E' solo un'occhiata
Inviato: 04/01/2017, 23:09
Questo è un post enorme, soprattutto per essere un primo post, ma è sorto grazie ad una recente piccola rivelazione interiore che per me è stata molto importante; e purtroppo temo che più una rivelazione è completa e perfetta, più ci vogliano molte parole per spiegarla, nonostante esse siano inadeguate a far comprendere. Ma, nel caso qualcuno abbia avuto le mie stesse difficoltà, o che sia “pronto” a valutarle, le espongo per quel che posso, potrebbero essere di aiuto (e cosa, in fondo, non lo è?).
Un tempo mi stupivo, fin quasi all’ira, per il fatto che NESSUNO, né i più potenti avataara né i più semplicistici ricercatori, sembra aver mai voluto rispondere approfonditamente alla domanda: PERCHE’?
Perché questo mondo e non un altro? Un altro migliore, per la precisione? Non semplicemente un’era, un pianeta, o un piano di esistenza migliori, ma migliore in generale.
Di solito, si sentono alcune risposte, per me insoddisfacenti:
1) Alcune domande non hanno risposta.
2) Alcune domande è prematuro porsele.
3) La domanda è inutile perché, se il mondo fosse migliore, potrebbe essere ulteriormente migliorabile (non potremmo mai avere un mondo perfettamente bello, perché il concetto di bene assoluto, come quello di male assoluto, è solo una tendenza mentale che non può mai essere soddisfatta in un mondo relativo), quindi in ogni mondo ci porremmo la stessa domanda.
4) Il mondo non è migliore perché la Sorgente che lo manifesta sta imparando pian piano da ciò che sta “creando”.
5) La Realtà genera, per quanto apparentemente, tutto, quindi prima o poi non poteva che generare anche questo mondo.
6) Il mondo è già perfetto, sei tu che lo vedi parzialmente, quindi (anche) negativamente.
7) Il mondo è come è in vista di un miglioramento/ricompensa che ne giustificherà la sua “bruttezza”.
Diciamocelo apertamente, senza fare troppo gli intellettuali disillusi, gli asceti distaccati, o gli uomini di mondo smaliziati saturi di esperienza: il mondo potrebbe essere migliore. Se riesco ad immaginarlo meglio con la mente individuale, vuol dire che la mente universale può farlo meglio, e anche di molto.
Chiariamo che con “mondo” non intendo semplicemente il risultato delle nostre azioni: infatti, anche se (come dicono i Veda) “tutti i mondi sono solo karma (quindi azioni) accumulato”, è anche vero che non sono le volontà individuali a volere che le azioni siano come sono: le volontà individuali sono apparenze che nascono dal karma, e non viceversa. L’unica vera volontà è quella divina, nonostante essa non faccia capo a nessuna reale individualità, neanche, appunto, ad una “individualità divina”.
Né voglio negare che ogni mondo debba basarsi sulla dicotomia duale Principiale. Infatti, per immaginare un mondo, ho bisogno di una dualità di base, e in più se, in esso, faccio brutte azioni che portano a brutte conseguenze, avrò ovviamente un mondo spiacevole. Ma perché mai, dall’Onnipotenza Causale, c’è stato bisogno di manifestare per forza un mondo dove la componente negativa sia così evidente? Cioè dove di sicuro gli enti individuali compiranno azioni altamente stupide-ignoranti-malvage?
Perché un universo come il nostro? Un luogo in cui, se anche avesse luoghi idilliaci in altri pianeti e/o in altri piani di esistenza, o in altre Ere-Yuga, poi inevitabilmente ci fa vivere vite come le nostre, su di un pianeta e in un Era come la nostra, in un piano di esistenza come il nostro? (E, personalmente, non ho neanche da lamentarmi troppo; qui parlo in generale.)
Come già detto, persino noi, con la nostra immaginazione limitata, possiamo sicuramente immaginare mondi migliori (lo facciamo continuamente), nonostante anche questi nostri mondi immaginari partano da una base duale (dove quindi un po’ di negatività di base deve esserci, anche solo per poter aver presente il concetto di positività).
Tra l’altro, non importerebbe neanche che il mondo sia migliore: basterebbe che l’Ignoranza metafisica Principiale non fosse stata così radicale, così “addormentante”: non è infatti bello comunque sperimentare un mondo orribile, quando si sa che è finto? Non è ciò che facciamo nei nostri giochi, nei film, nei romanzi?
