Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorare la tua esperienza e offrire servizi in linea con le tue preferenze. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie vai alla sezione.

vedanta.it

Viaggi di Vittoria

Estratto da « Samnkaracarya » (Capp. I, II, III, IV) del dr. T.M.P. Mahadevan - National Book Trust - New Delhi

Per Samkara era venuto il momento di intraprendere i suoi viaggi di vittoria. Le forze contro le quali egli doveva combattere erano sia all'interno dell'ambiente ortodosso che all'esterno. Questa, tuttavia, era una lotta nella quale il vinto non perdeva niente, ma aveva tutto da guadagnare. Sia le scuole ortodosse che i cosiddetti sistemi eterodossi si rinvigorirono dopo che Samkara fece capire ai loro rispettivi seguaci la necessità di rimuovere i difetti presenti nelle loro convinzioni e le irregolarità nei loro metodi.

La più potente e diffusa scuola ortodossa del tempo era la Purva-Mimánsá. Secondo questa scuola, lo scopo dell'intero Veda è l'azione rituale o religiosa (dharma) e non il Sé non duale (atman-Brahman). Samkara dovette prima di tutto correggere il punto di vista unilaterale dei sostenitori della Mimansa in riguardo all'insegnamento vedico. C'era un grande capo di questa scuola che viveva a Prayága (Allahabad), chiamato Kumárila Bhatta. Secondo una tradizione ortodossa, Kumàrìla era un'incarnazione del Signore Subrahmanya, il più giovane figlio (Kumara) di Siva e Parvati. Scopo dell'incarnazione era di ristabilire il Dharma Vedico attraverso la confutazione delle dottrine Buddhiste. Da giovane, Kumárila aveva studiato in un monastero buddhista, "perché voleva conoscere le dottrine direttamente, per poterle in seguito confutare in modo effettivo. Vincendo gli studiosi Buddhisti in dibattiti, egli ristabilì l'autorità dei Veda e la santità dei rituali ingiunta in essi. Per salvaguardare la validità e Findìpendenza dei Veda stessi, egli dovette anche sostenere che non c'era alcun bisogno di postulare un Dio onnisciente e onnipotente.

Lasciando Kashi, Samkara andò a Prayaga, il luogo della confluenza del Gange, dello Yamuna e del sotterraneo Sarasvati. Lo scopo del suo viaggio era quello d'incontrare Kumárila Bhatta, convincerlo della validità del Vedánta e, se possibile, fargli scrivere un vartika (commento in versi) sul Brahma-sutra-bhashya. Ma quando raggiunse Prayaga, Samkara seppe che Kumàrila Bhatta, il valoroso campione della Mimánsá, stava per immolarsi ricoprendo il suo corpo con una catasta di glume di riso che bruciava lentamente (tushagni). Kumarila aveva deciso questo atto estremo in espiazione dei due maggiori peccati commessi: l'inganno attuato nei confronti dei suoi istruttori buddhisti e la sua negazione, come Mimánsaka, dell'esistenza di Dio. Samkara si affrettò al luogo in cui ciò stava accadendo. Il corpo di Kumárila bruciava, ma la sua mente era completamente vigile e in pace. Egli disse a Samkara che essendo già iniziato il processo di espiazione non poteva ora recedere, ma, ugualmente, era felice di trascorrere insieme a lui gli ultimi momenti della sua vita. Disse di essere ora convinto della verità del Vedánta, e per dimostrare l'inadeguatezza della Purva-Mimansa, suggerì a Samkara di andare a Mahishmati e di avere un dibattito con Mandana Misra, un accanito Mimansaka, molto versato nei Veda come nell'arte del dibattito.

