Fedro: Verissimo?
Nel senso che la tua consapevolezza ha constatato la veridicità di quella frase, e dunque testimonia che è tutto immaginazione?
Se così è, che senso avrebbe questo continuare a congetturarvi sopra, non credi?
Nel caso contrario non sarebbe per niente un "verissimo", quanto un'adesione della tua mente a quella frase e che quindi immagina "quella realtà", proiettandola (come vera/falsa).
KaaRa:
Che importa constatare cosa ho compreso?
Potrei essere il più grande maestro che hai incontrato. Il più potente avatara. Anzi, lo sono di sicuro: tutto è il maestro, tutto è l'incarnazione di Dio (per dirla religiosamente), non importa quanto ammantato di ignoranza possa apparire. Perché quindi non ragionare neanche un attimo nella direzione della questione che ho posto, visto che siamo all'interno di un ragionamento, o comunque di un forum in cui si può fare poco altro che ragionare?
Ma vogliamo ribaltare la situazione? Dal mio punto di vista? Sei tu in questo momento il maestro, l'avatara che mi dice: "svegliati, non perdere tempo a questionare". Il punto che ho posto per me rimane comunque: certo, maestro, mi sveglio. Ma non abbastanza, altrimenti NIENTE (NIENTE), [*], mi impedirà di poter sognare di nuovo di essere qualcuno e di avere davanti un maestro che mi dice "svegliati, non questionare".
[*]: NIENTE
questo dialogo mi ha fatto affiorare un ricordo di anni fa, una volta che, dialogando con Premadharma, gli dissi che non riuscivo a capire il suo "ragionamento" e mi rispose in modo chiaro e perentorio che lui non ragionava, esponeva la sua testimonianza, la sua esperienza, mostrava il suo passo e la direzione in cui andava. Stop.
Un forum, al mio sentire, non è fatto per ragionare insieme, questo non farebbe che pascere la mente, gira gira, se l'animale è attaccato alla catena di un palo (le proprie convinzioni e credenze?) finirà tutta l'erba da brucare e morirà di fame, prima o poi.
Meglio liberare l'animale dal palo, dalla catena dei pensieri autoprodotti per sostenere una struttura concettuale che piace, che sta in piedi. Esiste un castello di carte che possa resistere a un'improvvisa folata di vento? Le nostre credenze sono castelli di carte.
Il discorso è semplice. Si vuole fare un certo cammino di conoscenza? Bene, allora si deve lavorare su sé stessi e domandarsi quali strumenti si hanno a disposizione per trovare il "sé stesso"?
Il vedanta propone e insegna l'atmavicara, l'indagine interiore che prevede l'osservazione del proprio pensiero, senza eccessivi compiacimenti sulle sue "evoluzioni acrobatiche" (ragionamenti?)
Come viene spesso detto "si è/ si diventa ciò che si pensa". Quindi occorre lavorare/osservare ciò che si pensa, osservare il significato reale di ciò che viene scritto, osservare come la mente faccia credere di dire una cosa, mentre invece si dice tutt'altro.
In un forum si può fare molto di più che ragionare, ove per ragionare si intenda contrapporre alle "tesi" di una certa "scuola" filosofiche quelle di un'altra scuola.
Il rischio, se si sta sempre a ragionare, è che, pur partendo dal presupposto di non disprezzare alcuna visione ed onorare la verità, da qualunque parte provenga e qualunque veste indossi (essendo tutti raggi del medesimo Sole), si rischi di fare la fine dei ciechi di cui parla il Buddha.
"Buddha, il Beato, ci narra la parabola dei ciechi e dell’elefante a dimostrazione che una conoscenza parziale conduce sempre al bigottismo ed al fanatismo. Una volta un gruppo di discepoli si recò nella città di Śrāvastī per chiedere l’elemosina. Ivi trovarono dei settari che disputavano tra loro sostenendo: «È questa la verità, non quella». Dopo aver ascoltato queste opinioni discordanti, tornarono dall’Ispirato descrivendo quanto avevano visto e sentito.
Allora Egli disse: «Questi settari sono ciechi. Non conoscono né il reale, né il non reale; non conoscono la verità e non conoscono la non verità. In un tale stato di ignoranza non possono che disputare e litigare come voi descrivete. Miei cari, tempo fa, in questa stessa città di Śrāvastī c’era un rājā (re), il quale rivolgendosi ad un tale gli disse: “Vieni qui, buon uomo! Va’ e portami tutti i ciechi che trovi a Śrāvastī!”. “Molto bene, Maestà” rispose l’uomo, ed in obbedienza al rājā raccolse tutti i ciechi e li portò con sé al palazzo.
Giunto al cospetto del re disse: “Vostra Maestà, ecco qui tutti i ciechi di Śrāvastī.”. “Adesso, buon uomo, mostra loro un elefante” rispose il re. “Molto bene, Vostra Maestà” replicò l’uomo e fece ciò che gli era stato ordinato dicendo: “Miei cari ciechi, questo è un elefante”. Ad uno presentò la testa dell’elefante, ad un altro l’orecchio, ad un altro ancora una zanna, la proboscide, la zampa e la coda, dicendo a ciascuno di loro che quello era l’elefante. L’uomo ritornò dal rājā dicendo: “Vostra Maestà, l’elefante è stato presentato ai ciechi. Sia fatta la tua volontà”.
Subito dopo, miei cari mendicanti, il rājā si recò dai ciechi chiedendo a ciascuno di loro: “Avete studiato l’elefante? Allora ditemi le vostre conclusioni in proposito”. Dopodiché colui al quale era stata presentata la testa rispose: “Vostra Maestà, un elefante è come una brocca”. Quello che aveva osservato solo l’orecchio rispose: “Un elefante è come una cesta per la spulatura”. Colui al quale era stata presentata la zanna disse che era come un vomero. Quelli che conobbero solo la proboscide dissero che era come un aratro. “Il corpo - essi dissero - è un granaio; la zampa, una colonna; la schiena, un mortaio; la coda, un pestello; il ciuffo della coda, una scopa”. Quindi cominciarono a litigare, gridando: “Sì, è così!”. “No, non è così!”. “Un elefante non è questo!”. “Sì, invece è proprio come questo!” e così via, finché arrivarono ai pugni. Allora, miei cari mendicanti, quel rājā fu molto divertito della scena. E sono così anche i settari: vagabondi, ciechi che non vedono, non conoscono la verità, ma ciascuno sostiene che essa è così e così».
(brano tratto da Cos'è l'induismo?)