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Yoga Sutra I e II pada

Patanjali

L'autorità ultima e praticamente indiscussa dello Yoga è il testo chiamato Yoga-sutra e l'autore è il saggio Patanjali. Come al solito, la data precisa della sua nascita è avvolta dal mistero. Gli studiosi occidentali la fanno risalire a due secoli prima dell'era cristiana, ma non ci sono dubbi che deve essere ben antecedente. Infatti i Purana lo segnalano in compagnia di saggi antichissimi quali Vyasa, Ashtavakra e Narada.

A coloro che desiderano acquisire una conoscenza generale di questa scienza millenaria, prima di affrontare l'analisi del testo originale e completo, consigliamo di studiarne un riassunto. Ve ne offriamo uno noi.

L'autore ha diviso lo Yoga-sutra in 4 pada (o capitoli), che sono:

il Samadhi-Pada, composto di 51 versi,
il Sadhana-Pada, di 55 versi,
il Vibhuti-Pada, di 56 versi e
il Kaivalya-Pada di 33 versi,
per un totale di 195 versi.


LO YOGA SUTRA


Capitolo primo (I pada)

Vediamo il capitolo primo, il Samadhi-Pada, che riguarda gli stadi di concentrazione e di estasi interiore.

Prima di tutto dobbiamo chiarire il significato della parola Yoga, che significa "unione", riallacciamento con Dio, l'Essere Supremo. Lo Yoga è dunque quell'insieme di tecniche grazie alle quali è possibile raggiungere l'unificazione qualitativa con l'Ishvara, il Signore Supremo.

Ma è impossibile svolgere queste tecniche a meno che la mente non sia completamente sotto controllo. Infatti non è possibile meditare se la nostra attenzione è continuamente distratta e trascinata lontano dal punto focale. Il problema sta nel fatto che i nostri sensi sono spinti dai nostri sensi-guida a posarsi in continuazione sui loro rispettivi oggetti, per un gioco di piacere, per poter in ogni istante provare un qualche gusto, una qualche emozione nuova.

Questo contatto e le sensazioni provate causano delle impressioni che si stampano nella nostra mente, rendendola sempre più agitata, febbrile, come una macchina impazzita che l'autista non riesce più a controllare. In questa situazione, il nostro viaggio verso la meta diviene evidentemente improbo. Le agitazioni continue, che sono come onde impetuose, ci impediscono di essere forti e stabili nella pratiche delle tecniche che permettono di condurre la ricerca del vero sé. Dopo un po’ la nostra stessa determinazione tende a scemare. Quando invece riusciamo a immobilizzare la mente e a portarla sotto il nostro ferreo dominio, allora, è possibile diventare stabili all'interno di noi stessi, in direzione della nostra ricerca, e non più in balia delle cose esterne. Ma se non si riesce a imbrigliare la mente, non si può fare a meno di identificarsi con le sue varie e forsennate fluttuazione e così sprofondare ancora di più nell'illusione. Ci sono cinque tipi di fluttuazioni (o modificazioni della mente); queste stesse in determinati modi e momenti provocano dolore, altre volte un senso di felicità. E sono:

la conoscenza giusta,
la conoscenza falsa,
l'immaginazione,
il sonno e
la memoria.

Vediamole uno per uno.

Possiamo giungere a una conoscenza vera delle cose in modi diversi, quali usando la percezione diretta, cioè quella ottenuta con i sensi e la mente (pratyaksha); oppure attraverso la deduzione, cioè attraverso il ragionamento dell'intelletto (anumana); oppure grazie alle parole delle persone che so-no già realizzate (agama). La prima può essere di grande aiuto, ma le informazioni ottenute devono essere valutate attentamente, in quanto i nostri sensi soffrono di pesanti limitazioni e difetti. Di certo non possiamo fidarci ciecamente. Per quanto riguarda la deduzione, fondata sull'esercizio intellettivo, anch'essa è limitata, sebbene più raffinata in confronto alla precedente. D'altra parte non possiamo dimenticare che le nostre conclusioni sono per lo più basate sulla esperienza sensoriale, sulla quale abbiamo costruito il nostro punto di osservazione. Comunque la deduzione, se ben educata, può portare a un veloce avanzamento spirituale. La terza, cioè la testimonianza di chi ha già avuto esperienza del Tutto, ammesso che si trovi la giusta sorgente di informazioni, è la più affidabile. Chi potrebbe parlarci meglio dell'America di uno che ci sia già stato?

