Quaderno vedanta di agosto_rettifica
Inviato: 18/08/2023, 9:26
Buongiorno a tutti, ovunque siate.
Ieri è stato pubblicato il quaderno vedanta di agosto, intitolato Unidizionarietà, nel quale sono stati assemblati dei dialoghi con Premadharma (o anche Teano) tratti dal vecchio forum pitagorico.
Purtroppo, l'errore umano è sempre in agguato, nei vari passaggi e revisioni del testo per la pubblicazione è saltata la frase finale dell'ultimo intervento di Premadharma.
Nel dialogo, che fa perno su alcune parole di Ramakrishna descrittive del "devoto", Premadharma tratteggia la figura del devoto evidenziando che Sri Ramakrishna si rivolge a chi non ha ancora controllo della propria azione, pensiero e silenzio, e indirizza tale carenza sulla sadhāna, se non sulla vita altrui.
Poi va giù un po' più pesante, come era suo solito per risvegliare i dormienti acculturati dai tanti libri letti e pronti a confrontare le testimonianze dei diversi maestri della Tradizione (unica, metafisica, universale).
"È consueto assistere al continuo richiamo al dharma (o alle leggi morali) rivolto da chi non ha idea di quale sia il proprio dharma. L'incapacità di realizzare non la natura divina, ma nemmeno la natura individuale (il continuo mutamento della percezione mentale), permette che tale mutamento inconsapevole sia lo strumento di giudizio della vita altrui."
Nel finale del dialogo Premadharma spiega che il termine unidirezionalità può riferirsi anche ad un lignaggio o ad un ramo tradizionale.
(...)
Quando ci si sposta a figure come Sai Baba, Ramakrishna, Sri Ramana, occorre di volta in volta verificare chi siano gli interlocutori, perché il Vedanta di Ramanuja non è quello di Shankara, sia come dottrina che come testi, essendo stati commentati se non riportati diversamente.
Così le parole di Sai Baba rivolte ad un vaisnava saranno diverse da quelle rivolte ad un śaiva, e le prescrizioni di un brahmino del Bengala diverse da quelle di uno del Kerala o del Tamil Nadu.
In funzione della scuola di provenienza, si userà il termine Mahapurusha per indicare il Brahman, o altre ancora.
Certi Maestri con un dharma universale, sono stati o sono di riferimento a diverse scuole o movimenti religiosi, pertanto occorre di volta in volta sapere prendere quelle parole che sono rivolte a stimolare la nostra indole, riconoscendo come non nostre quelle rivolte ad altri lignaggi.
Il finale è essenziale, chiude il senso del periodo.
Inoltre il discorso delle parole di un maestro, a chi e a cosa siano rivolte e, a sua volta, a chi e cosa possano essere riproposte, è stato più volte affrontato con Bodhananda/Premadharma.
Nonostante il Quaderno Vedanta abbia lo scopo, ancora dopo un settennio dalla scomparsa sul piano fisico del Riferimento (fondatore di questo forum e del precedente) ed editore di libri e periodici, di continuare, per quel poco, a mostrare una traccia della sua testimonianza, è sempre utile ricordare che le parole tra un "maestro" ed un aspirante discepolo, anche se pronunciate pubblicamente, in un contesto pubblico, quindi ascoltate anche da altri oltre che il maestro e il discepolo interessato, sono e restano tra il discepolo ed il maestro, strettamente tra loro, e sarà l'aspirante a incarnarle, ad attualizzarle nella propria pratica personale, nel silenzio della ricerca interiore: conosci te stesso, in primis, dissolvi tutte le resistenze, le giustificazioni che ti dai al non fare....conosciamo tutti la solfa.
Purtroppo vediamo spesso la strumentalizzazione costante delle parole dei "maestri", il rivolgerle ad altri discepoli dello stesso maestro che "non le hanno capite", oppure fare proselitismo altrove, cercando di universalizzarle.
