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vedanta.it

Sādhana – Asādhanā

Polarità: SādhanaAsādhanā

D - Qual è il compito di un discepolo, diffondere l’insegna­mento del Maestro?

R - Per quello bastano i manifesti e un po’ di pubblicità, magari con un giusto testimonial.

D - Mi sta prendendo in giro?

R - Sì.

D - Ok. Dove è il busillis?

R - Compito di un discepolo è la realizzazione dell’insegnamento del Maestro. L’insegnamento di un Maestro consiste nella testimonianza della sua natura risvegliata. L’insieme delle azioni che il discepolo compie, per realizzare quell’insegnamento, viene detta sādhanā. La vera sādhanā è difficile e consuma molte energie, pertanto chi spreca energie per diffondere qualcosa che non è in grado di praticare, semplicemente non svolge alcuna sādhanā, se non a parole. Riconoscerete sempre un fratello che svolge la propria sādhanā: non assale, non condanna, non si mette su un piedistallo a urlare “Ascoltatemi che vi porto la Verità!”. La stessa Verità, quando si manifesta nel mondo, non mette i cartelloni pubblicitari, non cerca proseliti e non fa conferenze ad ogni canto. È come porgere un paniere sulla via, saranno le genti che verranno a chiedere quello che è contenuto nel paniere. Compito di un aspirante nella tradizione è far sì che ci sia sempre il contenuto da mettere nel paniere. Il paniere è la tradizione, il contenuto è la testimonianza della realizzazione del discepolo.

D - Sono un devoto di Sai Baba, e ho notato che Lui, prima, diceva “La mia vita è il mio messaggio”, adesso, dice ai noi devoti “voi siete il mio messaggio”.

R - Ha preso un esempio proprio calzante. Satya Sai Baba raccomanda ai suoi devoti di seguire il Sanātana- dharma. Sai Baba non ha detto “Le mie parole sono il mio messaggio”, per il semplice motivo che le sue parole non sono nuove, come qualsiasi conoscitore dei Veda e dei culti indiani è in grado di confermare. Tutta la sua vita è stata un continuo messaggio, la sua come quella di qualsiasi altra incarnazione del Divino. Sai Baba afferma che i devoti che hanno acquisito la Consapevolezza, coloro che hanno sperimentato l’Amore o il Sé, costoro, sono divenuti il messaggio vivente. Qui non si parla di discorsi o di conferenze. Non si sta portando alcuna nuova novella. Devono essere i devoti e la loro vita il messaggio! Chi riuscirà a crescere coscienzialmente, cambierà il mondo, non perché agirà sul mondo, ma perché il cambiamento di ogni individuo, la sua sādhanā, è la modificazione del mondo.

Credete veramente che il ripetere le parole del Divino o dei testi sacri come pappagalli, qualifichi come messaggi o messaggeri? Da quanti anni, in ogni religione, vengono recitate litanie e inni di ogni genere? Ed è anche possibile che questa ripetizione abbia giovato al mondo, ma quanto giova a chi ripete, a vanvera, parole che non realizza? Se osserviamo il comportamento dei devoti più anziani, di solito la loro caratteristica essenziale è il silenzio, non le chiacchiere. Tutti quei messaggeri che si sentono i depositari della Verità, sono dei neofiti entusiasti, esaltati dalla gioia e dal primo contatto con l’amore che un Maestro normalmente effonde intorno a sé. Senza essere divenuti loro stessi Amore, vorrebbero portarlo in giro, per il mondo, per attrarre più gente nei loro gruppi. Voi siete qui, nessuno vi ha chiamato, non avete trovato cartelli o pubblicità, sulla porta non c’è più alcuna targa eppure siete venuti e continuate a venire. Per qualcuno di voi è stato molto difficile trovare questo posto, per altri, è stato ancor più difficile essere ammessi a questo cerchio. La Verità-satya è una così grande forza che attira chi è qualificato, e la velocità di attrazione, dipende dallo spessore della scorza intorno alla noce, ma state pur sicuri che anche le pietre arrivano a sentire, se lo dovranno.

D - Lei ci sta dicendo che le sue parole sono così vere che anche le pietre arriveranno a sentirle?

R - Si spera proprio di no, ci mancherebbero solo le pietre e saremmo a posto! Si dice solo che la sete di consapevolezza, della propria natura, è così forte che ogni essere evoluto, nel silenzio e nella propria interiorità, prima o poi, si interrogherà sull’Assoluto. Vuoi per le circostanze della vita, vuoi perché ha un incontro particolare... Così come non è migliore di altri chi segue un determinato Maestro o Ideale divino, così voi non siete né migliori né peggiori di altri, ad essere qui. Siete esattamente dove dovevate essere oggi. Ognuno è sempre dove deve essere, né potrebbe essere altrimenti.

D - Però chi arriva ad un Maestro prima di altri, è migliore di questi, giusto?

