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Riconoscimento in Shiva

Il maestro principale di questa setta shaiva che ebbe un'eccezionale diffusione nel Kashmir verso il 200 d.C., è Vasugupta, autore (per qualcuno solo lo scopritore) degli Shiva-sutra, com-posti di 78 versi.

  Secondo ciò che si narra, questa dottrina sarebbe antichissima, di molto precedente al maestro ma, essendo caduta nell'oblio, Shiva stesso gli sarebbe apparso in un sogno. Seguendo le istruzioni ricevute, il saggio andò sul monte Mahadeva dove, scolpiti su una pietra, ritrovò i sutra immortali recitati dalla divinità stessa. Questi sono alla base della dottrina.

  In seguito grandi maestri quali Kallata, Abhinavagupta e Kshemaraja la elaborarono, facendola diventare una delle filosofie shivaite più influenti. Ma con l'avvento dell'islamismo (cioè in un'epoca che va dal 1315 in poi), questa cominciò a perdere di importanza. La dottrina viene anche chiamata Kashmiri, in quanto si diffuse maggiormente proprio in questa regione settentrionale dell'India, per poi propagarsi in tutta la nazione. Ma ancora oggi in Kashmir si possono trovare molti devoti di Shiva di questa particolare tendenza filosofica.

  Diamo ora un riassunto degli Shiva-sutra.

  Prima di tutto viene introdotto il concetto del sé, il quale viene definito come "pura coscienza". Subito dopo si offrono delucidazioni sulla ragione della prigionia che l'anima deve subire in questo mondo, che è l'identificazione con la falsità, che causa il karma e dunque gli avvenimenti del mondo delle illusioni. Alla base dell'ignoranza c'è l'insieme dei fonemi che compongono l'alfabeto, e cioè l'energia materiale.

  Poi i sutra specificano che in realtà la falsità assoluta non esiste, in quanto tutto è energia dinamica di Shiva; come tale nulla viene mai distrutto, anche quando si è prigionieri nel mondo di maya. In altre parole, la nostra prigionia non causa la distruzione dello spirito.

  La conoscenza pura è causata da uno stato di veglia, mentre le rappresentazioni mentali sono generate da uno stato di sogno; la non discriminazione (o l'ignoranza) proviene da un qualcosa del tutto simile a un sogno, maya, che ci tiene prigionieri. Lo yogi che ha ottenuto la perfezione ha il dominio su tutti e tre gli stati.

  Quando si medita con volontà ferrea su come distruggere il male, si ottiene la potenza più grande di tutte. In realtà il corpo dello yogi diventa "l'esistente stesso". Grazie al raccoglimento della mente all'interno del proprio cuore, lo yogi ottiene la perfetta visione di tutto e, grazie a tale meditazione, raggiunge la Rivelazione.

  In cosa consiste questa Rivelazione? Che in realtà "io sono Shiva". In questo stato di coscienza si può ottenere un'estasi interiore priva di difetto, che è totale felicità e conoscenza. E quando si realizza che "io sono Shiva" tutti i poteri sbocciano e si mostrano appieno.

  I sutra poi iniziano a parlare dell'importanza dei mantra, tema ricorrente in tutti i testi vedici. Grazie alla loro somma potenza, diviene possibile meditare sulla Coscienza Suprema, sperimentando in sé stessi la loro efficacia. Il mantra è spirituale e può conferire ogni potere.

  Ma non bisogna assolutamente accontentarsi dei grandi poteri che scaturiscono da questa pratica poiché, adagiandosi sulla sensazione di potenza che si prova, si rischia di perdere i veri benefici, che sono ben altri. L'essenza dei mantra sta nel loro essere costituiti di conoscenza perfetta, cioè di energia spirituale. Per questa ragione si possono ottenere ambedue, cioè i poteri mistici e il sapere trascendentale. Divenuti spirito grazie a tale contatto, si guadagna lo status spirituale che è proprio di Shiva.

  Per avere tutto ciò è fondamentale l'azione del maestro spirituale (il guru), il quale risveglia il discepolo. Quest'ultimo deve dare tutto al proprio insegnante e stare bene attento a non ricadere nel circolo vizioso delle rappresentazioni discorsive. Deve badare a non ricadere vittima di maya.