Di solito, ci facciamo bastare la spiegazione più logica ma anche più superficiale: le ere negative fanno parte di equilibri universali… il piano materiale è la conseguenza naturale, cioè il “precipitato finale” dell’architettura di tutti i piani d’esistenza sottili… il pianeta Terra, in quanto luogo di “uscita dal samsara”, è per forza di cose un luogo non ideale, proprio per spingere ad uscire dal samsara… ecc.
Ma ciò non toglie che poi, vivendo quasi totalmente identificati ad una individualità, tutto questo lo subiamo negativamente: era davvero necessario tale assopimento totale con relativo attaccamento al samsara e alle individualità che di volta in volta né emergono? Era inevitabile questo teatrino, o, per lo meno, era inevitabile che lo vivessimo credendolo totalmente reale? PERCHE’? Nessuno, a quanto mi risulta, risponde veramente.
Personalmente, questa domanda mi ha “ossessionato” per anni. Quando la ponevo nel centro “iniziatico” che frequentavo, dove eravamo ben abituati a porci domande e risposte ardite, questa lasciava tutti silenziosi, praticamente imbarazzati. Con tale domanda ero quasi sicuro di essere diventato, agli occhi degli altri, abbastanza destabilizzante per il proseguimento del nostro lavoro spirituale: anche perché, a tale domanda, seguiva una domanda ancora più scomoda: se l’Essere genera (per quanto apparentemente) questo mondo, dove nel “mondo” dobbiamo includere la nostra condizione (che non è consapevole della natura apparente e quindi innocua di tale generazione), prima o poi l’Essere potrà o dovrà generare di nuovo qualcosa di simile, anche dopo che sarà stato risolto questo samsara: in fondo, se lo ha fatto una volta, cosa gli impedirà di farlo di nuovo? Estinto il fuoco della Conoscenza dopo che il combustibile dell’Ignoranza è stato tutto consumato (per usare un’immagine Vedantica), cosa impedirà il sorgere, di nuovo, dell’Ignoranza dal puro Essere? In fondo, ciò è successo almeno una volta, ovvero all’inizio di questo samsara (per quanto tale inizio non sia rintracciabile, nel samsara stesso).
Per capire la gravità di ciò, dobbiamo partire dal punto di vista più Reale nei riguardi di ciò che siamo: noi siamo Quello, l’Assoluto, addormentato nella sua possibilità di Ignoranza Principiale, attraverso la quale stiamo sognando un Universo, nel quale ci si è identificati in un particolare stato di cose, vissute come se fossero un evento individuale, evento reiterato lungo percorsi basati sul ciclo di causa-effetto.
Noi possiamo risolvere questa condizione ciclica fin nelle fondamenta Principiali, come suggeriscono tutte le tradizioni metafisiche più profonde. Lasciando così che rimanga “solo” l’Assoluto. La questione è che, a quel punto, niente, NIENTE impedirà che un nuovo samsara si ripeta in qualche forma, magari peggiore. Così come niente ha impedito che questo samsara sia avvenuto.
Non so se l’argomento interessa, ma secondo me è il più essenziale, nonostante sembri negare la radicalità del percorso spirituale e della realizzazione. Ma, se non mettiamo in dubbio tali concetti, rischiamo di prendere la Tradizione metafisica come una ulteriore religione, da vivere magari integralmente ma troppo pedissequamente.
Dico tutto questo sperando di parlare a persone che non dimenticano la sofferenza nei momenti migliori della loro vita, ma che, anzi, abbiano un minimo riflettuto profondamente sulle implicazioni del dolore dell’esistenza (e lo dico senza essere un pessimista, né uno che ha sofferto troppo, né un amante del dolore), e che quindi non si accontentino solo di cercare di uscire il più presto possibile dal dolore, senza riflettere almeno un minimo. Mi viene a mente il discorso della freccia del Buddha: è vero che non ci è utile sapere da dove è venuta la freccia, chi ce l’ha tirata e perché, ecc., per potercela togliere. Ma è anche vero che se, una volta tolta, ci poniamo nelle condizioni di farcela tirare di nuovo, forse è meglio spendere un attimo a riflettere su ciò.
Recentemente, ebbi una sorta di comprensione spontanea che mi risolse i dubbi e i problemi su questi argomenti. Fu talmente personale ed esplosiva, che riportarla per scritto non può che limitarla, senza contare che, come ogni altra esperienza e comprensione, è limitata e relativa comunque, ma ciò non significa che non possa essere utile, per chi vuole.
Avendo in mente tale personale “rivelazione”, provo a criticare le risposte sopra riportate, quelle che, come dicevo, di solito vedo dare da Maestri e Aspiranti.
