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L’apice della piramide

L’effetto prodotto dall’errata discriminazione è considerato reale per tutto il tempo che persiste la condizione dell’errore.

Quando nel sonno proiettiamo l’universo-sogno, per riconoscerlo come evento illusorio ci occorre cambiare lo stato di coscienza perché fino a quando sogniamo non ci è possibile farlo; è solo al risveglio, con una nuova presa di coscienza, che noi possiamo dire: il sogno era illusione.

È bene considerare un’importante caratteristica del Vedānta e tenerla presente se si vuole comprendere tutto il processo realizzativo Advaita.

Il Vedānta sostiene che per riconoscere l’errore in cui si dibatte un essere e scoprire la verità, occorre uscire da una simile condizione di coscienza illusoria. L’uomo è tormentato da indefiniti conflitti, specula su ciò che è semplicemente il frutto delle sue immaginazioni, è attanagliato dalla condizione del bene e del male e da tutte le dualità relative allo stato particolare di consapevolezza in cui vive.

D’altra parte tende in maniera inconscia alla perfezione, a migliorare il suo destino e quello del prossimo. Di continuo si trova di fronte problemi insolubili: sul piano religioso, scientifico, educativo ed economico-sociale. Per ovviare a questa modalità di vita, tenta di trasformare strutture, regimi, filosofie e costumi, ma non tocca l’essenza, causa recondita di questo stato di cose; in altri termini non trasforma se stesso. A che vale fare una rivoluzione, allontanare dal potere una particolare classe di individui quando questi sono sempre avidi di ricchezze, di desideri materiali incontrollati, intrisi di cupidigia, di orgoglio e separatività?

A che vale sostituire un “regime” con un altro quando gli individui, nella loro intima coscienza, sono sempre gli stessi?

Che cosa potrebbe dirci l’Advaita che guarda dall’apice della piramide?

Voi non potete trasformare la società fino a quando non trasformerete voi stessi.

Ma trasformare se stessi è cosa ardua, difficile. Fare una rivoluzione sociale è più facile che attuare una rivoluzione in se stessi. Uccidere i nemici esterni è più facile che debellare quelli interni. Fino a quando vediamo con l’occhio dell’illusione cadiamo sempre nell’errore, anche se quest’ultimo apparentemente può non sembrare tale.

Solo quando trasformeremo la nostra coscienza potremo riconoscere di aver vissuto in uno stato illusorio, non prima. Una simile considerazione vale anche a proposito della Conoscenza. L’Advaita sostiene: non possiamo comprendere Brahman perché vorremmo la soluzione senza creare alcun moto, il che significa rimanere sempre nel velo di māyā.

Vogliamo comprendere Brahman? Ebbene, non dobbiamo chiedere dimostrazioni analitiche, speculativo-discorsive che non hanno senso, ma trasformare la nostra mente. Dobbiamo uscire dallo stato di coscienza illusorio perché è solo risvegliandoci ad una nuova condizione esistenziale che riconosceremo il risplendente ātman. È solo quando una trasformazione profonda del nostro essere si attua che potremo avere le risposte alle domande scaturite nelle e dalle condizioni di coscienza precedenti. È bene precisare che la metafisica Vedānta non è astratta o fantastica, non è quietistica, né devozionale, né passiva, né accomodante, né nichilista, né panteista come alcuni addirittura hanno affermato. Essa è essenzialmente dinamica, mira a dare al singolo la responsabilità di ogni azione e la soluzione dell’intero conflitto fisio-psicologico e spirituale.

Questo messaggio di Śakara non è rivolto ai pigri che non vogliono trasformarsi; non è per coloro che vogliono solo discorrere, erudirsi ed accumulare nella subcoscienza cognizioni; non è per coloro che vogliono la trasformazione semplicemente immaginata nella loro fantasia; non è per coloro che vogliono fare crociate o trasformare gli altri per forza in quanto autoinvestiti di prerogative messianiche; è solo per coloro che vogliono attuare la più ardita impresa che possa determinarsi nella coscienza umana: l’integrale rivoluzione psicologica di se stessi.

È trasmutando realmente le nostre menti, cariche di incompiutezze, che potremo trasformare la società e il mondo intero. E tutto ciò è opera di vera iniziazione.

[Il seguente brano, già pubblicato come Quaderno n. 8/2006 fu usato come manifesto della ML Advaita-Vedanta. Citazione tratta dal Vivekacudamani, col commento di Raphael pag. 115 - Edizioni Parmenides (era Asram Vidya)]

 

 

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