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vedanta.it

Che cos'è che trasmigra

D. Si parla di reincarnazione, metempsicosi, rinascita, trasmigrazione, ma che cosa vogliono dire questi termini?

E chi è che rinasce o trasmigra?

R. In tutti i rami tradizionali si è sempre posto il problema della rinascita. La Tradizione misterica occidentale parla, appunto, di metempsicosi, quella orientale - e in essa si può includere il Buddhismo, il Taoismo e il Jainismo - di trasmigrazione o rinascita.
Il concetto di trasmigrazione, o rinascita, implica ovviamente che c'è qualcosa che va e viene, che crea movimento o cambiamento di stato. Potremmo ulteriormente chiederci: perché si trasmigra, perché si rinasce? Questo punto è molto importante e anche molto discusso.
Prima di tutto potremmo porre il problema in termini metafisici: il "nato", se veramente è tale, non può rinascere una seconda volta; ciò che non è nato non può nascere e venire all'esistenza, essendo un eterno presente, un assoluto o una costante; l'inesistente poi non può né nascere né esistere o essere.
Dunque, se la Costante-atman, Spirito puro, l'Assoluto in noi o il puro Essere non può né nascere perché semplicemente è, né quindi trasmigrare perché non è soggetto a cambiamento, allora che cosa è in noi che trasmigra? E perché trasmigra e rinasce?

Per capire chi rinasce e perché, dovremo conoscere la costituzione dell'ente manifestato nei suoi componenti psico-fisici; in questo modo potremo meglio affrontare l'intero problema.
Come abbiamo già menzionato, secondo la Tradizione misterica occidentale, l'uomo è la sintesi di nous, psichè e soma; secondo quella vedanta esso è la sintesi di atma, jiva e jivabhuta. Il nous, come l'atma, essendo la costante, l'immortale, il non-nato e l'assoluto in noi, non può ovviamente essere soggetto a nascita e trasmigrazione. L'immortale non può divenire mortale, né il mortale divenire immortale, dice Gaudapada nelle sue karika alla Mandukya upanisad.
Il corpo, o i corpi dell'ente, essendo perituri come i tafani, si disintegrano, e i loro elementi ritornano al piano e all'elemento esistenziale da cui sono stati tratti. Non possono trasmigrare né rinascere perché, essendo dei composti, si sciolgono, si disintegrano e non lasciano dietro di sé alcuna traccia.
Il jiva, o psichè, è un riflesso coscienziale dell'atman-nous, è un raggio di pura coscienza che, per quanto semplice raggio, ha in sé volontà-essere, intelligenza-coscienza e creatività. Esso attira a sé una quantità di sostanza dai piani esistenziali dell'Essere, creandosi i corpi di manifestazione coi quali poter esperire i vari oggetti dei sensi.

"Un eterno frammento di Me, divenuto nel mondo
dei mortali un'anima vivente (jivabhuta), attira
a sé i [cinque] sensi e la mente (manas), come
sesto organo, i quali trovano fondamento in prakrti".

(Bhagavad Gita: XV, 7)

Se l'atma appartiene allo stato dell'Essere - per cui essendo immortale non può trasmigrare -, se il corpo appartiene alla condizione del non-essere, per cui non ha vita propria e aseità, allora l'attenzione va posta su due dati molto importanti: il riflesso-jiva-psichè e le "qualità" le quali rappresentano il "profumo" della sostanza.

"Il soffio vitale", scrive Renè Guenon in "L'uomo e il suo divenire secondo il Vedanta" (Edizioni Studi Tradizionali) parafrasando alcuni capitoli della "Brhad-aranyaka up.", della "Chandogya up." e del "Brahma sutra", che trattano del momento della morte, "accompagnato similmente da tutte le altre funzioni e facoltà (già in esso riassorbite e non sussistendovi che come possibilità, poiché sono ormai ritornate allo stato d'indifferenziazione da cui erano dovute uscire per manifestarsi effettivamente durante la vita), a sua volta, è riassorbito nell'anima vivente (jivatma, manifestazione particolare del Sé al centro dell'individualità umana, come precedentemente lo abbiamo spiegato, e distinguentesi dal Sé finché questa individualità sussiste come tale, quantunque questa distinzione sia d'altronde del tutto illusoria in rapporto alla realtà assoluta, per la quale non vi è altro che il Sé); ed è appunto quest'anima vivente (come riflesso del Sé e principio centrale dell'individualità) che governa l'insieme delle facoltà individuali (considerate nella loro integralità, e non soltanto in ciò che concerne la modalità corporea).
Come i servi d'un re si riuniscono intorno a lui quando egli è in procinto d'intraprendere un viaggio, così tutte le funzioni vitali e le facoltà (esterne ed interne) dell'individuo si riuniscono intorno all'anima vivente (o piuttosto proprio in essa, da cui procedono tutte e nella quale sono riassorbite) all'ultimo momento (della vita nel senso ordinario della parola, vale a dire dell'esistenza manifestata nello stato grossolano), quando quest'anima vivente sta per ritirarsi dalla sua forma corporea.

