Pagina 1 di 1

Sai Baba - aham (Io) e ahaṃkāra (senso dell'io)

Inviato: 19/03/2023, 10:29
da cielo
Si propone l'intero discorso di Sai Baba del 9 ottobre 1997, perchè, al mio sentire, ricco di spunti per tutti i ricercatori che avranno voglia di leggerlo.
Per le persone che studiano la visione del vedānta advaita di Shankara e cercano di focalizzare sul sè interiore, per quelle che dialogano con il Divino e lo riconoscono in ogni altro essere, rimanendo nel raccoglimento interiore e nella preghiera, ma anche per coloro che fanno della propria vita un'opera di costante servizio ai bisognosi, ai malati, agli ultimi o semplicemente al prossimo, come e dove si presenti.
In altra stanza, a seguire una riflessione su aham e ahaṃkāra, essere e divenire.

Immagine

Il più sottile dei cinque
Non esiste esercizio spirituale che eguagli la pace,
felicità più grande del sapersi accontentare,
malattia più grave del desiderio,
retto agire pari alla compassione.
Incarnazioni d’Amore,

nessuna disciplina spirituale può eguagliare la pace.

Il vero sacrificio non è andare nella foresta per condurre una vita da asceta, ma adorare Dio nel pensiero, nelle parole e nelle azioni. Che bisogno c’è di fare penitenza per ottenere la pace, quando la pace stessa è in voi? Si può avere pace, volgendo il proprio sguardo all’interno.

Accontentarsi è la più grande felicità. Quante persone infelici ci sono nel mondo nonostante possiedano ogni genere di agi? Dhritarâshtra godeva di ogni agio regale ed aveva cento figli, ma non riusciva a trovare la pace! Le comodità materiali non possono eguagliare la pace. Per tale ragione, si dice che il sapersi accontentare dona la felicità più grande. Ne consegue che la vera felicità è nel cuore ed è lì che ognuno dovrebbe cercarla.

L’eccesso di desideri è la causa di ogni malattia. I desideri vi soddisfano solo per pochi istanti. Che cosa succede poi se non si realizzano? Succede che l’uomo diventa preda di ogni sorta di tormenti. Non esiste al mondo male più grave del desiderio insaziabile.

Non vi è Dharma che eguagli la compassione, per il semplice fatto che un cuore compassionevole è la dimora stessa di Dio. Se c’è compassione, non occorre alcun altro atto di carità.

Fin dai tempi antichi, i saggi indiani hanno attribuito il massimo valore a una parola: ātma. Essa è anche nota col nome eruka (coscienza, consapevolezza).
Tale consapevolezza trova espressione nel termine aham (“Io” ).

Quando l’“Io” si identifica con un corpo, diventa ahamkara o senso dell’ego. Il senso dell’ego non è lo stato naturale di Aham. Solo attaccandosi a una forma particolare, esso si trasforma in senso dell’io. Altrimenti è consapevolezza pura e assoluta.

È la mente che ostacola la corretta comprensione dell’“Io”. Come le nubi nate dal vapore prodotto dal calore oscurano il sole temporaneamente, così i pensieri e i desideri della mente offuscano l’“lo”, sebbene la mente provenga dall’Âtma.

È necessario comprendere bene il ruolo della mente in relazione al Principio Atmico. Essa si interpone come ostacolo alla consapevolezza del Sé.

Il termine “Io” (nenu, in telugu) ha origine dallo Spirito Supremo. L’“Io” è la forma dello Spirito Supremo. Parole come Aham, Dio, Coscienza e Âtma sono tutti sinonimi. Comprendendo correttamente l’“Io”, si diventa conoscitori del Sé.

C’è un principio fondamentale a cui è legato l’“Io”. Esso non trova fondamento nel corpo; deve quindi riconoscere il suo legame con la Fonte originaria.

Tutti gli oggetti del mondo hanno origine da questa Sorgente originaria. Nessuno può creare tutto ciò. Ogni cosa trae origine da una Sorgente primigenia a cui è dovuta l’intera creazione.

Dal punto di vista materiale, abbiamo l’operatore, l’operazione e l’operato; ma, dal punto di vista spirituale, sono tre dimensioni racchiuse in una sola: chi agisce, l’azione a cui si è tenuti e l’atto saranno un’unica e medesima cosa. Il Principio Atmico è uno solo.