Accompagnato dai suoi discepoli, Samkara si recò a Mahishmati, città nella quale Mandana aveva la sua dimora. Nel Madhaviva-Samkara-vijava sono riportati due aneddoti per far comprendere come Mandana fosse un grande studioso dei Veda e un ardente seguace della scuola ritualistica della Mimànsá. Si sentiva ripetere dai pappagalli nell'atrio della casa di Mandana: « La legittimità è intrinseca alla conoscenza, o estrinseca? », « il karma è il dispensatore di frutto, o esso è Dio? Il mondo è eterno, o è effimero? ». Quando Samkara arrivò, trovò le porte chiuse col catenaccio poiché Mandana era impegnato nell'esecuzione della cerimonia Sraddha Samkara entrò nella casa, si dice, esercitando il suo potere yogico. Mandana s'infuriò alla vista di un samnyasin e fece piovere parole offensive su di lui, dicendogli che non aveva alcun diritto di presenziare a una cerimonia che implicava un solenne rituale in onore dei mani defunti. Quale samnyasin, non abituato al rituale, non poteva essere presente in una casa dove si stava eseguendo un rito. Mandana Misra aveva ceduto all'ira a causa della sua avversione per il Vedánta e il samnyása-ásrama, per quanto conoscesse l'ingiunzione del Dhama-sastra secondo il quale chi prende parte a una cerimonia Sraddha non deve perdere la calma. Vyása e Jaimini, che erano lì presenti, chiesero al loro ospite di desistere dalla sua collerica condotta e invitarono Samkara ad accettare ospitalità in occasione della cerimonia gráddha. Mandana comprese il suo errore e invitò Samkara ad unirsi nel rito. Questi rispose che non era venuto per chiedere cibo, ma un dibattito con lui. Mandana accettò la richiesta e disse che esso avrebbe avuto inizio il giorno seguente. La scommessa era che, in caso di sconfitta, Mandana sarebbe diventato samnyasin e seguace del Vedánta, ma, qualora fosse stato vinto Samkara, questi avrebbe dovuto, dopo la appropriata espiazione, indossare vesti bianche e diventare un seguace della scuola ritualista. Quale arbitro in questo importante dibattito fu nominata Sarasvati, la moglie di Mandana, famosa per la sua cultura. il giorno seguente, all'inizio della disputa, Sarasvati fece indossare a ciascuno dei contendenti una ghirlanda di fiori e dichiarò che il possessore della ghirlanda che avesse cominciato per prima ad avvizzire sarebbe stato ritenuto sconfitto. Poi, ella tornò ad adempiere i suoi doveri domestici.

Il dibattito si accentrò sul significato dei Veda. Mandana cercò di difendere l'interpretazione della Miniànsá, e Samkara il punto di vista dell'Advaita-Vedánta.

Il dibattito tra i due proseguì per molti giorni. Ogni giorno, quando Sarasvati li invitava a mangiare, ella diceva, rivolgendosi a suo marito: « Per favore alzati e mangia », e, all'Acárya: « Prego, prendete il vostro bhiksha (elemosina) ». Mandana giorno per giorno stava perdendo terreno. Alla fine, la ghirlanda che portava incominciò ad appassire. Notando questo, Sarasvati si convinse che suo marito doveva reputarsi sconfitto e, secondo la scommessa, doveva diventare samnyasa. E così, quel giorno, ella si rivolse sia a Mandana che a Samkara nello stesso modo quando chiese loro di mangiare: « Per favore venite a ricevere il bhiksha ».

Riconoscendosi sconfitto e comprendendo la irrefutabile natura della verità dell'Advaita, Mandana Misra pregò Samkara di iniziarlo nel samnyasa e di accettarlo in qualità di discepolo. Samkara lo consacrò e gli dette il nome « Sureávara ». Suresvara venne conosciuto più tardi come il Vartikakara per i Vartika scritti ai bhashya del Maestro, soprattutto alla Brihaddranyaka e Taittiríya Upanishad. Sarasvati seguì l'esempio del suo signore e si unì a coloro che stavano intorno a Samkara.

Un giorno, Samkara venne a sapere che la fine di sua madre era prossima e, ricordando la promessa fattale, ritornò a Kalati. La madre fu felice di rivederlo. Egli divenne il suo guru, istruendola nella spiritualità e preparandola alla morte che ella incontrò tranquillamente e con fiducia.

