LATRIPLICE:
"...Ma vienicelo a dire quando appunto crediamo che essa sia avvenuta...."
Di fronte a un miraggio nel deserto equiparabile, alla realtà apparente (mithya), hai due possibilità:
1) Credere alla visione che ti si palesa e recarti di buona lena ad abbeverarti.
2) Riconoscere il miraggio in quanto tale e astenerti dall'atto (karma) conseguente di cui sopra.
Quest'ultima è equiparabile alla realtà dei fatti (sathya) non assoggettata al potere ammaliante dell'apparenza.
Salve, Architetto. Avevo citato un mero film, alcuni post fa, ovvero il secondo film di Matrix. Di solito chi si considera "spirituale" cita il primo film (apparendo così molto New Age agli occhi degli altri. Tutti sono New Age agli occhi degli altri, a meno che non siano iscritti e residenti nel più isolato dei vicini monasteri, con tanto di divisa di riconoscimento monacale, magari in un contesto religioso che vanta le proprie radici in avvenimenti che hanno la stessa attinenza storica di quella che ha un qualunque film di fantascienza). Citando il secondo film, invece, si appare meramente consumistici ("è solo uno spara-spara"). Facciamolo comunque.
L'Architetto propone agli Eletti due scelte, come hai fatto te. Torna in Matrix a salvare i tuoi compagni (presumibilmente è la scelta data ai precedenti Eletti) o la tua compagna (la scelta data all'attuale Eletto), ma così facendo morirà tutta l'umanità, sia quella fuori di Matrix (uccisi dalle Macchine) sia quelli dentro (uccisi dall'inevitabile collasso del sistema innescato dall'esistenza stessa dell'Eletto). Oppure, entra nella Sorgente, e questo, anche se non salverà coloro che sono usciti, salverà almeno coloro che sono in Matrix (se esce di scena l'Eletto, si ferma anche il collasso), che avranno ancora la possibilità di uscire (ma anche di essere massacrati anche loro quando tutto si ripeterà con il prossimo Eletto).
Qualunque scelta presa (i precedenti cinque scelsero presumibilmente la porta numero 2, quello attuale la numero 1) vinceva comunque il gioco delle Macchine, e quindi di Matrix: in entrambi i casi infatti, anche se in modi diversi, tutto portava a ricaricare Matrix, una Matrix vista di nuovo come un nemico. La scelta binaria in fondo è il ragionamento delle macchine, dei computer attuali: meno consapevoli di un lombrico, ma più efficienti di qualunque altra cosa.
Sai cosa mi venne in mente riguardandolo di recente? (Probabilmente influenzato da quel che mi era venuto in mente su questi argomenti.) Che bastava premunirsi prima. Bastava che l'Eletto si fermasse a riflettere un attimo durante la sua missione, invece di essere tanto impegnato a credersi il salvatore che avrebbe fatto chiudere Matrix; riflettere per poter arrivare a comprendere che Matrix nasce dall'umanità (è vero, con la mediazione delle Macchine, ma anch'esse nacquero dall'umanità!). Ne è un'espressione, non è qualcosa a cui contrapporsi, non è qualcosa da distruggere, o da cui voler uscire. E' qualcosa da vedere diversamente. In questo modo potrà persino migliorare conseguentemente da sé, proprio perché è un'espressione dell'umanità. Non c'è quindi da farne uscire qualcuno, c'è solo da insegnargli a viverci (con consapevolezza, non con le sue regole nate da una contrapposizione ad essa, anche solo inconscia).
A quel punto (forte del fatto di aver insegnato alle persone in Matrix a vederla in modo diverso e quindi a conviverci, invece di farli uscire da essa), arrivato dall'Architetto bastava che si mettesse seduto e dicesse: no, grazie. Non scelgo niente. Non ce n'è bisogno. Ho insegnato alle persone a convivere con Matrix, loro non dipendono più dai suoi eventi, anzi, è Matrix che dipende da loro, essa non collasserà neanche più quindi. A quel punto non ha senso neanche che uccidiate quelli che ne sono già fuori, è solo uno spreco di energie.
Fine. Matrix rimane, deve rimanere, altrimenti tornerebbe comunque, ma nella stessa forma inconsapevole di prima. A cambiare non è più Matrix, ma le persone che vi vivono, il modo in cui la vedono.
E' esattamente l'insegnamento del Buddhismo mahayana. Non puntare all'assoluto, che vedono come un concetto astratto dannoso quanto tutti gli altri concetti, ma comprendere invece che il samsara è già il nirvana, ovviamente nel senso che le distinzioni solo solo nominali-formali. Sarebbe un insegnamento perfetto, perché evita appunto di figurarsi l'assoluto-Brahman come uno "stato", semplicemente più elevato degli altri; sarebbe un insegnamento perfetto se non fosse che così si crea un'ambiguità nella maggior parte delle persone, che a volte credono, alla lettera, che il samsara sia già di per sé il nirvana.
