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La coda dell'elefante

Un'antica storia indù racconta di un maharaja che un giorno, di ritorno da una partita di caccia, trovò i sapienti della sua corte in grande agitazione. Chiestane la ragione, dal più anziano di loro seppe che la causa era un sottile tema religioso alla cui interpretazione tutti partecipavano con tale animosità e convinzione che in breve tempo dalla pacata argomentazione erano passati a una disputa e poi a una vera e -propria rissa.Il maharaja allora, imposto energicamente il silenzio, fece entrare nella corte un gruppo di mendicanti ciechi che sempre sostavano fuori delle mura, e portato poi l'elefante più grande delle sue stalle prese uno per uno ciascun cieco e con pazienza fece a lui toccare una parte del grande bestione, una zampa, la proboscide, una zanna e così via fino alla coda. Riuniti poi tutti attorno a sé, domandò loro di descrivere l'animale che avevano toccato. Non passò molto tempo che i discordi pareri dei poveri ciechi generarono una discussione che sì animò via via fino a diventare una rissa. 1 sapienti che assistevano compresero e tacquero. Quanto dirò sull'induismo corrisponde all'opinione del cieco che aveva toccato la coda dell'elefante, ma comunque sarà sempre un piccolo contributo alla conoscenza di questo mondo.
L'induismo è come un grande elefante, una massa enorme composta di tante parti., apparentemente diverse e incoerenti ma in realtà costituenti un tutto unitario nel suo insieme. Il termine «induismo» è relativamente recente, probabilmente di epoca Moghul, e trae origine dal nome del fiume Indo, dell'India occidentale, e si riferisce a un complesso mosaico di religioni di diverso grado di evoluzione, dalle più ' elementari superstizioni alle mitologie più fantasiose, dai culti più complessi alle regole di vita più rigide, da un elevato misticismo a -un ateismo assoluto. E bene precisare che il termine religione ~\-a inteso in modo diverso dalla comune accezione occidentale, che definisce la religione parte integrante della vita umana ma non totalizzante. Pensiamo alla frase «date a Cesare quel che è dì Cesare...». Nel mondo orientale. religione, filosofia, attività collettiva e individuale costituiscono . Un tutt'uno che investe in modo totale la vita dell'uomo. Convenzionalmente col termine induismo si intende il complesso delle credenze religiose, le pratiche di vita, l'insieme di culti, riti e liturgie rivolti a disparate entità divine di origini diverse che nel corso dei millenni si sono venute amalgamando attorno a un nucleo originario fondamentale.
Verso il III e il Il millennio a.C., dalle pianure della Russia meridionale una popolazione, gli Ari, si espansero verso occidente e verso oriente fra la Persia, l'Afghanistan e la valle dell'Indo e. sovrapponendosi alle culture esistenti in quei luoghi, formarono nuove culture dando luogo anche a nuovi villaggi. In particolare nella valle dell'Indo si generò una nuova lingua, il sanscrito dalle originarie radici vediche: integrandosi e assimilando precedenti elementi delle antiche culture dravidiche, si conservò nei secoli successivi e divenne la lingua colta nella valle dell'Indo, la lingua dei più antichi testi religiosi del mondo, i Veda, prima trasmessi oralmente in canti e poesie (il verso ritmato è più agevole a essere trasmesso oralmente) e poi codificati in una serie di opere che presero appunto il nome di Veda dal sanscrito «conoscenza., intuizione, visione (vid, vedere)». Essi sono composti da oltre un centinaio di libri. tutti giunti integri fino ai nostri giorni, divisi in quattro parti principali con aggiunte di opere più tarde, e dai sacri poemi quali il Mahabharata, la Bhagavadgita, il Ranlayana. I Veda principali sono il Rig-Veda, il più antico, comprendente un migliaio di inni, il Yaiur-Veda, costituito da formule rituali e liturgiche in versi e in prosa, il Sama Veda, raccolta di inni religiosi con già annotazioni musicali e l'Atharva-Veda, in versi e in prosa comprendente formule magiche, inni teofisici e cosmogonici, incantesimi e anatemi. Le Upanisad, una delle parti più interessanti dei Veda, scritte fra l'800 e il 300 a.C., sono l'espressione dei più alti concetti spirituali e la base della cosmogonia e cosmologia e quindi della meta-., fisica dell'induismo.
