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Insegnamenti spirituali - Ramana Maharshi

INSEGNAMENTI SPIRITUALI

(Upadesha Manjari)

di Ramana Maharshi

Ottava Edizione 1974 - Traduzione riveduta - Pubblicato da V. S. RAMANAN - Presidente, consiglio di amministrazione - SRI RAMANASRAMAM - TIRUVANNAMALAI (S. INDIA)


Introduzione all'edizione originale Tamil

Il mondo di lingua Tamil conosce bene la storia della vita e gli insegnamenti spirituali di Bhagavan Sri Ramana Maharshi attraverso i libri che sono già usciti. Egli splende sulla risplendente collina Arunachala (Tiruvannamalai) come il sole della conoscenza che distrugge le afflizioni di coloro che lo venerano.
In questo libro chiamato Upadesha Manjari (bouquet di insegnamenti spirituali) Sri Natanananda, un suo sincero devoto, che lo serve e ne canta le lodi ponendo ai suoi piedi di loto molte ghirlande di canti, ha pubblicato le parole del Bhagavan ascoltate da Lui in tempi diversi. Esse consistono di domande e risposte comprendenti quattro capitoli intitolati upadesha (insegnamento), abhyasa (pratica), anubhava (esperienza), e arudha (conseguimento). Chiedo umilmente ai devoti di accettare questo piccolo libro che offre un salutare cibo per lo spirito.
Viswanathan - Sri Ramanasramam, 2-2-34.

 

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INDICE

Introduzione
Invocazione
Importanza del lavoro

CAPITOLI

I. Insegnamento (Upadesa)
II. Pratica (Abhyasa)
III. Esperienza (Anubhava)
IV. Conseguimento (Arudha)

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INVOCAZIONE


Cerco rifugio ai sacri piedi del benedetto Ramana, che adempie l'intero lavoro di creazione, preservazione e distruzione, mentre rimane completamente libero, e che ci fa rendere conto di cosa è reale e così ci protegge, che io possa presentare le sue parole in modo appropriato.

* * *

IMPORTANZA DEL LAVORO


Venerando con gli strumenti (di pensiero, parola e azione) i sacri piedi di loto del Bhagavan Sri Ramana Maharshi, reale incarnazione del senza principio infinito supremo Brahman, il Satchitananda (essenza, coscienza, beatitudine), ho raccolto questo bouquet di fiori dei suoi insegnamenti (upadesamanjari) per il beneficio di coloro che sono i primi tra i ricercatori della Liberazione e che sono amati teneramente dalle persone istruite, affinché essi possano adornarsi con essi e raggiungere la salvezza.
Questo libro è una epitome delle parole immortali della grande anima, Sri Ramana Maharshi, i cui insegnamenti hanno disperso completamente i dubbi e le nozioni errate di questa umile persona proprio come il sole disperde l'oscurità. Il soggetto di questo libro è quell'eterno Brahman che splende come la vetta e il cuore di tutti i Veda e Agamas. Quella incomparabile Autorealizzazione (Atmasiddhi) che è elogiata da tutte le Upanishad e che è il supremo bene che deve essere cercato da tutti i nobili aspiranti (Brahmavids) è l'argomento di questo lavoro.

 

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CAPITOLO I

ISTRUZIONE (UPADEŚA)

1. Quali sono le caratteristiche di un vero maestro (Sadguru)? 
Stabile permanenza nel Sé, guardando a tutto con occhio equanime, incrollabile coraggio in ogni momento, in ogni luogo e circostanza, ecc.

2. Quali sono le caratteristiche di uno studioso serio (sadsisya)? 
Un intenso desiderio per la rimozione del dolore e il conseguimento di gioia ed una intensa avversione per ogni tipo di piacere mondano.

3. Quali sono le caratteristiche dell'insegnamento (upadeśa)?
La parola "upadesa" significa: "vicino al posto o sedile" (upa=vicino, deśa=posto o sedile). Il Guru che è l'incarnazione di ciò che è indicato dai termini sat, chit e ananda (essenza, coscienza e beatitudine), previene il discepolo, che a causa della sua accettazione delle forme degli oggetti dei sensi, si è allontanato dal suo vero stato ed è conseguentemente afflitto e tormentato da gioie e dolori, dal continuare così e lo stabilisce nella sua stessa reale natura senza differenziazioni.
Upadesa significa anche il mostrare un oggetto distante come se fosse vicino. Viene cioè fatto comprendere al discepolo che il Brahman che egli crede essere distante e diverso da lui, è vicino e per nulla diverso da lui stesso.

4. Se è vero che il Guru è lo stesso Sé di un individuo, che cos'è quel principio che sta alla base della dottrina che dice che, per quanto un discepolo possa essere istruito o per quanti poteri occulti egli possa possedere, non potrà ottenere la realizzazione del sé (atma-siddhi) senza la grazia del Guru? 
Sebbene in assoluta verità lo stato del Guru sia quello del se stesso è molto duro per il Sé che è divenuto anima individuale (jiva) a causa dell'ignoranza realizzare il suo vero stato o natura senza la grazia del Guru.
Tutti i concetti mentali sono controllati dalla mera presenza del vero Guru. Se egli avesse detto ad un individuo che con arroganza si vantasse di aver visto i più remoti lidi dell'oceano del sapere o ad uno che si vantasse con arroganza di poter compiere imprese che sono quasi impossibili, "Sì, tu hai imparato tutto ciò che può essere imparato, ma hai imparato (a conoscere) te stesso? E tu che sei capace di compiere imprese pressoché impossibili, hai visto te stesso?", essi chinerebbero le teste (vergognosamente) e resterebbero in silenzio. Così è evidente che solo attraverso la grazia del Guru e non attraverso altri adempimenti è possibile conoscere se stessi.