Parliamo, ora, della grandiosa opera di Samkara. Egli fece il giro dell'India più di una volta, probabilmente tre volte, e, ovunque andava, la gente si sentiva innalzata. Dovette superare anche ostacoli, ma fece ciò con dolce ragionevolezza e, soprattutto, basandosi sull'esperienza completa che aveva avuto. Quando false dottrine stavano sviando la maggior parte delle persone e l'ortodossia, per neutralizzare l'ateismo dell'eterodossia, non aveva niente di meglio da offrire che uno sterile e antiquato ritualismo, Samkara riconquistò i più alti gradi della filosofia upanishadica portando, per il bene dell'umanità, l'acqua di vita eterna.

Samkara venne non per distruggere, ma per edificare, e la filosofia che egli insegnò, l'Advaita, non dev'essere considerata una contrapposizione alle varie scuole di pensiero. Il paramaguru di Samkara, Gaudapáda, aveva già insegnato che non poteva esserci nessun antagonismo tra l'Advaita e le filosofie dualistiche. Come non si può venire a contesa con le proprie membra, così l'Advaita non può avere alcun contrasto con i sistemi filosofici. Samkara, che riscoprì lo spirito della unità e della totalità e lo rivelò a un'epoca di tumulto e di discordia, cercò di porre fine alle scissioni e di rimettere le parti al loro posto nel contesto del Tutto. La sua missione consistette nell'affermare non solo la Non-dualità di Brahman (Brahmadvaita) ma anche la fondamentale non-differenza degli altri « punti di vista » (darsanadvaita). In questo egli seguì soltanto l'insegnamento fondamentale dei Veda che proclamano la suprema verità: « La Realtà è Una », e immediatamente aggiungono: « Coloro che conoscono, parlano di ciò in vari modi ».

Le scuole ortodossa ed eterodossa trassero ugualmente beneficio dalla critica costruttiva di Samkara. Per quanto partendo da punti di vista divergenti, la Mimánsaka e la Bauddha erano diventate insoliti compagni di lotta nella difesa delle dottrine atee. Samkara, dovette correggere l'unilateralità di entrambe, ma né l'una né l'altra soffrirono per la sua critica. Il Karma o rituale fu messo al suo giusto posto come un propedeutico al sentiero della conoscenza. La nobile dottrina dell'ahimsa posta in rilievo dal Buddha, e non sconosciuta ai Veda, fu resa una parte essenziale della filosofia indù del dharma, e il Buddha stesso venne ad essere considerato un avatára di Vishnu.

Come la filosofia, la religione trasse anch'essa vantaggio dagli insegnamenti di Samkara Mentre egli cercava di rimuovere le sovrastrutture che si erano insinuate nelle fedi e nelle loro istituzioni - e per questo dovette rischiare la vita molte volte - egli volle preservarle nella loro genuinità additandole come modi diversi di accostarsi a Dio. La concezione di una Divinità personale non è la più alta, secondo Samkara, ma la devozione ad !<vara è un gradino necessario alla realizzazione Advaita. Da questo punto di vista, allora, non è il nome col quale Dio è chiamato che importa, ma la buona fede e l'intensità dell'adorazione offerta. Nell'Inno ad Harí Samkara dichiara: « Gloria ad Hari, il distruttore delle tenebre del samsara la sola Realtà che, a causa della diversità degli intelletti, si manifesta in molti modi, come Brahmá, Vishnu, Rudra, Agni, Surya, Chandra, Indra, Vayu e Sacrificio ». Il fondamento della religione è lo stesso, sebbene le sue manifestazioni siano varie. Samkara, professò il puro universalismo spirituale; senza alcun senso di diversità, egli, nei suoi inni, ha reso omaggio a Dio nei suoi vari aspetti.

Dev'essere stato bello per gli Dei osservare il giovane parivrajaka (monaco errante), accompagnato da un gran numero di discepoli e seguaci, che andava di luogo in luogo per diffondere il vangelo dell'unità e della pace. L'itinerario del viaggio di Samkara, da un capo all'altro del paese è differentemente riportato nei diversi 9anikara-vijaya. Ma tutte le nostre fonti sono d'accordo nel sostenere che Samkara visitò tutti i luoghi importanti di pellegrinaggio, roccaforti di numerosi culti religiosi e centri di cultura. Circa settantadue scuole religiose, ci dicono, prevalevano nel paese creando fazioni e facendo appello ai più bassi desideri e passioni attraverso pratiche degradanti.

