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da cannaminor » 01/06/2020, 20:39
Raphael - Parliamo delle qualificazioni. (testo tratto da Tat Tvam Asi, per le edizioni Aśram Vidyā, di Raphael, pag 93)
1 - La prima è l'intensa aspirazione alla Liberazione. Dev'essere così forte da condizionare tutto il patrimonio psichico. Quando il fuoco aspirazionale è portato al giusto sviluppo, allora ogni ostacolo viene bruciato senza difficoltà. La Realizzazione si concede a chi sa amarla. L'asparsa yoga non è per i deboli, per tiepidi o per coloro che vogliono acquisire poteri psichici o virtù missionarie. Se c'è un'ardente sete d' integrale soluzione della problematica esistenziale ad ogni livello e grado, allora si è pronti a percorrere la via senza ritorno.
2 - La seconda qualificazione è quella che consiste nel saper rientrare in se stessi, creando un adeguato raccoglimento interiore suscettibile di ulteriori possibilità.
3 - La terza è saper trovare l'ardire ad essere sordi a tutto ciò che il mondo e la società possono offrire sul piano delle consuetudini, della morale sociale, della letteratura, della politica e di ogni altra espressione che si riferisce alla condizione associativa dell'uomo. In un secondo tempo si può rientrare in tale orbita, ma con la coscienza cambiata.
4 - La quarta riguarda l'istanza di ricerca caratterizzata dalla discriminazione mentale tra reale e non-reale. Ciò implica un'istanza di conoscenza.
5 - La quinta qualificazione è quella di aderire alla Verità percepita.
Vorrei provare questo esercizio di commento, meglio di chiosa, alle poche righe di cui sopra, che sono a tutti gli effetti dei sutra...
1 - Intensa aspirazione alla liberazione; intensa quanto? C’è forse un grado ed una misura per valutare tale intensità dell’aspirazione alla liberazione? Alle volte si è sostenuto che tale intensità deve essere tale da porre in secondo piano ogni altra scelta, desiderio, persino anelito.
Quando ogni altro possibile fare, desiderio, anelito passa in secondo piano rispetto all’ardente anelito alla Liberazione, allora tutto trova coincidenza e si concentra-focalizza in quell’unica aspirazione, la Liberazione.
2 - Rientrare in se stessi; perchè ri-entrare e non semplicemente entrare (le parole dei sutra non sono mai poste a “caso”). Evidentemente si fa riferimento ad un moto-direzione che deve trovare inversione, conversione, ri-entro per l’appunto rispetto alla direzione ordinaria di marcia.
Qual’è la direzione ordinaria di marcia del divenire? Quella del soggetto verso l’oggetto, quella dell’io (aham) verso l’altro da sè (idam), quella estroversa, quella essoterica, quella verso “fuori”, verso il mondo...
Parlare di ri-entro ha allora significato, quanto meno inizialmente, di dirigersi verso l’io, il soggetto individuato, pensante e agente di tutte le azioni che trovano di solito luogo ed esplicazione nel mondo, nell’oggetto, nell’idam (alterità).
Rientare è quindi una inversione di marcia, di direzione, quella che i greci chiamavano periagoghè-metanoia, è il conosci te stesso, il domandarsi “chi sono io” di Ramana memoria.
3 - La terza credo non richieda alcuna chiosa, si spiega chiaramente da se stessa.
4 - discriminazione mentale tra reale e non-reale … istanza di conoscenza
Qui cominciano a svilupparsi quelle ulteriori possibilità relative ad un raccoglimento interiore così come descritte al punto secondo. La discriminazione mentale tra reale e non reale altro non è che il neti – neti. Discriminare la realtà di in oggetto (perchè è questo che di fatto si sta discriminando) vuol dire discriminare la realtà del “questo e quello” nella proposizione esistenziale “io sono questo e quello”. Ovvero la realtà del questo e quello in relazione all’io.
Detto altrimenti si discrimina quanto il “questo e quello” sia (realmente) “io” oppure no. Si scoprirà purtroppo che non c’è nessun “questo e quello” che soddisfi la condizione di realtà di essere “io”, ovvero l’io non è mai ciò che ha da sempre creduto-pensato essere. “Si diventa ciò che si pensa”, questo è l’attestato di direzione della proposizione “io sono questo e quello” che potrebbe anche diventare in un’ottica di movimento e divenire, “io divento (pensandolo) questo e quello). Cogito ergo sum ha una sua ragion d’essere là dove il pensare trovi coincidenza col diventare ciò che si pensa (sono).
Operando invece nella direzione opposta al diventare ciò che si pensa (io -> sono -> questo e quello), si scopre non senza una certa amarezza e poi paura, che venendo meno (non reali) gli oggetti viene meno parimenti il soggetto “io” che si credeva di esserli\lo nel divenire pensare credere di esserli\lo. Questo sfrondare, denudare l’io degli abiti-vestiti di cui si era vestito fino a poco innanzi è l’istanza conoscitiva di cui si parlava prima. È proprio per conoscere l’io che lo si spoglia e denuda di ciò che io non è. Peccato che come per le cipolle, l’io sia di fatto tutte “sfoglie” una sopra l’altra e difatti a forza di sfogliarlo si comincia a temere “via sfogliando” che non rimanga nulla di che sfogliarlo e questa è proprio quella paura di cui menziona Samkara quando dice:
<<Questo yoga che viene denominato "asparsa" (senza alcun contatto), è difficile da comprendere per molti yogi, perché essi, che sentono la paura (dell'annichilimento) laddove non esiste, ne hanno timore>>. (Mandukya Upanisad III, 39).
5 - aderire alla Verità percepita l’aderire alla verità percepita ha varie “chiavi di lettura”; una di queste potrebbe essere che la protratta opera di denudazione-spogliazione dell’io di ciò che non è (i vari vestiti e rivestimenti indossati in identificazione) leggasi depurazione, purificazione, calcinazione direbbe l’alchimia, etc, sortisce un accentrarsi, un portarsi al centro del disco coscienziale in perenne movimento rotatorio divenire. Dal moto, dal movimento, dal divenire periferico ci si porta per spogliazione dei movimenti stessi verso il centro, ovvero si rallenta il moto fino a fermarsi nel centro stesso della ruota-disco. È solo da qui, dal centro di questo disco-piano orizzontale in rotazione che si può ascendere e prendere una via verticale rispetto all’orizzontale nel quale ci siamo mossi sino ad ora. Volendola vedere ancora in un modo diverso si ascende, si trascende il piano sul quale siamo, man mano che ci spostiamo verso il centro, man mano, visto in un’ottica tridimensionale di ascesa del monte-cono, saliamo e ciò facendo ci spostiamo sia verso il centro e sia verso l’alto. Arrivati in cima saremo comunque al centro e fermi privi di moto (non ci sarà altro verso cui muoversi) e trascesi rispetto alla circonferenza di base del cono da cui eravamo partiti. Come la si vede si vede c’è un fissarsi (il coagula del “solve et coagula” alchemico, così come il solve trova coincidenza nel precedente quarto passaggio della purificazione, depurazione, calcinazione) che ha significato sia spazio\temporale che di moto (i cui due parametri che lo descrivono sono per l’appunto lo spazio ed il tempo).
La verità cui si aderisce è un aderire e fissarsi nel centro, nel non-moto, non-divenire, nella costante e continuo essere, fermo e centro “osservatore-testimone” di ogni divenire movimento.