Continuando a studiare le cause delle varie modificazioni della mente, troviamo il falso sapere, cioè essere convinti di una cosa falsa. Poi abbiamo l'immaginazione, cioè quelle certezze che ci creiamo artificialmente da noi stessi e che corrispondono convinzioni dannose, come l'idea di essere un corpo e tutto ciò che ne consegue. Il sonno, poi, è lo stato mentale privo di consapevolezza, una specie di indolenza esistenziale in cui si è totalmente in oblio di qualsiasi cosa. Infine la memoria, la rievocazione delle passate esperienze. Tutti questi stati possono causare alla nostra mente delle agitazioni tali da impedire la meditazione e ostacolare le pratiche necessarie alla liberazione.

Quindi, come possiamo far sì che queste situazioni negative si arrestino definitivamente, o almeno che si attenuino? Con la pratica continua e il distacco dagli attaccamenti agli oggetti e alle situazioni materiali, risponde Patanjali. Certo, all'inizio tutto ciò richiede costanza, anche fatica, ma alla fine siamo certi di raggiungere la quiete interiore. Dopo un po’ non sarà più necessario una costrizione continua per mantenersi allo stato yogico, ma diventerà una cosa acquisita e dunque del tutto naturale, spontanea, quasi automatica. Ma, ribadisce Patanjali, è fondamentale l'astensione dai piaceri dei sensi, e quando si sarà percepito il Purusha ogni desiderio avrà cessato di arrecare disturbo. Questo stato è chiamato samadhi.

Il samadhi è la concentrazione totale sul Signore. Ci sono gradi diversi di samadhi, più o meno perfetti. Per raggiungere la vetta massima, senza la quale la rinascita è certa, è necessario sforzarsi con intensità e sincerità; chi lo fa è vicino al successo.

Come ottenere la perfezione? La prima strada che il maestro di tutti gli yogi indica è quella della devozione a Ishvara, detto anche Purusha, o Paramatma. Questo Essere Supremo è un Dio personale, l'Anima Suprema, piena di consapevolezza, ed è trascendentale alle illusioni di questo mondo.

C'è differenza tra l'Anima Suprema e le anime non supreme, noi, i "sé individuali", insegna Patanjali: mentre la prima è perfetta, onnisciente e illimitata, le seconde (jiva) sono imperfette e limitate. Ishvara è il Signore e Maestro dei maestri, pieno di poteri incommensurabili.

Ora Patanjali ci offre uno strumento di meditazione, la sillaba spirituale Om. Questa è la rappresentazione sonora di Dio. Meditando sul suono e sui suoi significati, ripetendola costantemente e con rapita attenzione, ci accorgiamo che gradualmente tutti gli impedimenti svaniscono e ci risvegliamo a una nuova consapevolezza. Purtroppo in questo mondo ci sono troppi fattori di distrazione e tutti provocano solo angoscia e illusione. La pratica costante della meditazione sul suono spirituale è fondamentale ai fini della rimozione di questi elementi negativi. Si deve predisporre la mente con pensieri e sentimenti positivi, virtuosi e controllare attentamente il respiro.

Appena ci accorgiamo che tale pratica meditativa comincia a produrre percezioni sensoriali straordinarie, vediamo che la nostra mente acquista sicurezza e diventa uno strumento in più a disposizione per perseverare nella pratica.

Ma a cosa si deve pensare durante la meditazione? Patanjali dice che gli oggetti di meditazione possono essere svariati. Egli dà grande importanza all'esercizio di concentrazione in sé ed è grazie a questo sforzo che sopravviene la visione del Paramatma situato all'interno del cuore.

Così controllate le modificazioni mentali, la comprensione della propria identità e della differenza che esiste nei confronti degli oggetti esterni e delle situazioni finora percepite con i vari sensi, diventa chiara. Allora il grado del samadhi diviene profondo e siamo liberi dal ciclo delle morti e delle rinascite (samsara).


Capitolo secondo (II pada)

Vediamo ora il capitolo secondo, il Sadhana-Pada, che riguarda le pratiche necessarie al perfezionamento dello Yoga.