1. Alcune domande non hanno risposta, dicono. Strano: si parla di tutto, di ogni argomento, si espongono le filosofie più ardite, e si insegnano, ormai pubblicamente sugli scaffali di enti commerciali o su pubbliche reti informatiche, i più ardui sentieri spirituali; ed in tutto ciò, tutto ha una risposta, per quanto relativa; tutto ha il suo giusto posto, anche se dipende dai particolari punti di vista da cui si guarda. Però, a non avere possibilità di risposta, sarebbe SOLO questa domanda: il “semplice” PERCHE’ dello stato di cose che viviamo: il mondo poteva benissimo essere relativo e temporaneo, come lo è ogni sogno o immaginazione, senza per questo essere vissuto, a volte, nel dolore più nero, nell’identificazione più esasperata. Lo trovo sospetto, stranamente superficiale, questa mancanza di risposte su questo argomento. Ritengo che ciò sia dovuto al fatto che la risposta è talmente radicale, da essere più destabilizzante di quanto non lo sia il fatto stesso (tranquillamente dichiarato dai Maestri più elevati) che persino la Tradizione unica Universale sia per forza di cose relativa ed inutile una volta che ha adempiuto al suo scopo.
2. Alcune domande è prematuro porsele, dicono. Sicuramente, ma spero non si sottintenda che certe domande sia lecito proporle solo dopo la realizzazione: tutte le domande è possibile porle solo in un contesto relativo, mai in uno assoluto. Quindi, prima o poi, tale domanda sul PERCHE’ andrà posta, durante la propria sadhana o percorso spirituale.
3. La domanda è inutile perché, se il mondo fosse migliore, potrebbe essere ulteriormente migliorabile, quindi in ogni mondo ci porremmo comunque la stessa domanda, dicono. Vero, ma è anche vero che certe condizioni (ovvero questo attuale mondo) sono molto più adatte di altre, per porre certe domande: approfittiamone per vedere se può venirne fuori qualche risposta utile.
4. Il mondo non è migliore perché la Sorgente che lo manifesta sta imparando da ciò che sta “creando”, dicono. Questo è per lo più una assurdità (e infatti i “veri Maestri” di solito non lo dicono, a meno che non si stiano rivolgendo ad un contesto religioso). La vera sorgente, l’Assoluto, non ha niente da imparare, niente da migliorare, niente da modificare. Però mi sono chiesto (come emerge da alcune considerazioni esposte in precedenza): ha senso parlare di una vera totale risoluzione del relativo? Se nel relativo niente è assoluto, anche la fine del samsara non può essere assoluta. Risolta una relatività ciclica individuale ed universale, risolti totalmente i semi causali manifestati in un contesto, ci saranno sempre (il Causale è senza tempo) potenzialità per “nuovi” contesti universali ed individuali, o per chissà cos’altro.
Ovvero: se mi sveglio da una serie di sogni, totalmente, a quel punto niente, NIENTE mi impedirà di addormentarmi e sognare di nuovo, visto che in tale risveglio (quello “nell’assoluto”), non ci sono cose-eventi-enti esterni o interni ad impedire o favorire qualche condizione particolare (quindi non ci sarà niente che “mi” dirà: “non sognare più, o almeno cerca di sognare un po’ più lucidamente, perché è stato così brutto la volta scorsa, in cui ti eri addormentato del tutto…”).
Questo potrebbe voler dire, anche se non lo troveremo tanto facilmente scritto su di un testo spirituale (mi viene a mente che forse è vagamente suggerito nelle note di Raphael alla Mandukya, e forse in qualche allusione di Shankara), che, anche se non è la “Sorgente” a dover imparare, i jiva forse qualcosa dovrebbero imparare a ricordare per indirizzare bene la propria sadhana: risolvere tutto, ma proprio tutto… OPPURE trovare un compromesso nella maayaa?
5. La Realtà genera, per quanto apparentemente, tutto, quindi prima o poi non poteva che generare anche questo mondo, dicono. Vero… e falso. L’Essere assoluto “genera” tutto, potenzialmente. Ma, effettivamente, proprio perché le possibilità sono numericamente indefinite, non ha senso dire che genera tutto. Genera ciò che genera, niente di più: l’indefinito non potrà mai esaurirsi, non potrà mai generare davvero “tutto”. Quindi niente toglie che possa essere un bene (per quanto ovviamente relativo) che si impedisca consapevolmente che qualcosa si generi in un modo particolare, e non in un altro, a certi livelli di realizzazione.