Anandagiri, nel suo Samkara-vijaya, fornisce un resoconto dettagliato dei luoghi visitati da Samkara nel corso del suo dig-vijaya, dei dibattiti che egli ebbe con i seguaci delle diverse fedi e delle scuole di filosofia, e della conversione di quei seguaci alla via dei Veda e del Vedánta. Riferiremo qui alcuni dibattiti. Uno di essi avvenne in luoghi come Rámeávara, centro delle sette Saiva. C'erano molte ramificazioni dello Sivaismo: Saiva Raudra, Ugra, Bhatta, Jangama e Pasupata; tutte sostenevano che Rudra-Siva è la suprema Divinità e che adorandolo e mostrando i segni Saiva sul corpo si ottiene la Liberazione. A Ujjayini ci fu un dibattito con i Kápálika. Portando capelli arruffati, vezzi di perline di cristallo e il simbolo della luna crescente, essi si avvicinarono a Samkara e spiegarono la loro dottrina secondo la quale Bhairava era il Signore di tutti gli esseri e, poiché era il distruttore dell'universo, Egli solo poteva essere il creatore e preservatore.

In luoghi come Anantasayanam, i seguaci dei vari culti Vaishnava invitarono Samkara ad un dibattito. Oltre al culto Vaishnava propriamente detto c'erano il Pancharatra, il Vaikhanasa, il Karma-hina-vaishnava e altre sette. Essi cercavano di dimostrare che Vishnu, sotto qualsiasi forma, era il Dio principale e che gli Agama Vaishnava avevano speciale importanza e autorità. A Subramanya-stala, i seguaci del culto di Hiranyagarbha esposero la loro dottrina: Hiranyagarbha, lo Spirito dell'universo sottile, era la Divinità fondamentale. C'era un notevole numero di culti vedici in pieno rigoglio in zone sparse. Nel luogo chiamato Tulajabhavani-puram, gli adoratori della Sakti sotto l'aspetto di Prakriti, asserivano che soltanto la Sakti era la potenza indipendente, responsabile dell'intera creazione, perché da Lei il Brahnid creatore e gli altri Dei emergevano, e che la via per liberarsi era adorarLa sotto l'aspetto di Bhavani. Analogamente, nella città di Kuvalayapuram, i seguaci del culto Mahalakshmi asserivano che la Dea della prosperità era la Madre di tutti gli esseri. C'erano altri che adoravano Sharada, la Dea del Sapere. Secondo questi ultimi, l'adorazione di Sharada era il mezzo più sicuro per moksha.

A Purangavaram, i seguaci del culto Ganapati incontrarono Samkara per un dibattito. C'erano sei diversi rami di questo culto, ciascuno devoto a uno dei sei aspetti di Ganeáa: Mahaganapati, Haridraganapati, Ucchishtaganapati, Navanitaganapati, Svarnaganapati e Santanaganapati. Secondo tutte queste sette, la Divinità principale è Ganapati, che rimuove tutti gli ostacoli e concede il bene supremo. Un altro culto era basato sull'adorazione di Surya (il Sole).

La risposta a tutte queste sette e scuole, secondo Samkara è l'Advaita. Il Dio di ogni setta rappresenta un aspetto di Isvara in Lui tutti gli Dei trovano il loro culmine. Dio o Isvara nel suo triplice aspetto di Brahmd, Vishnu e Siva, è l'intera ed unica causa dell'universo. L'adorazione di uno solo di questi aspetti o di qualsiasi altra espressione meno profonda della Divinità, condurrà, alla fine, il fedele più vicino alla meta. Per mezzo di discipline come il servizio disinteressato, la devozione a Dio in una qualsiasi delle Sue manifestazioni e lo Yoga del controllo mentale si ottiene la capacità di seguire il sentiero della conoscenza, che consiste di studio (sravana), riflessione (manana) e meditazione ininterrotta (nididhyasana), che si conclude nella realizzazione di Brahman il quale è liberazione. Samkara esortò i seguaci delle sette ad abbandonare la limitatezza e il fanatismo, a desistere dal segnare i loro corpi con simboli del culto e a volgersi a più elevati modi di adorazione e sistemi di vita.