"...Cioè non la semplice maya quale "produttrice" di forme, ma la totale ignoranza-identificazione..."
Ovviamente il credere all'apparenza è solo l'aspetto preliminare dell'intera faccenda, occorre che poi vi sia l'identificazione con l'oggetto parte della visione apparente che corre ad abbeverarsi, nella fattispecie il complesso corpo-mente-sensi presente nella medesima. Questa identificazione trasforma il precedente oggetto corpo-mente-sensi nell'attuale soggetto (jiva) artefice dell'azione di recarsi ad abbeverarsi.
Ecco svelato il mistero del jiva nella sua evidente genesi.
Ma prima ancora che ti conceda il lusso di poter credere all'apparenza è necessario da parte tua che tu ignori (maya) la tua vera natura in quanto ordinaria, imperturbabile, illimitata consapevolezza non-duale e non-agente.
Ecco svelato il mistero di maya nella sua evidente genesi.
Perfetto, concordo. Non ho mai messo in discussione tali "genesi" così come le hai esposte. Questo significa però ANCHE che esse non hanno NIENTE (NIENTE), [NIENTE], che impedisce loro di avvenire, se si rimane all'interno di un discorso di annullamento di Maya e del Jiva. Certo, si può dire che, prima di tutto, basta riconoscere che essi neanche esistono come enti distinti da noi (noi in quanto Brahman), e che quindi non c'è neanche bisogno di annullarli, ma l'importante è appunto rendersi conto che la maya, in quanto "movimento coformato e conformante", deve continuare in qualche modo ad esserci, affinché questa consapevolezza permanga.
E' quello che raccomandano tutte le tradizioni, a ben pensarci! Non solo le "allusioni" di Shankara e di Bodhananda già accennate, ma anche il concetto di Bodhisattva nel Buddismo, la resurrezione nel Cristianesimo, ecc. Compresi alla luce di questo argomento, e non prese alla lettera, ovviamente. Alla lettera non avrebbero senso: di cosa se ne fa un ente, che ha riconosciuto la sua figliolanza spirituale con il Padre, di tornare in un "corpo nuovo" in una "terra nuova"? Di cosa se ne fa un Buddha di restare in una illusione in cui, per principio (cioè proprio perché è un'illusione, quindi senza capo né coda), non può riuscire a salvare tutti, come gli imporrebbe invece il voto da Bodhisattva?
KaaRa ha scritto:
Esempio invece di una tua contraddizione: "jiva: quella parte del Sé identificato al complesso corpo-mente-sensi". E' chiara la contraddizione, no? "Quella parte del Sé". Parte del Sé? Il Sé non ha parti. Infatti lo diciamo solo per non far credere che il Sé si sia trasformato in jiva, visto che rimane appunto sempre inalterato. Ma, ciononostante, è il Sé, nella sua totalità inalterata e indivisibile, l'unico a sentirsi Jiva. Non ci sono sue parti che aderiscono, e altre che non lo fanno. E, di nuovo, qui sta il punto: sono io, in quanto Brahman, che credo di sperimentare la condizione di jiva. Se, all'interno di tale condizione, essa può essere risolta, è il caso di tralasciare il fatto che, sempre al suo interno, le possa essere impedito di tornare di nuovo, almeno nelle modalità totalizzanti di adesso?
Nel Canto del Beato abbiamo due personaggi che intraprendono un dialogo iniziatico mentre stava per infuriare una battaglia tra due eserciti schierati pronti a darsele di santa ragione. Da una parte abbiamo Il Sé illimitato pieno e totale nella figura di Krishna e dall'altra il sé limitato, carente e unilaterale nelle vesti di Arjuna. Sarebbe inopportuno in questa sede affermare che Krishna alla vista della disperazione dipinta sul volto di Arjuna gli venisse da ridere a crepapelle vedendo Se stesso vittima di un abbaglio, ma mosso da compassione iniziò una conversazione per rimuovere tale ignoranza. Ma tant'è.
E' evidente che si tratta dello stesso Sé, da una parte la visione che compendia la corda dall'altra la visione del serpente sovrapposto alla corda.
Ma questa storiella come quelle che ci siamo raccontati in questo thread compete alla visione del serpente sovrapposto alla corda. In altre parole è a beneficio del jiva che ignora la sua natura in quanto Brahman che avviene questo intrattenimento concettuale al limite del ludico (lila).
Dalla prospettiva/non-prospettiva del Brahman, non c'è l'ignoranza (maya) nè la sua vittima sacrificale (jiva) né l'ideatore celeste che sta orchestrando questa messinscena (Ishvara).