6. Il mondo è già perfetto, sei tu che lo vedi parzialmente, e quindi (anche) negativamente, dicono. Vero. Peccato però che il nostro punto di vista apparentemente relativo, che ci fa vedere le cose parzialmente-negativamente, non sia stato scelto da noi (da noi in quanto enti relativi): è sorto spontaneamente dal nostro Essere assoluto, che non ha parametri con cui fare scelte. Questa, per “Lui” (cioè per noi in quanto assoluto), E’ SOLO UN’OCCHIATA (è questa la “rivelazione” che ebbi poco tempo fa, inesprimibile a parole in tutta la sua chiarezza), un’occhiata sorta spontaneamente (e apparentemente) in Sé stesso: non c’erano parametri che potevano impedire o favorire una particolare serie di manifestazioni universali e individuali. All’interno di questa serie di manifestazioni, cioè ora, potrebbe essere consigliabile decidere sul da farsi (per lo meno adesso che siamo umani, quindi alle “soglie dell’uscita”): una sadhana che ci porti alla totale chiusura di questa “occhiata”, con il rischio che poi essa avvenga nuovamente (non c’è NIENTE, nell’assoluto, che impedisca alla Causa prima di “passare dalla potenza all’atto con una forza straordinaria”, per usare le parole di Raphael dell’Asram Vidya), e magari con modalità peggiori? Oppure c’è un qualche compromesso che possiamo fare con la maayaa?
7. Il mondo è come è in vista di un miglioramento/ricompensa che ne giustificherà la sua “bruttezza”, dicono. Questo è apparentemente una ingenuità religiosa, e di solito lo è davvero. Non è vera da un punto di vista “Naturale” (nel senso più pieno del termine), nel senso che la maayaa non tende a nessuno scopo, né è vera da un punto di vista metafisico, perché l’Assoluto non fa apparire niente che gli sia di vantaggio. Ma possiamo comunque prenderla in considerazione, tenendo presente quanto detto sin’ora: possiamo valutare che, essendo l’Assoluto il nostro vero essere, niente ci è di preferenza, ma che ciò comporta una cosa: prima o poi “qui”, in questa condizione universale-individuale, per quanto fondamentalmente apparente, ci siamo finiti, e non ci è piaciuto per niente. Se risolviamo TUTTO di questa condizione, NIENTE ci impedirà di finirci di nuovo in qualche forma, per quanto non legata caUSalmente all’attuale samsara.
In definitiva: noi possiamo scegliere ora quale sia la direzione e la profondità a cui la nostra sadhana ci debba portare. Se diamo troppa attenzione alla maayaa (ad un qualunque suo “livello”: beatifico-potenziale, intellettivo-universale, sensoriale-individuale), rimarremo come siamo, per quante condizioni divine si possano vivere alle volte in certi luoghi, ere o stati di coscienza. Se invece diamo troppa poca attenzione alla maayaa, rischieremo di avere una Realizzazione perfetta, che non servirà, letteralmente (o meglio, metafisicamente), a nessuno (perché l’assoluto non è nessuno, non ha un senso del “me”, non è un io), e sarà giusto così, sarà perfetto… ma è esattamente la “condizione” che ci ha “portato qui”.
La maayaa è solo un’occhiata. Per quanto si possa guardare indietro individualmente e/o universalmente attraverso innumerevoli vite e/o manifestazioni cosmiche, non troveremo mai un inizio; possiamo solo trovare una Causa totale solo se guardiamo fuori del tempo, perché essa è senza tempo. Né troveremo mai un inizio, neanche cAUsale, nel nostro Essere vero, assoluto, perché, per quanto esso non sia staticità (è la fonte stessa del tempo-spazio, e anche della causalità), non è caratterizzato dal tempo (e dallo spazio), né da una causa. Questa che stiamo vivendo è solo un’occhiata, non importa quanto lunga (e ciclica, e vasta) ci appaia ora. Se chiudiamo tale occhiata del tutto, potremmo paradossalmente ritrovarci a guardarla di nuovo. Ora che sappiamo ciò, potremo cercare un compromesso: svegliarci abbastanza da sapere di sognare, ma non abbastanza da dissolvere il sogno con il rischio poi di addormentarci di nuovo. Apparirà meno dignitoso alla morale umana, soprattutto a quella codificata nella Tradizione (però, in fondo, è proprio nelle raffigurazioni tradizionali che ad esempio il Buddha non ha né gli occhi totalmente aperti, né totalmente chiusi). Ma, visto che qui si tratta di qualcosa che coinvolge la radice stessa del nostro essere, se facessimo un compromesso del genere, a CHI appariremo non dignitosi, visto che, in quanto assoluto, non c’è nessuno che ci giudica, neanche un “noi stessi”?