5. Qual è il significato della grazia del guru?
Essa va oltre le parole e i pensieri.

6. Se è così, com'è che è stato detto che il discepolo realizza il suo vero stato attraverso la grazia del Guru? 
E' come un elefante che si sveglia vedendo un leone nei suoi sogni. Così come l'elefante si sveglia alla sola vista del leone, allo stesso modo è certo che il discepolo si sveglierà dal sonno dell'ignoranza nella veglia della vera conoscenza attraverso il benevolo sguardo di grazia del Guru.

7. Qual è il significato del detto che la natura del vero Guru è quella del Signore Supremo (Sarvesvara)? 
Nel caso dell'anima individuale che desideri raggiungere lo stato di vera conoscenza o lo stato di Divinità (Isvara) e con quell'obbiettivo pratichi sempre la devozione, quando la devozione individuale avrà raggiunto uno stadio di maturazione, il Signore che è il testimone di quell'anima individuale e identico ad essa, si manifesta in forma umana con l'aiuto di sat-chit-ananda, le sue tre caratteristiche naturali, e con nome e forma che egli assumerà anche benevolmente, e con il fatto di benedire il discepolo, lo assorbe in Se stesso. In accordo con questa dottrina il Guru può veramente essere chiamato il Signore.

8. Come ha fatto allora qualche grande persona a raggiungere la conoscenza senza il Guru?
Per un piccolo numero di persone il Signore brilla come luce di consapevolezza e impartisce consapevolezza della verità.

9. Qual è il fine della devozione (bhakti) e del sentiero di Siddhanta (Sarva Siddhanta)? 
E' di imparare la verità che tutte le azioni compiute da un ente con devozione disinteressata, con l'aiuto dei tre strumenti purificati (corpo, parola e mente), nella capacità del servitore del Signore, diventano azioni del Signore, e per restare saldi liberi dal senso di "io" e "mio". Questa è anche la verità di ciò che il Sarva-Siddhantis chiama para-bhakti (devozione suprema) o del vivere al servizio di Dio (irai-pani-nittral).

10. Qual è il fine del sentiero della conoscenza (jnana) o Vedanta?
E' di conoscere la verità che l' "io" non è diverso dal Signore (Isvara) e per essere liberi dal sentimento di essere l'agente (kartrtva, ahamkara).

11. Come può essere detto che il fine di entrambi questi sentieri è lo stesso? 
Qualunque cosa comporti, la distruzione del senso di "io" e "mio" è la meta, ed essendo essi interdipendenti, la distruzione di uno dei due causa la distruzione dell'altro; perciò al fine di ottenere quello stato di Silenzio che è al di là di pensiero e parola, uno dei due, il sentiero della conoscenza che rimuove il senso di "io" o il sentiero della devozione che rimuove il senso di "mio", sarà sufficiente. Quindi non vi è alcun dubbio che il fine dei sentieri di devozione e conoscenza è uno e lo stesso.

NOTA:
Fintanto che l'"io" esiste è necessario accettare anche il Signore. Se qualcuno desiderasse riguadagnare facilmente il supremo stato di identità (sayujya) ora perso per lui, è soltanto consono che egli abbia ad accettare questa conclusione.

12. Qual è il significato dell'ego?
L'anima individuale nella forma dell' "io" è l'ego. Il Sé che è della natura dell'intelligenza (chit) non possiede alcun senso di "io". Né il corpo insenziente possiede un senso di "io". La misteriosa apparenza di un ego ingannevole esistente tra l'intelligenza e l'insenziente, attualmente causa prima di tutti questi problemi, dopo la sua distruzione per mezzo di qualsiasi causa, che però realmente esista, verrà vista così com'è. Questa è chiamata Liberazione (moksha).

 

* * *

CAPITOLO II

PRATICA (ABHYASA)

1. Che cos'è il metodo di pratica? 
Poiché il Sé di una persona che cerca di raggiungere l'Autorealizzazione non è diverso da lui e poiché non esiste null'altro uguale o superiore a lui che egli possa ottenere, essendo l'Autorealizzazione solo la realizzazione della natura stessa di un ente, il ricercatore della Liberazione realizza, senza dubbi o concetti erronei, la sua vera natura distinguendo l'eterno dal transeunte, e non devia mai dal suo stato naturale. Questa è conosciuta come la pratica della conoscenza. Questa è l'indagine che conduce all'Autorealizzazione.

2. Può questo sentiero di indagine essere seguito da tutti gli aspiranti?
Esso è adatto solo per le anime mature. Gli altri dovranno seguire metodi diversi che si adeguino allo stato della loro mente.

3. Quali sono gli altri metodi? 
Essi sono: (I) stuti, (II) japa, (III) dhyana, (IV) yoga,(V) jnana, ecc.
(I) stuti è cantare le lodi del Signore con un grande sentimento di devozione.
(II) japa è pronunciare i nomi di Dio o i sacri mantra come l'Om o mentalmente o verbalmente. (Mentre si seguono i metodi di stuti e japa la mente sarà qualche volta concentrata (lett. Chiusa) e qualche volta diffusa (lett. aperta). Le bizzarrie della mente non saranno evidenti a coloro che seguono questi metodi).
(III) dhyana significa la ripetizione dei nomi, ecc., mentalmente (japa) con sentimenti di devozione. In questo metodo lo stato della mente sarà compreso facilmente. Poiché la mente non diverrà concentrata e diffusa simultaneamente. Quando qualcuno è in dhyana non è in contatto con gli oggetti dei sensi, e quando è in contatto con gli oggetti non è in dhyana. Quindi coloro che sono in questo stato possono osservare le divagazioni della mente di qua e di là e fermando la mente dal pensare altri pensieri, fissarla in dhyana. Perfezione in dhyana è lo stato di dimorare nel Sé (lett. Dimorare nella forma di "quello" tadakaranilai). Poiché la meditazione funziona alla sorgente della mente in un modo estremamente sottile non è difficile percepire il suo alzarsi ed abbassarsi.
(IV) yoga: La sorgente del respiro è la stessa di quella della mente; perciò l'abbassarsi di uno dei due porta facilmente a quello dell'altro. La pratica di placare la mente attraverso il controllo del respiro (pranayama) è chiamata yoga. Fissando la loro mente sui centri psichici come il sahasrara (lett. Il loto dai mille petali) gli yogi rimangono per tutto il tempo che desiderano senza coscienza dei loro corpi. Per tutto il tempo in cui questo stato continua essi sembrano essere immersi in un qualche tipo di gioia. Ma quando la mente che era divenuta tranquilla emerge (diviene nuovamente attiva) riprende i suoi pensieri mondani. E' quindi necessario allenarla con l'aiuto di pratiche come dhyana, ogni qualvolta che venga esternata. Perverrà così ad uno stato in cui non vi sarà più né abbassarsi né alzarsi.
(V) jnana è l'annichilimento della mente che è stato prodotto per assumere la forma del Sé attraverso la costante pratica di dhyana o dell'indagine (vichara). L'estinzione della mente è lo stato in cui vi è una cessazione di tutti gli sforzi. Coloro che sono stabiliti in questa condizione non devieranno mai dal loro vero stato. I termini "silenzio" (mouna) e inazione si riferiscono soltanto a questo stato.

