Ognuno muove da dove è
Inviato: 30/05/2020, 9:22
Con riferimento al post KARMA di Bodhananda vorrei proporre a mia volta alcune riflessioni di quasi altretta ovvietà.
In ambito mondano, in divenire spazio-temporale oserei quasi dire fisico-nautico-cartografico uno spostamento, un percorso, un “cammino” viene definito da due punti di cui si deve avere coordinate ed un verso di percorrenza, di solito quello implicito, dal punto A (di partenza) a quello B (di arrivo).
Quindi qualsiasi partire, incamminarsi, andare richiede che siano note queste due coordinate, partenza e arrivo. Ora se la seconda diciamo è facoltativa quanto a scelta nel senso che la decidiamo noi in funzione di dove vogliamo andare, della “meta” che ci prefiggiamo, la prima, quella di partenza no; questa deve necessariamente coincidere col dove si è fattivamente, se veramente vogliamo partire per quel viaggio, altrimenti non si inizia e parte di alcun viaggio senza questa coordinata iniziale.
Ne segue che “il dove si è” viene prima di ogni partenza-viaggio-percorrenza si sia decisa persino della meta stessa che potrebbe anche essere modificata in corso di viaggio, mentre condizione necessaria e ineludibile per partire è e rimane di sapere dove si è, da dove si parte.
Partire, camminare, viaggiare etc implicano un movimento, quindi un fare, un divenire spazio-temporale, un esercizio e pratica di volontà, di azione, di agire, quindi anche di desiderio, di anelito, di aspirazione. Il soggetto si muove da A verso B, verso la meta che si è prefissa quale che essa sia, meta in cui altrettanto evidentemente e ovviamente non si trova all’atto della partenza tant’è che vi si dirige per raggiungerla dalla posizione A (in cui si trova) a quella B (che vuole appunto raggiungere).
Quale che sia la meta del cammino che vuole intraprendere il cammino si svolge da A verso B, ha un verso e una direzione di svolgimento, di raggiungimento, di compimento e ottenimento-soddisfacimento di ciò cui anelava e desiderava, il punto B.
Solitamente ogni desiderio quale che sia ha un verso estrovertito, ovvero si dirige e ha direzione da A (soggetto) verso B (oggetto). Si attua e esplica nel mondo, in direzione mondo; il soggetto (io) anela e desidera fuori e altro da lui, segue e persegue l’alterità, ciò che non è ma che desidera appunto essere.
Segue e persegue l’oggetto, che poi altri non è che la sua stessa modificazione (sovrapposta) al soggetto. L’oggetto non è altri che lo stesso soggetto altrimenti, in altra forma, in altra veste, in altre sembianze, quelle del desiderio, quelle della parte mancante, che per quanto persegue e ottiene (soddisfacimento del desiderio) sarà sempre mancante, sempre carente, inquanto parte e parziale e non il tutto.
Una delle “mete” storiche della spiritualità è la liberazione. Ma una “liberazione” intesa come meta (B) implica una condizione di partenza (A) di “prigionia”.
Aneliamo, desideriamo la liberazione (il famoso “ardente anelito alla liberazione”) dando per scontato una condizione di partenza di prigionia. Ovvio (altra ovvietà) se non fossimo (ci sentissimo) prigionieri, non desidereremmo aneleremmo alla libertà! Nè pianificheremmo viaggi e cammini e quant’altro per raggiungerla e conseguirla.
Quindi tonando alla constatazione iniziale dell’ “ognuno muove da dove è” forse questa implicherebbe un chiedersi, prima ancora di muovere, il sapere-conoscere dove si è. Non per nulla alcuni così detti filosofi del passato ed anche più recenti propongono il “conosci te stesso”, ovvero in forma di domanda la ricerca-indagine “chi sono io?”.
Sono tutte modalità conoscitive-indagative che convergono sul soggetto (di azione, di desiderio, di anelito, di fare, di agire, di pensare etc) piuttosto che sull’oggetto di tutto quanto sopra. È quella che in ambito ellenico veniva definita metanoia-periagoghè, conversione, inversione, rivolgimento etc.
