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Subconscio

R. Ecco la parola chiave: subconscio. Non andiamo quindi oltre e soffermiamoci su questo termine. Che cosa intendiamo generalmente con subcoscienza?

- La subcoscienza è il ricettacolo dei nostri atti, delle nostre tendenze; è il nostro passato…

R. È, dunque, l'accumulo delle nostre tendenze, è la forza cristallizzata del nostro passato; è la parte di noi che si muove sotto forma reattiva, istintiva, automatica perché, appunto, è cristallizzazione di movenze; è un cervello elettronico che, se gli viene toccato un tasto (ricezione di un impulso), risponde automaticamente elaborando da sé la reazione (risposta all'impulso). Queste movenze cristallizzate sono ovviamente costruzioni spazio-temporali; le nostre abitudini sono movenze reiterate che lentamente si cristallizzano divenendo, appunto, abitudini, consuetudini, diremo un habitus, un'assuefazione.

L'animale è determinato soprattutto dall'impulso subcoscio, l'individuo dovrebbe invece essere guidato dall'intelligenza. L'animale di fronte ad uno stimolo risponde in modo automatico (riflesso condizionato), l'uomo dovrebbe rispondere con intelligenza, con discriminazione e discernimento intuitivo superconscio.

È importante, dunque, comprendere che la subcoscienza è l'effetto, il risultato di una particolare direzione mentale e di un conseguente comportamento che lentamente, per la loro reiterata espressione, hanno preso corpo, vita, esistenza.

Facciamo un esempio: ci troviamo a camminare e abbiamo di fronte due strade che chiameremo A e B (possono essercene altre, comunque); oggi siamo liberi di prendere l'una o l'altra, per cui in libertà decidiamo di incamminarci lungo la strada B. Avendo questa strada trovato adeguata risposta nelle nostra coscienza, continuiamo a percorrerla tutti i giorni fino a quando la coscienza cristallizza, rende formale una porzione di sé, si assuefà, si identifica con l'evento dimenticando il punto di origine.

A questo stadio scatta un meccanismo: alla libertà decisionale originaria si sostituisce la necessità di compiere un atto, quello di andare per la strada B.

Ormai la forza dell'abitudine, come una droga, ci sospinge a seguire una determinata via. Così la nostra coscienza, originariamente libera nel suo moto vitale, si è determinata, si è cristallizzata, si è costretta; in altri termini, è caduta sotto la legge della necessità e della determinazione. Che cosa può accadere adesso a questa coscienza che si è necessitata?

- Sono estremamente attento; in me sta albeggiando qualcosa di nuovo, non vorrei interferire.

R. Allora procediamo; fino a quando la coscienza è sintonizzata con quella espressione vitale, e nel nostro caso con quel particolare percorso, non accade niente: tutto procede a gonfie vele; il percorso sembra bello, meraviglioso e se qualcuno l'offende, l'oltraggia o incomincia a reputarlo non idoneo, noi lo difendiamo, diciamo che costui non ha capito niente, che si trova fuori della realtà (percorso B), che è un poveraccio da compatire, e se quello insiste e tenta di dimostrare quanto afferma, noi cerchiamo con tutti i mezzi di respingerlo; al limite di rinchiuderlo in un manicomio.

Consideriamo che il soggetto in risveglio siamo noi stessi; e allora che cosa potrà avvenire come conseguenza della nostra istanza? Due cose: nel tempo-spazio gli ostacoli (dolore) che ci si parano di fronte sono tali e tanti che incomincia a balenarci il sospetto che qualcosa non vada per il suo verso; lentamente gli impedimenti ci ributtano indietro, ci fanno rientrare in noi stessi, ci fanno meditare, e ciò ci sospinge verso la fonte da dove, liberi, siamo partiti; cioè ci sospinge verso il punto di partenza (necessità inevitabile perché il centro coscienza tende sempre a riprendere la sua posizione originaria; così le irrequietezze dell'individuo nascono proprio perché ha perso il punto centrale di riferimento). Oppure può avvenire - cosa più difficile - che un atto di immediata consapevolezza, di totale comprensione ci faccia riconoscere che stiamo procedendo in modo sbagliato, se non del tutto, almeno in parte.

È solo in questa fase di riconoscimento che la coscienza è pronta ad ascoltare, ad essere più umile nelle sue affermazioni, più disponibile per la realizzazione, non prima.

Se voi andaste ad un congresso filosofico a predicare la strada A, C o D, quando i componenti del congresso riconoscono solo la strada B e ne sono anche fieri ed entusiasti, ne uscireste a brandelli; diremo che vi avrebbero sospinto a prendere la parola la vostra inconscienza o il vostro coraggio consapevole o la vostra “missione” che potrebbe però risultare tragica. Ne sanno qualcosa tutti coloro che la pensano in modo diverso dall'opinione corrente e generale.