Un tempo mi stupivo, fin quasi all’ira, per il fatto che NESSUNO, né i più potenti avataara né i più semplicistici ricercatori, sembra aver mai voluto rispondere approfonditamente alla domanda: PERCHE’?
Perché questo mondo e non un altro? Un altro migliore, per la precisione? Non semplicemente un’era, un pianeta, o un piano di esistenza migliori, ma migliore in generale.
Di solito, si sentono alcune risposte, per me insoddisfacenti:
1) Alcune domande non hanno risposta.
2) Alcune domande è prematuro porsele.
3) La domanda è inutile perché, se il mondo fosse migliore, potrebbe essere ulteriormente migliorabile (non potremmo mai avere un mondo perfettamente bello, perché il concetto di bene assoluto, come quello di male assoluto, è solo una tendenza mentale che non può mai essere soddisfatta in un mondo relativo), quindi in ogni mondo ci porremmo la stessa domanda.
4) Il mondo non è migliore perché la Sorgente che lo manifesta sta imparando pian piano da ciò che sta “creando”.
5) La Realtà genera, per quanto apparentemente, tutto, quindi prima o poi non poteva che generare anche questo mondo.
6) Il mondo è già perfetto, sei tu che lo vedi parzialmente, quindi (anche) negativamente.
7) Il mondo è come è in vista di un miglioramento/ricompensa che ne giustificherà la sua “bruttezza”.
Diciamocelo apertamente, senza fare troppo gli intellettuali disillusi, gli asceti distaccati, o gli uomini di mondo smaliziati saturi di esperienza: il mondo potrebbe essere migliore. Se riesco ad immaginarlo meglio con la mente individuale, vuol dire che la mente universale può farlo meglio, e anche di molto.
Chiariamo che con “mondo” non intendo semplicemente il risultato delle nostre azioni: infatti, anche se (come dicono i Veda) “tutti i mondi sono solo karma (quindi azioni) accumulato”, è anche vero che non sono le volontà individuali a volere che le azioni siano come sono: le volontà individuali sono apparenze che nascono dal karma, e non viceversa. L’unica vera volontà è quella divina, nonostante essa non faccia capo a nessuna reale individualità, neanche, appunto, ad una “individualità divina”.
Né voglio negare che ogni mondo debba basarsi sulla dicotomia duale Principiale. Infatti, per immaginare un mondo, ho bisogno di una dualità di base, e in più se, in esso, faccio brutte azioni che portano a brutte conseguenze, avrò ovviamente un mondo spiacevole. Ma perché mai, dall’Onnipotenza Causale, c’è stato bisogno di manifestare per forza un mondo dove la componente negativa sia così evidente? Cioè dove di sicuro gli enti individuali compiranno azioni altamente stupide-ignoranti-malvage?
Perché un universo come il nostro? Un luogo in cui, se anche avesse luoghi idilliaci in altri pianeti e/o in altri piani di esistenza, o in altre Ere-Yuga, poi inevitabilmente ci fa vivere vite come le nostre, su di un pianeta e in un Era come la nostra, in un piano di esistenza come il nostro? (E, personalmente, non ho neanche da lamentarmi troppo; qui parlo in generale.)
Come già detto, persino noi, con la nostra immaginazione limitata, possiamo sicuramente immaginare mondi migliori (lo facciamo continuamente), nonostante anche questi nostri mondi immaginari partano da una base duale (dove quindi un po’ di negatività di base deve esserci, anche solo per poter aver presente il concetto di positività).
Tra l’altro, non importerebbe neanche che il mondo sia migliore: basterebbe che l’Ignoranza metafisica Principiale non fosse stata così radicale, così “addormentante”: non è infatti bello comunque sperimentare un mondo orribile, quando si sa che è finto? Non è ciò che facciamo nei nostri giochi, nei film, nei romanzi?
Di solito, ci facciamo bastare la spiegazione più logica ma anche più superficiale: le ere negative fanno parte di equilibri universali… il piano materiale è la conseguenza naturale, cioè il “precipitato finale” dell’architettura di tutti i piani d’esistenza sottili… il pianeta Terra, in quanto luogo di “uscita dal samsara”, è per forza di cose un luogo non ideale, proprio per spingere ad uscire dal samsara… ecc.