NOTE:
(1) Tutte le pratiche vengono seguite solo con lo scopo di concentrare la mente. Poiché tutte le attività mentali come il ricordare, il dimenticare, il desiderare, l'odiare, l'accettare, lo scartare, ecc., sono modificazioni della mente, non possono essere il vero stato di un ente. Semplicemente, l'essere privo di modificazioni è la vera natura di ognuno. Quindi il conoscere la verità dell'esistenza di un ente e l'esserla, è noto come la liberazione dalla schiavitù e la distruzione del problema (granthi nasam). Fino a che non si è stabilmente raggiunto lo stato di tranquillità della mente, la pratica della costante sottomissione al Sé e il tenere la mente incontaminata dai vari pensieri, è essenziale per un aspirante.
(2) Sebbene le pratiche per ottenere forza di volontà siano numerose, tutte quante ottengono lo stesso fine. Per questo può essere visto che chiunque concentri la propria mente su un qualsiasi oggetto, rimarrà in definitiva, alla fine di tutti i concetti mentali, meramente come quell'oggetto. Questa è chiamata meditazione di successo (dhyana siddhi). Coloro che seguono il sentiero dell'indagine realizzano che la mente che rimane alla fine dell'indagine è Brahman. Coloro che praticano la meditazione realizzano che la mente che rimane alla fine della meditazione è l'oggetto delle loro meditazioni. Poiché il risultato è il medesimo in entrambi i casi è dovere dell'aspirante praticare continuamente uno dei due di questi metodi fino a che il traguardo non sia raggiunto.

4. Lo stato di "essere in silenzio" è uno stato di sforzo o senza sforzo? 
Non è uno stato di indolenza senza sforzo. Tutte le attività mondane che sono ordinariamente chiamate di sforzo sono compiute con l'aiuto di una porzione della mente e con frequenti pause. Ma l'atto di comunione con il Sé (atma vyavahara) o del rimanere intimamente silenzioso è di intensa attività che è compiuta con la totalità della mente e senza pause.
Maya (illusione o ignoranza) che non può essere distrutta da nessun altro atto viene distrutta completamente da questa intensa attività che è chiamata "silenzio" (mouna).

5. Qual è la natura di maya?
Maya è ciò che ci fa guardare come non esistente al Sé, la Realtà, che è sempre e ovunque presente, onnipervadente e autoilluminante, e come esistenti l'anima individuale (jiva), il mondo (jagat), e Dio (para) che sono stati definitivamente dimostrati essere non esistenti in nessun tempo e luogo.

6. Dato che il Sé brilla in modo completo per sua stessa natura perché generalmente non viene riconosciuto come gli altri oggetti del mondo da tutte le persone? 
Ovunque vengano riconosciuti degli oggetti è il Sé che ha conosciuto se stesso nella forma di quegli oggetti. Per cui ciò che è conosciuto come conoscenza o consapevolezza è soltanto l'evidenza del Sé (atma shakti). Il Sé è il solo oggetto senziente. Non esiste nient'altro al di fuori del Sé. Se esistono simili oggetti essi sono tutti insenzienti e quindi non possono conoscere se stessi o riconoscersi mutualmente uno con l'altro. E' a causa del fatto che il Sé non riconosce la sua vera natura in questo modo che gli sembra di essere immerso e di dibattersi nell'oceano di nascita (e morte) nella forma dell'anima individuale.

7. Sebbene il Signore sia onnipervadente sembra che, a causa di passaggi come "adornandolo attraverso la Sua grazia", egli possa essere conosciuto solo attraverso la Sua grazia. Come può allora l'anima individuale ottenere l'autorealizzazione con i suoi sforzi senza la Grazia del Signore?
Poiché il Signore significa il Sé e poiché Grazia significa la presenza del Signore o rivelazione, non esiste attimo in cui il Signore rimanga inconosciuto. Se la luce del sole è invisibile per il gufo è soltanto colpa di quell'uccello e non del sole. Similarmente può l'inconsapevolezza di persone ignoranti del Sé, che è sempre di natura consapevole, essere altrimenti che colpa loro? Come può essere colpa del Sé? E' a causa del fatto che la Grazia è parte della vera natura del Signore che Egli è ben noto come "la Grazia benedetta". Perciò il Signore, la cui stessa natura è Grazia, non ha bisogno di concedere la Sua Grazia. Né esiste un particolare momento per concedere la Sua Grazia.

8. Quale parte del corpo è dimora del Sé?
Viene generalmente indicato il cuore sulla parte destra del torace. Ciò perché noi abitualmente puntiamo (il dito) sulla parte destra del torace quando ci riferiamo a noi stessi. Qualcuno dice che il sahasrara (il loto dai mille petali) è la dimora del Sé. Ma se questo fosse vero la testa non potrebbe cadere in avanti quando ci viene sonno o sveniamo.