A volte invece un maestro decide di divulgare e scrivere pubblicamente, quindi senza rivolgersi in particolare a nessuno di specifico. Anche in tal caso il "dire" è comunque dettato dalle circostanze ed eventuali domande poste, da porre e considerando il contesto in cui veniva data quella risposta.
In ultimo, le parole di un maestro vanno sempre e comunque realizzate da chi se ne pone quesito e domanda di quelle parole, non certo a chi legge tanto per leggere ed erudirsi di "cose spirituali".
Forse è per questo che la tradizione sottolinea così spesso l'aspetto testimoniale di ogni parlare, perchè se non è testimoniale di sè, allora non è testimoniale (realizzativo) ma solo eruditivo (mnemonico-culturale) e questo non ha nulla a che fare con la vera tradizione che è sempre testimoniale (qui e ora) e non eruditiva, mnemonica, in divenire.
L'unica possibilità per ognuno, a prescindere da quanto la propria testa sia piena di sacre verità e saggezze, è essere solo ciò che è. Se le domande sorgono dal cuore la traccia si farà luminosa sotto i nostri piedi, e, un passo alla volta, potremo percorrerla.
Chiuderei con una bella storiella (più da ombrellone o da fresca quercia):
Un giorno a Ramana si presentò un praticante anziano di yoga, di asana e posture yoga; le sue domande vertevano su certe posizioni, su come andavano eseguite, come doveva stare il piede, la schiena, il pollice o l'indice della mano destra. Con grande sorpresa di tutti, Ramana cominciò a rispondere a quelle domande "tecniche" di posture e asana, finchè con grande soddisfazione dell'anziano praticante tutte le domande ebbero completa risposta. Quando l'anziano praticante yoga se ne andò, i restanti anziani e discepoli stretti di Ramana chiesero del perchè delle risposte date (senza chiedere della loro grande sorpresa che Ramana ne conoscesse le risposte) e Ramana spiegò che ad ogni domanda, purchè vera e sincera del cuore, spetta la sua risposta. Quelle risposte erano le risposte a quelle domande poste da quell'anziano praticante yoga che gli spettavano secondo sua sadhana e cammino.
Ieri è stato pubblicato il quaderno vedanta di agosto, intitolato Unidizionarietà, nel quale sono stati assemblati dei dialoghi con Premadharma (o anche Teano) tratti dal vecchio forum pitagorico.
Purtroppo, l'errore umano è sempre in agguato, nei vari passaggi e revisioni del testo per la pubblicazione è saltata la frase finale dell'ultimo intervento di Premadharma.
Nel dialogo, che fa perno su alcune parole di Ramakrishna descrittive del "devoto", Premadharma tratteggia la figura del devoto evidenziando che Sri Ramakrishna si rivolge a chi non ha ancora controllo della propria azione, pensiero e silenzio, e indirizza tale carenza sulla sadhāna, se non sulla vita altrui.
Poi va giù un po' più pesante, come era suo solito per risvegliare i dormienti acculturati dai tanti libri letti e pronti a confrontare le testimonianze dei diversi maestri della Tradizione (unica, metafisica, universale).
"È consueto assistere al continuo richiamo al dharma (o alle leggi morali) rivolto da chi non ha idea di quale sia il proprio dharma. L'incapacità di realizzare non la natura divina, ma nemmeno la natura individuale (il continuo mutamento della percezione mentale), permette che tale mutamento inconsapevole sia lo strumento di giudizio della vita altrui."
Nel finale del dialogo Premadharma spiega che il termine unidirezionalità può riferirsi anche ad un lignaggio o ad un ramo tradizionale.
(...)
Quando ci si sposta a figure come Sai Baba, Ramakrishna, Sri Ramana, occorre di volta in volta verificare chi siano gli interlocutori, perché il Vedanta di Ramanuja non è quello di Shankara, sia come dottrina che come testi, essendo stati commentati se non riportati diversamente.
Così le parole di Sai Baba rivolte ad un vaisnava saranno diverse da quelle rivolte ad un śaiva, e le prescrizioni di un brahmino del Bengala diverse da quelle di uno del Kerala o del Tamil Nadu.
