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OBBEDIENZA INCONDIZIONATA AL MAESTRO SPIRITUALE

OBBEDIENZA INCONDIZIONATA AL MAESTRO SPIRITUALE
(Gli insegnamenti dei Purana)

Dal Mahabharata

Parte prima

STORIA DI ARUNI

Sauti continuò: “A quei tempi viveva un saggio chiamato Ayoda-Dhaumya. Il vate possedeva tre discepoli, i cui nomi erano: Aruni, Upamanyu e Veda. Un giorno disse ad Aruni: “Vai, chiudi la falla che si è aperta nel canale d’irrigazione”.
Obbediente, Aruni raggiunse il luogo dove era lo squarcio. Sul posto si rese conto dell’impossibilità di arginare la fenditura con mezzi ordinari. Non sapendo come fare si rattristò. Poi ebbe un’idea e pensò: “Ho trovato un modo per eseguire il mio compito”. Scese nello squarcio e lo ostruì con il proprio corpo. Così l’acqua cessò di fluire. Giunto il tramonto, preoccupato, il maestro chiese ai discepoli: Non vedo Aruni, dove sarà?”. Questi risposero: “L’hai mandato lontano, il suo compito era di bloccare la falla di un canale”.
Ricordatosi, Dhaumya disse: “Presto raggiungiamo quel luogo”. Giunti sul posto, il maestro gridò: “Aruni dove sei? Figlio mio vieni presto”. Udendo la voce del precettore, il giovane emerse dall’acqua.
Aruni disse: “Eccomi, non potendo chiudere il buco con altri mezzi, sono entrato in acqua e l’ho arginato con il mio corpo. Dopo aver udito il tuo richiamo, mi sono alzato abbandonando il mio compito. Ti saluto maestro, dimmi cos’altro devo fare”.
Il precettore rispose: “Non temere, non è per negligenza che l’acqua scorre ancora fuori dal canale, ma al contrario, ubbidiente ti sei alzato per rispondere alla mia chiamata, quindi come segno di riconoscenza, tu sarai chiamato Uddalaka. Poiché hai obbedito alle mie parole, avrai molta fortuna. Tutta la conoscenza delle Sacre Scritture risplenderà in te”.
Da queste parole, Aruni comprese di aver superato la prova, quindi, ricevuta la benedizione, si congedò e tornò al proprio paese”.

STORIA DI UPAMANYU

Sauti continuò:
Upamanyu fu un discepolo di Ayoda-Dhaumya. Un giorno chiamato a se lo studente il maestro disse: “Upamanyu figlio mio, vai ad accudire il bestiame”.
Ubbidendo agli ordini del maestro, Upamanyu raggiunse il luogo ove si trovava la mandria. Dopo aver vegliato il branco per tutto il giorno, la sera fece ritorno a casa. Presentandosi davanti al maestro, lo salutò con il dovuto rispetto. Questi, vedendo che il discepolo era notevolmente grasso, disse: “Upamanyu figlio mio, con cosa sostieni il tuo corpo?”. Egli rispose: “Signore, sostengo me stesso mendicando”.
Il maestro replicò: “Non puoi consumare il cibo che ottieni mendicando senza prima averlo offerto a me”. Udite queste parole il discepolo si allontanò. Recuperate tutte le vivande, le portò al proprio precettore, il quale le tenne tutte per sè. Al mattino Upamanyu andò di nuovo ad accudire il bestiame e dopo un’intensa giornata di lavoro, al tramonto fece ritorno a casa.

Dopo qualche giorno, percepito che il discepolo non esitava a dimagrire, il maestro disse: “Upamanyu figlio mio, ho requisito ogni vivanda da te elemosinata, quindi con cosa sostieni te stesso?”. Il discepolo rispose: “Signore, dopo averti donato ogni cosa, sono uscito di nuovo a mendicare. In questo modo ho potuto nutrire me stesso”. Il maestro disse: “Non è questa la via con cui tu puoi obbedire ai miei ordini. Con tale comportamento, tu hai privato altri esseri -che vivono di carità- del loro sostentamento. Il tuo comportamento è paragonabile a quello di una persona avida”.

Il discepolo dopo un cenno d’assenso si ritirò. Passata la notte, andò di nuovo ad accudire il bestiame. Passarono i giorni, quando una sera, tornato a casa dal lavoro, salutò il Guru. Questi vedendo che il discepolo ancora, non esitava a dimagrire, disse: “Upamanyu figlio mio, ti trovo in buona salute, io posseggo ogni vivanda da te elemosinata e tu non sei uscito una seconda volta, quindi come hai potuto sostenere te stesso?”. Il discepolo rispose: “Signore ora sostengo me stesso, con il latte offertomi dalle mucche che io accudisco”.
Il maestro disse: “Non è corretto che tu ti appropri del latte delle mucche, senza prima aver ottenuto il mio consenso”.

