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Gaudapada

L’identità di Gauḍapāda

La tradizione considera Gauḍapāda quale paramaguru (precettore del precettore) di Śaṅkara; un verso che contiene la lista dei primi maestri dell’Advaita ce ne da il nome nel seguente ordine: Nārāyaṇa, Brahma nato dal loto, Vasiṣṭha, Śakti, suo figlio Parāśara, Vyāsa, Śuka, il grande Gauḍapāda, Govinda – Yogīndra, il suo discepolo Śaṇkarācārya, e poi i suoi quattro allievi Padmapāda, Hastāmalaka, Toṭaka e il Vārṭīkākāra (cioè Sureśvara). Da questa lista apprendiamo che Gauḍapāda era il precettore di Govinda che era il guru di Śaṅkara. Il primo maestro è Nārāyaṇa lo stesso Signore; la linea di successione che va di padre in figlio fino a Śuka, è formata più o meno da persone mitiche. Il primo maestro della cui storicità possiamo essere sicuri è Gauḍapāda: dopo di lui vi è la regola dei saṃnyāsin che si succedono al pontificato Advaita. Con lui inizia secondo la tradizione, ciò che possiamo definire il mānavasaṃpradāya dell’attuale era di Kali; è stato il primo precettore umano a ricevere la saggezza dell’Uno e ad impartirla ai suoi allievi. Ānandagiri, nel suo commento (ṭīkā) alla Māṇḍūkyakārikā-bhasya, dice che il maestro Gauḍapāda in quei remoti giorni passava il suo tempo a Badarikāśrama, la santa residenza di Nara-Nārāyaṇa, in meditazione profonda sul Signore, e che il Signore, Nārāyaṇa, altamente contento, gli rivelava la saggezza upaniṣadica. Bālakṛṣṇānanda Sarasvatī (XVII sec. d.C.) scrive nella sua Śārīrakamīmāṃsābhāṣyavārtika che nel paese di Kurukṣetra c’era un fiume chiamato Hirarāvatī sulle cui rive abitavano dei Gauḍa, e che il più importante, Gauḍapāda era assorto in meditazione profonda ad iniziare dall’età Dvāpara; e poiché non si conosce il suo nome di battesimo si fa riferimento a lui con il cognome dei Gauḍa.


Il dottor Walleser nel suo Der Altene Vedānta si oppone all’idea che c’era un ācārya chiamato Gauḍapāda prima di Śaṅkara, secondo lui non vi era alcun maestro con un tale nome, Gauḍapādīyakārikā è il nome del lavoro che ci è giunto in quattro prakarana, non vi fu alcun autore, esso rappresenta il punto di vista della scuola Advaita prevalente nella Gauḍadesa, il moderno Bengala del Nord, nel secolo precedente Śaṅkara. Questa scuola per la prima volta pone le dottrine dei Veda e delle Upaniṣad in forma sistematica, cioè in śāstra, e la Gauḍapadiyakārikā è il risultato consistente di quattro pāda. Pertanto il termine “Gauḍapadiya” starebbe ad indicare solo dei versi concisi formati da pāda della scuola Gauḍa. “Gauḍapāda” non è altro che un’invenzione presa dal titolo e non certamente il nome di un autore; per cui il lavoro deve essere considerato come il libro anonimo di un’antica scuola Advaita. Non conoscendo il significato del titolo del libro degli studiosi più recenti hanno ideato un autore reale e lo hanno chiamato Gauḍapāda. È il caso di un libro che produce un autore e non di un autore che produce un libro. Il dottor Walleser cerca di convalidare il suo punto di vista citando quale evidenza quei maestri che riportano versi della kārikā nei loro lavori ma che non parlano di alcun autore chiamato Gauḍapāda. In alcune delle traduzioni tibetane delle opere di Buddha vengono citati dei versi dalla kārikā a cui si fa riferimento semplicemente come a un Vedāntaśāstra. Śaṅkara cita le kārikā due volte nel suo commentario al Brahma-sūtra e dice che costituiscono le massime (detti) di quei maestri che conoscono la tradizione del Vedānta. Commentando questa affermazione fatta da Śaṅkara, Govindānanda nel suo Ratnaprabhā e Ānandagiri nel suo Nyāyanirṇaya ne parlano come citando “l’approvazione degli antichi” (vṛddhasaṃmati). Sureśvara cita due kārikā nel Naiṣkarmyasiddhi e le attribuisce a Gauḍas (gauḍaiḥ). Queste kārikā sono descritte da Jñānottama, il commentatore delle Naiṣkarmyasiddhi, come gauḍapādīyavākya. Vidyāraṇya fa riferimento all’insegnamento Gauḍa nel suo Pañcadaśī, e il commentatore Rāmakṛṣṇa lo chiama ācāryasaṃmati. Sadānanda introduce due kārikā nel suo Vedāntasāra con le parole tad uktam (è stato detto), e uno dei commentatori, Nṛsiṃha Sarasvatī, caratterizza quei versi come vṛddhasaṃmati “l’opinione degli antichi”, mentre un altro, Rāmatīrtha, si accontenta dicendo che costituiscono un’opinione contemporanea. Kāśmīraka Sadānanda Yati non sembra essere consapevole, per quanto ne possiamo dedurre dal suo Advaita-brahmasiddhi, di alcun maestro quale l’autore della Gauḍapādakārikā.  Vijñānabhiksu, cita nel suo Sāṇkhyapravacanabhāṣya due kārikā complete e parte di una terza, ma non attribuisce a Gauḍapāda la paternità di alcuna delle tre. Da tali citazioni il Dr. Walleser conclude che non vi fu alcun maestro chiamato Gauḍapāda che scrisse le kārikā e che la tradizione creatasi è un puro mito costruito da pensatori più recenti che non capivano il significato vero del titolo dell’opera Gauḍapādīyakārikā.