In funzione della scuola di provenienza, si userà il termine Mahapurusha per indicare il Brahman, o altre ancora.
Certi Maestri con un dharma universale, sono stati o sono di riferimento a diverse scuole o movimenti religiosi, pertanto occorre di volta in volta sapere prendere quelle parole che sono rivolte a stimolare la nostra indole, riconoscendo come non nostre quelle rivolte ad altri lignaggi.
Il finale è essenziale, chiude il senso del periodo.
Inoltre il discorso delle parole di un maestro, a chi e a cosa siano rivolte e, a sua volta, a chi e cosa possano essere riproposte, è stato più volte affrontato con Bodhananda/Premadharma.
Nonostante il Quaderno Vedanta abbia lo scopo, ancora dopo un settennio dalla scomparsa sul piano fisico del Riferimento (fondatore di questo forum e del precedente) ed editore di libri e periodici, di continuare, per quel poco, a mostrare una traccia della sua testimonianza, è sempre utile ricordare che le parole tra un "maestro" ed un aspirante discepolo, anche se pronunciate pubblicamente, in un contesto pubblico, quindi ascoltate anche da altri oltre che il maestro e il discepolo interessato, sono e restano tra il discepolo ed il maestro, strettamente tra loro, e sarà l'aspirante a incarnarle, ad attualizzarle nella propria pratica personale, nel silenzio della ricerca interiore: conosci te stesso, in primis, dissolvi tutte le resistenze, le giustificazioni che ti dai al non fare....conosciamo tutti la solfa.
Purtroppo vediamo spesso la strumentalizzazione costante delle parole dei "maestri", il rivolgerle ad altri discepoli dello stesso maestro che "non le hanno capite", oppure fare proselitismo altrove, cercando di universalizzarle.
A volte invece un maestro decide di divulgare e scrivere pubblicamente, quindi senza rivolgersi in particolare a nessuno di specifico. Anche in tal caso il "dire" è comunque dettato dalle circostanze ed eventuali domande poste, da porre e considerando il contesto in cui veniva data quella risposta.
In ultimo, le parole di un maestro vanno sempre e comunque realizzate da chi se ne pone quesito e domanda di quelle parole, non certo a chi legge tanto per leggere ed erudirsi di "cose spirituali".
Forse è per questo che la tradizione sottolinea così spesso l'aspetto testimoniale di ogni parlare, perchè se non è testimoniale di sè, allora non è testimoniale (realizzativo) ma solo eruditivo (mnemonico-culturale) e questo non ha nulla a che fare con la vera tradizione che è sempre testimoniale (qui e ora) e non eruditiva, mnemonica, in divenire.
L'unica possibilità per ognuno, a prescindere da quanto la propria testa sia piena di sacre verità e saggezze, è essere solo ciò che è. Se le domande sorgono dal cuore la traccia si farà luminosa sotto i nostri piedi, e, un passo alla volta, potremo percorrerla.
Chiuderei con una bella storiella (più da ombrellone o da fresca quercia):
Un giorno a Ramana si presentò un praticante anziano di yoga, di asana e posture yoga; le sue domande vertevano su certe posizioni, su come andavano eseguite, come doveva stare il piede, la schiena, il pollice o l'indice della mano destra. Con grande sorpresa di tutti, Ramana cominciò a rispondere a quelle domande "tecniche" di posture e asana, finchè con grande soddisfazione dell'anziano praticante tutte le domande ebbero completa risposta. Quando l'anziano praticante yoga se ne andò, i restanti anziani e discepoli stretti di Ramana chiesero del perchè delle risposte date (senza chiedere della loro grande sorpresa che Ramana ne conoscesse le risposte) e Ramana spiegò che ad ogni domanda, purchè vera e sincera del cuore, spetta la sua risposta. Quelle risposte erano le risposte a quelle domande poste da quell'anziano praticante yoga che gli spettavano secondo sua sadhana e cammino.