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La realizzazione non duale

Si potrebbe anche dire che la realizzazione non duale prescinda da ogni sādhana, da ogni pratica, da ogni cammino, da ogni contenuto, da ogni posizione coscienziale, questo è quanto alcuni sostengono.

Essa è la nostra natura e ci appartiene da sempre, nel senso che noi siamo Quello.

Non è una esperienza da fare, è una "semplice" constatazione, un "atto" di pura consapevolezza.

Se questa non avviene è perché ci piace credere che ci sia altro, perché altre sono le nostre priorità. Crediamo ai pensieri della mente e crediamo reale quanto vediamo. D'altra parte se chiedessimo ai più essi risponderebbero che a loro piace vivere, che la vita è un qualcosa per cui vale la pena nascere. Essa è reale, nel senso che ha un suo grado di realtà, e si ama vivere questa, che gli advaitin chiamano, apparenza.

Chiaramente chi ha interesse in tale apparenza, in questo mondo, non ha motivo né interesse di volgersi all'Assoluto o realizzazione non duale, in quanto lontana dalle proprie aspirazioni e pertanto tali persone si rivolgono comunque verso il Divino alla ricerca dell'armonia.

Quando finalmente decidiamo che è ora di tornare a noi stessi, di volta in volta scegliamo il mezzo che più ci ispira.

Nei libri troviamo proposte mille e mille possibili vie, vediamo raccomandate e prescritte diverse modalità di sādhana, ma è raro trovare dei testi in cui un Maestro, la cui realizzazione fosse riconosciuta, affermasse: "Io mi sono realizzato seguendo questa via", parlando di realizzazione non duale.

Sarebbe mai possibile poi? Ramana portava come esempio l'indagine sull'io, durata un meno di un'ora. Ramakrishna per qualche giorno praticò gli insegnamenti di Totapuri e si realizzò. E da molti viene considerato un avatāra. E va considerata anche la prima fase della tua vita, quella tesa alla realizzazione della Madre divina. La sua figura è diversa dalle solite perché egli compì più di un percorso.

Sai Baba, entrando nell'adolescenza, iniziò a mostrare quelle caratteristiche che lo resero noto anche in Occidente, ma non parlò mai di un percorso realizzativo e dai seguaci viene considerato un avatāra.

Solitamente gli istruttori propongono il percorso che loro stessi praticano, anche se spesso non lo hanno percorso sino in fondo. Si consideri pure che il termine realizzazione può indicare diversi stadi, anche se solitamente elevati anche se non ultimativi.

D'altra parte sono percorsi che vengono proposti a chi non è veramente interessato alla realizzazione non duale, che implica il termine di qualsiasi esperienza duale. Se si hanno ancora delle mete, delle proposte, etc. etc. è normale che si pratichi una sādhana che avvicini all'armonia e al benessere attraverso delle azioni svolte equanimamente (dharma). 

Possiamo dire che, se non ci si è realizzati, è perchè la cosa in fondo non interessa, non è prioritaria: interessa altro.

D'altra parte come potrebbe la mente concepire la sua stessa terminazione, il suo ridimensionamento a semplice strumento?

Bodhananda, brano tratto da ML Vedanta - Sai Baba, 18 luglio 2001

 

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