latriplice ha scritto: ↑17/02/2017, 23:49
scriba ha scritto: ↑17/02/2017, 22:06
Sono riflessioni tue, Latriplice?
Shankara non presenta il Sé come il culmine di una esperienza estatica e resa permanente attraverso la pratica, anche perché tutte le esperienze indistintamente sono transitorie.
Certo che no.
Non c'è alcuno che sperimenti il Sè.
Si tratta di conoscenza per identità e non rimane più nessuno per fare 'esperienze'.
Ti immagini una mente perennemente vuota? Anche Ramana andava a comprarsi il giornale dall'edicolante e si teneva occupato nella lettura.
Dicendo questo sembra che tu conosca per identità la mente di Ramana. E' così?
Sono queste castronerie da mente vuota che impedisce l'apprezzamento del proprio Sé riflessa e resa palese in una mente pacificata dalla meditazione. Solo la pura conoscenza, data dalla riscoperta di Sé, è permanente, perché non c'è mai stato un momento che io non sia questo Sé. Pertanto le riflessioni di Shankara le ho condivise e le ho fatte mie.
Quali riflessioni di Shankara? Ti riferisci al passo tratto dall'Atmabodha che hai citato? In tal caso è consigliabile leggere e riflettere -
prima di andare avanti nel testo - sul primo sutra dell'opera di Shankara.
Chissà perchè pochissimi si soffermano sull'aspetto delle qualificazioni, senza le quali è del tutto inutile - se non propriamente dannoso - suggerire pratiche o riflessioni shankariane.
1. Questo Atmabodha (conoscenza-realizzazione del Sè) è stato composto per il beneficio di coloro che, aspirando alla liberazione, si sono totalmente purificati dall'errore attraverso le costanti austerità sono mentalmente pacificati e liberi dal desiderio.
Samkara mette in risalto, sin dal primo sutra, che è sua intenzione scrivere per coloro che sono qualificati. D'altra parte, l'Atmabodha, essendo la quintessenza del Vedanta Advaita, richiede precise predisposizioni psichiche e coscienziali da parte del neofita.
Lungo la sadhana possono verificarsi molti insuccessi, perché non ci sono quelle fondamenta o cause predisponenti indispensabili per determinare specifici effetti realizzativi.
Non basta essere, in senso sentimentale, buoni; non basta avere uno slancio emotivo di trascendenza; non basta avere una mente acuta e penetrante; occorre la maturità coscienziale quale effetto del profondo sentire la via del Ritorno.
Così Samkara si rivolge a coloro che hanno:
- aspirazione alla Liberazione (mumuksutva), che è frutto di maturità e non di fughe o altro;
- purificato, mediante l'ascesi o tapas, il proprio cuore da pensieri e azioni non conformi al dharma universale;
- raggiunto la calma mentale (santanam) perché è stata dominata l'attrazione repulsione caratteristica del sentire egoico;
- dominato il desiderio passione (vitaraginam) verso gli oggetti esterni e interni, materiali e ideali, sì da trovarsi in uno stato di spassionatezza.
Come si può notare, per realizzare il primo sutra occorre un'intera esistenza, ma bisogna pur cominciare, e chi è pronto malgrado tutte le circostanze, anche difficili, della vita non può non mettersi all'opera.
da Sri Samkaracharya. Opere minori, vol II
commento a cura del gruppo Kevala
edizioni Asram Vidya (ora Parmenides)
Ritieni di essere così qualificato, nel senso indicato da Shankara? E ritieni che mauro lo sia, per suggerire a lui tecniche, assumendoti così una responsabilità nei suoi confronti e nei confronti di coloro che leggeranno?
Non si sta mirando al silenzio relativo, l'assenza di suono, meta del nivirkalpa samadhi, anche perché terminata l'esperienza si torna giusto ignoranti come prima.
Stai parlando di manolaya, che è il temporaneo silenzio della mente.
Nulla a che vedere con il nirvikalpa samadhi.
Sono invece un convinto assertore del savikalpa samadhi in cui, tramite l'ausilio dell'intelletto, è possibile condurre l'auto-indagine e discernere tra uno stato mentale ricondotto al silenzio relativo (nei confronti dei suoni) e la presenza del Silenzio Assoluto testimone di quel silenzio relativo (e dei suoni) e possibilmente riconosciuto per auto-immedesimazione o conoscenza per identità. Tecnicamente questo si definisce illuminazione.
Da dove trai questa definizione 'tecnica'?
Quale testo? Quale riferimento?
Passiamo ora ad esaminare la tecnica da te suggerita.
Si tratta di un fritto misto di strumenti per concentrare la mente su un seme, ekagrata, via propedeutica alla contemplazione, o meditazione senza seme. Nulla di nuovo.
Però ci sono alcuni dettagli da non trascurare.
Per esempio, questo:
L’idea che è alla base di questo scansionamento e rilassamento è quello di preparare la tua uscita dal corpo. Pensare al corpo come se fosse un’automobile e tu come conducente può essere utile. Sei tornato alla sera da una lunga giornata sulla strada e stai per parcheggiare l’auto in garage e recarti nella tua calda ed accogliente dimora. Assicurati che sia tutto a posto e ora dirigi l’attenzione al respiro.
Si parla di uscire da corpo, bello.
Però poi non viene indicato in alcun modo come rientrare nel corpo, non tanto bello.
Se, dopo aver parcheggiato l'auto in garage, non ritrovo più la strada per riprenderla, che faccio? Me ne resto nella mia calda e accogliente dimora?
Che dici, latriplice?
Tu sai come si ritorna?
Se non lo sai, che razza di responsabilità ti stai assumendo nei confronti dell'ignaro lettore?