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vedanta.it

Sull'Amore - I

 

Bodhananda- Sull'Amore

«Se per insegnare l'amore bastasse qualche parola o anche intere lezioni o mille libri, tutti saremmo colmi d'amore.

L'amore non è un qualcosa che si può insegnare, forse lo si può apprendere, ma non certo studiando o da altri. 

Nè basta vivere accanto a qualcuno che ci ama. 

Nè basta vivere vicino a chi vive l'amore.

L'amore è un’apprensione che passa o attraverso la conoscenza, o attraverso la donazione di sé. 

Purtroppo non è una teoria che si può applicare. 

Amare un altro essere significa andare al di là della simpatia e antipatia, del giudizio, delle opinioni e di ogni altro possibile aspetto mentale, emotivo e istintuale. 

Per amare un qualsiasi altro essere occorre o amare l'Ideale divino al punto da vedere ogni essere come Lui stesso (e quindi anche noi stessi), quindi annullando ogni nostro aspetto individuato, ogni presunzione di scelta e selezione; oppure conoscere sé stessi al punto da avere integrato ogni aspetto individuale e quindi riconoscere ogni altro essere della nostra  stessa sostanza, noncuranti degli aspetti individuati dell'altro, che poi non sono altro che gli stessi che in noi reagiscono all'altro. 

L'Amore è incondizionato e proprio per questo non può essere nè insegnato, nè appreso, ma solo vissuto sulla propria pelle, perché è la nostra natura, una volta caduti i veli che coprono la nostra essenza. 

È l'Amore incondizionato quello che permette ad un essere come Sai Baba (prendendo una figura cara ad alcuni degli astanti) di chiamare a colloquio persone che, dal punto di vista umano, sarebbero da allontanare. 

È l'Amore incondizionato che permetteva al Cristo di accompagnarsi a prostitute e persone escluse dalla società. 

È l'Amore incondizionato che permette a certi genitori di accettare i figli, comunque essi nascano». 

 

Dialoghi.

D. Potresti approfondire un po’ il concetto di amore "familiare", per favore.

R. Spesso l'amore per un figlio è amore per ciò che è "mio", altre volte è amore per ciò che non ho realizzato e che spero mio figlio porti a compimento. Mettiamola così: l'amore non può essere condizionato... ossia non posso amare uno e non amare altri. Se amo veramente mio figlio, amerò tutti i figli del mondo, anche non miei. Se amo condizionato dal fatto che sia "mio" padre, madre, figlio, fratello, amico... non è amore, è semplice attaccamento a ciò che sento "mio".

Una volta, anni fa, scrisse una persona disperata perché era stata lasciata da una partner di cui era innamoratissimo. Qualcuno gli rispose che se l'avesse veramente amata, per quanto dolore sentiva per il distacco, avrebbe dovuto provare gioia. Infatti, avrebbe forse preferito che fosse stato l'altro partner a provare quel dolore?

Un assurdo nell'amore profano è quello che fa sì che amiamo solo ciò che è nostro solo quando è nostro.

Se x ama y, e y se ne va, se ne va perché è più felice andandosene (di solito), ma se x ama y, allora x dovrebbe essere felice della gioia di y, e non disperarsi perché gli manca y.

D. Adesso mi chiedo, occorre amare incondizionatamente sé stessi prima di realizzare quanto hai descritto?

R. Sì, ma affinchè ciò avvenga dovresti perdere ogni condizionamento, ossia ogni attributo individuale.

D. Se Dio è dentro di noi, se noi siamo Dio, dobbiamo farlo con noi stessi innanzitutto?

R. Disse: Ama il prossimo tuo "come te stesso".

D.Se così deve essere, non sussiste il problema

R. Infatti non sussiste, dicono.

D. Non ci saranno forme di attaccamento a ciò che sentiamo nostro e che in quanto tale non vogliamo perdere?

R. Col termine Dio si intende la Realtà Assoluta, immutabile, senza causa. Essa come può possedere altro da sé?

D. È evidente che l'amore incondizionato di cui stiamo parlando, non può conoscere confini e non può escludere noi stessi. Il comandamento del Cristo dovrebbe forse essere riletto in questa luce. Un'interpretazione "advaita" potrebbe essere: perché è te stesso, intendendo la caduta di ogni confine tra noi e gli altri.

R. Mettiamola così... Chi può dire di amarsi sul serio?Quel "come te stesso" è terribile.  Si parlava del "come te stesso". Chi si ama veramente? 

Non certo chi vuole migliorare, chi desidera la realizzazione, Dio, etc. Se desideri altro significa che per come sei non ti vai bene, quindi non ti ami.Tutto qui.

Per amare devi amarti, per amarti... occorre che tu ti conosca.Tutto qui.

 

Amore incondizionato

D. Ti pregherei di parlarmi ancora dell'amore incondizionato, di Dio inteso come Realtà assoluta. Mi faresti un gran dono, a me che ancora tante, troppe cose non conosco e ho difficoltà a capire.