Conversione di che cosa? Di una direzione di cammino e percorso, di quella che di solito volge e svolge dal soggetto verso l’oggetto deve trovare inversione e conversione dall’oggetto verso il soggetto. Conosci te stesso (il soggetto) non è analogo a dire conosci il mondo, l’oggetto, l’altro da te. È esattamente l’opposto. L’estroversione non è introversione, l’esteriorizzazione non è interiorizzazione, l’essoterico non è esoterico.
Il “prigioniero” cui inizialmente si pone ricerca, attenzione e indagine, non è (ovviamente) l’Essere, ma semplicemente l’io, il soggetto, il primo parametro del percorso in divenire (e direzione) verso l’oggetto. È l’io del “io sono questo e quello”, dell’io soggetto che si estroverte nell’oggetto, sua stessa modificazione in alterità.
“questo e quello” ovviamente è l’oggetto, gli oggetti i molteplici oggetti nei quali il soggetto “io” si direziona e volge in divenire, è proprio un moto, “si diventa ciò che si pensa” è un attestato di moto (soggetto--->oggetto) di direzione, di estroversione etc.
Il paradossale del prigioniero iniziale, del soggetto prigioniero (che anela alla liberazione) è che si è reso prigioniero lui stesso, e nessun altro.
Si è reso prigioniero nell’atto stesso di esistere, di venire in esistenza, confinandosi, limitandosi, parcelizzandosi da sè medesimo nei suoi stessi limiti (da lui stesso accuratamente definiti, rinnovati tutti i giorni, divenuti nel pensarsi) che lo definiscono quanto imprigionano. Ci siamo costruiti la prigione da noi stessi, quella stessa prigione che (ci) delimita e definisce “noi” (soggetti) da ogni altro da noi (oggetti).
Noi siamo di fatto la stessa prigione che ci siamo costruiti, siamo gli stessi pensieri che crediamo e pensiamo e che ci identificano quanto limitano e imprigionano.
Paradossale ma così; è come la storia delle brocche e dell’etere. Abbiamo costruito, creduto, immaginato e inventato la brocca che ci definisce quanto delimita e imprigiona.
Piangiamo la prigionia del “dentro” la brocca rispetto alla libertà dell’etere fuori di essa, avendo completamente dimenticato e perso che l’etere, sia quello dentro che quello fuori è esattamente lo stesso. Abbiamo rinchiusa e confinata la libertà dentro un brocca-prigione e la chiamaiamo “io” e ci sentiamo prigionieri di noi stessi praticamente della nostra stessa ignoranza metafisica, della nostra stessa avidya, e di nient’altro che questa.
Paradossale ma così. Cerchiamo aneliamo la libertà fuori dalla brocca, nel mondo, nell’altro da noi, scordandoci che quella separazione (dentro-fuori la brocca) è proprio ciò che siamo e che ci definisce “individui-io” e che siamo noi stessi ad averla creata, immaginata, creduta e pensata tale, quando non lo è. La corda che “crediamo” serpente, serpente non è ma corda, libera corda, libero etere; non c’è mai stato alcun serpente se non nella nostra immaginazione e credenza che ci fosse. Non c’è nessun etere “dentro la brocca” non c’è nessuna brocca, c’è solo l’etere, libero, libero etere che non è nè dentro nè fuori, perchè non c’è nessun dentro e fuori, nessun limite e parte alla libertà dell’etere.
Cercando, indagando sul quel soggetto iniziale, “io”, su quella brocca (invece che su tutto ciò che è altro e “fuori” dalla brocca-io), spogliandolo e lasciando cadere ogni cosa che quella brocca-io non è (neti-neti), se ne cominciano a demolire i pezzi, a levigare la pietra grezza come dicono gli alchimisti, quella brocca comincia a farsi sempre più trasparente, ed infine verrà riassorbita-disciolta dall’etere stesso, e ci si ritroverà etere, libero etere, quali si è sempre stati, prima durante e dopo.
