blue_scouter ha scritto: ↑04/12/2023, 16:45
È da parecchio che non “navigo” su questo forum e che non leggo il relativo periodico (pur continuando ad archiviarlo nel mio PC). Eppure c’è un articolo proprio del periodico Vedanta – uscito un po’ di tempo fa – che continua a ronzarmi nella testa: si tratta – se non ricordo male – di un breve scritto in cui si parlava di due fasi del processo realizzativo: la fase negativa (neti, neti: non questo, non questo) e la fase positiva (iti, iti: è questo, è questo). Non scendo nel dettaglio delle due fasi – e poi a che servirebbe, non potrei mica parlare da reale “conoscitore”. Vorrei solo esprimere un pensiero che, sebbene in forma alquanto confusa, continua a ripresentarsi alla mia mente: l’amore non muore, l’amore è eterno. Ed esso (l’amore) è, in un certo senso, un “anticipo” di eternità che sperimentiamo, sin da ora, in questo dannato relativo dove tutto sembra scorrere inesorabilmente, apparendo dal nulla e al nulla facendovi ritorno. Forse però le cose che abbiamo davvero amato, una volta morte, ritorneranno a nuova vita. Dando così origine a quel ciclo chiamato vita...
Ciao Blue scouter, contenta di risentirti.
Vero che l'amore non muore e che è eterno, solo che se lo leghiamo al ciclo chiamato vita, scopriamo che non è eterno, va e viene, è in divenire. Le forme appaiono e scompaiono in moto perpetuo. Noi, quali "conoscitori del campo", del nostro spazio esistenziale, avremo modo di conoscere "l'amore", sperimentando l'attrazione polare per altre forme, cominciando da quelle che ci hanno donato la vita.
Però ciò che non muore non è nemmeno nato, per essere eterno. Altrimenti che Eterno sarebbe?
L'eternità non è solo "eterna" verso il futuro, ma anche verso il passato.
E pare che il momento presente sia l'unico punto dal quale cogliere l'Unità del Tutto manifesto restando "aperti" a questo continuo fluire tra la pienezza della vita e la vuotezza della morte, quel ciclo animato da infinite forme cangianti, quell'andare e venire continuo. Fenomeni e apparenze, reali per un flash di tempo-spazio. Eppure lo sguardo "eterno" del Conoscitore dell'intero campo ha in sè tutte le forme, senza soluzione di continuità. Nessuno che nasce, nessuno che muore.
Qui a me aiuta il neti neti, a ricordarmi che non sono questo corpo, non sono questa mente sensoriale, non sono le emozioni, il nome forma, i personaggi che indosso. Ṅon sono ciò che credo di essere. Eppure sono, forma dell'Essere, fotogramma del film sullo schermo eterno e immobile.
Dice la Gīta:
«Sappi che Io sono il Conoscitore del campo di tutti i campi».
Dal nostro punto di vista "umano" possiamo dire: “Lui è il Conoscitore", io non lo sono, lo diventerò". E ci creiamo la meta. il percorso, l'andare da A a B, siamo sempre nel duale, nel prima e nel dopo.
E poi potremmo anche sorprenderci a non avere chiarezza sul chi sia questo "Lui" che insieme al me creerebbe il due, in attesa di tornare all'Uno inseparabile che Lui è. Giochi della mente. Pensiamo di muoverci, ma l'Essere (uno) è e non diviene.
E l’Eterno, dal suo punto di vista, non vede i “molti campi", non essendoci separazione nel suo continuum.
Ovunque Lui guardi, vede solo sè stesso. L'Essere è, senza fine, nè inizio. E' il supremo Osservatore, l'Ordinatore interno, che non proietta alcuna memoria, vive nel presente e osserva il presente, qualsiasi punto cade al suo interno, essendo infinito.
L'Eterno non esce mai dalla sua Eternità, non esce mai dalla coscienza di sè stesso, il suo moto è solo apparente. Il Sè è Amore e l'Amore è il Sè.
Noi invece cerchiamo fuori qualcosa/qualcuno per ricomporre, passando per il due, l'Unità, l'E'ternità, il puro Amore, la pura Armonia...Ci manca sempre qualcosa.
Ma essendo potenzialmente ad immagine e somiglianza di Quello, forse potremmpo portare lo sguardo all'interno e scoprire lì il miracolo della "Cosa unica" dentro di noi, come diceva nonno Ermete Trismegisto nella sua tavola smeraldina.
Ecco che possiamo comprendere l'insegnamento che dice il vero amore è non-duale, è identità con Quello, non è sentimento tra un soggetto e un oggetto. Non sappiamo granchè cosa sia l'amore, anzi l’Amore. Sperimentiamo stati che poi si dissolvono e mutano continuamente.
Quella beatitudine della gioia di esistere, fuoco nel fuoco, Ananda, è altro e possiamo solo intuirne l'immensità, la meraviglia.
Viviamo perlopiù l'amore duale ed emotivo, che proietta immagini e sensazioni, attratto e respinto dall'oggetto desiderato e "amato", fino a che non diventa odiato e negato...
Sul "ciclo della vita" e sul ritorno ad essa, nell'eterno fluire, un altro passo della Gīta che mi piace particolarmente:
32. Io sono il Tempo, distruttore dell’universo pervenuto a maturazione e quindi (sono)
occupato a dissolvere le stirpi (degli uomini). Anche senza il tuo intervento questi guerrieri, schierati in opposte file, si dissolveranno.
33. Perciò sorgi e conquista la gloria; trionfa sugli avversari e impegnati per un prospero regno. (Sappi che) questi guerrieri da gran tempo sono da Me considerati già scomparsi. Tu sei solo lo strumento, o Savyasācin (di ciò che dovrà essere).
34. Droṇa, Bhīṣma, Jayadratha, Karṇa e similmente gli altri valenti eroi, che da Me sono già stati soppressi, distruggi, senza alcuna paura; combatti e vincerai i tuoi nemici.”
Commento di Raphael:
Kṛṣṇa svela il suo volto śivaita: sul piano del manifesto ogni cosa, che proviene poi da Me, nasce e muore; per Me un ente-evento non fa in tempo a nascere che già è dileguato, riportato nel non formale, trasceso.
L’universo dei nomi e delle forme non è altro che un caleidoscopico emergere e svanire, travaglio di elementi, di atomi che vengono, spariscono, ritornano in un turbinio incessante. Vita: eternità e baleno, potenza e svigorio, attimo eternale, apparizione e scomparsa.
Arjuna, discepolo kṣatriya, è lo strumento dell’ineluttabile tramonto della forma. È Kṛṣṇa in persona che gli ordina di eseguire il Dharma cosmico, venuto a maturità. Noi, semplici viandanti sulla via del conflitto, non possiamo seguire l’ordine impartito ad Arjuna; non siamo strumenti dell’universale, non possiamo uccidere, quantunque conosciamo l’inevitabile svanire della forma. Un karma negativo, certo, si raccoglierebbe sulle nostre spalle qualora uccidessimo. Ogni jīva ha il diritto, come noi, di ‘sognare’, ogni jīva ha il diritto di vivere e lottare per scorgere quel faro che, prima o poi, lo condurrà nel grande porto della beatitudine. È bene riflettere sul primo verso del sūtra 32: “ Io sono il Tempo, distruttore dell’universo pervenuto a maturazione...”. Śiva si svela solo quando la messe è matura.
(brani tratti dalla Bhagavadgītā, Il canto del Beato, traduzione e commento di Raphael, edizioni Āśram Vidyā ora Parmenides)