R. Dell'amore incondizionato è difficile parlare perché dal punto di vista profano non lo chiameremmo certo amore, scevro com'è da emotività e passioni.Alcuni lo vedono come una forma di egoismo, è quel distacco che taluni confondono con indifferenza.Spesso l'amore incondizionato è tale che non è facilmente accettato. Si sono conosciute e si conoscono alcuni enti che vivono l'amore incondizionato. Di alcuni diremmo che sono insensibili, di altri quasi dei cafoni, di altri potremmo parlare di spietatezza. Sono persone che sono quello che sono, che non si curano di apparire diverse, migliori, etc.

Possono passare accanto ad un moribondo senza nemmeno girarsi...Non si curano del fenomenico, se non quando questi ha a che fare col "dharma" per il quale hanno mantenuto il corpo vivente. 

Si espone questo punto di vista per significare che non bisogna mitizzare quanto non si conosce.Un Essere che viva l'amore incondizionato non possiamo più dirlo umano, ma divino. Solo non dimentichiamo che in occidente abbiamo un concetto del Divino molto romantico: il Cristo che muore in croce per i peccati del mondo (concetto introdotto a posteriori), il Cristo che perdona perché non sanno quello che fanno (perché dirlo, se tanto non sanno e non capiscono?), dimenticando [invece] il Cristo che maledice il fico, che distrugge il mercato del tempio, il Cristo che ignora madre e fratelli...

Se parliamo di Realtà assoluta è una cosa, se la vestiamo con gli antropomorfismi (Dio Persona, Dio Padre) e ad essi appigliamo la mente, allora abbiamo bisogno di creare ideologicamente il "nemico", l'alter ego, ossia il Maligno e non certo quel "demone" che altro non è stato che uno dei termini con cui si indicava il proprio sé e quindi Dio stesso.

Nella tradizione indiana non esiste un Dio del male, possono esistere in alcuni culti che si appoggiano ai Purana degli essere malefici chiamati asura, ma che sono divini essi stessi, quasi perfetti (inizialmente erano proprio delle divinità, dal punto vista storico). È Dio stesso il punitore, è Shiva il distruttore. Ma altresì lo troviamo nella Bibbia, egli è il Dio degli Eserciti.  

D. Esempio bellissimo che condivido appieno...ma questo non risponde alla domanda iniziale: «Come può un essere perfetto, che è pura coscienza ed ha una conoscenza assoluta (non differente da Dio) scambiare una corda per un serpente anche solo per la breve durata di una vita umana?». Ripeto il mio dubbio: che noi sino ad ora non siamo mai stati perfetti? Allora mi viene il ragionevole dubbio che la perfezione sia una cosa che si deve raggiungere e che, ovviamente, non abbiamo mai avuto. 

R. Per rispondere a quanto viene sollevato occorrerebbe intendersi sul linguaggio... ossia cosa si intende con Dio? Intendendo Dio come l'Assoluto, o quanto viene indicato come Brahman o Realtà Assoluta, essendo l'Essere o Pura Realtà identico a Esso, allora mai viene meno lo stato di consapevolezza-coscienza, quindi non solo non vede la corda, ma nemmeno il serpente essendo, entrambi, in ogni caso fenomeni. In realtà, osservandosi, ci si rende conto che quella conoscenza di cui parli non è mai venuta meno, nè viene meno. Semplicemente si preferisce sovrapporgli il mondo fenomenico e poi si attenziona solo quest'ultimo. 

Ci si permette di riportare un passo preso da un libro che abbiamo pubblicato:

«L’affermazione “io sono qualcosa” determina un soggetto e un predicato che, nonostante la separazione della copula, vengono considerati uniti dalla mente che alla fine si focalizza solo sul predicato. Affermare “io sono qualcosa”, sposta l’attenzione dal soggetto-testimone (l’io sono) verso l’oggetto-attributo. L’“io sono”, puro Essere o Atman, è una conoscenza diretta o consapevolezza; l’“essere qualcosa” non è nè una percezione, nè tanto più una conoscenza diretta. 

Prendiamo come esempio la più generale delle affermazioni: “Io sono un uomo”, la percezione richiede una differenza tra chi percepisce e ciò che viene percepito; quindi non si tratta di percezione perché non si può percepire ciò che si è; nè è una conoscenza diretta, perché prima necessita delle definizioni polari di uomo e donna.» [brano tratto da: Satya Sai Baba e il Vedanta Advaita di Prema Dharma Edizioni I Pitagorici, pag. 122]  

D. Quindi la conoscenza non è venuta meno, solo gli si è sovrapposta una conoscenza del fenomenico che non è diretta, ma indiretta. 

R. Chiamano realizzazione proprio il prendere nuovamente coscienza dell'essere.


Amore e indifferenza.

«L'amore è incondizionato, libero di desideri (anche voler amare o servire è un desiderio), libero da passioni che condizionano.

….Poi dicono che non si può amare il prossimo se non si ama prima se stessi.

Se non amo me stesso, vorrei cambiare ciò che credo di essere.