Ma ciò non toglie che poi, vivendo quasi totalmente identificati ad una individualità, tutto questo lo subiamo negativamente: era davvero necessario tale assopimento totale con relativo attaccamento al samsara e alle individualità che di volta in volta né emergono? Era inevitabile questo teatrino, o, per lo meno, era inevitabile che lo vivessimo credendolo totalmente reale? PERCHE’? Nessuno, a quanto mi risulta, risponde veramente.
Personalmente, questa domanda mi ha “ossessionato” per anni. Quando la ponevo nel centro “iniziatico” che frequentavo, dove eravamo ben abituati a porci domande e risposte ardite, questa lasciava tutti silenziosi, praticamente imbarazzati. Con tale domanda ero quasi sicuro di essere diventato, agli occhi degli altri, abbastanza destabilizzante per il proseguimento del nostro lavoro spirituale: anche perché, a tale domanda, seguiva una domanda ancora più scomoda: se l’Essere genera (per quanto apparentemente) questo mondo, dove nel “mondo” dobbiamo includere la nostra condizione (che non è consapevole della natura apparente e quindi innocua di tale generazione), prima o poi l’Essere potrà o dovrà generare di nuovo qualcosa di simile, anche dopo che sarà stato risolto questo samsara: in fondo, se lo ha fatto una volta, cosa gli impedirà di farlo di nuovo? Estinto il fuoco della Conoscenza dopo che il combustibile dell’Ignoranza è stato tutto consumato (per usare un’immagine Vedantica), cosa impedirà il sorgere, di nuovo, dell’Ignoranza dal puro Essere? In fondo, ciò è successo almeno una volta, ovvero all’inizio di questo samsara (per quanto tale inizio non sia rintracciabile, nel samsara stesso).
Per capire la gravità di ciò, dobbiamo partire dal punto di vista più Reale nei riguardi di ciò che siamo: noi siamo Quello, l’Assoluto, addormentato nella sua possibilità di Ignoranza Principiale, attraverso la quale stiamo sognando un Universo, nel quale ci si è identificati in un particolare stato di cose, vissute come se fossero un evento individuale, evento reiterato lungo percorsi basati sul ciclo di causa-effetto.
Noi possiamo risolvere questa condizione ciclica fin nelle fondamenta Principiali, come suggeriscono tutte le tradizioni metafisiche più profonde. Lasciando così che rimanga “solo” l’Assoluto. La questione è che, a quel punto, niente, NIENTE impedirà che un nuovo samsara si ripeta in qualche forma, magari peggiore. Così come niente ha impedito che questo samsara sia avvenuto.
Non so se l’argomento interessa, ma secondo me è il più essenziale, nonostante sembri negare la radicalità del percorso spirituale e della realizzazione. Ma, se non mettiamo in dubbio tali concetti, rischiamo di prendere la Tradizione metafisica come una ulteriore religione, da vivere magari integralmente ma troppo pedissequamente.
Dico tutto questo sperando di parlare a persone che non dimenticano la sofferenza nei momenti migliori della loro vita, ma che, anzi, abbiano un minimo riflettuto profondamente sulle implicazioni del dolore dell’esistenza (e lo dico senza essere un pessimista, né uno che ha sofferto troppo, né un amante del dolore), e che quindi non si accontentino solo di cercare di uscire il più presto possibile dal dolore, senza riflettere almeno un minimo. Mi viene a mente il discorso della freccia del Buddha: è vero che non ci è utile sapere da dove è venuta la freccia, chi ce l’ha tirata e perché, ecc., per potercela togliere. Ma è anche vero che se, una volta tolta, ci poniamo nelle condizioni di farcela tirare di nuovo, forse è meglio spendere un attimo a riflettere su ciò.
Recentemente, ebbi una sorta di comprensione spontanea che mi risolse i dubbi e i problemi su questi argomenti. Fu talmente personale ed esplosiva, che riportarla per scritto non può che limitarla, senza contare che, come ogni altra esperienza e comprensione, è limitata e relativa comunque, ma ciò non significa che non possa essere utile, per chi vuole.
Avendo in mente tale personale “rivelazione”, provo a criticare le risposte sopra riportate, quelle che, come dicevo, di solito vedo dare da Maestri e Aspiranti.
