro... 

Però è strano che proprio lui non abbia lasciato alcun discepolo. Ma è altresì vero che là, al Rāmaṇasram, c'è Aruṇācala, la montagna sacra di Śiva. 

 

  1. I più rari presupposti (per la liberazione) sono tre e sono dovuti all'influsso del grande Signore (mahāpuruṣa): la nascita in un corpo umano, l'ardente volontà di liberazione (mumukṣutvaṁ), la protezione di un Saggio già realizzato.

 

Bodhānanda.

Nella prima condizione ci troviamo tutti, nella seconda solo alcuni, nella terza... vedremo. 

Confrontarsi con questo sūtra determina spesso l'istanza della ricerca del Maestro, perchè ogni aspirante ritiene di avere già una enorme volontà di liberazione.

Spesso però questa volontà soccombe di fronte ad altre esigenze.... vogliamo il benessere, l'amore, un compagno, etc.

Diciamo che questa volontà spesso viene dopo altre cose.

Forse occorre considerare allora che questa volontà non è poi così grande. 

Quanto alla protezione... come dire, forse ognuno di noi già lo è, ma ancora non lo sa. Certo è che quando necessario arriverà, spesso quando rimane solo quella volontà realizzativa.

 

  1. Colui che si è innalzato fino a possedere la condizione umana, con un temperamento maschile, che ha completa conoscenza della śruti (śrutiparadarśanam) e che tuttavia trascura la sua emancipazione (yastvātmamuktyai), aderendo a cose illusorie, commette senza dubbio un suicidio. 

 

Bodhānanda

Nella visione del sāṁkhya, condivisa dal vedānta, il temperamento maschile è proprio del puruśa, l'Uomo universale, il principio positivo correlato a prakṛti, il principio negativo o natura o energia.

Di solito vengono indicati l'uno come maschile associato all'Assoluto e l'altro come femminile associato al relativo, al grossolano.

Viene detto anche che esiste un solo "maschio": l'Assoluto Reale, mentre tutto il manifestato è femmina.

Per temperamento maschile si intende, quindi, un temperamento che sia indirizzato al trascendente, all'essenza, alla Realtà, mentre per temperamento femminile si intende un'indole indirizzata al sensibile, al fenomenico.

Cade quindi quella posizione di alcuni che usavano questo e altri passi del Vivekacūḍāmaṇi per escludere dall'accesso ai cenobi di conoscenza in funzione del genere sessuale dell'aspirante .

 L'indole dell'individuo prescinde dal suo involucro, anche se detto involucro chiaramente influenza i guṇa (o potremmo dire che è conseguenza dell'influenza dei guṇa)  e della loro mutua posizione.

I guṇa sono le qualità secondo la cui posizione i Veda classificano l'essere individuato: rajas attività, tamas passività, sattva equilibrio.

In questo sūtra si richiama chi, pur avendo determinate caratteristiche e avendo anche avuto visione dei Veda, continui la vita di sempre, cadendo preda del mondo delle opinioni e delle forme.

Consideriamo anche che sono brani scritti in un’era ove la capacità di lettura era di pochi, ove la possibilità di ricevere l'istruzione era di pochi e quei pochi erano nella condizione privilegiata di libertà, non soggetti cioè a tutti quegli obblighi che la società impone, ma non solo.

La classe dei bramani allora era caduta in un forte ritualismo che aveva portato al successo il movimento buddista che aveva aperto l'iniziazione a tutti, formando di fatto un organismo religioso.

Con Śaṅkara l'induismo riprese possesso della propria tradizione liberandola dalla vacuità in cui il buddismo sembrava averla riposta.

È un richiamo a prendere coscienza di sè medesimi, quale principio che genera il mondo e non quale aspetto che ne diviene preda.

 

Altro fratello.

Spesso viviamo la nostra condizione di esseri umani, di esseri dotati di mente, pensiero di capacità logiche, intuitive, discriminanti, come un fatto puramente causale. Spesso non ci rendiamo conto della fortuna che abbiamo ad essere nati in questa condizione, delle nostre capacità e possibilità.

Viviamo così, tanto per vivere, traendo il massimo profitto a discapito degli altri, e non solo  umani. Non sappiamo perché siamo nati umani e non ci interessa saperlo. 

A volte non sappiamo neanche di essere umani e ci lasciamo prendere dagli istinti  al punto che un animale, al nostro confronto, è un angelo. Non ci curiamo di noi stessi, ma solo di apparire migliori e conformi, "di aderire a cose illusorie".  E così fino alla morte fisica, nemica e odiosa realtà .

Beh... sì, tutto questo è proprio un suicidio di noi stessi, della società e del mondo  in cui viviamo.

 

  1. Sarebbe senz'altro uno sciocco chi, possedendo una nascita umana con qualità maschili, si astenesse dal voler realizzare la mèta dell'esistenza.

 

  1. Lasciate che il popolo menzioni gli śāstra, che invochi gli dei con sacrifici (devān kurvantu karmāṇi), che segua i riti e si renda propizie le divinità personali; eppure vera liberazione non v'è senza la perfetta realizzazione della propria identità con l'ātman, nemmeno in cento vite di Brahmā.

 

Bodhānanda

Quale che sia il cammino che si percorre, c'è un soggetto che menziona gli śāstra, che invoca gli dei con sacrifici, che segue i riti e si rende propizie le divinità personali. Tutte queste azioni vengono a dipendere da questo soggetto, se non si conosce la sua natura si sarà sempre in dipendenza da ciò.

Per questo occorrerà indagare prima o poi su tale soggetto. La tradizione afferma tale soggetto essere l'Essere in Sè. 

 

  1. L'Immortalità (amṛta) non si consegue mediante le ricchezze", dichiara la śruti; è chiaro, dunque, che la liberazione non può essere ottenuta con azioni materiali meritorie (karmaṇo mukterahetutvaṁ sphuṭaṁ yataḥ).

 

Bodhānanda.

Ove una azione è conseguenza di un'altra ed effetto di altra ancora, siamo in presenza del fenomenico e della dualità.

Nel fenomenico avviene la classificazione secondo i meriti, questi meriti sono conseguenze di previe azioni; uno stato che diciamo non duale, perchè scevro da attributi e specificità, non può pertanto essere causato da azioni di alcun genere, perchè altrimenti esso non sarebbe completo e assoluto in sè, dipendendo da altro per venire in esistenza.

Per questo motivo, la liberazione viene detta anche risveglio, perchè si chiede affinchè essa sia resa manifesta che il soggetto perda quella individualità propria dello stato fenomenico, come il dormiente che vivendo il sogno come stato reale e fenomenico, si risvegli da esso per poter affermare di avere sognato.

Le buone azioni, le azioni meritorie (che producono bene o ricchezze materiali, sottili o spirituali) possono solo causare un buon futuro, ossia buone re-azioni, ma non sciogliere il vincolo della causalità cui esse stesse soggiacciono. Questo vale sia per le azioni religiose che per quelle mentali, che per quelle magiche.

[Ml Advaita vedānta 18 giugno 2000 – 22 settembre 2000]

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