32. Io sono il Tempo, distruttore dell’universo pervenuto a maturazione e quindi (sono)
occupato a dissolvere le stirpi (degli uomini). Anche senza il tuo intervento questi guerrieri, schierati in opposte file, si dissolveranno.
33. Perciò sorgi e conquista la gloria; trionfa sugli avversari e impegnati per un prospero regno. (Sappi che) questi guerrieri da gran tempo sono da Me considerati già scomparsi. Tu sei solo lo strumento, o Savyasācin (di ciò che dovrà essere).
34. Droṇa, Bhīṣma, Jayadratha, Karṇa e similmente gli altri valenti eroi, che da Me sono già stati soppressi, distruggi, senza alcuna paura; combatti e vincerai i tuoi nemici.”
Commento di Raphael:
Kṛṣṇa svela il suo volto śivaita: sul piano del manifesto ogni cosa, che proviene poi da Me, nasce e muore; per Me un ente-evento non fa in tempo a nascere che già è dileguato, riportato nel non formale, trasceso.
L’universo dei nomi e delle forme non è altro che un caleidoscopico emergere e svanire, travaglio di elementi, di atomi che vengono, spariscono, ritornano in un turbinio incessante. Vita: eternità e baleno, potenza e svigorio, attimo eternale, apparizione e scomparsa.
Arjuna, discepolo kṣatriya, è lo strumento dell’ineluttabile tramonto della forma. È Kṛṣṇa in persona che gli ordina di eseguire il Dharma cosmico, venuto a maturità. Noi, semplici viandanti sulla via del conflitto, non possiamo seguire l’ordine impartito ad Arjuna; non siamo strumenti dell’universale, non possiamo uccidere, quantunque conosciamo l’inevitabile svanire della forma. Un karma negativo, certo, si raccoglierebbe sulle nostre spalle qualora uccidessimo. Ogni jīva ha il diritto, come noi, di ‘sognare’, ogni jīva ha il diritto di vivere e lottare per scorgere quel faro che, prima o poi, lo condurrà nel grande porto della beatitudine. È bene riflettere sul primo verso del sūtra 32: “ Io sono il Tempo, distruttore dell’universo pervenuto a maturazione...”. Śiva si svela solo quando la messe è matura.
dalla Bhagavadgītā, Il canto del Beato
traduzione e commento di Raphael
edizioni Āśram Vidyā
Il Tempo sta per riassorbire un nuovo anno e domani il contenitore spazio-temporale che ci sta ospitando avrà una nuova etichetta numerica: 2021.
Domani questo me penserà da 2021, non più da 2020.
I primi tempi è sempre dura ricordarsi di datare i documenti aggiornando l'abitudine mentale dei 365 giorni e 6 ore precedenti.
Come opporsi allo scorrere della vita o pensare di poterla orientare secondo nostri scopi e desideri?
Quando questa consapevolezza dell'ineluttabile mi imbeve come fossi una spugna, accadono stati coscienziali che alternano uno stato di spavento primordiale (accade di visualizzare il mio distacco dalla forma, la morte del corpo fisico che terrorizza le mie cellule vive e in azione nel qui e ora, mi piace il brivido e la scarica di adrenalina di percepirmi prima o poi morta) e uno stato di leggerezza pacifica che sa che questa energia aggregata in questo nome forma si dissolve ogni notte nel sonno. Hai paura di addormentarti? - diceva Ramana -, e allora perchè hai paura di morire?
Che sarà mai "morire"? Abbandonare un vestito e sgusciarne fuori nel per sempre dello stato causale, dell'unica Causa di tutti gli effetti. Quando mi metto a raccontare questi miei scenari mentali di solito mi accusano di essere "lugubre" per questo insistere col memento mori...
In questo altalenare tra agitazione e pace, tra paure e antidoti alle paure, navigo a vista e rifletto sulle conseguenze della sadhana e sul sentirmi essere sull'orlo del baratro. La fragola di qua, la tigre di là...
Lavora dentro l'istruzione ricevuta sull'ajati vada (pratica della non generazione di nuove cause), ma sono consapevole che il credere di aver compreso tale istruzione è per l'appunto pura credenza.
"L'Advaita Vedanta nel suo insieme si appoggia come sadhana all'ajati vada (pratica della non generazione [di nuove cause]). E l'ajati vada viene praticato attraverso il karma vada (con tutte le sue accezioni nel grossolano denso, dalle posture, alle respirazioni, ai riti, ai mantra, ai suoni, etc.), il bhakti vada, lo jnana vada, l'asparsa vada.
Il Vedanta Advaita si pone oltre ogni contrapposizione ed è oltremodo risibile come in molti si affannino a contrapporsi ad un qualcosa che non solo non comprendono ma non è nemmeno concepibile dalla mente empirica. E' oltre ogni contrapposizione perché la parte finale, l'asparsa vada, diviene disponibile solo quando l'ajati vada viene a concludersi: i vari piani esistenziali sono stati armonizzati nella risoluzione delle causalità (attraverso i vari yoga) ed è possibile fare il salto coscienziale di pura consapevolezza..
Non generare nuove cause richiede (come da istruzioni ricevute da Premadharma) di praticare le vie tradizionali dello Yoga ben sapendo che la triplice temporaneità del passato presente e futuro che sostanzia l'intera manifestazione è una catena che mi trattiene dal salto nell'abisso e nessuna pratica condurrà all'incausato.
Solo realizzando l'Assoluto conosceremo l'Assoluto: diversamente ci sarà sempre una dualità soggetto e oggetto, un io e un tu. Non possiamo conoscere l'oggetto fino a quando tra noi e l'oggetto c'è una distanza spazio temporale.
Tempo tiranno,si dice.
Mi consolo da sola ricordando che le scritture dicono che anche i più grandi degli yogi hanno paura dell'asparsa, di rimanere senza sostegni, di cambiare la prosettiva che pone sempre un "io sono questo e quello" al centro che vuole modificare qualcosa come se potesse farlo. E ci crede, illudendosi.
In questo brano di Premadharma è ben spiegata la faccenda, anche se non compredo ancora come "vada a concludersi l'ajati vada".
Non generare nuove cause, in pratica cosa vuol dire?
Agire senza agire, sempre abbandonando i frutti dell'azione mano a mano che le azioni di preparano e si compiono?
(se mi brucia l'arrosto sarò imperturbabile, non perderò la pace sattvica...)
H24 presente ai desideri di calarmi nel tempo con un io che presume di poter scegliere e causare eventi "migliori" e risolutivi?
(una contraddizione evidente: desiderare effetti implica cercare di causarli e quindi si agisce con una strategia, aspettandosi un frutto..ṅon ci siamo)
Imparare a stare in piedi da sola, senza libri, senza contentini, senza credenze? A ben guardare è terribile, passo la giornata a cercare sostegni al mio nulla qui presente.
Ma percorrere l'ajati vada è come camminare sul filo di un rasoio, il minimo squilibrio richiede l'applicazione di cerotti, per riprendere a camminare.
E il Tempo scorre, solo nel presente resta apparentemente un attimo fermo.
Buon 00.01 2021
"Coloro che pensano che l'io psicologico o empirico sia la loro vera realtà, senza dubbio temono la realizzazione metafisica, perche credono di estinguersi, di annichilirsi, di perdersi. E pur di non "morire" al loro io - la cui natura è pur sempre peritura - inventano filosofie e scienze che possano dar credito e soddisfare la loro insicurezza e incompiutezza"
(Raphael, Il sentiero della Non-dualità)