KaaRa ha scritto: ↑25/08/2018, 14:47
Faccio un discorso generale (per Cannaminor invece rispondo a parte dopo la citazione): se mi permettessi di dare un giudizio (e dando per scontato di aver ben compreso ciò che avete detto), direi che state centrando il punto: il problema è il senso dell'io, e anche voler risolverlo direttamente è un problema perché niente di ciò che viene fatto da esso può risolverlo (anche perché viene fatto proprio a partire da esso e per esso).
Sarà difficile che il senso dell'io possa risolvere se stesso in via diretta o anche indiretta che sia. Così come porta di esempio-analogia il vedanta dell'impossibilità del danzatore di danzare sulle sue stesse spalle. Ci si è mai chiesti perchè il vedanta parla di "senso dell'io" (ahamkara) è non di io direttamente (aham) in relazione all'organo interno-mente (antahkarana) ? Perchè l'io (aham) nudo e crudo non è un soggetto di relazione, lo è e lo diventa inquanto ahamkara, in quanto senso dell'io, perchè l'io inquanto tale non esiste non c'è; è solo in veste di senso, senso di relazione, senso dell'io che può assumere sembianze e apparenza di realtà, di esistente (ex-sistere). È solo nel rapporto-relazione soggetto (aham) - oggetto (idam) che può venire in esistenza l'ahamkara (il senso dell'io), altrimenti non ci sarebbe alcun aham inteso come soggetto di relazione e relativo. La realtà dell'aham è legata invece alle formulazioni-mahavakya "aham brahmasmi" (Io sono Brahman). L'aham è il filo di arianna, il filo di continuità, il raggio-scintilla divina che lega il jiva al brahman-atman. Ed è proprio l'unica via percorribile (a ritroso) che abbiamo, inquanto jiva-aham, per tornare al "Padre". Ma la via la percorre l'aham, l'io nella sua più autentica e vera purezza, non il senso dell'io che è del tutto fittizio e immaginario.
KaaRa ha scritto: ↑25/08/2018, 14:47
La soluzione suggerita fondamentalmente da ogni ramo della filosofia dell'Essere l'abbiamo ripetuta più volte: impegnarsi in una qualsiasi attività (fisica, emotiva, intellettiva, meditativa, ecc.), soprattutto se è quella a cui si è più affini, cercando di non concentrarsi su nessun fine particolare, ma concentrandosi sull'attenzione con cui tale attività viene compiuta. Questo produce una specie di consumo della spinta che ci fa agire, spinta che è anche la causa del senso dell'io.
Quindi se ben comprendo il "cercando di non concentrarsi su nessun fine particolare" immagino alluda ad una specie di rinuncia al frutto delle azioni di scuola bhakti, mentre il "concentrandosi sull'attenzione con cui tale attività viene compiuta" suppongo alluda ad una sorta di presenza del/nel "qui e ora" di derivazione tipicamente zen e non solo ovviamente.
Non capisco bene la seconda parte "Questo produce una specie di consumo della spinta che ci fa agire, spinta che è anche la causa del senso dell'io.
Qual'è la spinta che ci fa agire, che muove e promuove un "senso dell'io" agente e fruitore dell'agire stesso? Credo vi siano varie ottiche e visioni che rispondano alla domanda, dalla più classica del karma (da cui la pratica del karmayoga molto vicino a quanto affermi sopra), alle varie cadute e dei assopiti della filosofia occidentale, alla visione jnana in cui il punto cardine di tutta la questione diventa proprio il senso dell'io, la sua nascita e provenienza, il "conosci te stesso", il "chi sono io?" di proposta Ramana, etc. In senso e modo più ristretto e ortodosso vedanta si potrebbe anche dire che tutta la spinta di cui parli provenga dai vari semi-samskara-vasana che cercano e trovano nuova vita-fioritura-frutto nelle vite di ogni singolo individuo che hanno loro stesse promosso e sviluppato. Ricorda per certi versi una teoria degli anni '80 di un tale genetista Richard Dawkins, nel suo più noto libro "il gene egoista" in cui sosteneva in sostanza che gli individui (non solo umani) fossero semplicemente dei contenitori di trasmissione di una informazione genetica codificata (dna) e nulla più, e che tutta la selezione darwiniana ipotizzata delle specie etc, fosse di fatto una selezione dei geni-dna più adatti alla sopravivvenza. Come dire che anche i geni-dna cercano e trovano negli individui (umani e non) che creano e assemblano biologicamente, solamente dei mezzi espressivi (manifestazione?) del loro stesso codice e programma genetico, e che sopravivvono quindi di fatto quelli che hanno assemblato e costruito i migliori individui più adatti all'ambiente del momento. Insomma noi, inquanto esseri biologici, siamo solo dei tramite e sperimenti della selezione del codice genetico. Chiudo la parentesi...
Riguardo al consumo della spinta che ci fa agire, sì è vero, meno identificazione c'è nel soggetto agente, meno energie e frutti dell'azione lo stesso troverà per continuare la sua azione, ma credo anche però che certe azioni, certe motivazioni, siano inalienabili, nel senso che stanno proprio alla base della nostra presenza inquanto individui su questo piano. La classica domanda che credo tutti si siano fatti "che ci sto a fare qui al mondo, per quale motivo e scopo sono qui", et similaria, non sono di facile decifrazione e risposta, ma aldilà delle mille motivazioni inesistenti e fittizie, ce ne possono (e credo ci siano) anche delle altre, almeno una voglio sperare, che giustifichi, su questo piano e pur con i limiti di questo piano, la presenza di ognuno di noi su questo piano. Io non so se sono qui, per aver dato vita a due esseri così detti "miei figli" (notare il mio), e di averli avuti per il tramite di un'altro essere così detto "mia moglie", etc etc che abbia svolto e fatto questi mestieri, compiuto queste azioni (benemerite o malemerite che fossero) etc etc. Ho vissuto quasi sessanta anni, e ancora non mi sono dato risposta del perchè sia qui, inquanto individuo etc etc. Forse la domanda è malposta o non va posta del tutto, anche questo non lo so ancora e non ci sono arrivato ancora a saperlo se sia corretto porla o meno. Tant'è che comuqnue al momento, ponendomela, non gli ho dato risposta.