Inizialmente politeista con un pantheon di varie divinità celesti e terrestri, originarie e acquisite, da una visione panteistica il mondo vedico procede nel tempo verso una forma di enoteismo, predominio di una divinità sulle altre, poi di monismo, «la grande divinità degli dei è una», fino a un vero monoteismo, pur non rinunciando a convivere con tutte le varie credenze e superstizioni.
Dopo la fase più antica del vedismo nella quale troviamo ancora evidenti tracce del culto della «dea madre», comune a tutto il mondo preistorico e protostorico ha inizio intorno all'800 a.C. e continuerà per molti secoli fino a circa il 200 a.C. il periodo del brahmanesimo che influenzerà e influenza tuttora il mondo indù . e la sua cultura. Durante tale periodo il potere della società indiana fu in mano appunto ai brahmana o bramini, la casta più alta del sistema sociale indù, dedicata allo studio e all'insegnamento dei Veda, alla loro interpretazione all'esercizio delle funzioni religiose e alla ritualità dei sacrifici. Il sacrificio o offerta ha un diverso significato che non nel mondo occidentale ove è l'espressione dì un atto dovuto di sottomissione alla divinità, un atto di espiazione. e l'uomo e il divino sono due entità una subordinata all'altra. Nel pensiero induista il sacrificio è un atto che non chiede nè perdono nè intervento benevolente nella vita terrena, ma è un mezzo per trasformare la propria carne, la propria parte terrena in parte divina ed essere così partecipe dello stesso fatto divino.
E' nel periodo brahmanico che nascono i fondamenti religiosi e filosofici, per esprimersi con nostri termini, dell'induismo. Nasce il concetto del Brahman, il conoscibile e insieme l'inconoscibile, l'onnisciente ed eterno, realtà suprema che include il tutto, fondamento dell'universo, fonte di ogni esistenza. «In verità tutto questo mondo è Brahman ma Brahman trascende ogni possibile concetto umano». A esso si contrappone, in una formulazione solo apparentemente dualistica, l'Atman, il «sé» universale, la realtà profonda dell'essere e quindi dell'uomo e anch'esso è «uno», realtà fondamentale che tutto comprende, coscienza e consapevolezza, soggettivazione dell'universo.
Brahman e Atman sono la stessa cosa, uno aspetto dell'altro, oggetto e soggetto del tutto. «In verità quel grande Atman, non nato, non decadente, imperituro, immortale, intrepido è Brahman». Si deve tener conto che queste espressioni e definizioni e concetti risentono del nostro mondo culturale ben diverso e di una difficile interpretazione semantica e quindi di difficile comprensione. Queste due forme di un'unica entità, sono al di sopra e nello stesso tempo nella realtà.
Il concetto dell'anima, anima individuale, e diverso da quello occidentale. L'anima non é immortale ma eterna, non è generata ma preesistente; ad un certo momento s'incarna in un corpo che è costituito da cinque strati fisici (il primo è quello della percezione) e vive in un ciclo continuo di nascita, conservazione e distruzione in una spirale che sale e scende, ove l'individuo ha un potere di scelta e attraverso le sue azioni determina le successive reincarnazioni. E' il karma, «l'azione», uno degli elementi fondamentali, la legge della causa e dell'effetto, la legge inesorabile delle retribuzioni, che regola il ciclo della nascita e della rinascita oltre il quale l'anima vive nelle sue molteplici reincarnazioni per il ricongiungimento finale con l'assoluto.
Sorge qui il dilemma della unicità nella molteplicità, dilemma comune alle religioni monoteiste, problema irrisolto per via razionale ma accettato per via fideistica e analogica. I'anima è come l'acqua del mare che può essere contenuta in un vaso di coccio immerso in esso. Alla rottura del vaso l'acqua contenuta ritorna al mare. Ogni individuo vive il suo ciclo nella sua fatalità e nessun intervento esterno può mutare il suo divenire.
Tutta la filosofia-religione induista è basata sul tentativo di migliorare la vita e pur prendendo avvio da una visione pessimistica (la vita come sofferenza) giunge a una visione ottimistica dell'autosalvezza.
