Rileggendolo oggi insieme a voi, trovo l'argomento "infatuazione" sempre interessante e ancora mi domando che cosa significhi "essere infatuati", di cosa o di chi lo siamo? E in che modo questa infatuazione che proviamo rappresenta un nemico interiore? Mi rispondo che occorre indagare sulla natura della mente ed usarla quando serve senza infatuarsi della sue potenzialità e del potere dell'immaginazione che porta altrove da ciò che siamo.
A seguire il dialogo (sfrondato) tra varie persone che vengono contrassegnate con lettere, e il corposo intervento di Premadharma (che cita Bodhananda e lo spiega) in quote.
Sai Baba:
L'uomo si è reso schiavo di sei nemici quali:
1. il desiderio,
2. l'ira,
3. la concupiscenza,
4. l'orgoglio,
5. l'invidia,
6. l'infatuazione.
Purtroppo, però, l'uomo approfitta delle proprie capacità mentali, della posizione sociale, degli avvenimenti e della ricchezza per svariati scopi, danneggiando se stesso e mettendo a repentaglio la sicurezza sociale.
Di questo stato di cose, l'unico ad essere responsabile è l'uomo, che ha lacerato l'unità frammentandola in diversità e facendo cattivo uso della propria mente.
"Mameti paraman dukham; na mameti paraman shukham"
Il senso del mio è causa di grande dolore; la mancanza di possessività è causa di suprema felicità.
Uno, due, tre...Rimangono fuori: desiderio/avidità che è un pozzo senza fondo, l'invidia che mi pare non mi appartenga, ma è meglio non dirlo troppo forte perchè la conosco, è un venticello e muove la manipolazione e la calunnia...ci sarebbe da approfondire, secondo me. Resta l'ultimo nemico: l'infatuazione. Di primo acchito mi son detta e che vuol dire? Forse servirebbe anche il testo inglese...mi è venuto subito l'abbinamento: infatuazione/illusione.
Innamorati di Maya, la bella dei mondi? Anche, il desiderio sostiene la volontà di vivere.
Ma nel più piccolo, nel limitato e meschinetto mondo umano che cosa vuol dire?
Così ora ho pensato a un po' di cose...
all'arroganza dei giovani, infatuati delle prime splendide, luccicanti credenze in cui sono incappati...
La voce delle sirene?
siddhi
creature dell'astrale
vite precedenti
alieni che comunicano telepaticamente e hanno corpi di luce
nutrirsi di luce...
congreghe e logge
sette e aśram.
Infatuazioni?
Anche i "maestri" (soprattutto quelli a pagamento) che parlano, parlano e ripetono sempre le stesse cose da anni...
siamo infatuati di insegnamenti? Insegnamenti sempre più "OK!" "Io sì che ho capito...il mio maestro è moltoooooo più bello e illuminato del tuo...."
Infatuati di credenze.
Infatuati di quello che crediamo di aver capito.
E i libri...quanti libri interessantissimi da leggere stravaccati sul divano o appollaiati nella yogica posizione del loto sugli scogli, a "meditare" sull'Essere.
Parole,
pensieri
Come sono affascinanti.
Infatuazione?
Cibo: sostanze liquide solide e gassose, musica, televisione, web.
L'infatuazione è un mondo tutto da scoprire.
Maya, la danzatrice dei mondi.
Peccato che danzi sopra un cadavere.
Qualcosa deve morire.
Narciso?
Mi sa che ha sette vite come i gatti, Narciso, bravo ragazzo, in fondo.
B. Ok.... buttiamoci in questo confronto di “pensieri, parole, opere, omissioni..”
parliamo dei sei veleni....
citi:
- ira
- orgoglio
- concupiscenza/lussuria
- desiderio/avidità
- invidia
- infatuazione
Frequentando un centro buddhista ho appreso che ci sono tre veleni. La scrittura originale è in sanscrito che non conosco.
