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Sei stanze sul Nirvana: nirvāṇaṣaṭkam

L'Advaita Vedanta non è una dottrina che viene a rivaleggiare con le altre scuole ortodosse ed eterodosse; essa, al contrario, senza combatterle, le illumina dall'interno e mostra a tutti che una Verità unica polarizza tutto l'insieme.

Tanto i punti di vista tradizionali dei samkhya e dei mimamsaka, quanto le dottrine buddhista e jaina sono validi a condizione di non perdere mai di vista la Suprema Realtà (Brahmadvaita).

Le differenti religioni non sono fini a se stesse; esse non fanno che indicarci la via verso il divino.

Gli Dei, al pari degli uomini, nascono e muoiono, è una questione di tempo.

Questo Essere unico, il Brahman, di cui parla Śamkara, è eterno; non ha inizio né fine.

Al di là dei nomi e delle forme (nama-rupa), Esso è quasi un dio personale (ista devata) [e questa "personalizzazione"] non solo è legittima ma necessaria per l'aspirante alla liberazione.

Per Śamkara, però, questo Dio che possiede nome e forma non rappresenta la più alta concezione dell'Essere.

Nel tornare alla sorgente luminosa dalla quale ognuno di noi proviene, la devozione (bhakti) può essere utilzzata nei primi stadi.

Śamkara, contrariamente a Ramanuja, il quale due secoli dopo interpreterà i testi della Sruti dalla prospettiva del Non-dualismo qualificato (visistadvaita), non vede nella devozione il mezzo per eccellenza per pervenire alla Beatitudine.

Per il Maestro di Kalati, è attraverso la conoscenza (jnana) dell'Essere che si accede infine a "Quello".
La devozione è tuttavia necessaria e Śamkara l'ha dimostrato più di una volta. Lungo le sue peregrinazioni egli ha composto, per diversi Dei e Dee del pantheon indù, più di sessanta inni devozionali (stotra), tutti stupendi per la poesia e il fervore.
Ecco, per esempio, la traduzione delle Sei stanze sul Nirvana.


Śamkara in questo poema espone la natura dell'atman, utilizzando prevalentemente la forma negativa, alla maniera dei Saggi delle Upaniśad; forma negativa che risalta tanto più con lo splendido ritornello:

"Sono Intelligenza e Beatitudine assolute, sono Śiva, sono Śiva (Cidanandarupah Śiva 'ham Siva 'ham).

 

***

 

1. Non sono la mente né l'intelletto né il pensiero né il senso dell'io.
Non sono l'udito né il gusto né l'odorato né la vista.
Non sono l'etere né la terra né il fuoco né l'aria.
Sono Coscienza e Beatitudine assolute.
Sono Śiva, sono Śiva.

 

2. Non sono il prana né i cinque soffi vitali.
Non sono i sette elementi costitutivi del corpo, né le cinque guaine.
Non sono la parola né le mani né i piedi, né gli organi di generazione o di escrezione.
Sono Intelligenza e Beatitudine assolute.
Sono Śiva, sono Śiva.

 

3. Non possiedo avversione né attrazione né avidità né turbamento.
Non provo orgoglio, né invidia.
Non ho desideri, fini, doveri, né liberazione da augurarmi.
Sono Intelligenza e Beatitudine assolute.
Sono Śiva, sono Śiva.

 

4. Per me non esistono né le buone né le cattive azioni, né il piacere né la sofferenza.
Non esistono le cerimonie rituali, i luoghi santi, i Veda o l'atto sacrificale.

Non sono il fruire, né l'oggetto di fruizione e neppure il soggetto che fruisce.
Sono Intelligenza e Beatitudine assolute.
Sono Śiva, sono Śiva.

 

5. Non conosco la morte né il dubbio né le distinzioni degli ordini sociali.
Non ho padre né madre. Non sono mai nato.
Non ho alcun amico, parente, né maestro né discepolo.
Sono Intelligenza e Beatitudine assolute.
Sono Śiva, sono Śiva.

 

6. Sono non-determinato, senza forma.
Per la mia onnipresenza, non ho relazione con gli organi dei sensi.
Non ho da conseguire alcuna liberazione.
Non sono il soggetto conoscente e nemmeno l'oggetto conosciuto perché Sono Intelligenza e Beatitudine assolute.
Sono Śiva, sono Śiva.

 

Premadharma, tratto da forum pitagorico, Vedanta & Co, 4 luglio 2015.

Il brano è tratto da Shankara e il Vedanta di Paul Martin-Dubost - Edizioni Asram Vidya

 

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