Si può così meglio comprendere l'atteggiamento fatalistico dell'indù, la rassegnazione dell'individuo, la passività apparente, il non intervento dell'uno nella vita dell'altro. L'uomo, il singolo è il solo artefice del proprio destino nè gli dei nè gli uomini possono intervenire a suo favore, è lui stesso che con la sua devozione può risvegliare in sé le forze risanatrici del suo destino.
Ecco che gli dei non sono che le manifestazioni riflesse della natura stessa dell'uomo, dei processi vitali del suo corpo, degli impulsi che animano il mondo materiale, delle sue emozioni. Essi non sono entità al di fuori dell'uomo per contemplarlo, giudicarlo e aiutarlo, ma sono le medesime potenze di cui è intessuto il suo essere, la qualità e i difetti che traspaiono nella stessa sostanza dell'anima durante il ciclo del karma. Essere in accordo con la divinità, compiendo i riti e seguendo le leggi, significa essere d'accordo con se stessi e garantirsi una vita migliore prima o dopo la morte. Ne consegue che l'etica nell'induismo è ben diversa da quella occidentale. L'individuo deve comportarsi secondo le regole del karma-samsara per la sua salvezza che in fondo non è che il ritorno al mare dell'acqua del vaso; egli sarà nel giusto per motivi filosofici, non etici.
La gnoseologia vedica ha invece alcuni punti in comune con quella occidentale o meglio con quella greca: il sillogismo è la base metodologica e il principio di causa ed effetto ne è consequenziale, il burro ha la sua causa nel latte e solo dal latte può nascere, esso quindi preesiste nel latte. La preesistenza dell'effetto nella causa porta a un determinismo materialistico inevitabile. La conoscenza si raggiunge attraverso varie fasi. la prima delle quali è la percezione che arriva dai sensi, dal contatto con l'esterno, con il mondo. Seguono alla percezione l'atto di comparazione e di confronto e quindi l'atto della testimonianza. L'atto della conoscenza però non ha in sé valore se non marginale come veicolo per agevolare il karma. Ed è questo il motivo della ridotta importanza della metafisica, del non interesse per le scienze fisiche e per la storia come maestra di vita.
La conoscenza dei riti, delle liturgie, la capacitá di leggere e interpretare i sacri testi, come sopra detto, determinerà il grande potere della casta dei bramini fino all'avvento in India del buddhismo circa nel 200 a.C. Il buddhismo, indiano sorse come reazione al potere braminico ormai troppo invadente. La nuova religione però non ebbe lunga vita in India. Pochi secoli furono sufficienti perché l'induismo, con la sua immensa capacita di assorbire e integrare tutto cio che veniva dall'esterno, inglobò la stessa figura del Buddha, i suoi riti, la sua filosofia, facendo, possiamo dire, naufragare il Buddha nel suo mare immenso. L'ecletticità, il potere di assorbire, la capacità di integrare altre religioni sono la caratteristica dell'induismo di ogni tempo. Ed è proprio dopo la fine del brahmanesimo e l'assorbimento del buddhismo che si consolida quello che sì definisce come induismo e che tuttora da oltre due millenni sopravvive in una continua evoluzione e involuzione, e pur nelle sue mille contraddizioni è profondamente radicato nell'animo dell'ade to che vive la sua religiosità in modo totale.
La divisione degli uomini in caste è uno degli elementi che più colpisce l'attenzione dell'occidentale. In realtà da un punto di vista religioso e dottrinario è un problema marginale. Le caste sorsero fin dagli inizi come corporazioni professionali. L'idea di specializzare un nucleo familiare verso un'attività pratica sembrò conveniente da un punto di vista di efficacia sociale. Si delinearono così in modo sempre più marcato le caste come ordini chiusi specializzati, sacerdoti, guerrieri, commercianti, artigiani, agricoltori, servi e così via, dai confini invalicabili, con una graduazione di poteri in rigidissimi schemi. Queste secolari istituzioni si sono mantenute nel tempo e sono tuttora vigenti e oggi possono costituire anche un notevole ostacolo nello sviluppo della comunità indiana. Dal punto di vista strettamente religioso ogni individuo, indipendentemente dalla sua casta, persegue il ciclo del karma-samsara fino alla liberazione finale della sua anima e così, anche da un punto di vista di «merito», si hanno parità di meriti per l'individuo che in funzione della sua casta, del suo livello culturale e quindi delle sue credenze si comporti secondo la legge. Il merito sta nella precisione, nella forza e convinzione che ciascuno impegna nel rispettare i precetti, i riti, le liturgie assegnate alla propria condizione umana nella sua fase terrena nel lungo cammino del karmasamsara. il guru., il santone che conosce la via retta e il più umile devoto che crede e segue scrupolosamente le regole della sua setta hanno lo stesso valore e merito. Le regole, la liturgia induista fino dai più antichi Veda lungo i secoli hanno generato un gran numero di diverse correnti di pensiero, di miti e di sette, di sottosette e di veri e propri sistemi religiosi, come ramificazioni intrecciate uscenti da un unico tronco iniziale. pur mantenendosi l'unità dell'albero.
