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Quaderno vedanta di agosto_rettifica

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cielo
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Quaderno vedanta di agosto_rettifica

Messaggio da cielo » 18/08/2023, 9:26

Buongiorno a tutti, ovunque siate.

Ieri è stato pubblicato il quaderno vedanta di agosto, intitolato Unidizionarietà, nel quale sono stati assemblati dei dialoghi con Premadharma (o anche Teano) tratti dal vecchio forum pitagorico.

Purtroppo, l'errore umano è sempre in agguato, nei vari passaggi e revisioni del testo per la pubblicazione è saltata la frase finale dell'ultimo intervento di Premadharma.

Nel dialogo, che fa perno su alcune parole di Ramakrishna descrittive del "devoto", Premadharma tratteggia la figura del devoto evidenziando che Sri Ramakrishna si rivolge a chi non ha ancora controllo della propria azione, pensiero e silenzio, e indirizza tale carenza sulla sadhāna, se non sulla vita altrui.

Poi va giù un po' più pesante, come era suo solito per risvegliare i dormienti acculturati dai tanti libri letti e pronti a confrontare le testimonianze dei diversi maestri della Tradizione (unica, metafisica, universale).

"È consueto assistere al continuo richiamo al dharma (o alle leggi morali) rivolto da chi non ha idea di quale sia il proprio dharma. L'incapacità di realizzare non la natura divina, ma nemmeno la natura individuale (il continuo mutamento della percezione mentale), permette che tale mutamento inconsapevole sia lo strumento di giudizio della vita altrui."


Nel finale del dialogo Premadharma spiega che il termine unidirezionalità può riferirsi anche ad un lignaggio o ad un ramo tradizionale.

(...)

Quando ci si sposta a figure come Sai Baba, Ramakrishna, Sri Ramana, occorre di volta in volta verificare chi siano gli interlocutori, perché il Vedanta di Ramanuja non è quello di Shankara, sia come dottrina che come testi, essendo stati commentati se non riportati diversamente.

Così le parole di Sai Baba rivolte ad un vaisnava saranno diverse da quelle rivolte ad un śaiva, e le prescrizioni di un brahmino del Bengala diverse da quelle di uno del Kerala o del Tamil Nadu.

In funzione della scuola di provenienza, si userà il termine Mahapurusha per indicare il Brahman, o altre ancora.

Certi Maestri con un dharma universale, sono stati o sono di riferimento a diverse scuole o movimenti religiosi, pertanto occorre di volta in volta sapere prendere quelle parole che sono rivolte a stimolare la nostra indole, riconoscendo come non nostre quelle rivolte ad altri lignaggi.


Il finale è essenziale, chiude il senso del periodo.

Inoltre il discorso delle parole di un maestro, a chi e a cosa siano rivolte e, a sua volta, a chi e cosa possano essere riproposte, è stato più volte affrontato con Bodhananda/Premadharma.

Nonostante il Quaderno Vedanta abbia lo scopo, ancora dopo un settennio dalla scomparsa sul piano fisico del Riferimento (fondatore di questo forum e del precedente) ed editore di libri e periodici, di continuare, per quel poco, a mostrare una traccia della sua testimonianza, è sempre utile ricordare che le parole tra un "maestro" ed un aspirante discepolo, anche se pronunciate pubblicamente, in un contesto pubblico, quindi ascoltate anche da altri oltre che il maestro e il discepolo interessato, sono e restano tra il discepolo ed il maestro, strettamente tra loro, e sarà l'aspirante a incarnarle, ad attualizzarle nella propria pratica personale, nel silenzio della ricerca interiore: conosci te stesso, in primis, dissolvi tutte le resistenze, le giustificazioni che ti dai al non fare....conosciamo tutti la solfa.