Ammettiamo adesso che il risveglio nella nostra coscienza ci sia stato e che abbiamo avuto la visione giusta; è ovvio che a questo punto la coscienza vuol essere quella visione; però nell'attuarla si accorge di alcune resistenze, di forze inerziali che la sospingono a rifare la strada abituale e a ripetere il comportamento.

Ritorniamo alla domanda: che cosa ci costringe? Penso che adesso abbiamo chiara la risposta; ciò che ci costringe è l'abitudine inconscia, automatica; è l'assimilazione al contenuto B, è la forza consolidata; in altri termini, è una parte della nostra stessa coscienza che vuole operare in modo contrapposto all'altra (nascita della dualità).

Il demonio, il male, ecc., siamo noi stessi, sono una parte della nostra coscienza; essi non sono fuori di noi, ma dentro, profondamente dentro, annidati e coltivati così bene che, quali potenti forze operanti, cercano di coartare la libera volontà dell'essere risvegliato. Ecco perché giorni fa dicevamo che non c'è politica che dall’esterno possa ridare la pace, la giustizia e l'armonia interindividuale.

Ora, come si può riconquistare la perduta libertà? Come si possono cancellare abitudini che risalgono alla notte dei tempi? Come uscire da un mondo di ristrettezze, di conflitto, di dolore, di dualismo e di unilateralità? Come ritornare punto al centro, all'origine, allo stato primordiale, allo stato puro, edenico, ecc., secondo le varie accezioni usate dalla Filosofia dell'Essere?

Da qui la sadhana, che rappresenta il percorso inverso, che rappresenta l'insieme della teoria e della prassi, l'ascesi per tornare in libertà, per tornare al punto di partenza. Non è il caso di dire che tutto questo dimostra anche come l'individuo non sia “evoluto” ma “involuto”, e che suo compito immediato sia quello di “risvegliarsi” a ciò che veramente è.

L'iniziazione consiste nel mettere il seme del risveglio nel terreno preparato, qualificato; ma tocca al discepolo portarlo a maturazione. La sadhana rappresenta proprio questo atto concreto, questa via di fattiva realizzazione.

Capisco lo stato coscienziale di chi sta risvegliandosi al riconoscimento che noi non siamo la strada B, capisco anche i sentimenti che spesso entrano in giuoco con reazioni particolari, ma dobbiamo cercare di comprendere sempre meglio, e di essere quella comprensione.

Possiamo dire alcune cose in relazione alla sua domanda. Prima di tutto si supera una strada solo dopo averla assimilata ed esaurita. Così, un'esperienza diventa assurda solo quando è stata trascesa, quando vi è più risposta.

La strada B - tanto per ritornare al nostro esempio - all'inizio ci andava bene, diversamente l'avremmo cambiata a tempo opportuno, quando cioè potevamo farlo con tutta tranquillità. Attenzione, dunque, perché voi oggi non vi date pace per aver percorso una strada che reputate sbagliata, ma vi prego di notare il termine oggi.

L'errore poi non sta nell'aver percorso la strada B, ma nell'aver assimilato la coscienza a tale strada, nell'aver creato subcoscienza, cristallizzato l'evento come fosse assoluto. L'errore sta nell'essersi persi nel particolare.

Il Realizzato non è colui che sfugge le varie strade; se lo crede può anche seguirle, ma non s'identifica, non si perde, non si annulla in esse, non crea subcoscienza; quindi è libero dalle leggi che creano necessità.

- Significa essere nel mondo, ma non del mondo?

R. Esatto, questa è la condizione ottimale di chi sperimenta pur non-sperimentando (azione senza azione del Gitā). Scusate se insisto, ma lo faccio perché molti di voi - soprattutto all'inizio della sādhanā - si consumano il cervello per capire il perché della “caduta”. In termini spiccioli, siamo caduti perché ci è piaciuto cadere. L'Essere è libero di essere e non-essere.

- Potevo, ad esempio, prendere la strada A, C o D?

R. Sì. Nessuno ci ha costretto a prendere una strada anziché un'altra, come nessuno ci costringe a continuare sulla stessa strada. Il mondo dei nomi e delle forme non è altro che una molteplicità di espressioni (strade) vitali. Una di esse è, appunto, quella umana. Nessuno ci ha costretto a percorrere la via degli uomini se non la nostra libera decisione (libero arbitrio). Né possiamo dire, d'altra parte, che la via degli uomini sia migliore o peggiore, superiore o inferiore ad un'altra: è una via tra le tante, e basta. Può diventare migliore o peggiore a seconda della nostra risposta e della direzione energetica che imprimiamo ai nostri atti.