Tradotti in italiano diventano, secondo il sentire del traduttore:
- desiderio, rabbia, illusione
- odio, attaccamento, ignoranza
- cupidigia, rabbia, stupidità
- avidità, malevolenza, illusione
- avidità, collera, ignoranza
- attaccamento, avversione, ignoranza
- brama (avidità o attaccamento), odio (ostilità o invidia), ignoranza (cecità o rimozione)
Sono sempre triadi... benché abbia scritto 7 gruppi di 3 parole.. 21 parole in tutto... 21 definizioni, 21 interpretazioni, 21 sentire... e se ne possono trovare tanti altri...
ognuno guarda in se stesso e, se si fa un esame di coscienza, prende quel “vestito” che gli sembra calzi meglio...
vestito... vestito nero... vestito bianco... male.. bene...
il mio vestito nero è: attaccamento, ignoranza, illusione, ostilità, indolenza...
quello bianco è: fiducia, responsabilità, costanza, compassione...... Amore...
Il nero è consunto... il bianco sembra non essere mai stato indossato... è più facile indossare quello nero... il bianco sembra sempre un po' stretto e lo lascio spesso in disparte...
L'infatuazione è più comoda...
L'infatuazione è l'innamoramento temporaneo per qualcosa/qualcuno, ma è diversa da Amore che è Tutto.
Infatuazione è "falso amore"... quell'"amore" che pretende, esige, ha aspettative, si illude, poi svanisce...
...come parole sulla sabbia in riva al mare.....
L'infatuazione da sola racchiude, per me, tutti i veleni...
Dall'innamoramento possono nascere attaccamento, invidia, gelosia, rabbia, ira, odio, cupidigia, lussuria, paura, ozio, ignoranza....
Per questo occorre disciplina, costanza e determinazione.. perdersi è facile fra sentimenti, emozioni, dolori fisici, impermanenza....
“Chi sono io?” suggerisce Ramana Maharśi...
e, con dire diverso, anche Sai Baba, il Buddhismo, il Cristianesimo...
Ed è nel “chi sono io?” che mi sto muovendo, con alti e bassi, in abissi oscuri e in cieli luminosi...
il piatto della bilancia prima o poi troverà una stabilità...
sorrido, fede speranza carità,
con gasshou
Premadharma:
Nell'ambito duale ogni aspetto può essere visto secondo la complementarità propria del duale. Ogni difetto o vizio, può essere visto come strumento non di dannazione, ma di liberazione, perché è attraverso la sua risoluzione/sacralizzazione che l'ente si solleva verso il Divino o Liberazione.Quando dalla circonferenza si va verso il centro, i raggi restringono il campo di visione.
Nel caso in cui dal centro si va verso la circonferenza, i raggi allargano il campo di visione.
Quando dalla circonferenza si va oltre il centro, non esistono più né raggi, né campo, né visione.
Quando da oltre il centro si guarda verso la circonferenza attraverso il centro, si vede ogni raggio, ogni campo, ogni visione.
Quando non c'è conoscenza dei raggi, allora è la credenza che conduce verso i raggi.
Bodhananda
La paura diviene un canale di autoconoscenza e l'ira, l'orgoglio, la concupiscenza/lussuria, il desiderio/avidità, l'invidia, l'infatuazione se volti al Divino divengono strumenti di ascesi.
La capacità di centrarsi, attraverso la meditazione, su ciascuno di questi aspetti, facendo sì che assorbano ogni altro elemento esterno ad essi e dirigendolo verso l'Altissimo, fa sì che ciascuno di questi vizi sia capitale, ossia sia, non solo in grado di generare tutti gli altri, ma anche eliminarli tutti attraverso l'assorbimento.
Questa via in passato intesa come della mano sinistra è andata man mano corrompendosi, apparendo talvolta come "fasi" all'interno di altri processi di ascesi, spesso confuse come "attacchi" o "contaminazioni" esterne. In realtà, i vizi capitali possono essere invertiti in virtù attraverso il processo di amore/anelito per il Divino (più rischioso usare un processo di gnosi).