Patanjali comincia specificando la sua idea di Kriya-yoga (o Karma-yoga). Questo è uno Yoga pratico, uno Yoga dell'azione. Svolgendo un certo tipo di attività si può raggiungere la purificazione. Le azioni consigliate sono le austerità, lo studio delle scritture e gli atti compiuti come offerta per il Supremo Dio, Ishvara. Il Kriya-yoga è un tipo di Bhakti-yoga nel quale è presente un'enfasi maggiore per le pratiche ascetiche. La pratica di queste tecniche aiutano a ridurre la sensazione di sofferenza e di disagio presenti in questo mondo e aiutano a sviluppare il samadhi.

Ma quali sono gli elementi che causano infelicità? Secondo Patanjali sono l'ignoranza, l'egoismo, la voglia morbosa di piacere sensuale, la rabbia, l'attaccamento per la vita e la paura della morte. Vediamoli uno per uno.

Ignoranza significa credere che una cosa sia in una certa maniera piuttosto che nel modo giusto; scambiare una cosa per un'altra, insomma. Per esempio, credere che l'energia materiale sia permanente e quindi cercare di godere delle sue offerte è ignoranza; scambiare l'impuro con il puro, la vita triste con una gaia, ciò che abbiamo con ciò che siamo e anche credere di essere noi Dio.

L'ignoranza è il male fondamentale. E' infatti a causa dell'influenza di questa avidya se le altre fonti di infelicità sono in grado di operare.

L'egoismo è il senso di essere. Quando ci identifichiamo con qualcosa che non siamo (cioè il mondo e gli oggetti che visualizziamo) quello è chiamato falso ego, o egoismo.

Altra fonte di sofferenza è la ricerca dei piaceri mondani, la quale dà origine a un attaccamento sempre più folle, vertiginoso con cui mai si riesce a raggiungere una soddisfazione piena e duratura.

L'avversione a ciò che non piace è l'altra facciata della medaglia: attaccamento e repulsione sembrano due cose diverse, opposte, ma hanno lo stesso valore in quanto interdipendenti. Questa produce ira e odio.

L'attaccamento alla vita e la paura della morte è conseguente a tutti gli altri vizi. Quando si vuole la soddisfazione in questo mondo, naturalmente si è avversi a morire fino a che non si trova l'oggetto della ricerca, cioè la felicità totale. Questa ha fatto vittime anche fra i saggi più celebri, come se tutti noi fossimo costretti dalla nostra stessa natura. Infatti l'anima è eterna, e nella sua identificazione con il corpo non riesce a capacitarsi che debba morire. L'ignorante non sa che in realtà la morte è solo un uscire da un vestito per indossarne un altro.

Queste sensazioni di infelicità, continua Patanjali, continuano a esistere in noi perché ci portiamo dietro, o meglio dentro, quelli che vengono chiamati samskara. Questi ultimi possono essere definiti "impronte qualitative". Tali impressioni, stampate nel corpo sottile, vengono trascinate dall'anima indivi-duale da corpo in corpo, da un numero imprecisabile di vite. In altre parole, tutto ciò che abbiamo visto, fatto e provato nelle vite precedenti ci hanno provocato delle impronte di carattere che ci portiamo sempre dietro, vita dopo vita, corpo dopo corpo, e ci inducono a comportarci, ad essere, a sentire in un certo modo talvolta anche contro la nostra stessa volontà.

Queste "qualità ereditarie" devono essere annullate, e ciò è possibile solo con la meditazione. Infatti da queste scaturiscono attaccamenti e giudizi errati che provocano ulteriori sofferenze. Da lì provengono altre azioni materiali, dalle quali scaturisce il karma. E finché avremo reazioni da scontare saremo costretti a rinascere nei vari corpi, condannati a vedere la perfezione allontanarsi.

Ci sono diversi tipi di reazioni: alcune causano una certa gioia, altre la tristezza. Ma il saggio intelligente riesce a percepire che si tratta solo di diversi generi di sofferenza e quindi le evita, le elimina prima ancora che generino i loro frutti.

Prima di tutto è importante stabilire chi noi siamo. "Colui che vede" (cioè noi, l'anima) non fa parte del mondo dell'oggetto in visione (la natura materiale). Noi siamo di qualità trascendentale. In un certo senso gli oggetti del mondo sono fatti per facilitare la liberazione del soggetto che li vive, che li sperimenta, ma non per un gioco di identificazione.