9. Qual è la natura del cuore?
I sacri testi che lo descrivono dicono:
Tra i due seni, sotto il torace e sopra l'addome, vi sono sei organi di diversi colori*. Uno di essi somigliante al bocciolo di un giglio d'acqua e situato due dita sulla destra è il cuore. Esso è rovesciato; all'interno di esso vi è un minuscolo orifizio che è sede di densa oscurità (ignoranza) piena di desideri. Tutti i nervi psichici (nadis) dipendono da esso. E' la sede della forza vitale, della mente e della luce (della coscienza). (vedere Appendice alla Realta in Quaranta Versi 18-19). 

(*Questi non sono la stessa cosa dei cakra.) 

Ma, sebbene sia descritto in questo modo, il significato della parola cuore (hrdayam) è il Sé (atman). Poiché è definito dai termini esistenza, coscienza, beatitudine, eterno e pieno (sat, chit, anandam, nityam, purnam) non possiede differenziazioni come esterno ed interno o alto e basso. Questo tranquillo stato in cui tutti i pensieri giungono al termine è chiamato stato del Sé. Quando viene realizzato come è, non c'è più scopo di discussione sul fatto che sia dentro il corpo o fuori.

10. Perché sorgono nella mente pensieri di molti oggetti anche quando non vi sono contatti con gli oggetti esterni? 
Tutti questi pensieri sono dovuti a tendenze latenti (purva samskaras). Essi appaiono soltanto alla coscienza individuale (jiva) che ha dimenticato la sua vera natura e vengono esternati. In qualunque momento vengono percepiti pensieri particolari, l'indagine "Chi li sta vedendo?" dovrebbe essere fatta; essi allora scompariranno immediatamente.

11. Come possono i tre fattori (conoscitore, conosciuto e conoscenza), che sono assenti nel sonno profondo, samadhi, ecc., manifestarsi nel Sé (nello stato di veglia e sogno)? 
Dal Sé sorgono in successione:

(I) Chidabhasa (coscienza riflessa) che è un tipo di luminosità.
(II) Jiva (coscienza individuale) o il veggente o il primo concetto.
(III) Fenomeni, che è il mondo.

12. Dal momento che il Sé è libero dalle nozioni di conoscenza e ignoranza come può essere che si dica che pervade l'intero corpo nella forma della facoltà di sentire o per impartire facoltà di sentire ai sensi? 
L'uomo saggio dice che vi è una connessione tra la sorgente dei vari nervi psichici ed il Sé, che questa è il nodo del cuore, che la connessione tra il senziente e l'insenziente esisterà fintanto che venga fatta a pezzi con l'aiuto della vera conoscenza, che come la sottile ed invisibile forza dell'elettricità viaggia attraverso i fili e fa molte cose meravigliose, così pure la forza del Sé viaggia attraverso i nervi psichici e, pervadendo l'intero corpo, impartisce facoltà di sentire ai sensi, e che se questo nodo viene tagliato il Sé rimarrà come è sempre stato, senza alcun attributo.

13. Come può esistere una connessione tra il Sé che è pura conoscenza e i tre fattori che sono conoscenza relativa?
Questo avviene, in poche parole, come nel processo cinematografico come mostrato di seguito:


Spettacolo cinematografico. --> Sé.

1. La lampadina dentro la macchina da presa. --> 1. Il Sé.

2. La lente di fronte alla lampadina. --> 2. La mente pura (sattvica) vicino al Sé.

3. Il film che è una lunga serie di fotogrammi. --> 3. La corrente di tendenze latenti fatta di pensieri sottili.

4. Le lenti, la luce che passa attraverso esse e la lampadina, che insieme formano la luce focalizzata. --> 4. La mente, l'illuminazione di essa ed il Sé, che insieme formano il veggente o il jiva.

5. La luce che passa attraverso le lenti e che cade sullo schermo. --> 5. La luce del Sé che emerge dalla mente attraverso i sensi e che cade sul mondo.

6. I vari tipi di immagini che appaiono nella luce dello schermo. --> 6. Le varie forme e nomi che appaiono come oggetti percepiti nella luce del mondo

7. Il meccanismo che mette il film in moto. --> 7. La legge divina che manifesta le tendenze latenti della mente.


Così come le immagini appaiono sullo schermo per tutto il tempo in cui il film getta ombre attraverso le lenti, allo stesso modo il mondo fenomenico continuerà ad apparire all'individuo nello stato di veglia e di sonno per tutto il tempo in cui vi siano impressioni mentali latenti. Così come le lenti ingrandiscono il minuscolo punto sul film in un enorme formato e come un numero di immagini viene mostrato in un secondo, così la mente ingrandisce le tendenze simili a germogli in pensieri simili ad alberi e mostra in un secondo innumerevoli mondi. E ancora, così come vi è solo una lampadina quando non c'è il film, così soltanto il Sé splende senza i tre fattori quando i concetti mentali in forma di tendenze sono assenti nello stato di sonno profondo, svenimento e samadhi. Così come la lampada illumina le lenti, ecc. pur rimanendo intoccata, il Sé illumina l'ego (chidabhasa), ecc. pur restando intoccato.

14. Che cos'è dhyana (meditazione)? 
E' dimorare nel Sé senza deviare in nessun modo dalla propria reale natura e senza la sensazione che uno stia meditando. Poiché un ente non è minimamente cosciente dei differenti stati (risveglio, sogno, ecc.) in questa condizione, il sonno (rilevante) qui è anche considerato come dhyana.

15. Qual è la differenza tra dhyana e samadhi?
Dhyana è ottenuta attraverso un deliberato sforzo mentale; nel samadhi non vi è alcun tipo di sforzo.