R - Se lei a tutti i costi vuole vedere un primo e un secondo, un migliore e un peggiore, così è per una mente empirica prigioniera della sua logica e razionalità. Ma per il Paramātman come potete credere che esistano distinzioni? Voi vedete solo diversi comportamenti in Lui a seconda di chi Gli si rivolge, Egli accontenta questo gioco: lo chiama lilā.

D - Se questo è un gioco, perché non posso giocarlo criticando gli altri?

R - Questo è un gioco per l'Ātman, quindi solo chi ha consapevolezza del Sé può chiamare il proprio agire lilā, perché questa parola significa anche “azione con facilità”, un’azione senza sforzo, cioè senza causa, una azione che non è causata da una mente. Ma chi ha una mente, tutto questo non lo vede come un gioco, ma come una sofferenza. E chi, vedendo la sofferenza e l’arrancare di un fratello, si può permettere di criticarlo? Che ognuno svolga la propria sādhanā senza disquisire quella altrui; chi critica un altro cammino realizzativo comprenda che in realtà ancora non ha nemmeno idea di quale sia il proprio, anzi forse, si sta solo perdendo, perché ancora non ha compreso l'abc spirituale.

D - Ma se vedo un fratello che pratica male il suo cammino non devo avvisarlo?

R - Se lo chiede sì, ma solo in quel caso e solo se il cammino è comune ad entrambi.

D - Eppure lei ha criticato certi pensieri dei presenti.

R - Non sono stati criticati, perché non c’è acredine. Questo ente non è andato a cercarli. Siete voi che venite qui e fate domande o chiedete che vi si parli. Se un uomo viene a casa tua e ti chiede cibo, come puoi scacciarlo? Siete voi a sostenere che questo sia il cibo e, sempre voi, sostenete di essere affamati. Che voi veniate o meno, questo ente non cambia il suo Essere, Egli è comunque voi. Differente sarebbe, se venisse non invitato a casa vostra a pretendere che voi ascoltiate. In quel caso sarebbe l’io ad agire, a volere affermare la propria idea di verità, a dire: “Ascoltatemi perché sono io che parlo!”.

D – Śaṅkara fece tre volte il giro dell’India facendo proprio questo, andava nei vari monasteri contestando la modalità applicativa della dottrina.

R - Lei vorrebbe confutare un Ideale divino?

D - No, ma non comprendo come ci sia una legge per gli uomini e una per i Realizzati.

R - La legge è per chi è individuato, è questi che si confronta con la legge del dharma. Chi non è più individuato, quale legge dovrebbe vedere oltre a Sé come Essere? In ogni caso, lei c’era?

D - Cosa?

R - Lei c’era?

D - Dove?

R - Là, visto che parla di Śaṅkara, valutandone il comportamento ritengo che debba averne esperienza diretta.

D - Perché per parlare di qualcosa occorre averne esperienza diretta? Ho letto dei libri.

R - Quindi si rifà ad esperienze almeno di seconda mano. Si può comprendere chi ha fede nelle parole dei saggi che mostrano esperienze di prima mano, ma criticarli senza alcuna esperienza diretta è inutile. Lei ha letto e critica, le sembra ottimale?

D - Lo fanno tutti, si studia e si valuta, questa è la conoscenza.

R - Potrà chiamarla erudizione, certo non conoscenza. La conoscenza è consapevolezza. Come criticare ciò che non conosce? Nei tempi a cui lei fa cenno, era consuetudine il confronto, pubblico e privato, delle dottrine filosofiche. Se lei venisse qui con una palla dura e pesante e inizia a tirarla sulle pareti e gli oggetti di questa stanza, lei compierebbe una violenza e se lo facessero tutti i presenti sarebbe una battaglia. Se, invece, queste stesse azioni avvenissero all'interno di un bowling, faremmo una bella partita da cui tutti trarremmo letizia. A quei tempi i saggi erano saggi e non eruditi. Essi cercavano la Conoscenza-Consapevolezza, non l’auto affermazione, pertanto il confronto filosofico era una preziosa fonte da cui suggere la Conoscenza. Non era un problema di vittoria fine a sé stessa, ma riconoscevano in Sankara, il Guru dei Guru, il Paramātman, quindi non erano vinti ma vittoriosi perché il Sé si mostrava in forma umana ad istruirli. Si ricordi che per comprendere i bisogni di qualcuno, occorre porsi nel suo punto di vista. Se vuole esaminare un problema di bhakti, deve divenire bhakta, se vuole comprendere un dilemma seva, divenga a sua volta sevak. La consapevolezza non è conseguenza di una valutazione empirica, ma di una trasformazione interiore profonda. Tutto l’altro muoversi, agitarsi, criticare che taluni chiamano asādhanā, è un momento iniziale di un certo tipo di sādhanā, perché ogni vita è una sādhanā, un avvicinamento alla pura Realtà che ognuno è.

Tratto da "Dialogo dIstruzione" per le Ed. I Pitagorici, Prema Dharma, pag 181 - 186

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