In ambito mondano, in divenire spazio-temporale oserei quasi dire fisico-nautico-cartografico uno spostamento, un percorso, un “cammino” viene definito da due punti di cui si deve avere coordinate ed un verso di percorrenza, di solito quello implicito, dal punto A (di partenza) a quello B (di arrivo).
Quindi qualsiasi partire, incamminarsi, andare richiede che siano note queste due coordinate, partenza e arrivo. Ora se la seconda diciamo è facoltativa quanto a scelta nel senso che la decidiamo noi in funzione di dove vogliamo andare, della “meta” che ci prefiggiamo, la prima, quella di partenza no; questa deve necessariamente coincidere col dove si è fattivamente, se veramente vogliamo partire per quel viaggio, altrimenti non si inizia e parte di alcun viaggio senza questa coordinata iniziale.
Ne segue che “il dove si è” viene prima di ogni partenza-viaggio-percorrenza si sia decisa persino della meta stessa che potrebbe anche essere modificata in corso di viaggio, mentre condizione necessaria e ineludibile per partire è e rimane di sapere dove si è, da dove si parte.
Partire, camminare, viaggiare etc implicano un movimento, quindi un fare, un divenire spazio-temporale, un esercizio e pratica di volontà, di azione, di agire, quindi anche di desiderio, di anelito, di aspirazione. Il soggetto si muove da A verso B, verso la meta che si è prefissa quale che essa sia, meta in cui altrettanto evidentemente e ovviamente non si trova all’atto della partenza tant’è che vi si dirige per raggiungerla dalla posizione A (in cui si trova) a quella B (che vuole appunto raggiungere).
Quale che sia la meta del cammino che vuole intraprendere il cammino si svolge da A verso B, ha un verso e una direzione di svolgimento, di raggiungimento, di compimento e ottenimento-soddisfacimento di ciò cui anelava e desiderava, il punto B.
Solitamente ogni desiderio quale che sia ha un verso estrovertito, ovvero si dirige e ha direzione da A (soggetto) verso B (oggetto). Si attua e esplica nel mondo, in direzione mondo; il soggetto (io) anela e desidera fuori e altro da lui, segue e persegue l’alterità, ciò che non è ma che desidera appunto essere.
Segue e persegue l’oggetto, che poi altri non è che la sua stessa modificazione (sovrapposta) al soggetto. L’oggetto non è altri che lo stesso soggetto altrimenti, in altra forma, in altra veste, in altre sembianze, quelle del desiderio, quelle della parte mancante, che per quanto persegue e ottiene (soddisfacimento del desiderio) sarà sempre mancante, sempre carente, inquanto parte e parziale e non il tutto.
Una delle “mete” storiche della spiritualità è la liberazione. Ma una “liberazione” intesa come meta (B) implica una condizione di partenza (A) di “prigionia”.
Aneliamo, desideriamo la liberazione (il famoso “ardente anelito alla liberazione”) dando per scontato una condizione di partenza di prigionia. Ovvio (altra ovvietà) se non fossimo (ci sentissimo) prigionieri, non desidereremmo aneleremmo alla libertà! Nè pianificheremmo viaggi e cammini e quant’altro per raggiungerla e conseguirla.
Quindi tonando alla constatazione iniziale dell’ “ognuno muove da dove è” forse questa implicherebbe un chiedersi, prima ancora di muovere, il sapere-conoscere dove si è. Non per nulla alcuni così detti filosofi del passato ed anche più recenti propongono il “conosci te stesso”, ovvero in forma di domanda la ricerca-indagine “chi sono io?”.
Sono tutte modalità conoscitive-indagative che convergono sul soggetto (di azione, di desiderio, di anelito, di fare, di agire, di pensare etc) piuttosto che sull’oggetto di tutto quanto sopra. È quella che in ambito ellenico veniva definita metanoia-periagoghè, conversione, inversione, rivolgimento etc.