16. Quali sono i fattori da tenere sempre presenti in dhyana?
E' importante per colui che è stabilito nel suo Sé (atma nista) rendersi conto che non deve minimamente deviare da questo assorbimento. Deviando infatti dalla sua vera natura egli può vedere davanti a sé chiare luminescenze, ecc. o sentire suoni (inusuali) o guardare come reale la visione degli dei che appaiono dentro o fuori di sé. Egli non dovrebbe lasciarsi ingannare da tutto ciò e dimenticare se stesso.

NOTE:
(I) Se i momenti che vengono sprecati nel pensare agli oggetti che non sono il Sé, venissero spesi nell'indagare il Sé, l'autorealizzazione verrebbe ottenuta in un tempo molto breve.
(II) Fintanto che la mente non venga stabilizzata in se stessa qualche tipo di bhavana (contemplazione di un dio o di una dea personificata con emozione profonda e sentimento di religiosità) è essenziale. Altrimenti la mente verrà frequentemente assalita da pensieri ribelli o dal sonno.
(III) Senza spendere tutto il tempo nel praticare bhavanas come "Io sono Shiva" o "Io sono Brahman", che sono visti come nirgunopasana (contemplazione del Brahman senza attributi), il metodo di indagine in se stessi dovrebbe essere praticato non appena la forza mentale che è il risultato di questo upasana (contemplazione) non sia stato ottenuto.
(IV) L'eccellenza della pratica sta nel non dare spazio neppure ad un singolo concetto (vritti). 

17. Quali sono le regole di condotta che un aspirante (sadhaka) dovrebbe seguire?
Moderation in food, moderation in sleep and moderation in speech.

18. Per quanto tempo si dovrebbe praticare? 
Fintanto che la mente non abbia ottenuto facilmente il suo naturale stato di libertà dai concetti, che è quando il senso di "io" e "mio" non esistono più.

19. Qual è il significato del vivere in solitudine (ekanta vasa)?
Poiché il Sé è onnipervadente non possiede un particolare luogo per la solitudine. Lo stato di essere libero dai concetti mentali è chiamato "vivere in solitudine".

20. Qual è il segno della saggezza (viveka)? 
La sua bellezza risiede nel rimanere libero dalla delusione dopo aver realizzato la verità per una volta. C'è paura soltanto in colui che vede una qualche minima differenza nel Supremo Brahman. Fintanto che esiste l'idea che il corpo sia il Sé nessuno può essere un realizzatore della verità per quanto sia forte.

21. Se ogni cosa avviene in accordo con il karma (prarabdha: il risultato delle azioni passate) come può uno superare gli ostacoli della meditazione (dhyana)?
Prarabdha riguarda solo la mente rivolta all'esterno, non la mente rivolta all'interno. Colui che ricerca il suo vero Sé non dovrà temere alcun ostacolo.

22. L'ascetismo (sanyasa) è una delle condizioni essenziali per una persona per divenire stabilito nel Sé (atma nista)? 
Lo sforzo che uno compie per liberarsi dall'attaccamento al corpo è veramente rivolto verso il dimorare nel Sé. Soltanto la maturità di pensiero e di indagine rimuove l'attaccamento al corpo, non i luoghi per vivere (asramas), come studente (brahmachari), ecc. Perchè l'attaccamento è nella mente mentre i luoghi riguardano il corpo. Come possono luoghi corporei rimuovere l'attaccamento nella mente? Dato che la maturità di pensiero e di indagine riguardano la mente questa soltanto può, indagando sulla parte della stessa mente, rimuovere gli attaccamenti che si sono insinuati in essa attraverso la sconsideratezza. Ma, poiché la disciplina dell'ascetismo (sanyasasrama) è il mezzo per ottenere distacco (vairagya), e poiché il distacco è il mezzo per l'indagine, l'entrare a far parte di un ordine di asceti può essere visto, insomma, come un mezzo per indagare attraverso il distacco. Piuttosto che sprecare la sua vita entrando nell'ordine degli asceti prima che sia pronto, è meglio che uno viva la vita del capofamiglia. Al fine di fissare la mente nel Sé che è la sua vera natura è necessario separarla dalla famiglia delle fantasie (sampkalpas) e dei dubbi (vikalpas), questo significa rinunciare alla famiglia (samsara) nella mente. Questo è il vero ascetismo.

23. E' un ordine stabilito che fintanto che vi sia la minima idea di io-sono-l'agente, non possa essere ottenuta l'Autoconoscenza, ma è possibile per un aspirante che sia capofamiglia svolgere bene i propri doveri senza questo senso? 
Dato che non c'è alcuna regola per cui l'azione debba dipendere da un senso di essere l'agente è inutile dubitare se ogni azione verrà fatta senza un agente o un atto del fare. Sebbene un ufficiale di una tesoreria di stato possa sembrare, agli occhi degli altri, che stia svolgendo il suo dovere attentamente e responsabilmente per tutto il giorno, egli starà facendo il suo dovere senza attaccamento, pensando "io non ho una reale connessione con tutto questo denaro" e senza un senso di confusione nella mente. Allo stesso modo un saggio capofamiglia può pure svolgere senza attaccamento i vari doveri familiari che ricadono sul suo destino in accordo con il suo karma passato, come uno strumento nelle mani di un altro. Azione e conoscenza non sono ostacoli l'una per l'altra.

24. Di che utilità è per la sua famiglia un saggio capofamiglia che è disinteressato ai comfort del corpo e di che utilità è la sua famiglia per lui? 
Sebbene egli sia completamente disinteressato ai comfort del corpo, se, essendo in debito con il suo karma passato, la sua famiglia deve sopravvivere attraverso i suoi sforzi, egli deve essere visto come un prestatore di servizi agli altri. Se viene chiesto se l'uomo saggio deriva qualche beneficio dal disbrigo dei doveri domestici, può essere risposto che, poiché egli ha già ottenuto lo stato di completa soddisfazione che è la somma di tutti i benefici e il supremo bene per tutti, egli non si aspetterà di guadagnare niente di più dal compimento dei doveri domestici.