Upamanyu assentendo si congedò. Fattosi di nuovo giorno, come di solito, egli andò ad accudire il bestiame e come ogni sera tornava a casa e come di rito salutava il maestro. Questi vedendolo sempre più grasso, disse: “Upamanyu figlio mio, tu non hai mangiato delle offerte elemosinate, non sei uscito per elemosinare una seconda volta e non hai bevuto del latte di mucca, ma malgrado ciò non accenni a dimagrire. Con quale mezzo sostieni ora il tuo corpo?”. Il discepolo rispose: “Signore, ora mi nutro con gli spruzzi che i vitelli spandono, dopo aver succhiato le mammelle delle loro madri”. Il maestro disse: “Quei poveri vitelli, colmi di compassione, fanno colare dalle loro bocche una notevole quantità di latte, spruzzandolo verso di te. Sappi figlio mio, che non è giusto privare i vitelli del loro pasto”. Upamanyu assenti. Passata la notte, andò di nuovo ad accudire le vacche. Per proibizione di Dhaumya, non mangiava più le vivande elemosinate, non beveva più il latte che le mammelle delle mucche gli offrivano e nemmeno succhiava le gocce di latte che colavano dalla bocca dei vitelli.

Un giorno, mentre con il bestiame, attraversava un bosco, oppresso dalla fame, mangiò alcune foglie colte dai rami dell'albero Arka (Asclepias Gigantea). Dopo poco tempo, i suoi occhi si arrossarono e cominciarono a
lacrimare a causa di un pungente dolore. La forte salinità contenuta in quelle foglie, lo rese completamente cieco. Non potendo più vedere dove posava i piedi, inciampò e cadde in un profondo buco. Quella sera non tornò a casa.
Dhaumya, vedendo che il sole era ormai calato dietro le cime dei monti occidentali e che il discepolo, ancora non era tornato, preoccupato chiese ai suoi pupilli, dove fosse Upamanyu e perché non tornava. Essi risposero, che Upamanyu si era allontanato per accudire la mandria.

Il maestro disse: “Upamanyu è stato da me ammonito a non cibarsi. E' sicuramente a causa di ciò che egli non torna, usciamo a cercarlo”. Dopo aver espresso queste parole, con i suoi discepoli entrò nel bosco e ad alta voce cominciò a gridare: “Upamanyu dove sei?”. Quest'ultimo udendo la voce del precettore, con voce alta rispose: “Maestro, sono qua, sul fondo di un pozzo”. Raggiuntolo, il maestro lo interrogò su ciò che era accaduto. Upamanyu rispose: “Trasgredendo ai tuoi comandi, ho mangiato delle foglie dell'albero Arka e dopo qualche istante sono divenuto cieco, così non potendo vedere dove camminavo, sono caduto in questo profondo pozzo”.

Il maestro disse: “Glorifica i due Aswini, essi sono i medici degli Esseri
Celesti, solo loro sono in grado di restitutirti la vista”. Dette queste parole, il vecchio maestro se ne andò. Rimasto solo, Upamanyu cominciò a glorificare i Santi Aswini, usando le parole contenute in uno degli inni del Rig-Veda: “Voi esistevate prima della creazione. Voi siete i primi nati, visibili in questo meraviglioso universo formato di cinque elementi. Voi, o infiniti, desidero evocarvi per mezzo della conoscenza che proviene dall'ascolto e dalla meditazione. Voi siete il corso della natura. Voi siete l'anima stessa della natura.Voi siete gli uccelli dalle bellissime piume che dimorano nei corpi, i quali sono simili a tronchi d'albero. Voi siete privi dei tre attributi che caratterizzano tutti gli esseri. Voi siete incomparabili. Voi con il vostro spirito pervadete ogni cosa in questo universo. Voi siete aquile dalle piume dorate. Voi siete l'essenza in cui ogni cosa scompare. Voi siete liberi da ogni errore e non conoscete deterioramento. Voi dai bei becchi. Voi che non colpite mai ingiustamente. Voi che siete vittoriosi in ogni incontro. Voi sicuramente prevalete sopra il tempo.