- Ira, ogni rabbia è volta verso il Divino, quale fonte e motore del manifesto e quindi causa di ogni evento e quindi oggetto dell'ira (e conseguentemente scarica ogni altro elemento di tale ira).
- Orgoglio di essere una creatura del Signore, orgoglio della Sua Divinità, della Sua Grandezza (da cui la consapevolezza della propria piccolezza).
- Concupiscenza/lussuria verso il Divino, che man mano viene visto come figlio/a, padre/madre, amante, marito/moglie, centrando ogni aspetto nei suoi confronti, dalla più turpe alla più elevata.
- Desiderio/avidità del Bene Supremo.
- Invidia della Sua Bellezza.
- Infatuazione della Sua Forma.
Rimanendo centrati sempre e solo sul Divino ecco che si attua quell'inversione che viene auspicata in una vita equanime dedita ai purushartha (i quattro scopi della vita).
- Desiderio (Kama)
- Benessere (Artha)
- Equanimità (Dharma)
- Liberazione (Moksha)
Viene rettificata la posizione:
Desiderio per il benessere e liberazione dall'equanimità (doveri)
trasformandosi in
Benessere attraverso l'equanimità e desiderio per la liberazione.
[E ancora:]
Rimanendo entro l'infatuazione per il Divino, si arriva al folle di Dio, che ne diviene sì ebbro da non vedere e vivere altri che Lui. Figure storiche come Sri Ramakrishna, altre forse un po' romanzate come Sri Caitanya, Sri Ramana Maharshi - secondo le sue stesse parole - ci hanno mostrato come il Divino possa divenire una realtà quotidiana che riempie ogni spazio esteriore e momento interiore. Sri Ramakrishna ci narra i suoi incontri con la Madre Divina, incontri che poi divengono una presenza continua, al punto che giunge ad udirne finanche il tintinnare delle cavigliere, la notte, udendo il suoi passi fuori dalla sua stanza.
Sono tutti aspetti che la mente razionale non compendia e infatti fanno parte della mistica di quei devoti che entrano in tali reami, che di razionale e dimostrabile hanno ben poco; per questo è opportuno con considerarli come riferimento di sadhana, se non ne condividiamo la via.
D'altra parte esistono anche i millantatori, i predicatori di visioni e venditori di clamore e souvenir, pertanto è bene applicare il discernimento e verificare in primis la buona fede di costoro e poi verificare cui prodest, ossia se alle spalle di tutto ciò non si nasconda, o neppure si nasconda, un processo di mercificazione del sacro spesso anche ammantato di ideali salvifici e di benessere altruistico. Certe attività divengono vere e proprie professioni, se non delle strutture multilevel che necessitano sempre più accoliti per sostenerne la vetta.
Esistono poi in tale ambito quei devoti che in nome della propria visione del Divino, sono portati a calpestare le altre persone, giustificandosi con l'infatuazione, non vedendo altri che Lui calpestano tutto ciò che "decidono" non sia Lui. Una contraddizione in termini che mostra l'effettivo stato di questi pseudo-mistici. In realtà per il folle di Dio, non c'è cosa o persona che non sia Dio! Per questo occorre stare attenti con quei devoti - devoti ad un principio, ad una scuola, ad una via - che in nome di questa calpestano altri principi, altre scuole, altre vie. Occorre verificare se in realtà costoro non sia irrimediabilmente devoti di sé stessi.
C. Si parlava di Narciso, cito due brani di Raphael:
"Narciso, specchiandosi, s'innamora della sua effige (oggetto), crea l'"identificazione" con questa e si perde, dimenticando la sua origine. Nella vita non vi è altro scopo se non quello di "ritrovarsi", "completarsi", "riunirsi"; ogni azione, ogni movimento, ogni esteriorizzazione o oggettivazione, ogni appetizione rappresenta una semplice alienazione, evasione e allontanamento da ciò che realmente si è.