25. Come possono essere ottenuti la cessazione dell'attività (nivritti) e la pace della mente nel mezzo dei doveri domestici che sono per natura di costante attività?
Poiché l'attività dell'uomo saggio esiste solo agli occhi degli altri e non ai suoi, benché egli possa compiere imprese immani, in realtà non compirà nulla. Dunque le sue attività non si associano al percorso dell'inattività e della pace della mente. Poiché egli conosce la verità che tutte le attività hanno luogo alla sua sola presenza e che egli non compie nulla. Perciò egli rimarrà il silenzioso testimone di tutte le attività che avranno luogo.

26. Così come il karma passato del Saggio è la causa delle sue attuali attività non potranno le impressioni (vasanas) causate dalle sue presenti attività attaccarglisi in futuro?
Solo colui che è libero dalle tendenze (vasanas) latenti è un Saggio. Essendo ciò allora come possono le tendenze del karma affliggere colui che è completamente intoccato dall'attività?

27. Qual è il significato di brahmacharya? 
Solo l'indagine nel Brahman potrebbe essere chiamata brahmacharya.

28. La pratica del brahmacharya che viene seguita in conformità con i (quattro) ordini di vita (asramas) sarà un segno di conoscenza? 
Poiché i vari segni di conoscenza, come il controllo dei sensi, ecc., sono inclusi nel brahmacharya le pratiche virtuose debitamente seguite da coloro che appartengono all'ordine degli studenti (brahmacharins) sono molto di aiuto per il loro miglioramento.

29. Può una persona entrare direttamente nell'ordine degli asceti (sanyasa) dall'ordine degli studenti?
Coloro che sono adatti non desiderano entrare formalmente nell'ordine dei brahmacharya, ecc., nell'ordine costituito. Uno che ha realizzato il suo Sé non distingue tra i vari ordini di vita. Quindi nessun ordine di vita lo aiuta o lo ostacola.

30. Un aspirante (sadhaka) può perdere tutto non osservando le regole di casta e degli ordini di vita?
Poiché il raggiungimento (anusthana, lett. pratica) della conoscenza è il supremo fine di tutte le pratiche, non vi è regola che uno che rimane in un qualche ordine di vita e costantemente acquisisce conoscenza sia obbligato a seguire le regole costituite per quel dato ordine di vita. Se egli segue le regole di casta e dell'ordine di vita lo fa per il bene del mondo. Egli non deriva alcun beneficio dall'osservare le regole. Né perde qualcosa nel non osservarle.

 

* * *

CAPITOLO III

ESPERIENZA (ANUBHAVA)

1. Che cos'è la luce della coscienza? 
E' l'autoilluminante esistenza-coscienza che rivela al veggente il mondo dei nomi e delle forme entrambi interni ed esterni. L'esistenza di questa esistenza-coscienza può essere intuita dagli oggetti illuminati da essa. Non deve divenire obbiettivo della coscienza.

2. Che cos'è conoscenza (vijnana)? 
E' il tranquillo stato di esistenza-coscienza che è sperimentato dall'aspirante e che è come l'oceano senza onde o l'etere immobile.

3. Che cos'è beatitudine? 
E' l'esperienza di gioia (o pace) nello stato di vijnana libero da ogni attività e simile al sonno profondo. Questo è anche chiamato lo stato di kevala nirvikalpa (il rimanere senza concetti).

4. Qual è lo stato oltre la beatitudine? 
E' lo stato dell'incessante pace della mente che viene trovato nello stato di assoluta quiescenza, jagrat sushupti (lett. sonno con consapevolezza) che sembra inattivo sonno profondo. In questo stato, a dispetto dell'attività del corpo e dei sensi, non vi è consapevolezza esterna, come un bambino immerso nel sonno* (che non è cosciente del cibo datogli dalla madre). Uno yogi che è in questo stato è inattivo anche quando è intento ad una attività. Questo è anche chiamato sahaja nirvikalpa samadhi (stato naturale di assorbimento nel sé senza concetti).

*Gli atti dei bambini dormienti come il mangiare ed il bere sono atti solo agli occhi degli altri e non ai loro. Essi quindi non compiono realmente questi atti a dispetto del loro apparente compierli.

5. Qual è l'autorità per dire che gli interi mondi del movimento e della assenza di movimento dipendono dal sé?
Sé significa l'incarnazione dell'essere. E' solo dopo che l'energia, che era latente nello stato di sonno profondo, emerge con l'idea di "io" che tutti gli oggetti sono sperimentati. Il Sé è presente in tutte le percezioni come il percipiente. Non esistono oggetti che possano essere visti quando l' "io" è assente. Per tutte queste ragioni può essere indubitabilmente detto che ogni cosa proviene dal Sé e ritorna al Sé.

6. Dato che i corpi e i sé che li animano sono attualmente ovunque osservati essere innumerevoli come può essere detto che il Sé è soltanto uno? 
Se viene accettata l'idea "io sono il corpo"*, i sé sono molteplici. Lo stato in cui questa idea scompare è il Sé dal momento che non esistono altri oggetti in quello stato. E' per questo motivo che il Sé e visto come uno soltanto.

*L'idea che uno sia il suo corpo è ciò che è chiamato hrdaya-granthi (nodo del cuore). Tra i vari nodi questo nodo, che lega insieme ciò che è cosciente con ciò che è insenziente, è quello che causa schiavitù. 

7. Qual è l'autorità per dire che il Brahman può essere compreso dalla mente e che allo stesso tempo non può essere compreso dalla mente? 
Non può essere compreso dalla mente impura, ma può essere compreso dalla mente pura.