Conversione di che cosa? Di una direzione di cammino e percorso, di quella che di solito volge e svolge dal soggetto verso l’oggetto deve trovare inversione e conversione dall’oggetto verso il soggetto. Conosci te stesso (il soggetto) non è analogo a dire conosci il mondo, l’oggetto, l’altro da te. È esattamente l’opposto. L’estroversione non è introversione, l’esteriorizzazione non è interiorizzazione, l’essoterico non è esoterico.
Il “prigioniero” cui inizialmente si pone ricerca, attenzione e indagine, non è (ovviamente) l’Essere, ma semplicemente l’io, il soggetto, il primo parametro del percorso in divenire (e direzione) verso l’oggetto. È l’io del “io sono questo e quello”, dell’io soggetto che si estroverte nell’oggetto, sua stessa modificazione in alterità.
“questo e quello” ovviamente è l’oggetto, gli oggetti i molteplici oggetti nei quali il soggetto “io” si direziona e volge in divenire, è proprio un moto, “si diventa ciò che si pensa” è un attestato di moto (soggetto--->oggetto) di direzione, di estroversione etc.
Il paradossale del prigioniero iniziale, del soggetto prigioniero (che anela alla liberazione) è che si è reso prigioniero lui stesso, e nessun altro.
Si è reso prigioniero nell’atto stesso di esistere, di venire in esistenza, confinandosi, limitandosi, parcelizzandosi da sè medesimo nei suoi stessi limiti (da lui stesso accuratamente definiti, rinnovati tutti i giorni, divenuti nel pensarsi) che lo definiscono quanto imprigionano. Ci siamo costruiti la prigione da noi stessi, quella stessa prigione che (ci) delimita e definisce “noi” (soggetti) da ogni altro da noi (oggetti).
Noi siamo di fatto la stessa prigione che ci siamo costruiti, siamo gli stessi pensieri che crediamo e pensiamo e che ci identificano quanto limitano e imprigionano.
Paradossale ma così; è come la storia delle brocche e dell’etere. Abbiamo costruito, creduto, immaginato e inventato la brocca che ci definisce quanto delimita e imprigiona.
Piangiamo la prigionia del “dentro” la brocca rispetto alla libertà dell’etere fuori di essa, avendo completamente dimenticato e perso che l’etere, sia quello dentro che quello fuori è esattamente lo stesso. Abbiamo rinchiusa e confinata la libertà dentro un brocca-prigione e la chiamaiamo “io” e ci sentiamo prigionieri di noi stessi praticamente della nostra stessa ignoranza metafisica, della nostra stessa avidya, e di nient’altro che questa.
Paradossale ma così. Cerchiamo aneliamo la libertà fuori dalla brocca, nel mondo, nell’altro da noi, scordandoci che quella separazione (dentro-fuori la brocca) è proprio ciò che siamo e che ci definisce “individui-io” e che siamo noi stessi ad averla creata, immaginata, creduta e pensata tale, quando non lo è. La corda che “crediamo” serpente, serpente non è ma corda, libera corda, libero etere; non c’è mai stato alcun serpente se non nella nostra immaginazione e credenza che ci fosse. Non c’è nessun etere “dentro la brocca” non c’è nessuna brocca, c’è solo l’etere, libero, libero etere che non è nè dentro nè fuori, perchè non c’è nessun dentro e fuori, nessun limite e parte alla libertà dell’etere.
Cercando, indagando sul quel soggetto iniziale, “io”, su quella brocca (invece che su tutto ciò che è altro e “fuori” dalla brocca-io), spogliandolo e lasciando cadere ogni cosa che quella brocca-io non è (neti-neti), se ne cominciano a demolire i pezzi, a levigare la pietra grezza come dicono gli alchimisti, quella brocca comincia a farsi sempre più trasparente, ed infine verrà riassorbita-disciolta dall’etere stesso, e ci si ritroverà etere, libero etere, quali si è sempre stati, prima durante e dopo.