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Unità  della Tradizione

 

Unità della Tradizione

A - Oggi avrei voluto vivere nel silenzio, ma sono qui per donarle alcuni pensieri che mi porto dietro da un po' di tempo, da quando cioè ho incontrato un amico che mi ha parlato di Insegnamento tradizionale occidentale. Vede, vorrei capire se la visione dell'Uno-senza-secondo è propria della tradizione Advaita, oppure è prospettata da altre tradizioni.

R - In altri termini vuoi dirmi: la Verità è solo dell'Advaita?

A- Credo di voler intendere questo.

R - Hai toccato un punto molto delicato. Tutti i seguaci di un credo specifico, di un peculiare tipo di yoga, di una religione, ecc., pensano di avere in esclusiva la Verità e quindi il conseguente suo "sfruttamento". Vi sono altri che sono studiosi o estimatori, a livello culturale, di particolari dottrine, e diventano spesso anch'essi dei settari. Così vi sono i "fanatici" della musica di Beethoven, di Brahms, di Verdi, ecc.

Vi sono i "fanatici" della cultura vedica, upanisadica, puranica, oppure ebraica, egiziana, rosacrociana, cristiana, musulmana, ecc. Vi sono i "fanatici" di certe lingue alquanto speciali come quella sanscrita ed ebraica che, si dice, sono le lingue degli Dei. Bisogna, prima di tutto, distinguere una cosa: vi sono insegnamenti a livello individuale, diremo personalistico, e [u]insegnamenti a livello tradizionale, che è di ordine universale, principiale.

L'unità tradizionale è garantita dalla sua nota fondamentale che è sopraindividuale e soprarazionale-sensoriale.(Da non confondere con il tradizionalismo storico, culturale, sociale di un popolo. La tradizione di cui si parla non ha niente a che vedere con il conservatorismo tradizionale di una nazione o di una stessa religione. E' bene intedersi sull'accezione di Tradizione perché molte confusioni sono nate e molte - in buona o malafede - ne nasceranno).

Platone, Gaudapada, Samkara, ecc. hanno insegnato la Conoscenza tradizionale. La Tradizione, pur essendo una, ha molte ramificazioni. Essa può essere paragonata ad un albero: il tronco è la vita una della Tradizione e i rami rappresentano le varie presentazioni o adattamenti spazio-temporali.

Fino a quando la coscienza del neofita, che si trova lungo un determinato ramo, non comprende il vero nucleo vitale, considera quel particolare ramo come il solo e l'unico attendibile, e qualche volta può anche contrapporsi ad altri rami, ritenendoli persino non tradizionali. Da qui il fanatismo che, appunto, affiora dall'incomprensione dell'unica Dottrina tradizionale. Occorre anche dire che certi rami possono avere avuto - per l'incompiutezza dei ricercatori - degenerazioni di varia natura.

A - Chi è, comunque, che opera queste distinzioni?

R - È il senso dell'io (ahamkāra). Quando il senso dell'io sparisce, ogni cosa si vede nell'Unità.
La coscienza una vede l'apparente molteplicità come unità; dico "apparente" perché ogni possibile distinzione non solo non è assoluta, ma viene considerata tale in quanto la si osserva da un particolare punto di vista.

A - Può darsi ad ogni modo che non tutti questi rami della Tradizione tendano alla Verità ultima; voglio dire, lungo la strada essi perdono di vista la meta suprema.

R - Dobbiamo dire che ogni vero ramo della Tradizione rappresenta un insegnamento completo, anche se i vari cultori di questo insegnamento si soffermano su qualche suo aspetto minore o particolare. Quello che degenera la Dottrina (sruti) sono, come prima si accennava, il sentimentalismo fanatico devozionale e l'intellettualismo sterile, dogmatico, critico, separativo e orgoglioso. Qualche volta questi aspetti possono trovarsi anche assieme.

 

Tratto da Raphael, "Tat Tvam Asi", Ed. Asram Vidya, pag 71. 

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