1. Alcune domande non hanno risposta, dicono. Strano: si parla di tutto, di ogni argomento, si espongono le filosofie più ardite, e si insegnano, ormai pubblicamente sugli scaffali di enti commerciali o su pubbliche reti informatiche, i più ardui sentieri spirituali; ed in tutto ciò, tutto ha una risposta, per quanto relativa; tutto ha il suo giusto posto, anche se dipende dai particolari punti di vista da cui si guarda. Però, a non avere possibilità di risposta, sarebbe SOLO questa domanda: il “semplice” PERCHE’ dello stato di cose che viviamo: il mondo poteva benissimo essere relativo e temporaneo, come lo è ogni sogno o immaginazione, senza per questo essere vissuto, a volte, nel dolore più nero, nell’identificazione più esasperata. Lo trovo sospetto, stranamente superficiale, questa mancanza di risposte su questo argomento. Ritengo che ciò sia dovuto al fatto che la risposta è talmente radicale, da essere più destabilizzante di quanto non lo sia il fatto stesso (tranquillamente dichiarato dai Maestri più elevati) che persino la Tradizione unica Universale sia per forza di cose relativa ed inutile una volta che ha adempiuto al suo scopo.
2. Alcune domande è prematuro porsele, dicono. Sicuramente, ma spero non si sottintenda che certe domande sia lecito proporle solo dopo la realizzazione: tutte le domande è possibile porle solo in un contesto relativo, mai in uno assoluto. Quindi, prima o poi, tale domanda sul PERCHE’ andrà posta, durante la propria sadhana o percorso spirituale.
3. La domanda è inutile perché, se il mondo fosse migliore, potrebbe essere ulteriormente migliorabile, quindi in ogni mondo ci porremmo comunque la stessa domanda, dicono. Vero, ma è anche vero che certe condizioni (ovvero questo attuale mondo) sono molto più adatte di altre, per porre certe domande: approfittiamone per vedere se può venirne fuori qualche risposta utile.
4. Il mondo non è migliore perché la Sorgente che lo manifesta sta imparando da ciò che sta “creando”, dicono. Questo è per lo più una assurdità (e infatti i “veri Maestri” di solito non lo dicono, a meno che non si stiano rivolgendo ad un contesto religioso). La vera sorgente, l’Assoluto, non ha niente da imparare, niente da migliorare, niente da modificare. Però mi sono chiesto (come emerge da alcune considerazioni esposte in precedenza): ha senso parlare di una vera totale risoluzione del relativo? Se nel relativo niente è assoluto, anche la fine del samsara non può essere assoluta. Risolta una relatività ciclica individuale ed universale, risolti totalmente i semi causali manifestati in un contesto, ci saranno sempre (il Causale è senza tempo) potenzialità per “nuovi” contesti universali ed individuali, o per chissà cos’altro.
Ovvero: se mi sveglio da una serie di sogni, totalmente, a quel punto niente, NIENTE mi impedirà di addormentarmi e sognare di nuovo, visto che in tale risveglio (quello “nell’assoluto”), non ci sono cose-eventi-enti esterni o interni ad impedire o favorire qualche condizione particolare (quindi non ci sarà niente che “mi” dirà: “non sognare più, o almeno cerca di sognare un po’ più lucidamente, perché è stato così brutto la volta scorsa, in cui ti eri addormentato del tutto…”).
Questo potrebbe voler dire, anche se non lo troveremo tanto facilmente scritto su di un testo spirituale (mi viene a mente che forse è vagamente suggerito nelle note di Raphael alla Mandukya, e forse in qualche allusione di Shankara), che, anche se non è la “Sorgente” a dover imparare, i jiva forse qualcosa dovrebbero imparare a ricordare per indirizzare bene la propria sadhana: risolvere tutto, ma proprio tutto… OPPURE trovare un compromesso nella maayaa?
5. La Realtà genera, per quanto apparentemente, tutto, quindi prima o poi non poteva che generare anche questo mondo, dicono. Vero… e falso. L’Essere assoluto “genera” tutto, potenzialmente. Ma, effettivamente, proprio perché le possibilità sono numericamente indefinite, non ha senso dire che genera tutto. Genera ciò che genera, niente di più: l’indefinito non potrà mai esaurirsi, non potrà mai generare davvero “tutto”. Quindi niente toglie che possa essere un bene (per quanto ovviamente relativo) che si impedisca consapevolmente che qualcosa si generi in un modo particolare, e non in un altro, a certi livelli di realizzazione.