8. Qual è la mente pura e quale quella impura? 
Quando l'indefinibile potere di Brahman separa se stesso da Brahman e, unito al riflesso della coscienza (chidabhasa) assume varie forme, è chiamato la mente impura. Quando diviene libero dal riflesso della coscienza (abhasa), attraverso la discriminazione, è chiamato la mente pura. Il suo stato di unione con il Brahman è la sua percezione di Brahman. L'energia che si accompagna al riflesso della coscienza è chiamato la mente impura ed il suo stato di separazione da Brahman è la sua non-percezione di Brahman.

9. E' possibile vincere, anche mentre il corpo esiste, il karma (prarabdha) che è detto durare sino alla fine del corpo? 
Sì. Se l'agente su cui pende il karma, vale a dire l'ego, che è venuto in esistenza tra il corpo ed il Sé, si immerge nella sua sorgente e perde la sua forma, sopravvivrà il karma che dipende da quello soltanto? Quindi quando non c'è "io" non c'è neppure karma.

10. Poiché il Sé è esistenza e coscienza, qual è la ragione per descriverlo come diverso dall'esistente e dal non-esistente, dal senziente e dall'insenziente?
Sebbene il Sé sia reale, poiché comprende ogni cosa, non lascia spazio alle questioni che comportano dualità sulla sua realtà o irrealtà. Quindi è detto essere diverso dal reale e dall'irreale. Allo stesso modo, anche se esso è coscienza, dal momento che non vi è nulla che debba conoscere o fare conoscere a se stesso, viene detto essere diverso dal senziente e dall'insenziente.

* * *

CAPITOLO IV

CONSEGUIMENTO (ARUDHA)

1. Qual è lo stato di conseguimento della conoscenza? 
E' il dimorare fermo e senza sforzo nel Sé in cui la mente che è divenuta uno con il Sé non emerge ancora in seguito mai più. Questo è, così come ognuno si rende conto abitualmente e naturalmente che, "io non sono una capra né una mucca né alcun altro animale ma un uomo", quando pensa al suo corpo, così anche quando si rende conto che "io non sono i principi (tatwas) che cominciano con il corpo e finiscono con il suono (nada), ma il Sé che è esistenza, coscienza e beatitudine", l'innata autocoscienza (atmaprajna), egli è detto aver conseguito una ferma conoscenza.

2. A quale dei sette stadi di conoscenza (jnana-bhoomikas) appartiene il saggio? 
Egli appartiene al quarto stadio.

3. Se è così perché esistono tre stadi che possono essere distinti superiori ad esso? 
I segni degli stadi da quattro a sette sono basati sull'esperienza della persona realizzata (jivanmukta). Essi non sono stadi di conoscenza e di realizzazione. Fino a che conoscenza e realizzazione hanno influenza non vi è alcuna distinzione qualsiasi cosa sia fatta in questi quattro stadi.
I sette jnana bhoomikas sono:

1. subheccha (desiderio d’illuminazione)
2. vicharana (indagine)
3. tanumanasa (mente tenue)
4. satvapatti (autorealizzazione)
5. asamśakti (non attaccamento)
6. padarthabhavana (non percezione degli oggetti)
7. turyaga (trascendenza)

Coloro che hanno conseguito i quattro ultimi bhoomikas sono detti brahmavit, brahmavidvara, brahmavidvariya e brahmavid varistha rispettivamente.

4. Dato che la liberazione è comune a tutti, perché soltanto il varistha (lett. il più eccellente) è lodato eccessivamente?
Fino a che la comune esperienza di beatitudine del varistha ha influenza egli è lodato solo a causa degli speciali meriti acquisiti nelle sue vite precedenti che sono la causa di ciò.

5. Poiché non esiste nessuno che non desideri sperimentare una costante beatitudine qual è la ragione per cui non a tutti i saggi riesce di conseguire lo stato di varistha?
Non può essere ottenuto dal puro desiderio o dallo sforzo. Il karma (prarabdha) è la sua causa. Poiché l'ego muore insieme alle sue cause già nei quattro stadi (bhoomika), quale agente rimane oltre quel livello per desiderare qualcosa o fare sforzi? Fino a che compiranno sforzi non saranno saggi (jnanis). Forse che le sacre scritture (sruti) con una menzione speciale per il varistha dicono che gli altri tre sono persone non illuminate?

6. Dato che qualche testo sacro dice che lo stato supremo è quello in cui gli organi dei sensi e la mente sono completamente distrutti, come può quello stato essere compatibile con l'esperienza del corpo e dei sensi? 
Se ciò è avvenuto non dovrebbero più esserci differenze tra quello stato e lo stato di sonno profondo. Inoltre come si può dire che sia lo stato naturale quando esiste una volta e l'altra no? Ciò accade a qualche persona, come si è detto prima, in accordo con il suo karma (prarabdha) per qualche tempo o sino alla morte. Non può essere visto esattamente come lo stato finale. Se così fosse ciò significherebbe che tutte le grandi anime ed il Signore, che sono stati gli autori dei lavori Vedantici (jnana granthas) e dei Veda, sono stati persone non illuminate. Se lo stato supremo è quello in cui né i sensi né la mente esistono e neppure lo stato in cui essi esistono come potrebbe essere lo stato perfetto (paripurnam)? Poiché soltanto il karma è responsabile dell'attività o dell'inattività dei saggi, le grandi anime hanno decretato essere lo stato ultimo soltanto quello di sahaja nirvikalpa (lo stato naturale senza concetti).

7. Qual è la differenza tra sonno ordinario e sonno cosciente (jagrat sushupti)? 
Nel sonno ordinario non solo non vi sono pensieri, ma neppure consapevolezza. Nel sonno cosciente c'è soltanto consapevolezza. Questo è il motivo per cui è chiamato cosciente sebbene dormiente, questo è il sonno in cui c'è consapevolezza.