Si dice che Sat-Cit-Ânanda, Essenza-Coscienza-Beatitudine, sono gli attributi del Sé. Secondo il Mio pensiero, essi non sono tre entità separate, non sono tre stati differenti. Cit, la Consapevolezza e Ânanda, la Beatitudine, sono compresenti in Sat, l’Essere, come lo zucchero disciolto nell’acqua che a essa si aggrega per formare uno sciroppo.

Esiste un esempio che evidenzia per quale ragione sia difficile intravedere il Principio Atmico. In una tazza è contenuto del succo di frutta. La tazza non è consapevole della natura costitutiva del succo. Chi beve il succo si serve di una cannuccia. Neppure la cannuccia sa nulla del succo. L’intelletto sa riconoscerne il sapore, ma non lo gusta. Il succo viene inviato allo stomaco dove viene scisso in tre elementi: uno di materia densa che viene escreto, uno di materia sottile che diventa sangue e aiuta ad alimentare la vita, e uno ancora più sottile che diventa Energia Conoscitiva (Consapevolezza piena e costante) ed è sinonimo del Sé. Fuori metafora, la tazza è il corpo, la cannuccia rappresenta i sensi e la Conoscenza Suprema è l’Âtma, il Sé.

Conoscenza Suprema, Consapevolezza, Io, Sé, Beatitudine e Brahman sono tutti termini sinonimi. Le persone legate alla materia possono vedere delle differenze in queste parole, ma, dal punto di vista spirituale, esse indicano la medesima cosa.
Si possono distinguere due tipi di “Io”: quello legato all’attaccamento e quello distaccato da esso. Entrambi costituiscono l’“Io”, ma quello che si identifica col corpo diventa ego, ahamkâra. L’ego reca una forma ovunque sia, ma l’“Io” senza forma, che non si identifica col corpo, è l’Âtma.
L’“Io” senza forma non ha attributi, ma li ha quando è legato a una forma.

Oggi la gente sperimenta solo l’“Io” che si identifica col corpo, non riuscendo a concepire un “Io” che non sia soggetto a esso, un “Io” senza un corpo. Tuttavia, anche partendo dal corpo ma volgendo la visione all’interno, a tempo debito è possibile sperimentare l’Âtma. Questa è chiamata “percezione diretta del Sé”. Ciò significa riportare l’“Io” alla sua Sorgente. Chi cammina con il sole alle spalle calpesterà la sua stessa ombra; solo voltandosi avrà l’ombra dietro di sé. Per realizzare il Sé avviene lo stesso processo. Il viaggio deve essere indirizzato verso il Sé interiore e lontano dal mondo esterno.

Oggi è necessario distogliere la mente dal mondo esterno e volgerla verso la Divinità interiore. Questa è la disciplina spirituale che dovreste intraprendere. In tal modo, vedrete Dio in ogni cosa invece di vedere la natura come una somma di fenomeni fisici. Quando percepirete il mondo fenomenico come manifestazione di Dio, non noterete più l’aspetto fenomenico della natura. Guardate la natura come manifestazione di Dio.

Come si può sperimentare ciò nella vita reale piena di gioie e dolori?
Vi farò un esempio. Dormendo, fate alcuni sogni in cui sperimentate gioie e sofferenze. Vi sembrano veri finché dormite, ma, svegliandovi, vi rendete conto che erano solo sogni. Nello stato di veglia avete altre esperienze. Che rapporto intercorre tra i due stati? Anche l’esperienza della veglia è un sogno, un sogno a occhi aperti. Ciò che è reale in entrambi gli stati è colui che sogna.

Solo il fattore tempo differisce nei due stati. Nel sogno, si può rivedere tutta la vita in pochi minuti, perché il sogno sintetizza le esperienze di molti anni in pochi istanti. Allo stesso modo, ciò che nello stato di veglia accade in molti anni, nell’esperienza spirituale può sembrare che duri solo pochi attimi.

La nostra concezione della realtà è legata al fattore tempo. Il tempo crea grande differenza fra ciò che viene percepito direttamente e ciò che viene sperimentato indirettamente. L’Âtma è l’entità immutabile in grado di identificare i cambiamenti causati dal tempo. La consapevolezza della realtà immutabile, che sta alla base dei mutamenti del mondo fenomenico, è il Principio Atmico detto eruka.
Esso è presente in ognuno come Aham, l’“Io”. Ognuno, però, guarda il mondo secondo la propria condizione, la propria ottica o esperienza personale. Il Principio atmico viene spiegato e descritto in modi diversi. Non esiste attinenza fra la realtà e il modo in cui la si sperimenta. Le analogie usate per spiegare il Principio atmico contengono dei limiti intrinseci.