Se non sono disposto ad accettare me stesso per ciò che sono, come potrei mai amare incondizionatamente gli altri? Crederò di amarli sin quando essi risponderanno alle mie idee di come sono o alle mie aspettative.

Ma se mostrassero mai i "difetti" che vedo in me, come potrò amarli, io che non amo in me i medesimi difetti?».

 

Dialogo. 

D. Dici: «L'amore è incondizionato, libero di desideri (anche voler amare o servire è un desiderio), libero da passioni che condizionano». Perciò ti domando: «Qual'è la differenza tra l'amore (senza desideri) che hai descritto e l'indifferenza?» 

R. Nell'indifferenza sei indifferente. Nell'amore incondizionato non sei indifferente. 

D. Ma la differenza tra i due casi qual'è? Qual'è la differenza tra il comportamento di chi è indifferente e chi ama senza desideri e senza che quell'amore susciti in lui il desiderio di agire verso la  persona amata? 

R. L'indifferente, se la persona chiede, rimane indifferente. L'amante non condizionato essendo uno con l'amato, agisce quando si necessita l'azione, prima ancora che venga chiesto, ma non agisce mosso dal suo concetto di meglio per l'amato (perché il meglio è soggettivo). Poi dicono che non si può amare il prossimo se non si ama prima se stessi. Se non amo me stesso, vorrei cambiare ciò che credo di essere.

D. Cioè, uno che non ama sé stesso potrebbe essere interessato a migliorarsi?

R. A migliorare tutto ciò che non vede rispondente alla sua  interpretazione di bene o bello.

D.  Ma se noi togliamo ad un individuo la sua interpretazione di bene o di bello, cosa gli rimane? Cosa  potrebbe differenziarlo da un qualunquista o da un vegetale? Come credi che si comporterebbe una tale persona di fronte ad un crimine se non avesse la capacita di discernere il bene dal male? 

R. Durante il crimine, se fosse armonico il suo intervento, interverrebbe. Dopo il crimine, non essendo più esistente, ma passato, comprenderebbe. Ma anche questo è relativo. Non possiamo affermare a priori un comportamento. Il concetto di bene e male, è troppo legato alla legge morale che varia in funzione delle coordinate spazio-temporali. Cosa è il crimine? Ciò che va contro le leggi dell'uomo? Ci sono le leggi dell'uomo per punire. Ciò che va contro le leggi di Dio? E chi si può arrogare il diritto di cosa è legge divina e cosa no? Chi le interpreterebbe e applicherebbe? Ricominceremmo con i roghi per le streghe. Possiamo discutere delle leggi dell'uomo, e abbiamo già avuto un Maestro, il Cristo, che è stato molto chiaro. Se non sono disposto ad accettare me stesso per ciò che sono, come potrei mai amare incondizionatamente gli altri? Crederò di amarli sin quando essi risponderanno alle mie idee di come sono o alle mie aspettative. 

D. Appunto, ma dici: «Ma se mostrassero mai i "difetti" che vedo in me, come potrò amarli,  io che non amo in me i medesimi difetti?» 

R. L'amore è incondizionato (quello condizionato non è da ritenere amore), per cui la condizione che l'altro non debba avere certi difetti (quelli che io credo di avere od altri) è del tutto ininfluente.

D. Concordo, ma se è ininfluente che lui abbia dei difetti, perché diventa influente che li abbia tu?

R. Una relazione di amore può avvenire indipendentemente dai difetti della persona amata e dell'amante.

D. I miei difetti diventano influenti nella determinazione della persona amata. Noi sviluppiamo amore per alcune persone e per altre no...questa differenza (che non è fatta volutamente da noi) è determinata dalla purezza della nostra coscienza (i nostri difetti)...io credo che chi si ritrovi con una coscienza incontaminata possa sviluppare amore per il guru ed il Signore,  altrimenti le nostre relazioni di amore saranno solo verso altri esseri viventi.

R. Dicono che chi ami incondizionatamente, ami tutti indistintamente. Questo non significa che non selezioni coloro cui accompagnarsi. L'amore è uno. Tuttavia si ha la tendenza a chiamare amore anche delle forme di sentimentalismo o affetti che nulla hanno a che fare con l'amore.

D. Dunque, quando noi abbiamo dei "difetti", possiamo sviluppare amore ugualmente...l'amore non conosce ostacoli.

R. L'amore non ha direzioni è come il sole che scalda tutti, non solo quelli che gli piacciono. Le direzioni dell’amore (amo mia moglie, il mio cane, i miei amici…), nascono perché non si amano gli altri, ma solo gli oggetti dell'amore. Questa incapacità di amare tutti sorge perché abbiamo ancora degli aspetti che impediscono di amare e condizionano l'espressione dell'amore:

- Ti amo, ma vorrei che tu facessi questo e questo.

- Ti amo come sei, qualunque cosa tu faccia.

 

[brani e dialoghi tratti dalla ML Vedanta Sai Baba - marco 2003]

 

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