8. Perchè il Sé è descritto in entrambi i modi, come quarto stato e come oltre il quarto stato (turiyatita)? 
Turiya significa che quello è il quarto. Gli sperimentatori (jivas) dei tre stati di veglia, sogno e sonno profondo, conosciuti come visva, taijasa e prajna, che vagano in successione in questi tre stati, non sono il Sé. E’ con l'obbiettivo di rendere ciò chiaro, vale ad dire che il Sé è ciò che è diverso da essi e che è testimone di quegli stati, che esso è chiamato il quarto (turiya). Quando questo viene compreso i tre sperimentatori scompaiono e l'idea che il Sé è il testimone, che è il quarto, pure scompare. Questo è il motivo per cui il Sé viene descritto come oltre il quarto (turiyatita).

9. Qual è il beneficio derivato al saggio dalle sacre scritture (srutis)? 
Per il saggio che è l'incarnazione delle verità menzionate nelle scritture esse non hanno utilizzo.

10. Vi è qualche connessione tra il conseguimento dei poteri supernaturali (siddhis) e la Liberazione (mukti)? 
Soltanto l'indagine illuminata conduce alla Liberazione. I poteri supernaturali sono tutti apparenze illusorie create dal potere di maya (mayashakti). L'autorealizzazione che è permanente è il solo vero talento (siddhi). I talenti che appaiono e scompaiono, essendo effetti di maya, non possono essere reali. Essi sono compiuti con l'obbiettivo di raggiungere fama, piaceri, ecc. Essi compaiono spontanei in qualche persona grazie al loro karma. Sappi che l'unione con il Brahman è lo scopo reale di tutti i talenti. Questo è anche lo stato di Liberazione (aikya mukti) conosciuto come unione (sayujya).

11. Se questa è la natura della Liberazione (moksha) perché alcune scritture la collegano con il corpo e dicono che l'anima individuale può ottenere la Liberazione solo quando non ha lasciato il corpo? 
E’ soltanto se la schiavitù è reale che la Liberazione e la natura delle sue esperienze devono essere considerate. Fino a che il Sé (Purusha) ha influenza non vi è realmente schiavitù in nessuno dei quattro stati. Poiché la schiavitù è puramente un assunto verbale che si accorda con l'enfatica proclamazione del sistema Vedantico, come può la Liberazione, che dipende dalla questione della schiavitù, sorgere quando non vi è schiavitù? Senza conoscere questa verità, indagare sulla natura della schiavitù e della Liberazione, è come indagare sull'altezza, colore, ecc., del figlio di una donna sterile o sulle corna di una pecora.

12. Se è così, le descrizioni della schiavitù e della liberazione nelle scritture non diventano irrilevanti e false? 
No, non lo fanno. Al contrario, la delusione della schiavitù costruita dall'ignoranza da tempo immemorabile può essere rimossa solo dalla conoscenza, e per questo motivo il termine "Liberazione" (mukti) è stato abitualmente accettato. Questo è tutto. Il fatto che le caratteristiche della Liberazione siano descritte in modi differenti prova che esse sono immaginarie.

13. Se è così, tutti gli sforzi come lo studio (lett. l'ascoltare), la riflessione, ecc., non sono senza scopo?
No, non lo sono. La ferma convinzione che non vi sono né la schiavitù né la liberazione è lo scopo supremo di tutti gli sforzi. Poiché questo scopo di vedere arditamente, attraverso l'esperienza diretta, che schiavitù e liberazione non esistono, non può essere ottenuto eccetto che con l'aiuto delle suddette pratiche, questi sforzi sono utili.

14. Esiste qualche autorità per dire che schiavitù e liberazione non esistono? 
Questo è indotto dalla forza dell'esperienza e non solamente sulla forza delle scritture.

15. Se è sperimentato come è sperimentato? 
"Schiavitù" e "Liberazione" sono meri termini linguistici. Essi non hanno realtà di per se stessi. Poiché non possono funzionare spontaneamente, è necessario accettare l'esistenza di un qualche pensiero di base di cui essi siano la modificazione. Se uno indaga, "per chi sono schiavitù e Liberazione?" verrà visto che, "sono per me". Se uno indaga, "chi sono io?", egli vedrà che non esiste un pensiero come l'"io". Sarà allora così chiaro come un frutto di amalaka nella mano di uno che ciò che rimane è l'essere reale di costui. Poiché questa verità sarà naturalmente e chiaramente sperimentata da coloro che lasciano da parte le mere discussioni verbali e indagano su loro stessi intimamente, non vi è dubbio che tutte le persone realizzate uniformemente non vedranno né schiavitù né Liberazione fino a che il Sé avrà influenza.

16. Se veramente non esistono né schiavitù né Liberazione qual è la ragione per l'attuale esperienza di gioie e dolori?
Essi sembrano essere reali solo quando uno si allontana dalla sua reale natura. Essi non esistono realmente.

17. E' possibile per chiunque conoscere direttamente senza dubbio che cosa sia la vera natura individuale? 
Indubitabilmente è possibile.

18. Come? 
E’ l'esperienza di chiunque che anche negli stati di sonno profondo, svenimento, ecc., quando l'intero universo, in movimento e stazionario, cominciando dalla terra e finendo con l'immanifesto (Prakriti), scompare, egli non scompare. Quindi lo stato di puro essere che è comune a tutti e che è sempre sperimentato direttamente da ognuno è la vera natura individuale. La conclusione è che le esperienze nello stato illuminato così come in quello ignorante, che possono essere descritte nuovamente e con nuove parole, sono opposte alla reale natura individuale.

 

* * *

Possa questo libro che è composto dalle parole dell'esperienza, che è fiorito dal cuore di loto del Bhagavan Sri Ramana Maharshi, brillare come una lampada di vera conoscenza per illuminare proprio le menti di coloro che hanno rinunciato (al mondo).

* * *

Benedizioni

Possa il mondo essere benedetto a lungo dai piedi del Guru Ramana che dimora come quel silente principio che assorbe tutti noi e rimane se stesso come la radice dei tre principi (anima, mondo e Isvara).

* * *

fonte

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