  Allo yogi viene consigliato di meditare sulla dissoluzione di tutti i principi che costituiscono il suo corpo materiale. Ci sono molti tipi di meditazioni capaci di condurre alla perfezione, ma questi non possono conferire meccanicamente la perfezione massima se lo yogi non ha il cuore puro. E quando riesce a sopraffare l'offuscamento di maya, sente nascere in lui la conoscenza, che dà sommo potere.

  Questo mondo è prodotto dall'energia di chi ha già raggiunto la liberazione. Seduto in una posizione che risulti comoda, egli deve immergersi all'interno della propria coscienza e così può divenire creatore e dissolutore di ogni cosa. In altre parole, diventa Dio stesso. Di conseguenza non rinasce più. Tale yogi diviene del tutto simile a Shiva.

  Ogni cosa deve essere uno strumento per adorare e venerare Lui: il corpo, la lingua, la conoscenza stessa. Come una delle principali forme di servizio devozionale da offrire alla Divinità, il devoto deve donare la propria conoscenza agli altri.

  Egli non vede più differenziazioni: per lui tutto ciò che esiste non è altro che un'espressione delle sue stesse potenze. Questo ottiene lo yogi liberato.

  L'anima cade nell'illusione per colpa del desiderio, ma quando questo è esaurito, la prigionia si dissolve. Tutti gli elementi materiali si distaccano da lui e diviene un'anima liberata, piena e perfetta, uguale sotto ogni punto di vista al Signore. A quel punto avverrà il reincontro con Shiva.

  Per gli shivaiti kashmiri la salvezza è dunque possibile solo quando l'anima si riconosce in Shiva, e cioè quando realizza che io non sono un altro io, bensì Shiva stesso. Questo concetto è dunque una condanna per il dualismo spiritualistico e vuole così affermare la completa uguaglianza fra l'individuo e l'Assoluto, per cui esisterebbe un solo Ente Supremo.

  Un altro testo fondamentale dello shivaismo kashmiri è lo Spanda-karika (52 sutra), anche questo attribuito a Vasugupta, il quale elabora in modo forse più ampio alcuni dei concetti già espressi nello Shiva-sutra.

  Questa dottrina del "riconoscimento in Shiva" è anche denominata trika, in quanto si fonda sull'ipotesi dell'esistenza di tre principi: Shiva (il principio supremo), shakti (le sue energie) e jiva (l'anima individuale). Ma tutti e tre questi principi in realtà non sono altro che Shiva stesso. Quindi per i Kashmiri il mondo è l'oggettivizzazione del pensiero divino e quindi non esiste l'irreale, in quanto tutto ciò che la Realtà Suprema fa deve essere totalmente reale.

  Rudra crea tutto senza servirsi di nulla, semplicemente facendo agire le sue energie (shakti). Queste energie sono allo stesso tempo uguali e distinte dal Signore, e sono cinque. Con queste, Dio causa il divenire cosmico.

  Lo spirito universale diviene individuale per l'energia di maya e viene limitato da corazze (kancuka), o strati di elementi materiali, divenendo così vittima dei tre guna e subendo così sentimenti che procurano gioia, dolore e apatia. All'inizio questi tre guna sono in equilibrio, ma quando lo stato di perfetta quiete viene scosso da un urto (kshobha), l'energia materiale (prakriti) si evolve nei vari tattva (i principi che compongono la creazione materiale).

  Quando l'anima non ricorda più di essere lui stesso Dio, erra per il samsara, provocando il karma.

  Ci sono tre impurità innate, detti anche vizi fondamentali, che condizionano l'esistenza. E sono: 

l'anava-mala, il male dell'individuazione (cioè pensare di essere qualcosa che non si è), 
il karma-mala (provocare e subire il karma), e 
il maya-mala (per il quale ci si sente un essere corporeo in un mondo che immagina esistente al di fuori di lui stesso).

  Incatenate dalle tre impurità, le anime vengono munite di organi che la limitano.

  Il mezzo per conseguire la liberazione è l'annientamento dell'ignoranza e dell'individualità, cioè il samavesha (entrare o consumarsi in Dio), che si ottiene coltivando pazientemente la conoscenza perfetta.

  Di particolare importanza è l'accettazione di un guru autentico e la recitazione sapiente dei mantra. E quando l'energia divina (shakti) entra nel devoto e s'impossessa di lui, egli torna ad essere "uguale a Shiva" (Shiva-tulya).

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