Hai ragione, osservare il passerotto sul davanzale restando consapevole della tendenza della mente di separare l'evento dell'osservazione
immaginandosi il soggetto e l'oggetto distinti ed in opposizione giungendo in loro assenza all'incanto dell'unione di cui consiste il risveglio, è appannaggio dei realizzati.
Detto questo, desidero ringraziare te, Fedro e Ortica per gli interventi che si sono susseguiti su questo argomento che mi hanno stimolato una ulteriore riflessione per giungere ad una mia conclusione personale che include il tema della resa che inizialmente avevo trascurato. Pertanto vorrei condividere con voi il riassunto che ho tratto da questa interazione con questa appendice che va a completare il testo "Il Principio differenziatore" e nel contempo annunciarvi che la mia ricerca termina qui.
VIA OPERATIVA
La conoscenza (cit) e l’esperienza (sat) sono aspetti dell’esistenza complementari e intimamente correlate, pertanto le vie spirituali che si prospettano a disposizione sono fondamentalmente due e vanno percorse entrambe ed integrate.
La via della conoscenza, l’auto indagine, opera nella sfera dell’intelletto dandoti una prospettiva metafisica (jnana) sull’esistenza come quella riportata nel testo in questione.
Mentre la via dell’esperienza che ha come suo apice la resa incondizionata, opera nella sfera del cuore, la sede dei sentimenti e delle convinzioni fortemente radicate che condizionano il tuo agire (karma) nell’esistenza.
Fornirsi soltanto di una visione metafisica per compiacere l’intelletto non è sufficiente ad alleviare le avversità che le contingenze del vivere comporta e la conseguente spirale discendente nel quale si può precipitare.
L’onestà pertanto, è quell’elemento cruciale nel processo di risveglio indispensabile nel non raccontarsi alibi sofisticati al solo scopo di perpetuare l’io con il suo istinto di sopravvivenza nel difendere i propri presunti raggiungimenti e possessi.
Perché esattamente di questo si tratta se vogliamo andare al nocciolo della faccenda. L’io si alimenta e si sostiene attraverso il mio. La mia vita, la mia salute, il mio lavoro, i miei familiari, il mio conto in banca e le mie conoscenze di cui vado fiero ed orgoglioso.
Tutte cose che onestamente sono state prese in prestito con data di scadenza che alla fine del tempo assegnato si dovranno restituire. Non prenderne atto significa vivere sotto la costante minaccia della perdita ed esporsi psicologicamente ad una crisi esistenziale dal momento che, l’importanza che l’io si attribuiva in relazione ai propri presunti raggiungimenti e possessi, viene scossa e messa in discussione.
Non è paradossale il fatto che l’io trascorra gran parte dell’esistenza a ritagliarsi per sé una porzione della vita una ed indivisa per accrescere la propria importanza e a difendere ad oltranza l’appropriazione indebita quando questa è minacciata seriamente? Quella di assumere un atteggiamento difensivo nel proteggere qualcosa che fondamentalmente non è mai stato suo in primo luogo? Che tipo di vita potrebbe essere dunque, quella di opporre costantemente resistenza al flusso dell’energia vitale in manifestazione che scorre in un senso cercando disperatamente di contenerla per non essere travolti, se non una parvenza di vita surrogata nella sua espressione?
Tutta la faccenda spirituale pertanto si riduce a questa semplice constatazione appena descritta, nell’essere onesti con sé stessi e riconoscere che la vita stessa che io reclamo e rivendico come mia dal quale ricavo importanza agli occhi miei e degli altri, in realtà non mi è mai appartenuta e che io stesso non mi appartengo.
L’identificazione con la mente ed il corpo è un dispositivo utile per sbrigare le faccende mondane e a limitarsi soltanto a questo. Il problema sorge quando alla mente e alla sua sfera emozionale, al corpo e le sue attività che conducono a possessi e raggiungimenti, alle relazioni di parentela e di amicizia, ci appiccichi l’etichetta “mio”. Da ciò deriva la sensazione di essere “qualcuno” e la necessità di prendere posizione nel proteggere il proprio orticello dalle intemperie che ingenuamente si crede di aver duramente coltivato.
Ma è una farsa a cui ci apprestiamo ad interpretare e a crederci, che è la ragione principale alla base della crisi esistenziale e agli scombussolamenti personali che essa comporta.