Direi che sbagliamo anche quando ci esprimiamo in termini di superumano e subumano, soprattutto in riferimento ad aspetti etici o di superiorità o inferiorità manasica. ecc. Ogni strada, o espressione di vita, ha le sue peculiarità che la fanno essere ciò che è. Non potremmo aggiungervi altro; se lo facessimo saremmo impulsati dal desiderio di assegnare ad un'espressione di vita le attribuzioni di un'altra: ma ciò non è conforme a ragione. La terra va compresa e studiata dalla prospettiva della sua natura di terrestrità, non dal punto di vista di Sirio o di Vega.

D. Trovo giusto, almeno per me, quello che dice; all'inizio anch'io mi tormentavo sul perché sono qui; oggi ho superato questa domanda e ammetto che, con quella stessa libertà con cui ho deciso di venire, posso anche andarmene. In fondo, quella libertà, o autodeliberazione, non è stata distrutta ma affievolita, obnubilata dall'identificazione con la parte: ecco i concetti di māyā e avidyā che coprono, velano la nostra coscienza libera. Mi corregga se sbaglio. La condizione nirguna, vorrei adesso sapere, è quella in cui si rimane fuori di tutte le possibili strade?

R. Dice delle cose interessanti; mi auguro che tutti abbiano ascoltato. Malgrado che la subcoscienza, ormai cristallizzata e inerziale, possa fare i “capricci”, tuttavia nessun ostacolo può opporsi ad una coscienza risvegliata, ad una volontà che abbia deliberato di Essere. La posizione nirguna è quella a cui ha accennato.

All'inizio ci troviamo nel non-manifesto, quindi di là dalle possibili modalità manifestate (le varie strade o sentieri, ecc.), e in tale stato possiamo anche rimanere se lo desideriamo. In altri termini, siamo liberi non solo di prendere l'una o l'altra via manifesta, ma anche di non prenderne alcuna. Possiamo denominare quest'ultima modalità Punto X.

Vede, il nostro amico poc'anzi ha detto delle cose importanti che possono aiutarci nella comprensione di quanto stiamo sostenendo. Ha detto che aveva la libertà delle sue scelte, anzi era addirittura libero di non fare alcuna scelta così da rimanere tranquillo nello stato originario. Ecco la nostra duplice possibilità: rimanere nirguna, Punto X, oppure esperimentare A, B, C, ecc., a seconda della nostra particolare direzione. È ovvio che contemporaneamente non possiamo vivere due espressioni di vita. Una determinazione è una determinazione, è una particolarità.

L'Asparśa yoga e il Vedānta advaita sono quei sentieri del ritorno che portano all'Incondizionato, al puro e infinito Essere. Sono sentieri completamente risolutori, metafisici, perché, appunto, hanno attinenza con il Non-manifesto, con la Realtà suprema, non soggetta a cambiamento. Per la metafisica asparśa il nome Realtà assoluta può essere dato solo al Brahman nirguna, senza attributi, al Punto X del nostro esempio in quanto tutte le altre possibilità sono solo sue determinazioni spazio-temporali.

Certo, questo tipo di yoga, avendo una mèta così alta e risolutiva, è di pochi, e molti yogi - dice Gauḍapāda stesso - fuggono atterriti al pensiero di perdersi; quindi, hanno timore di estinguere l'io, vale a dire l'individualità nelle sue varie estensioni. Asparśa significa senza sostegno, senza relazione, senza contatto perché, Brahman nirguna essendo l'Assoluto, non è in rapporto con alcuna cosa; da qui l'espressione Unità senza secondo.

D. Mi può dare un quadro sintetico delle posizioni coscienziali di queste strade in modo che abbia un seme di meditazione?

R. “Io sono questo” (questo rappresenta una delle strade). “Io sono” (rappresenta l'essere nel suo stato principale, non-formale). Il terzo stadio rappresenta la Coscienza pura nella sua indeterminatezza, priva quindi della stessa determinazione dell'Io sono in quanto essere che riflette se stesso: rimane solo Turīya, Quello.

D. Ha parlato prima di ritorno al Centro, allo stato edenico, ecc. Io m'ispiro alla Dottrina cristiana e vorrei sapere se quel Centro originario rappresenta Adamo prima della “caduta” e le varie strade che ha prospettato, l'Albero del bene e del male. Se m'illumina su questo punto posso comprendere meglio quanto abbiamo detto.

R. Sì, è la stessa cosa. Adamo, caduto sul piano della differenziazione, deve riorientarsi verso la natura dell'Essere. Le vaire strade rappresentano le indefinite possibilità che l'Albero del bene e del male (dualità) può offrire.

 

Tratto da La Filosofia dell’Essere, Ed. Asram Vidya, Raphael, pag 187-196

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