latriplice ha scritto: ↑27/10/2018, 22:30
cielo ha scritto: ↑27/10/2018, 10:25
Quando mi sveglio al mattino e so di aver sognato o di non aver sognato
suppongo quindi di essere "Colui", la presenza cosciente e testimoniante, o c'è qualcosa che mi sfugge?
Forse il supporre, pertanto dovrei esserne certo (di essere Colui) e solo allora quindi potrei affermare di aver sognato o di non aver sognato?
Il problema è che anche se non ritengo di essere il Brahman, comunque sono in grado di poter fare delle affermazioni precise dopo ovviamente averle pensate e tradotte in parole.
L'unica differenza forse che io penso ed il Brahman no?
Che la sua affermazione è scaturita dalla certezza dell'evento, mentre la mia è una congettura?
Il Brahman non è un soggetto, non agisce e non afferma, E', quell'Unico in cui confluiscono (simbolicamente parlando) i multiplici riflessi che illuminano traiettorie di vita nel mondo formale. Ognuno la sua, e il Brahman le impulsa tutte, in Pura coscienza: Sono (non io sono)
Ho separato me stesso per potermi amare nell'altro, dice il Rig veda.
Riconoscersi Uno è bypassare completamente il duale intrinseco nell'incarnazione.
Il goal
latriplice ha scritto: ↑27/10/2018, 22:30
Stando però all'argomentazione del Gruppo Kevala, "
Colui che afferma "questo è" oppure"questo non è" costui è il solo reale, e questo reale rappresenta la pura coscienza-Sé la quale esiste prima, durante e dopo ogni affermazione o negazione di qualsivoglia natura", sembra contraddire quello che vai affermando, cioè che il Brahman non afferma, a meno che la tua affermazione sia sostenuta dalla cognizione di causa, cioè privilegiata dalla prospettiva del Brahman stesso.
Da quello che ho inteso, lo stato di ignoranza che ci fa identificare con l'io (
ahamkara o senso dell'individualità) e quindi con il corpo-mente durante la veglia, viene sostituita dal sogno in cui rimane soltanto una parvenza di questa individualità, che spesso si frantuma in vari personaggi, e non c'è la consapevolezza del corpo. Nel sonno profondo invece, tutto ciò scompare e non siamo consapevoli neppure della nostra presunta individualità. Al risveglio però, diciamo "ho dormito bene" o "ho dormito male". Ora che siamo giunti al punto focale, mi chiedo chi lo dice, dal momento che quella individualità era assente a quella esperienza di sonno senza sogni?
Forse Colui che è consapevole, il substrato delle tre condizioni esistenziali (veglia, sogno e sonno) che chiamiamo il Sé?
Fatte queste considerazioni, quando mi sveglio al mattino e affermo con la certezza indubitabile dell'evento a cui ho assistito, e dico "ho dormito profondamente", sono il Sé che lo afferma?
Ciò che il Vedanta indica come Brahman?
Quadra tutto il tuo ragionamento ma:
potresti considerare i limiti del linguaggio, costruendo frasi in italiano è sempre necessario un soggetto, per quanto "non identificato" e reso il più possibile impersonale.
Come trasmettere certe "verità" attestate nella sruti e testimoniate dai Conoscitori se non usando il linguaggio e assumento i suoi limiti? Il gruppo Kevala ha espresso al meglio l'essenza del concetto che intendeva veicolare (secondo me). Lo stesso provo a fare io, dialogando con te, dalla mia prospettiva di visione limitata e parziale, non certo da quella di Colui che ha realizzato il brahman. Qui ci sono limiti, non certezze, una visione personale, non Verità.
Sul sonno profondo affermi che era "assente l'individualità", da un lato, e dall'altro dici che "Colui che è consapevole, il substrato delle tre condizioni esistenziali (veglia, sogno e sonno) che chiamiamo il sé". Perfetto, siamo su un putno focale, concordo, quindi se manipoliamo un po' le parole per tentare di raffinare ancora il linguaggio, potremmo dire che:
Nel sonno profondo scompare la percezione connessa al corpo-mente (veglia) e mente (sogno) e non siamo
coscienti di essere un'individualità separata con nome e forma ( "io sono questo e quello"), ma resta la consapevolezza del substrato delle tre condizioni esistenziali (veglia, sogno e sonno) che chiamiamo il Sé.
La coscienza, ossia la capacità di percepire altro da sé, può essere intesa quale un riflesso della consapevolezza in sé
(fonte: tratto da nota di Bodhananda in opera in preparazione).
Nel sonno profondo possiamo avere l'esperienza di quella consapevolezza in sè, ma soltanto come un profumo che aleggia all'intorno, e di cui conserviamo un ricordo ritornando all'attenzione dello stato di veglia.
Così, osservando l’esperienza dei tre stati, anche se crediamo erroneamente di essere il corpo limitato dallo spazio-tempo, possiamo capire di essere la consapevolezza sempre presente che sottende i tre stati, dei quali due soltanto sono basati sulla percezione di un corpo (fisico o sottile).
La comprensione teorica di questa verità "noi siamo pura Consapevolezza", è irrilevante se non la mettiamo in pratica realizzandola attraverso una effettiva conoscenza empirica che sciolga l'identificazione con il corpo, pura avidya, radice di ogni sofferenza.
La comprensione teorica è solo della mente o intelletto, e non è sufficiente se non è sciolta l’identificazione con il corpo, perché la mente stessa è una conoscenza confusa, basata sull’ignoranza di chi o cosa siamo veramente, ecco perché la comprensione intellettuale non può da sola donare la vera conoscenza del Sé.
La conoscenza di sé può essere conquistata solo attraverso l’esperienza diretta della pura e illimitata consapevolezza, il nostro vero sé. Solo una tale esperienza sradica l’ignoranza di essere diversi, di essere ‘altro’ da questa Consapevolezza. Quindi una comprensione solo teorica può essere di reale beneficio, solo se ci spinge a indagare ulteriormente il sé che ‘Sono’ e quindi raggiungere con l’esperienza diretta di realizzare il ‘ciò che sono’ oltre l’apparenza della nostra natura individuata.
Solo realizzando che la consapevolezza è il vero ‘Io’ o Sé, possiamo distruggere l’ignoranza primordiale, la confusa ed erronea inferenza che siamo la mente, la forma limitata di coscienza che si identifica nel corpo come ‘io’.
Se capiamo veramente che non siamo il corpo, né la mente che immagina di essere il corpo, e che ogni forma di infelicità è causata solo da una errata identificazione con altro da ciò che siamo, potremo cercare di distruggere questa falsa identificazione intraprendendo la ricerca pratica di scoprire chi o cosa siamo veramente.
Per conoscere questo essente che siamo, dobbiamo cessare di attenzionare tutte le altre cose, e concentrarci invece su ciò che siamo: è la consapevolezza di essere che permette la conoscenza di ogni cosa ‘altra’ da noi.
(fonte: tratto da introduzione di Bodhananda ad opera in preparazione).