Prendiamo Nisargadatta, che consiglia di leggerla non immedesimandoci in Arjuna, ma in Krishna. Ha senso, alla luce di ciò che sto dicendo fin dal primo post.
Se mi immedesimo in Arjuna, e il mio unico scopo è essere un ignorante che cerca di liberarsi dall'ignoranza, avendo un inizio ed una fine tale scopo può fare solo una cosa, nell'infinito e nell'eterno del Brahman: riproporsi.
Come Krishna invece (o meglio: come Arjuna che ha come scopo assumere il punto di vista di Krishna) ho il dovere di far continuare il teatrino, nonostante mi venga da ridere a vederlo. Se non lo faccio, se smetto di farlo, NIENTE (NIENTE), [NIENTE], mi (a me, Brahman) impedirà di vivere di nuovo la situazione dal punto di vista del Jiva.
Pertanto alla tua domanda:
"Se, all'interno di tale condizione, essa può essere risolta, è il caso di tralasciare il fatto che, sempre al suo interno, le possa essere impedito di tornare di nuovo, almeno nelle modalità totalizzanti di adesso?"
Essa, l'ignoranza (maya), fa capolino in pratica ogni minuto dell'intera giornata sottoforma del pensiero "sono un piccolo inutile verme con un sacco di problemi ma chi me l'ha fatto fare maledetta quella volta" e suoi corollari. Non è necessario attendere la fine dei cicli cosmici per impedire nuovamente la sua comparsa. Essa ci accompagna dall'utero alla tomba e non c'è verso di farla andar via......a meno che tu non applichi l'auto-conoscenza "Io sono la consapevolezza illimitata, completa e non-duale ogni istante che ti viene in mente si essere limitato, carente ed unilaterale e la bruci sul nascere. Non c'è altro mezzo. L'applicazione costante dell'auto-conoscenza corrisponde all'auto-indagine, la discriminazione tra il reale e l'apparente che corrisponde ogni volta che ha successo a moksha, liberazione. Dal Jiva e per il Jiva ovviamente.
Anche su questo siamo d'accordo. Ma questo implica che tale applicazione di auto-coscienza, tale auto-indagine, ovvero tale Conoscenza, sia... appunto costante, come dici anche tu. Il che implica che l'ignoranza deve restare, possibilmente al minimo sindacale (cioè senza identificazione). In caso contrario, i cicli cosmici potranno anche sparire subito, ma potranno anche tornare subito, e in pieno (cioè con identificazione). Perché questa mia precisazione è così ardua da integrare nei discorsi in cui già concordiamo?
Indulgere nel pensare di essere limitato, carente e unilaterale, cioè una persona, ti costringe a rincorrere gli oggetti (situazioni, persone e cose) in maya per trovare appagamento con l'effetto collaterale, in ragione delle attrazioni e repulsioni che il contatto con tali oggetti producono, di sviluppare delle tendenze inconsce (vasane) che costringono in un moto incessante auto-rigenerante nella sequenza kama (desiderio), karma (azione), vasana, che a sua volta rinnova la sequenza kama-karma-vasana che a sua volta rafforza la sequenza kama-karma-vasana, fino a risucchiarti in un vortice centripeto senza via d'uscita chiamato samsara. Già, perché quando il desiderio (kama) si fa pressante ed inderogabile, l'unico modo per allentare la tensione è indulgere nell'azione (karma) per ottenere l'oggetto del desiderio che a sua volta va a rigenerare il seme (vasana) origine del desiderio. Il karma lascia sempre dei residui pertanto non è tramite il karma che puoi porre fine al karma.
Il Cristo crocefisso sulla croce simbolo dei 4 elementi è una raffigurazione efficace del samsara.
Siamo d'accordissimo. Ma possiamo essere d'accordo anche sul fatto che il Cristo deve sempre tenere la croce dentro di sé? Cito: "nel cuore dei risvegliati vive una croce di fiamma che non brucia" (da: Raphael, citato dal retro di copertina di Discrosi Ispirati di Vivekananda, I Pitagorici).
Tenere sempre viva tale croce. Nonostante un realizzato non ne abbia bisogno, né lo caratterizzi, in quanto egli non è più "qualcuno", ma è consapevolmente solo una forma apparente del Brahman.
Altrimenti sulla croce dovrà salirci di nuovo, Cristo (un nuovo jiva, o meglio, il Brahman quale unica vera soggettività, quando crederà di nuovo di essere un jiva), con tutte le paure e le sofferenze che ciò ha comportato; che è esattamente ciò che è successo a Cristo, prima di rendere l'anima a Dio, risorgere ed ascendere (prendiamo alla lettera la scrittura biblica ai fini del mito del Cristo che hai proposto).