Il punto di vista del Dr. Walleser non sembra essere completo; ha sottovalutato parte delle evidenze ed ha letto dei significati non intenzionali in altre. Come osserva il professore L. D. Barnett l’evidenza citata è del tutto inconcludente. «Prima facie il nome Gauḍapāda viene paragonato a Dramiḍācārya; la parola pāda, in realtà una desinenza onorifica, viene spesso usata quale titolo dato a delle persone, per esempio Pūjyapāda. Questo ci sembra la spiegazione naturale del nome; e le prove addotte dal Dr. Walleser non avvalorano la sua tesi». Iniziamo con una delle autorità che il Dr. Walleser ha citato, cioè il Naiṣkarmyasiddhi di Sureśvara; in questo lavoro vengono citate due kārikā del Gauḍapādiya e un verso dall’Upadeśāsāhasrī, seguite dalla osservazione che i devoti Gauḍas e i Drāviḍa hanno spiegato la stessa dottrina. Non può esservi alcun dubbio a chi si riferisce il termine Drāviḍa, all’autore dell’Upadeśāsāhasrī Śaṅkara, guru di Sureśvara. Il Dr. Walleser pensa che il termine indichi Śaṅkara, il rappresentante della tradizione Dravida, è una supposizione inutile; il significato più semplice e diretto è che Śaṅkara era un Dravida, i. e. [?] veniva dal Keraøa, che fa parte del paese Drāviḍa, e il termine è stato usato per appaiare l’altra parola “Gauḍas” che in questo contesto necessariamente significa l’insegnante autore delle kārikā. Il plurale in entrambi i casi viene usato quale forma di rispetto, cioè Gauḍas significa Gauḍācārya e Drāviḍa significa Śaṅkarācārya, poichè Gauḍapāda era conosciuto solo con il nome del posto o della classe (sociale), si doveva far riferimento a lui usando Gauḍas. Come abbiamo già detto per appaiare questa parola, Sureśvara si è riferito a Śaṅkara usando il nome del suo posto di nascita. Nella Bṛhadāraṇyakopaniṣad-bhāṣya-vārtika Sureśvara fa riferimento esplicito al nome di Gauḍapāda; in un passo usa le parole gauḍapādīya vacas; in un altro fa riferimento al maestro quale Gauḍācārya; e in un terzo parla delle śloka di Gauḍada. Volgendoci ora alla testimonianza di Śaṅkara non dobbiamo mancare di notare che il commentatore delle Gauḍapādakārikā, che la tradizione ritiene essere Śaṅkara, fa riferimento all’autore dlele kārikā quale suo paramaguru. Nel commento di Śaṅkara alla Śvetāśvatara Upaniṣad c’è un riferimento a Gauḍapādācārya, il discepolo di Śuka. Anche se pensiamo che questi commenti non siano opera genuina di Śaṅkara, non possiamo non ammettere che la kārikā è conosciuta all’autore della Brahmasūtrabhāṣya poiché ne cita i versi che considera espressione del maestro che conosceva la tradizione Vedānta (vedāntasaṃpradāyavid). È stato probabilmente l’uso del plurale “saṃpradāyavidaḥ” e “saṃpradāyavidbhiḥ” a sviare il Dr. Walleser; sia in sanscrito che nelle lingue indiane ci si volge ad una persona venerabile usando il plurale. Nei due passaggi in cui Śaṅkara cita le kārikā fa riferimento non ai maestri ma al grande maestro che conosceva la tradizione Vedānta; non si rivolge all’ācārya usandone il nome a causa della profonda venerazione per lui, i termini “vṛddha” e “ācārya” usati dagli altri scrittori servono per riferirsi a Gauḍapāda. Un maestro quale Sadānanda, citando le kārikā le introduce dicendo semplicemente “è stato affermato” o perché era ben risaputo, nel suo tempo, che le kārikā erano un’opera di Gauḍapāda o perché non riteneva necessario menzionare il nome dell’ācārya. Per quanto concerne la prova di Vijñānabhikiṣu si deve dire che ha poco valore poiché cita un verso (II, 32) dal secondo prakaraṇa due volte e un verso (III, 26) dal terzo una volta e li definisce affermazioni della śruti, cita anche un altro verso (III, 5) della terza prakaraṇa ma lo definisce quale massima della Viṣṇupurāṇa che comunque non si trova in questo lavoro. L’attribuzione delle kārikā al Vedāntaśāstra dagli scrittori di Bauddha, a cui si era fatto riferimento, non implica necessariamente che essi non erano a conoscenza del nome dell’autore delle kārikā, molto probabilmente, per scopi propri, hanno ritenuto sufficente citare le kārikā dal Vedāntaśāstra.