Voi siete i
creatori del sole. Voi avete tessuto la meravigliosa veste dell'anno, per mezzo del bianco filo del giorno e del nero filo della notte. Con la
tessitura di questa veste, avete stabilito le due vie di azione che appartengono agli Esseri celesti e agli Antenati. Quando l'uccello della vita viene afferrato dal tempo, il quale rappresenta la forza dell'Anima Suprema, voi lo liberate. Coloro che sono immersi nella più profonda ignoranza e che sono dominati dall'illusione dei sensi, credono che voi i quali trascendete tutti gli attributi della materia. Trecentosessanta mucche, rappresentano trecentosessanta giorni e il loro vitello rappresenta l'anno. Questo vitello è il creatore e il distruttore di ogni cosa. Coloro che ricercano la verità, seguono vie diverse, succhiano il latte della conoscenza con il suo aiuto. Voi o Aswini siete i creatori di questo vitello.

L'anno è simile al mozzo di una ruota alla quale sono attaccatisettecentoventi raggi, questi rappresentano i giorni e le notti. La circonferenza di questa ruota rappresenta i dodici mesi, i quali si succedono uno dopo l'altro senza sosta. Questa ruota è piena d’illusioni e non conosce deterioramento. Essa influenza tutti gli esseri di questo e d’altri mondi. O Aswini, questa ruota del tempo è messa in azione da voi. Questa ruota rappresenta l'anno e il suo mozzo rappresenta le sei stagioni. I dodici raggi che spuntano dal mozzo, rappresentano i dodici segni dello Zodiaco. I frutti degli atti di tutti gli esseri, sono manifestati da questa ruota. Le divinità che presiedono il tempo, dimorano in questa ruota. Anch'io sono soggetto a quest’influenza.

Voi o Aswini, liberatemi dalla prigionia di questa ruota temporale. Voi o Aswini, voi siete l'universo formato dai cinque elementi. Voi siete gli oggetti che gioiscono in questo e nell'altro mondo, rendetemi indipendente dai cinque elementi. Voi siete il supremo Brahman. In principio, avete creato le dieci direzioni di questo universo. Poi avete piazzato nel cielo il sole. I Saggi, in accordo al corso del sole, compiono i loro sacrifici. Gli Esseri Celesti e gli uomini, compiono i loro sacrifici, godendo così del frutto delle proprie azioni.
Mischiando i tre colori, voi avete prodotto tutti gli oggetti della vista. E' da questi oggetti che l'intero universo deriva e nel quale i gli Esseri Celesti, gli uomini e tutte le creature, sono immerse nelle loro rispettive occupazioni.

Voi o Aswini, io vi adoro. Adoro anche il cielo che da voi è stato creato. Voi siete gli elargitori dei frutti di tutte le azioni, di cui anche gli esseri celesti non sono immuni. Voi solo siete liberi dai frutti delle azioni. Voi siete i parenti di tutti. Siete voi che come maschi e femmine inghiottite il cibo, dal quale si
sviluppa la vita, creando il fluido e il sangue. Il neonato succhia le mammelle della propria madre, ma in verità siete voi che avete preso la forma di un infante. O Aswini, restituitemi la vista, la quale può proteggere la mia vita”.
Così invocati, i gemelli Aswini, apparvero e dissero: “Noi siamo soddisfatti e per questa ragione, ti abbiamo portato in dono una torta. Prendila e mangiala”.

Upamanyu rispose: “Le vostre parole sono sicuramente vere, ma io non posso
mangiare questa torta, senza averla prima offerta al mio precettore”. Gli Aswini dissero: “Un tempo, il tuo maestro ci evocò. E noi gli regalammo una torta del tutto simile a questa, ed egli la consumò senza prima offrirla al suo precettore. Esegui pure la stessa cosa, che precedentemente è stata fatta dal tuo maestro”. Dopo aver udito le parole dei due Medici Celesti, Upamanyu disse: “O Aswini, vi chiedo perdono, ma non posso consumare questa torta, senza aver prima ottenuto il consenso del mio maestro”. Gli Aswini risposero: “Siamo completamente soddisfatti del tuo comportamento e della devozione che provi per il tuo precettore. I denti di quest'ultimo sono fatti di ferro, mentre i tuoi sono fatti d'oro, riacquista pure la vista e abbi buona fortuna”.
Mentre gli Aswini parlavano, Upamanyu recuperò la vista. Tornato a casa, salutò come di rito il maestro e gli raccontò ogni cosa successa. Dhaumya fu molto contento di lui, quindi gli disse: “Senza dubbio, tu otterrai tutta la fortuna che gli Aswini ti hanno promesso. Che i Veda e i Dharmasastra brillino di luce in te”. E questa fu la prova di Upamanyu".

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