(tratto da "Opere minori Vol. II", Raphael, Ed. Asram Vidya, pag. 87)
"Ciò rappresenta il mito di Narciso che, specchiandosi, si identifica con la sua ombra, e col perdersi nell'ombra dimentica la fonte. La consapevolezza incarnata, mediante il veicolo mentale, appare altro da sé.
La mente funge da maya, da specchio, come l'acqua per Narciso rappresenta la sostanza tramite cui appare il suo riflesso; l'identificazione con questo riflesso determina la sua caduta. La sostanza mentale, quindi è il medium con cui appare il riflesso del Puruśa."
(tratto da "Oltre l'illusione dell'io", Raphael, Ed. Asram Vidya, pag 25)
C. Non è tanto la fragilità dello specchio in questione, quanto l'infatuazione con cui ci crediamo (credenza-identificazione) l'immagine riflessa. In fondo Narciso casca (caduta) nella sua stessa immagine, dimentico di ciò che è, l'originale, l'autentico.
E' il destino che viviamo tutti noi in fondo, infatuati dalla nostra immagine e dimentichi di ciò che siamo.
L'infatuazione in fondo cos'è se non l'identificazione nell'immagine riflessa di noi, che sovrapponiamo a noi stessi?
F. l'infatuazione di cui si parla è ciò che Mila il Leone [Milarepa] definisce Shamata; è lo stagno da cui deve sbocciare il loto di vipassana. Possibile far crescere il loto al di fuori dello stagno? Chissà.
Incarnazioni del Divino Amore, sono sempre di più oggi gli intellettuali che tendono a sostenere un mondo molteplice e differenziato, mentre in realtà tutto si riconduce all'unità. Tuttavia, è in graduale aumento anche il numero di quei fortunati che nella diversità intravedono l'unità, la dimostrano e dichiarano: "In un mondo saturo di afflizioni e difficoltà, l'unica cosa che può portare pace è un contatto con gli altri in clima di unità pur nella diversità". Nel mondo odierno, gente che abbia un cuore così puro è indispensabile.
L'esperienza immediata dell'unità nella diversità è possibile quando ci si accosta agli altri con cuore puro e disinteressato. Da un punto di vista scientifico e razionale, gli elementi naturali che servono alla crescita di ogni essere sono il cibo e l'acqua. La fame è una sensazione identica e comune a tutti. Chi è ricco si sazia di alimenti buoni e nutrienti, chi è povero dovrà sfamarsi con quanto riesce a rimediare elemosinando. Ma, sia per un miliardario sia per un mendicante, la fame è un'esperienza comune e identica.
Ciò vale anche per il sonno e per la paura. Un ricco dormirà in un lussuosissimo letto, mentre un povero dovrà accontentarsi della nuda terra. Cambia solo il posto dove si coricano, ma il sonno in se è per entrambi uguale.
I princìpi fondamentali da comprendere sono la nascita e la morte, due fattori imprescindibili che accomunano tutti gli esseri umani. Non è che il miliardario cada giù dal cielo e il misero nasca dalla terra, ma entrambi nascono dal seno di una madre. Lo stesso vale per la morte: che ti trovi in un foresta, in cima ad una collina o nel cuore di un villaggio o di una città, dovunque tu sia, la morte ti può sempre cogliere. Perciò, sia la nascita sia la morte sono una dichiarazione ed una dimostrazione di unità nella diversità.
Anche nella Kathopanishad è stato dimostrato il principio dell'unità nella diversità. In questa Scrittura, l'uomo viene descritto come un essere dotato di un cocchio, il corpo, guidato da un auriga, lo Spirito (Atma), il quale dirige il carro nell'azione. Ed è proprio in quest'Upanishad che il cocchio del corpo e l'Auriga dello Spirito vengono visti associati nel compimento dell'attività. (...)