Ci sono tre luoghi sacri connessi con l'adorazione di Siva: Tiruppudaimarudur, chiamato anche Putarjuna (nella regione di Tirunelveli), Tiruvidaimarudur, noto come Madhyarjuna (nella regione di Tanjavur) e Mallikarjuna a Sri-Sailam (Andhra Pradesh). A Tiruvidaimarudur avvenne un miracolo quando Samkara lo visitò. Il desiderio dell'Acárya era che il Mahalinga dichiarasse lui stesso, nel grande tempio del luogo, la verità dell'Advaita. In risposta alla preghiera di Samkara, il Signore Siva, apparve come se uscisse dal Mahalinga, alzò la mano destra e proclamò: 'satyam advaitam, satyam advaitam, satyam advaitam'. Coloro che furono presenti a questa manifestazione del Signore furono grandemente lieti e accettarono Samkara come loro Acárya.

Concluderemo questo capitolo con un resoconto della visita di Samkara nel Kashmir. Il pellegrino cinese Hsuan-tsang, che visitò il Kashmir nel 631 d.C., rende questo entusiastico omaggio alla cultura di quel luogo: « Questo paese si è distinto da tempo remoto per la cultura, e i suoi sacerdoti sono tutti di alto valore religioso e notevoli virtù, quali grande talento e capacità di chiara esposizione della dottrina ». Alludendo, evidentemente, alla naturale bellezza della valle e alla sua sacra atmosfera, un visitatore più recente, Abul Fazl, che era filosofo, amico e guida di Akbar, loda il paese come il luogo « degnamente adatto ad essere la gioia della persona amante del bello e la solitaria dimora dell'eremita ».

Oltre all'Induismo in due delle sue forme, gaiva e Sakta, il Buddhismo si è propagato largamente nel Kashmir. Secondo il calcolo di Hsuan-tsang, c'erano ai suoi tempi più di cento monasteri buddhisti e cinquemila confratelli. Quanto ai templi hindu e alle istituzioni dei principali culti, ne esisteva un numero imprecisato. Il Kashmir costituiva una terra ospitale per lo sviluppo della religione e della filosofia, sia ortodosse che eterodosse.

La varietà kashmirica dello Shivaismo conosciuta come Pratyabhiina o Trika è un tipo di monismo o non-dualismo (advaita), poiché, secondo esso, Siva l'ultima realtà, è il Sé di tutti gli esseri, e non c'è alcuna realtà oltre Lui. Siva è chiamato anuttara, la realtà oltre la quale non c'è più nulla; è pura coscienza, totale esperienza e Signore supremo. Da Lui l'universo nasce proprio come un'apparenza o un'immagine riflessa; ma questa apparenza è reale per lo Shivaismo del Kashmir, mentre per l'Advaita-Vedánta l'universo-apparenza non è reale assoluto. Sarà interessante notare che Samkara adotta alcuni termini-chiave dello Shivaismo kashmirico nel suo Inno a Dakshinamurti, per spiegare la verità dell'Advaita-Vedanta, proprio come il suo parama-guru Gaudapáda aveva fatto uso della terminologia buddhista nei suoi Mandukya-karika con lo stesso scopo. Nel Dakshinamurti-stotra, l'universo è paragonato a una città vista in uno specchio come per magia; esso rappresenta una semplice proiezione, come quella fatta da un mago o da un grande yogi. Gli elementi costitutivi e i quattro elementi della natura che comprendono i vari aspetti del corpo e della mente sono un gioco di maya; l'anima è attratta nel flusso del samsara perché è ingannata dall'ignoranza, ma quando si risveglia e riconosce (pratyabhijnayate) la sua vera natura come Spirito non-duale, non esiste più alcun travaglio per essa. Così, in questo breve inno, Samkara spiega i punti essenziali dell'Advaita Vediinta con il linguaggio dello Shivaismo del Kashmir.

