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Appayya Diksita

Appayya Diksita occupa un posto elevato nella storia della filosofia indiana post-shamkariana.
Come il suo grande predecessore Vacaspatimisra, egli fu capofamiglia e accrebbe ogni branca della speculazione e della letteratura sanscrita.

Appayya Diksita visse in un'epoca molto turbolenta della storia indiana. I musulmani, vincitori il 23 gennaio 1565 nella battaglia di Talikota, avevano conquistato il vasto e favoloso impero indù di Vijayanagar. In seno all'ortodossia nuove contese erano scoppiate tra Vishnuiti e Shivaiti. Appayya Diksita passò trenta anni alla corte di un re indù, Chinna Bomma Nayaka, il quale aveva cominciato a far rivivere a Velur la gloria di Vijayanagar. Shivaita per osservanza, ma privo di settarismo, Appayya Diksita, a sua volta, riprese quell'opera che era stata di Samkaracarya nell'VIII secolo: ristabilire l'unità in seno all'elite brahmanica. Perciò, criticando vivamente i punti di vista di Ramanuja (monismo qualificato) e di Madhva (dualismo), egli scrisse dei commentari sul Brahmasutra. Uno dei più famosi, il Parimala, commenta il Vedanta kalpataru di Amalananda, esso stesso commentario della Bhamati di Vacaspatimisra.

Allorché egli terminò di redigere il suo Parimala, il re Chinna Bomma diede ad Appayya Diksita, in segno di riconoscenza, una elargizione in oro. Un'epigrafe di Ataiyapalam datata 1582 celebra questo importante avvenimento. La stessa epigrafe menziona che il re Chinna Bomma creò un seminario di cinquecento letterati i quali, sotto la direzione di Appayya Diksita, studiavano i testi shivaiti. Protetto nelle sue peregrinazioni attraverso l'India meridionale dai più potenti re indù, Appayya Diksita contribuì notevolmente a ristabilire l'atmosfera di tolleranza fra i diversi gruppi di devoti. I suoi poemi in onore di Siva sono di un'avvincente bellezza.

Verso i Vshnuiti egli si dimostrò molto fermo: <<Che la suprema divinità di cui si parla nelle Upanisad sia Visnu o Siva mi interessa poco, perché io sono advaitin. Tuttavia, mi è impossibile rimanere indifferente quando sento ogni giorno delle persone piene di bile denigrare Siva. questo astio corrompe la purezza del loro cuore. Ho deciso di confutare le loro critiche, ma ciò non significa che il Signore Visnu non occupi nel mio cuore un posto uguale al quello di Siva>>.

La sua fede di advaitin, Appayya Diksita l'affermò in un bellissimo poema dedicato al dio Visnu di Kancipuram, Varadaraja. Riformatore del culto, egli consigliò, basandosi sui testi scritturali, l'adorazione della stessa immagine di Visnu e di una Dea shivaita, Gauri. Appayya Diksita riuscì così bene a conciliare le contese in seno al Brahmanesimo che Shivaiti e Vishnuiti si rifanno ancor oggi alla sua imparzialità.

Fra le opere di Appayya Diksita - se ne contano una cinquantina - si trova un interessantissimo trattato che porta il nome di Riassunto dei brani della dottrina (Siddhantalesasangraha) la cui lettura consente di conoscere i punti di vista e le posizioni di tutti i commentatori advaitin.

Appayya Diksita arricchì considerevolmente il campo della poetica sanscrita. Molte delle sue opere sono puramente letterarie e trattano degli ornamenti del linguaggio (alamkarasastra).

Nel 1592, a settantadue anni, Appayya Diksita lasciò questo mondo. Egli visse i suoi ultimi giorni a Citamparam dove ogni mattino andava a meditare nel tempio davanti all'immagine di Siva danzante  (Nataraja). Come il Maestro di Kalati, doveva la sua nascita alla grazia di Siva del Trichur: i genitori di Appayya Diksita avevano a lungo pregato Nataraja prima di vedere questo figlio illuminare la loro vita.

Le sue ultime parole sono molto spesso riportate: <<Io sono felice di morire nella città santa di Citamparam. I miei figli sono istruiti. Hanno già scritto opere che garantiranno loro la posterità. Io non aspetto altro che Siva>>. Una viva luce proruppe allora nella stanza e Appaya Diksita, in estasi, vide la forma perfetta di Nataraja. l piede alzato del dio bianco gli indicava la strada.

(Voce tratta Shankara e il Vedanta - Paul Martin Dubost - Edizioni Asram Vidya)

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