Basta una malattia, un amore tradito, uno screzio con un amico, un lutto inaspettato, un tracollo finanziario, la perdita del lavoro, cose di cui è fatta la vita, per innescare attrito e conflitto tra intenzioni opposte per generare quel fardello pesante come un macigno appeso al collo che la vulnerabilità di essere “qualcuno” comporta.
Non temo smentita pertanto, nel dichiarare sulla base di una constatazione innegabile che al mondo siamo giunti a mani vuote e che ce ne andremo altrettanto a mani vuote, che di nostro qua fondamentalmente non c’è nulla e nel riconoscerlo, l’importanza di essere “qualcuno” che dal “mio” dipendeva, viene ridotto ai minimi termini.
In ciò consiste la liberazione. La libertà di essere dispensati dall’obbligo di lottare ed immolarsi per qualcosa che paradossalmente non è mai stato tuo. Questo non significa che devi buttare tutto all’aria, semplicemente in caso di necessità te ne occupi provvedendo l’azione adeguata senza per questo farne una tragedia personale.
Credere di essere qualcuno pertanto, è ciò che spalanca le porte dell’inferno e ti riduce in schiavitù.
La libertà quindi di essere dispensati dall’obbligo di lottare ed immolarsi per qualcosa che riconosci non ti è mai appartenuto è il culmine del karma yoga dove giungi a realizzare per implicazione, smentito il mito della proprietà, di non essere l’agente personale dell’azione.
Dare per scontato che ci sia qualcosa che mi appartenga di diritto e che valga la pena di proteggere e lottare con la lama tra i denti, e non importa a quale ardita visione il mio intelletto sia giunto, mi costringe a crollare sotto il peso di questa convinzione recondita ed ancestrale.
Esso rappresenta il “guardiano della soglia” che prima o poi dovrai affrontare che ti impedisce di staccarti dalla terra e librarti nel cielo sconfinato.
Quell’io che per la sua stessa genesi resiste il corso degli eventi, nell’abbandonarsi alla resa incondizionata, cioè nel restituire ciò che aveva sottratto illegittimamente alla totalità vibratoria energetica della Vita, in quest’ultima si dissolve.
Non per meriti acquisiti tramite azione interessata mossa dall’io per ottenere un risultato prestabilito, ma per una questione puramente meccanica:
Ciò a cui resisti, persiste.
La resistenza che si oppone al flusso entrante delle contingenze che il vivere comporta genera inavvertitamente un accumulo di energia sospesa che non fluisce e tende a persistere sotto forma di massa contratta che via via si condensa sempre di più fino ad innescare un processo distruttivo dell’equilibrio psicofisico interno che può condurre ad una crisi esistenziale dalle conseguenze piuttosto serie.
Nell’abbandonarsi alla Vita una ed indivisa, non c’è traguardo da raggiungere, istanza da soddisfare, cambiamento da apportare.
Se la tua spazialità coscienziale è soffocata dalla presenza ricorrente e alienante di pensieri, immagini, emozioni e sensazioni, sappi che è la tensione derivante nel resistere che mantiene in vita sia l’io che la presenza di questi contenuti coscienziali, pertanto astieniti dall’occupartene e permetti incondizionatamente che quello che si sta manifestando si esprima in tutti i suoi effetti.
E quella contingenza non incontrando resistenza che è la caratteristica messa in campo dall’io, perde vigore fino a dissolversi insieme a quest’ultimo nella totalità vibratoria dell’Essere.
Ciò rappresenta il coronamento della via dell’esperienza (sat):
3. Il mondo dei nomi e delle forme che così nella sua molteplicità espressiva giunge in esistenza sussiste fino a che, grazie al risveglio, il moto pensativo e le percezioni inerenti non si riassorbono del tutto consentendo alla verace natura del sostrato di emergere e di palesarsi in quanto Brahman, l'Assoluto incondizionato.
Da questa preliminare visione unitaria della Vita una ed indivisa di cui consiste il risveglio, si realizza per induzione non essendoci altro oltre a te da conoscere, il detto socratico “so di non sapere” che è paradossalmente il coronamento della via della conoscenza (cit):
4. Dalla prospettiva del Brahman invece, ogni eventuale proiezione mentale che possa spontaneamente sorgere e sovrapporsi viene dissolta per quello che è veramente: Brahman, l'Uno senza secondo, ed in ciò si cela se viene colto, il segreto del risveglio.
Giungo pertanto a concludere per assurdo che in un verso non sono nessuno e che nell’altro non so nulla.
“Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà,
ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà.”
Matteo 16,25