Così, accompagnata da tutte le sue facoltà (poiché le contiene e le conserva in sé a titolo di possibilità), essa si ritira in un'essenza individuale luminosa (vale a dire nella forma sottile, assimilata ad un veicolo igneo, come l'abbiamo spiegato a proposito di Taijasa, la seconda condizione d'Atma), che è composta dei cinque tanmatra o essenze elementari soprasensibili (come la forma corporea è composta dei cinque bhuta o elementi corporei e sensibili), in uno stato sottile (in opposizione allo stato grossolano, che è quello della manifestazione esteriore o corporea, il cui ciclo è ormai compiuto per l'individuo considerato).

"Per conseguenza (in virtù di questo passaggio nella forma sottile, descritta come luminosa), si dice che il soffio vitale si ritira nella Luce, senza che s'intenda da ciò il principio igneo in modo esclusivo (poiché si tratta in realtà d'un riflesso individualizzato della Luce intelligibile, riflesso la cui natura è in fondo la stessa di quella del mentale durante la vita corporea, e che, d'altronde, implica come appoggio o veicolo una combinazione dei principi essenziali dei cinque elementi) e senza che questo ritrarsi si effettui necessariamente per una transizione immediata; infatti (per usare un paragone), si dice che un viaggiatore si reca da una città ad un'altra, anche se si ferma successivamente in una o più città intermedie.
"Questo ritrarsi o quest'abbandono della forma corporea (quale fin qui è stato descritto) è d'altronde comune al popolo ignorante (avidvan) ed al Saggio contemplativo (vidvan), fin dove cominciano, per l'uno e per l'altro, le loro vie rispettive (e d'ora innanzi differenti)".

D. Che cosa sono le qualità di cui abbiamo parlato?

R. Le qualità - sattva, rajas, tamas - sono stati allotropici di prakrti (sostanza-materia). Un istinto, un desiderio, una passione, ecc. sono qualità prakritiche; queste qualità si manifestano con un corpo-veicolo e, se coagulate, sopravvivono allo stesso corpo. Il profumo nell'aria permane anche quando, ad esempio, un fiore è scomparso, o la boccetta del profumo si è rotta. Un piacere-dolore, determinato da un evento, permane anche quando l'evento non c'è più, è svanito.
Mentre il soma-sthula sarira o jivabhuta fornisce lo strumento del piacere-dolore o delle qualità, queste, quando sopravvivono, aderiscono a quel riflesso di coscienza che rappresenta lo sperimentatore. Diremo che: ideali, sentimenti, istinti, ecc. possono sopravvivere alla morte del corpo fisico. E poiché tali qualità appartengono alla dimensione dello psichico, possiamo concludere che lo psichico (che non è il Sé) può sopravvivere al fisico.

D. In termini psicologici come potremmo esprimerci?

R. Un contenuto psichico cristallizzato può sopravvivere allo scioglimento del composto fisico. Il Vedanta parla, infatti, di vasana, di samskara, che rappresentano le "colorazioni", gli odori, le tendenze, le predisposizioni qualitative psichiche. Queste tendenze immagazzinate nella propria spazialità e non risolte sopravvivono alla morte del corpo.

D. Come si costituiscono le vasana?

R. Quando il riflesso coscienziale esperisce e aderisce alla qualità crea una vasana, o un contenuto; diremo che l'energia si solidifica e diventa massa.
E' ovvio che in questa condizione lo sperimentatore diviene necessitato dal contenuto che, sempre più alimentato, diviene potente fino a dominare lo stesso sperimentatore. La potenza energetica del sogno domina il sognatore.

D. Allora perché si trasmigra?

R. Si trasmigra perché i contenuti-massa qualitativi non risolti nell'energia inqualificata chiedono espressione su quel piano esistenziale in cui possono trovare maturazione e sgravio.

D. Ma è lo stesso individuo che trasmigra?

R. Quell'individuo, con un nome e una forma, non può trasmigrare perché esso non sussiste più alla morta dei veicoli. L'io empirico è il risultato della combinazione ahamkara-veicolo; quando il veicolo sparisce l'ahamkara ritorna allo stato potenziale. E quando spariscono entrambi non c'è più individualità, c'è la persona nel suo stato sovraindividuale.
Le qualità in sé non hanno nome, né il "riflesso di consapevolezza" ha nome. Le qualità si individualizzano mediante i veicoli e il "senso dell'io" (ahamkara). Un nome è l'indicazione di un complesso energetico che si è individuato, che si è determinato, che si è imposto una circonferenza.
Diremo che nella maggior parte dei casi gli individui sono solo medium passivi nelle mani di "enti-qualità" (guna) che cercano espressione o maturazione.