KaaRa ha scritto: ↑25/08/2018, 14:47
Rimane così appunto solo l'osservazione pura, in realtà sempre presente. Il problema è che, anche se solo tale osservazione è veramente costante, questo non significa che il processo che "consuma" gli elementi relativi dovrà cessare: anzi, dovrà essere periodicamente riproposto, poco importa quanto il "gocciolio" degli elementi relativi (e dei suddetti rimedi per ridurlo) ci sia venuto a noia (per quanto ciò sia comprensibile in certe fasi della vita). Anche se comunque un giorno sarà talmente sottile (come in certe "realizzazioni superiori") da divenire praticamente automatico e quasi inavvertibile.
Io non credo che il "processo che "consuma" gli elementi relativi cessarà" altriementi verrebbe meno il motivo stesso di esistere ed essere qui. La vita stessa è di fatto "elementi relativi", l'abbiamo già detto siamo su questo piano relativo per sua stessa natura (duale) e quindi credo che una motivazione di tale piano e dualità e del nostro esserci quale individui relativi e duali sussista di per sè, per la nostra stessa presenza. Che poi sia tutta un'apparenza, un'immaginazione, una non del tutto realtà Reale, certo anche questo lo sappiamo, ma questo però non lo rende di fatto un'inesistente, come porta di esempio sankara, le corna di una lepre o il figlio di una donna sterile.
Questo piano è apparente, fenomenico, relativo, duale, in divemire, etc ? Sì, anche noi inquanti individui lo siamo, non per questo non ci siamo e non esistiamo, così come i soggetti e mondi di sogno; sono apparenti, fenomenici, al risveglio del mattino spariscono come nebbia al sole? sì tutto vero, ma per l'ambito in cui sussistono, noi ci siamo e pure il mondo di sogno, quindi è come di solito viene detto un'apparente realtà, una parziale realtà, un "certo gradio di realtà" ma non una irrealtà-le corna di una lepre.
Francamente non credo sia una questione di rallentare alcunchè, di fermare alcunchè, non c'è nulla da fermare, le apparenza si fermano e svaniscono da sole al risveglio (che sia realizzativo o meno); e così come ogni notte che andiamo a dormire probabilmente ri-sogneremo qualcosa, un nuovo mondo, un nuovo personaggio di sogno, nuove avventure, nuove tragedie, nuovi inseguimenti, nuovi amori, etc, e non per questo pur sapendo che sono sogni non li sogneremo (e non ci identificheremo nel personaggio di sogno) così credo avvenga della vita-veglia. È un "sogno", sui generis, ma pur sempre sogno, e per quanto tu nel sogno possa anche essere consapevole di stare sognando, così come nei sogni veri, non di meno il sogno prosegue e si esaurisce da solo in ultimo, fosse anche con la morte del soggetto in questione.
KaaRa, continua a sognare la veglia, qual'è il problema? o meglio non farne un problema, non cercare di rallentare alcunchè (anche perchè perfettamente inutile), l'unica cosa semmai se ti riesce prendine consapevolezza del tuo sognare la veglia e questo è quanto. Come prenderne consapevolezza? Con l'attenzione, la meditazione, la centratura....stacca, scolla l'identificazione nel soggetto e riportati all'osservatore, al testimone del tutto, non c'è altro che si possa fare. E non per questo non farai, anzi alle volte in quella condizione ci si ritrova a "fare" anche di più di quanto si facesse prima, o si credesse-immaginasse di fare prima. I sogni guidati sono i più belli, i più utili, i più soddisfacenti per il sogno stesso dico, non per il soggetto di sogno che ne è solo un personaggio dei tanti.
La vita-veglia è un sogno? Sì lo è, ma non il nostro, nostro di individui singoli e individuali, ma è il sogno di "Dio", di "Isvara", dell'"Uno" o altri nomi simili. Nel sogno-veglia non si compie la "nostra di volontà" ma quella di Dio (scusami se uso questo termine invece di altri ma è quello più famigliare a tutti). Più noi ci si uniforma e "sincronizza" alla volontà di Dio, più siamo nel sogno e partecipi veri e veritieri del sogno. Più invece noi adottiamo e applichiamo una nostra volontà, individuale e singola, più il sogno diventa un incubo, una sofferenza, questo proprio a motivo dell'alterità che immettimo nell'unità di sogno. Il sogno di Dio è perfetto, è il paradiso terrestre, siamo noi nella nostra individualità e volontà singola ad esserci scissi e caduti da quel sogno nel nostro facsimile del Suo, ma non il Suo. Siamo caduti dal Paradiso per questo, per non partecipare del sogno di Dio, per volontà di individualità e singolarità. Se riusciamo a ripercorrere quella luce, quel raggio che comunque noi nella nostra singolarità e individualità siamo e non abbiamo mai smesso di essere, sino alla fonte alla luce originaria, torniamo nel sogno del Padre, torniamo al Padre, come da insegnamenti di Gesù. È tutto un discorso che nelle sue varie diciture e formulazioni è sempre lo stesso, sia in occidente che oriente.
Abbiamo tutti, nessuno escluso, una via del ritorno; gli ebrei la chiamano Teshuvah, la via del ritorno appunto, ritorno al Padre, all'origine etc.
Abbiamo solo da percorrerla...