Si afferma che Dio è onnipresente, ma su che cosa si fonda l’autorità di questa affermazione?

Esiste un modo pratico per giungere a questa conclusione. Sappiamo che la materia è composta da cinque elementi di base, che sono la terra, l’acqua, il fuoco, l’aria e lo spazio, a cui si associano cinque qualità: l’odore, la liquidità, la luminosità, la tattilità e il suono. Nella terra sono incluse tutte e cinque le qualità, compresa quella che la riguarda specificamente, cioè l’odore. L’acqua è contraddistinta dalla qualità dell’essere liquida: perciò, è più leggera della terra ed è mobile. Quattro sono, dunque, le sue qualità. Il fuoco ne ha tre, delle quali la forma è quella sua precipua ed è più leggero dell’acqua. Poi c’è l’aria, più leggera del fuoco, con due sole qualità: la tattilità e il movimento. Infine, viene lo spazio eterico, detto akasha, il più sottile dei cinque elementi, che pervade ogni cosa. Lo spazio eterico e trascendente è Dio, il quale è onnipresente.

A ben guardare, si scopre che tali diverse caratteristiche sono alla base di sentimenti e reazioni. Perciò esse vanno tenute sotto controllo. Contemporaneamente, bisognerebbe ridurre il peso della vita mondana e i desideri che riempiono la mente. L’uomo odierno è schiacciato dal peso dei suoi desideri. Il progresso spirituale è direttamente collegato alla riduzione dei desideri. La grazia di Dio è proporzionale agli sforzi umani.

Prima, due insegnanti hanno parlato delle loro esperienze e hanno esaltato la potenza divina. Tale potenza, tuttavia, non agisce indipendentemente dagli sforzi umani: ogni individuo, infatti, ne è dotato. Gli uomini invocano il potere divino come se fosse un aiuto al loro stesso potere, ma, non ravvisando che esso è in loro stessi, lo attribuiscono a qualcun altro.

Alcuni devoti tendono a biasimare Baba se i loro desideri non si realizzano. Quando essi pregano con cuore puro, la purezza stessa li aiuterà ad avere sollievo. Essi, tuttavia, sono grati a Baba per averli salvati. Baba non ha nulla a che fare con questi risultati: sono il frutto dei vostri sforzi e delle vostre azioni.
Nel nostro college, c’è un cartellone che reca la scritta: “Chi protegge il Dharma è protetto dal Dharma, mentre chi lo distrugge ne viene distrutto”.
Se avete fede totale nel Divino, la fede stessa vi aiuterà. Abbiate fiducia nel Sé, sebbene non si veda, proprio come non sono visibili le fondamenta di un grande palazzo; tuttavia, senza fondamenta, l’edificio non può reggersi. Allo stesso modo, la fiducia in sé è alla base della propria soddisfazione. Alla sommità del palazzo, a far da tetto, c’è il sacrificio di sé. Indi, raggiungerete la realizzazione spirituale.

Sviluppate una solida fede: essa vi darà ogni esperienza spirituale. Dicono le Upanishad: “Svegliatevi dal sonno dell’ignoranza e procedete verso la consapevolezza del Sé!”

Incarnazioni d’Amore, la cosa fondamentale è aver fede in Dio: il resto non conta. Tutte le cose materiali sono periture. Solo il Sé è eterno e immutabile.

È un vero peccato che la maggior parte degli uomini, conducendo una vita materiale, viva nella dimenticanza di Dio.

Fate che Dio sia il fondamento della vostra vita!

Compite il vostro dovere. Il dovere è Dio.

Il lavoro è adorazione. Rendete sacre tutte le vostre azioni e considerate per il vostro bene tutto ciò che accade. Imparate a vivere sempre nella beatitudine, cercando l’unione col Divino. Non dimenticatevi mai di Dio, non inseguite le cose del mondo e non abbiate timore della morte. Quando la vostra vita si baserà su queste tre massime realizzerete il Divino.

Baba ha concluso il Discorso con il bhajan: “Prema mudita manase kaho, Râma, Râma, Râm”

Prashanti Nilayam, 9 ottobre 1997

Sai Kulvant Hall

(Trad. Da Sanathana Sarathi, n. 11/1997)
mothersaipublication