D. L'incarnazione è una scuola per avanzare ed evolvere verso l'atman?

R. La Tradizione unica non ha mai insegnato il concetto evoluzionistico.
Potremmo porre il problema in termini metafisici: l'atman, o l'Essere, per il fatto che è e non diviene, non può evolvere.
Le qualità non evolvono ma mutano semplicemente aspetto, il caldo e il freddo non evolvono, come non evolve l'odio o l'amore.
L'individualità, con un nome e una forma, non evolve (può trovare un eventuale adattamento), perché essa è la sintesi di un composto energetico che si esprime nei vari aspetti qualitativi (guna); essa nasce e muore.

D. E' esatto parlare di reincarnazione?

R. Dipende dall'accezione che si vuole dare a tale parola. Diremo che il problema potrebbe essere posto in termini diversi.
Se consideriamo che l'universo, o la manifestazione, è composto di tre stati o livelli vibratori, formanti comunque un'unità, allora possiamo notare che il jivatman si trova ora su uno ora su un altro livello esistenziale; i suoi sono, così, "passaggi di stato", di condizione, e questi passaggi - possiamo chiamarli col termine trasmigrazione - sono determinati dai guna e dalle vasana individuate e cristallizzate.
Si può ancora dire che come un individuo, sospinto da certe istanze-qualità, trasmigra, ad esempio, dell'Europa in America, cambiando quindi condizione di vita, così il "riflesso coscienziale", sospinto da certe qualità, trasmigra da uno stato ad un altro, o da un mondo (loka) ad un altro.
In tutto questo non vi è niente di drammatico e tragico; è un evento che si svolge automaticamente (nella maggior parte degli enti), innocentemente e naturalmente.

Se l'evento è ritenuto drammatico, spesso tragico, è perché l'ente non ha la consapevolezza del processo di trasmigrazione, oppure è prigioniero del semplice timore del "cambiamento".

D. Dunque, non è l'io dell'oggi, l'io di questo tempo-spazio che trasmigra?

R. L'io empirico è un semplice fenomeno correlato al tempo-spazio. L'io empirico di un determinato momento non è l'io empirico di un altro momento.
In un tempo-spazio possiamo dirci: io sono felice, in un altro tempo-spazio, che può essere susseguente a quello, possiamo dirci: io sono in conflitto. I due io non sono gli stessi, perché s'annullano nella loro contraddizione. L'io empirico è un contingente, un momento espressivo di qualità (guna).

D. Così è l'Anima che si reincarna o trasmigra?

R. Secondo la Tradizione, l'Anima stessa è un semplice riflesso dello Spirito puro o atman, la quale è pur sempre un non-assoluto; essa dimora su una dimensione (taijasa superiore) che non è quella fisica densa (visva); da quella dimensione, come prima si accennava, mediante un suo raggio di Coscienza, si esteriorizza sul piano di taijasa inferiore (il piano astrale dell'Occultismo occidentale) e su quello di visva (fisico denso).
Il suo movimento (trasmigratorio) produce espressioni di qualità, cause ed effetti, se l'io empirico - correlato al fisico denso, al corpo vitale (prana) e a quello mentale - è un semplice contingente, il jivatman è relativamente persistente, si da apparire come eterno all'io empirico.

Ma la trasmigrazione-movimento di una qualità avviene anche nella stessa incarnazione.

D. E come è possibile?

R. Per esempio, un desiderio nasce (inizio del movimento), tende verso un particolare oggetto (traiettoria del moto) e muore con la sua soddisfazione e maturazione. Se presupponiamo che il seme-germe (vasana-samskara) del desiderio non sia risolto, avviene gradatamente che un nuovo desiderio nasce e trasmigra verso un altro oggetto per morire in esso.
Fino a quando sussiste la radice, o il germe, del desiderio, la qualità (guna) trasmigra da un oggetto ad un altro, da uno spazio ad un altro. E ovviamente l'io-desiderio di un momento non è l'io desiderio di un altro momento, perché l'io empirico, essendo divenire-movimento, non è una costante, in altri termini non è l'Essere, come non è l'Essere lo stesso jivatman.

D. Questi enti-qualità devono trasmigrare necessariamente sul piano fisico-denso?

R. Questi enti-qualità cristallizzati trasmigrano là dove possono esprimersi, manifestarsi, seguendo la legge dell'attrazione-repulsione, o della sintonizzazione.
Negli stati molteplici dell'Essere vi è posto per le espressioni di tutte le possibili qualità prakritiche.

D. Per il Liberato esiste la reincarnazione?

R. Se è Liberato non può più trasmigrare; per lui ogni movimento-divenire è cessato; il Liberato è tornato nella sua vera Patria ("Il mio Regno non è di questo mondo"), e non vuole andare da nessuna parte; non avendo vasana, né qualità individuate da esprimere, non ha desiderio, non ha passato né futuro.

La trasmigrazione implica qualcosa di non compiuto, di non-pienezza, ma per chi sta fermo, come il mozzo di una ruota, non v'è più un andare e un venire, un nascere e un morire perché tali eventi appartengono ad una coscienza che non ha compreso la sua stessa essenza.

 

Tratto da "Il sentiero della non-dualità", Raphael, Edizioni Asram Vidya, pag 93

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