Patanjali poi avverte che l'aspirante saggio deve imparare a trascendere le influenze dei tre guna (sattva, rajas e tamas). In caso contrario non potrà vedere le cose come sono in realtà, ma le vivrà sempre attraverso il filtro di falsità della mente materiale. Lo yogi deve sempre ricordare che lo scopo della vita e di tutto ciò che esiste è la liberazione delle anime e il loro ricongiungimento con Dio. Questo fine è raggiungibile dal saggio, ma rimane un miraggio per coloro che accettano di rimanere avvolti nei tentacoli delle illusioni e delle falsità di Maya.

E' dunque di importanza fondamentale saper collocare nel loro giusto ruolo l'osservante e l'oggetto osservato. Appena la persona spirituale giunge a disidentificarsi dal corpo, vede sorgere in sé la vera conoscenza, poi la visione dell'energia spirituale ed infine la liberazione. Come tutte gli altri, anche questo esercizio discriminatorio fra il vero e il falso richiede costanza e determinazione.

Patanjali specifica che è necessario percorrere otto tappe per far sì che l'illuminazione spirituale diventi possibile, stadi che corrispondono anche a complesse discipline. Queste sono: yama, niyama, asana, pranayama, pratyahara, dharana, dhyana e samadhi.

Yama significa astensione, ed è lo stadio in cui lo yogi deve praticare virtù morali, che sono necessarie per la pulizia della mente e del corpo. Deve essere non-violento, veritiero, onesto, casto e distaccato. Man mano che procede nel cammino, queste regole non devono essere abbandonate, ma è obbligatorio che rimangano sempre punti fermi della vita e della coscienza del praticante.

Niyama è lo stadio successivo, in cui è necessario coltivare ulteriore purezza del cuore e del corpo. L'accontentarsi di qualsiasi cosa si abbia (dunque non desiderare altro), l'austerità, lo studio e il servizio devozionale d'amore a Dio aiutano a costruire una predisposizione mentale positiva che è importante ai fini della meditazione. I pensieri negativi (quali l'odio, l'invidia e altri sentimenti simili) conducono lontano dalla meta e devono essere sostituiti. Chi si perfeziona nello stadio di niyama acquista un profondo disgusto nei confronti del proprio corpo e di quello degli altri; così il desiderio sessuale scema fino quasi a scomparire. Da questo stato sprigionano la gioia, il controllo sui sensi e poi la beatitudine; all'interno del nostro corpo fluisce una possente energia fisica. In questo stadio acquista fondamentale importanza la recitazione dei suoni trascendentali (mantra-japa) come forma di servizio devozionale al Signore. Attraverso l'intima sottomissione a Dio si può raggiungere ogni perfezione. Acquisita una profonda pulizia mentale e fisica, ora lo yogi può cominciare ad affrontare le tecniche meditative vere e proprie. Prima di tutto è importante sedersi in modo corretto, e questo è materia dello stadio successivo.

Asana significa imparare a sedersi in posizioni corporee stabili e comode. Imparate queste, le perturbazioni mentali e i fastidi fisici causati dalle dualità (come il caldo e il freddo, la fame e la sazietà, il buio e la luce) si attenuano e siamo pronti ad affrontare la meditazione.

Ora si deve imparare a controllare il respiro, e questa tappa (o stadio) è chiamata pranayama, diviso in quattro momenti. Seduti comodamente in asana di vario genere, si deve passare a controllare l'inspirazione e la espirazione. I tempi che passano fra l'uno e l'altro devono diventare sempre più prolungati e sottili, per cui il momento in cui si trattiene il respiro nei nostri polmoni è il terzo stadio del pranayama. Il quarto momento del pranayama è la contemplazione, durante la quale si avvertono sensazioni estatiche, qualunque cosa si osservi. A quel punto la luce della piena conoscenza si accende e la mente diventa ancor più idonea alla concentrazione totale.

Poi c'è pratyahara, la rinuncia della mente alle impressioni dei sensi che provengono dalle immagini sensoriali. Lo yogi deve rinunciare a provare piacere da qualsiasi cosa che provenga dall'esterno di sé, che sia di natura materiale. A quel punto il controllo sulle influenze del mondo dei sensi è quasi raggiunto.

Tratto da: Anonimo

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