Il culto della Sakti è usato anche dall'Advaita, ma con questa differenza: esso mette in risalto l'aspetto Sakti dell'ultima realtà per scopi di sádhana (disciplina spirituale). Per i seguaci di questo culto, il Kashmir costituisce un centro molto importante; esso è la dimora di Kamesvari, la sposa di Kamesvara, il supremo Signore. Kalhana, nel suo Raiatarangini (composto nel 1148-1149 d.C.), allude a un tempio della dea Sharada nel Kashmir che era frequentato dai Gauda (popolazione del Bengala) durante il regno di Lalitaditya. M.A. Stein, che ha tradotto il Raiatarangini in inglese, situò il tempio in un luogo chiamato Shardi, nell'alta Valle Krishnaganga. Alludendo alla popolarità di questo tirtha, Alberuni dice: « Nel Kashmir interno, a circa due o tre giorni di viaggio dalla capitale, nella direzione del monte Bolor, c'è un idolo di legno chiamato Sharada che è molto venerato e visitato dai pellegrini ». Nei tempi più recenti, dice Stein, è stato costruito un nuovo tempio della Dea, in luogo dell'antico, nei dintorni di Srinagar, per comodità dei fedeli.

Il racconto della visita di Samkara al tempio di Sharada è fatto nell'ultimo capitolo del Madhaviya Samkara-vijaya. Nel tempio, che era costruito come un mandapa con quattro archi di entrata, c'era il trono dell'onniscienza (sarvajnapitha), presieduto dalla Dea. Nessuno poteva ascendere a quel trono, se non era onnisciente lui stesso. Nel passato, studiosi provenienti dal Nord, Est e Ovest avevano tentato di ottenere l'accesso al tempio, ma nessuno si era avventurato dal Sud. Quando Samkara, che veniva dal Sud, udì questo, volle andare al tempio per affermare l'onnicomprensione e la supremazia della saggezza dell'Advaita. Appena giunto, egli s'imbatté in discepoli di differenti fedi che contestarono il suo diritto, o meglio il diritto dell'Advaita, al possesso della saggezza totale. Gli Atomisti del Vadeshika, i Logìci del Nyáya, i Dualisti del Sámkhya, i Buddhisti e i seguaci del Giainismo -tutti, a turno, impegnarono Samkara nel dibattito filosofico. Non solo Samkara dette certamente prova della sua profonda conoscenza dei vari sistemi, ma fu capace di convincere i disputatori della superiorità dell'Advaita. Gli ultimi a presentarsi furono i Purva-mimansaka i quali sostenevano che il valore dei Veda poggia sul Rituale. Nei loro confronti, Samkara dimostrò come i testi sacri potessero essere interpretati in termini Vedanta in modo armonico, e sostenne il diritto dell'Advaita. La porta del tempio di Sharada si aprì. Samkara non considerò il privilegio come qualcosa di personale; come l'autore del Madhavija-Sarnkara-vijaya dice in un capitolo precedente, Samkara vinse i disputanti delle varie correnti non per personale vantaggio o onore, poiché egli era completamente privo di egoità, ma per salvare la primitiva verità del Vedanta dai suoi diffamatori e travisatori.

C'è una tradizione secondo la quale l'Acárya compose il Saundarya-lahari nel Kashmir. Questo poema occupa il primo posto tra gli stotra attribuiti a Samkara. Nella cadenza di un centinaio di versi noi abbiamo un'autentica spiegazione della dottrina mistica dello SOrí-cakra come una descrizione commovente dell'Immagine della Devi, che è la Bellezza personificata. Nel delineare il Samaya-achara che è il modo Vaidika della disciplina Sakta, Samkara dice al devoto che lo scopo supremo dell'adorazione-Sakti è la realizzazione Advaita.

La visita di Samkara nel Kashmir e la sua vittoria spirituale sono commemorate in un tempio su una collina che portano entrambi il suo venerato nome.

Se il Kashmir, come il resto dell'India, poté preservare la sua cultura dai violenti contrasti durante lo scorso millennio, ciò fu non poco dovuto al lavoro di una vita intera di Samkara che servì a consolidare l'Induismo sulle salde fondamenta dell'Advaita.


© Periodico Vidya - Aprile 1976

Vidya Bharata - Edizioni I Pitagorici © Tutti i diritti riservati.  
Tutti i diritti su testi e immagini contenuti nel sito sono riservati secondo le normative sul diritto d’autore.

Chi è online

Abbiamo 124 visitatori e nessun utente online

Sei qui: Home Viaggi di Vittoria