Si diceva all'inizio di come il fatto religioso investa l'individuo in modo totale. Basterà ricordare che la più grande e terribile rivolta contro il dominatore inglese, la great mutiny del 1857 e che durò tre lunghi anni con vicende fra le più sanguinose da una parte e dall'altra, si accese improvvisa per un semplice episodio: l'imposizione da parte degli inglesi ai loro soldati indiani, i sepoy, di usare, per un nuovo tipo di fucile, cartucce con un involucro in cartone unto con grasso animale, che doveva essere strappato con i denti.
Chi è stato a Bombay e ha visitato la famosa grotta di Elephanta, in un'isoletta davanti al porto della città, è stato certamente colpito dalla bellezza e dalla forza espressiva della grande scultura nel fondo della grotta drammaticamente illuminata dalla luce dell'ingresso. Una enorme testa della Trimurti. In essa sono rappresentati, sui tre lati della testa, i tre volti, i tre aspetti di uno stesso concetto del divino, il volto sereno e consapevole di Brahma, il dio della creazione, il volto intenso e benevolo di Vishnu, il dio della conservazione., il volto terrifico e doloroso di Shiva, il dio della distruzione. Da questa rappresentazione simbolica che riassume in sé la concezione dell'universo sono derivate le principali correnti religiose, in particolare lo shivaismo e il vishnuismo che hanno a loro volta generato altri culti con i loro riti e sette, alcune delle quali sembrano non riconoscersi--nelle loro stesse radici.
I limiti di questa relazione non consentono di addentrarsi nel labirinto di tutta la mitologia induista e nella selva delle divinità popolari alle quali va la devozione dei fedeli e che hanno dato luogo nei secoli alla complessa arte iconografica indiana che tutti noi guardiamo con meravigliata ammirazione e più , spesso con incomprensione, a una letteratura che si rifà alle antiche storie della Bhagavad-gita, del Mahabharata, del Ramayana che, dietro i racconti di epiche gesta, di drammatici odi e amori. di intricate vicende, hanno come substrato un profondo pensiero filosofico. A lato di tutto questo sono nate le più sofisticate scuole di pensiero e correnti filosofiche che tuttora alimentano il mondo della cultura induista nella quale l'ateismo del Samkhya, del Mimamsa e dello Yoga non sono in contraddizione col tutto, il dualismo della Prakrti, materia e causa primordiale dell'universo, energia inconsapevole del mondo si unisce con il Purusa, essenza umana cosciente, l'una principio femminile, l'altro principio maschile dalla cui unione ha origine l'universo.
Non è possibile. inoltre, addentrarsi più dettagliatamente in questo mondo così complesso e multiforme e d'altra parte il fine che mi ero proposto era solo quello di invitare il visitatore dell'India a una maggior attenzione all'aspetto religioso del paese. Non solo: questi limiti, come ho detto all'inizio riportando l'aneddoto del maharaja, sono segnati per avere io stesso toccato solo la coda del grande elefante. Fra i lettori qualcuno certamente potrà aggiungere molte altre cose, dire e contraddire quanto è stato detto, a seconda della parte che avrà avuto in sorte di toccare, le zanne, la proboscide e così via.
Un'ultima notazione, una definizione che ho letto da qualche parte: l'induismo è il museo di tutte le grandi religioni del mondo che in esso possono trovare remote radici.

Mario Dalmazzo

 

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