6. Il mondo è già perfetto, sei tu che lo vedi parzialmente, e quindi (anche) negativamente, dicono. Vero. Peccato però che il nostro punto di vista apparentemente relativo, che ci fa vedere le cose parzialmente-negativamente, non sia stato scelto da noi (da noi in quanto enti relativi): è sorto spontaneamente dal nostro Essere assoluto, che non ha parametri con cui fare scelte. Questa, per “Lui” (cioè per noi in quanto assoluto), E’ SOLO UN’OCCHIATA (è questa la “rivelazione” che ebbi poco tempo fa, inesprimibile a parole in tutta la sua chiarezza), un’occhiata sorta spontaneamente (e apparentemente) in Sé stesso: non c’erano parametri che potevano impedire o favorire una particolare serie di manifestazioni universali e individuali. All’interno di questa serie di manifestazioni, cioè ora, potrebbe essere consigliabile decidere sul da farsi (per lo meno adesso che siamo umani, quindi alle “soglie dell’uscita”): una sadhana che ci porti alla totale chiusura di questa “occhiata”, con il rischio che poi essa avvenga nuovamente (non c’è NIENTE, nell’assoluto, che impedisca alla Causa prima di “passare dalla potenza all’atto con una forza straordinaria”, per usare le parole di Raphael dell’Asram Vidya), e magari con modalità peggiori? Oppure c’è un qualche compromesso che possiamo fare con la maayaa?
7. Il mondo è come è in vista di un miglioramento/ricompensa che ne giustificherà la sua “bruttezza”, dicono. Questo è apparentemente una ingenuità religiosa, e di solito lo è davvero. Non è vera da un punto di vista “Naturale” (nel senso più pieno del termine), nel senso che la maayaa non tende a nessuno scopo, né è vera da un punto di vista metafisico, perché l’Assoluto non fa apparire niente che gli sia di vantaggio. Ma possiamo comunque prenderla in considerazione, tenendo presente quanto detto sin’ora: possiamo valutare che, essendo l’Assoluto il nostro vero essere, niente ci è di preferenza, ma che ciò comporta una cosa: prima o poi “qui”, in questa condizione universale-individuale, per quanto fondamentalmente apparente, ci siamo finiti, e non ci è piaciuto per niente. Se risolviamo TUTTO di questa condizione, NIENTE ci impedirà di finirci di nuovo in qualche forma, per quanto non legata caUSalmente all’attuale samsara.
In definitiva: noi possiamo scegliere ora quale sia la direzione e la profondità a cui la nostra sadhana ci debba portare. Se diamo troppa attenzione alla maayaa (ad un qualunque suo “livello”: beatifico-potenziale, intellettivo-universale, sensoriale-individuale), rimarremo come siamo, per quante condizioni divine si possano vivere alle volte in certi luoghi, ere o stati di coscienza. Se invece diamo troppa poca attenzione alla maayaa, rischieremo di avere una Realizzazione perfetta, che non servirà, letteralmente (o meglio, metafisicamente), a nessuno (perché l’assoluto non è nessuno, non ha un senso del “me”, non è un io), e sarà giusto così, sarà perfetto… ma è esattamente la “condizione” che ci ha “portato qui”.
La maayaa è solo un’occhiata. Per quanto si possa guardare indietro individualmente e/o universalmente attraverso innumerevoli vite e/o manifestazioni cosmiche, non troveremo mai un inizio; possiamo solo trovare una Causa totale solo se guardiamo fuori del tempo, perché essa è senza tempo. Né troveremo mai un inizio, neanche cAUsale, nel nostro Essere vero, assoluto, perché, per quanto esso non sia staticità (è la fonte stessa del tempo-spazio, e anche della causalità), non è caratterizzato dal tempo (e dallo spazio), né da una causa. Questa che stiamo vivendo è solo un’occhiata, non importa quanto lunga (e ciclica, e vasta) ci appaia ora. Se chiudiamo tale occhiata del tutto, potremmo paradossalmente ritrovarci a guardarla di nuovo. Ora che sappiamo ciò, potremo cercare un compromesso: svegliarci abbastanza da sapere di sognare, ma non abbastanza da dissolvere il sogno con il rischio poi di addormentarci di nuovo. Apparirà meno dignitoso alla morale umana, soprattutto a quella codificata nella Tradizione (però, in fondo, è proprio nelle raffigurazioni tradizionali che ad esempio il Buddha non ha né gli occhi totalmente aperti, né totalmente chiusi). Ma, visto che qui si tratta di qualcosa che coinvolge la radice stessa del nostro essere, se facessimo un compromesso del genere, a CHI appariremo non dignitosi, visto che, in quanto assoluto, non c’è nessuno che ci giudica, neanche un “noi stessi”?