Perciò risulta evidente che il Dr Walleser non ha prodotto alcuna prova conclusiva alla sua tesi e cioè che le Gauḍapādakārikā è il lavoro di una scuola e non di un singolo autore. Una delle autorità a cui egli stesso ha fatto riferimento, Sureśvara, parla di Gauḍapāda per nome più di una volta – fatto trascurato dal Dr Walleser.
Come il prof. V. Bhattacharya in modo appropriato osserva, abbiamo un testo davanti a noi quale l’Āgamaśāstra o Gauḍapādakārikā e perciò deve esserci un autore, è pur vero che più di un autore avrebbe potuto produrne diverse parti, ma una scuola o delle persone tutte insieme non possono essere gli autori di un testo. Non è stata portata dal Dr Walleser alcuna prova materiale per invalidare la concezione tradizionale e cioè che c’era un maestro chiamato Gauḍapāda prima di Śaṅkara, che ha insegnato Āgamaśāstra.


Il nome del maestro deve essere stato Gauḍa e il termine onorifico -pāda, -pada, -caraṇa, o ācārya veniva generalmente aggiunto al nome; certamente deve aver avuto un nome proprio, quello assegnatogli dai suoi genitori ma chiaramente da saṃnyāsin vi rinunciò e non prese un nuovo nome. Dal nome Gauḍa tramite cui fu conosciuto, possiamo dedurre che nacque a Gauḍadeśa, che come maestro visse in una parte dell’india distante da essa, e che le persone di quella località lo chiamarono con il nome del suo posto nativo. È anche possibile che altri Gauḍa si fossero sistemati in quella parte dell’India e che questo grande maestro fosse onorato da loro, probabilmente la sistemazione avvenne nel paese di Kurukṣetra come afferma Bālakṛṣṇānanda Sarasvatī. Apprendiamo sia da Ānandagiri che da Bālakṛṣṇānanda che Gauḍapāda era assorto in profonda meditazione la maggior parte del tempo; è probabile che l’Ācārya abbia visitato Badarikāśrama e che lì sia stato benedetto dalla saggezza intuitiva dell’Assoluto, e poi deve aver insegnato a quelle persone che si riunirono intorno a lui la verità che aveva scoperto, la traspose in un lavoro che venne conosciuto col nome di Āgamaśāstra o Gauḍapādakārikā.

Fonte: T.M.P. Mahadevan, Gauḍapāda - Uno studio sul primo Vedānta, Traduzione a cura del Gruppo Kevala.

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