Purtroppo vediamo spesso la strumentalizzazione costante delle parole dei "maestri", il rivolgerle ad altri discepoli dello stesso maestro che "non le hanno capite", oppure fare proselitismo altrove, cercando di universalizzarle.
A volte invece un maestro decide di divulgare e scrivere pubblicamente, quindi senza rivolgersi in particolare a nessuno di specifico. Anche in tal caso il "dire" è comunque dettato dalle circostanze ed eventuali domande poste, da porre e considerando il contesto in cui veniva data quella risposta.

In ultimo, le parole di un maestro vanno sempre e comunque realizzate da chi se ne pone quesito e domanda di quelle parole, non certo a chi legge tanto per leggere ed erudirsi di "cose spirituali".

Forse è per questo che la tradizione sottolinea così spesso l'aspetto testimoniale di ogni parlare, perchè se non è testimoniale di sè, allora non è testimoniale (realizzativo) ma solo eruditivo (mnemonico-culturale) e questo non ha nulla a che fare con la vera tradizione che è sempre testimoniale (qui e ora) e non eruditiva, mnemonica, in divenire.

L'unica possibilità per ognuno, a prescindere da quanto la propria testa sia piena di sacre verità e saggezze, è essere solo ciò che è. Se le domande sorgono dal cuore la traccia si farà luminosa sotto i nostri piedi, e, un passo alla volta, potremo percorrerla.

Chiuderei con una bella storiella (più da ombrellone o da fresca quercia):

Un giorno a Ramana si presentò un praticante anziano di yoga, di asana e posture yoga; le sue domande vertevano su certe posizioni, su come andavano eseguite, come doveva stare il piede, la schiena, il pollice o l'indice della mano destra. Con grande sorpresa di tutti, Ramana cominciò a rispondere a quelle domande "tecniche" di posture e asana, finchè con grande soddisfazione dell'anziano praticante tutte le domande ebbero completa risposta. Quando l'anziano praticante yoga se ne andò, i restanti anziani e discepoli stretti di Ramana chiesero del perchè delle risposte date (senza chiedere della loro grande sorpresa che Ramana ne conoscesse le risposte) e Ramana spiegò che ad ogni domanda, purchè vera e sincera del cuore, spetta la sua risposta. Quelle risposte erano le risposte a quelle domande poste da quell'anziano praticante yoga che gli spettavano secondo sua sadhana e cammino.

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cannaminor
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Re: Quaderno vedanta di agosto_rettifica

Messaggio da cannaminor » 18/08/2023, 14:53

Tutto il tema delle parole di un “maestro” rivolte a chi (come, dove, quando e perché) non può prescindere evidentemente dal chi le riceve sempre come, dove, quando e perché.

Se è pur vero, e lo condivido, che le parole di un maestro in risposta alle domande di un discepolo siano e restino, così come scritto da cielo, tra loro due, altrettanto mi verrebbe da dire che comunque e sempre le parole espresse da un maestro, sia pure in ambito generale e pubblico, quindi in teoria rivolte a tutto e tutti i presenti un discorso, un blog, un forum, un libro o articolo, etc, siano e restino sempre e comunque biunivoche tra il maestro e chi le ascolta o legge e non omniunivoche e ripetibili ad omnes per il solo fatto che noi crediamo di averle comprese e capite.

La comprensione delle parole di un maestro sono strettamente individuali e singolari di chi le ascolta, per altro individuali e singolari sia nel tempo che nello spazio; a dimostrazione le stesse identiche parole lette dallo stesso identico lettore, specie se parole di Tradizione, trovano nel tempo, da parte dello stesso lettore, diversa e auspicabilmente più ampia comprensione nel susseguirsi della letture delle stesse parole!

Quindi pur essendo le parole le stesse identiche, evidentemente non altrettanto identica è la consapevolezza di chi in quel momento le sta leggendo. Pur essendo la stessa persona fisica, non è la stessa consapevolezza che le comprende di volta in volta.

Questo per dire che in ballo tra le parole di un maestro che le pronuncia ed un discepolo che le ascolta intercorre una consapevolezza diversamente combaciante da parte di entrambi e che trova diversa sovrapposizione-intersezione nel tempo del divenire.

E poiché fine e scopo ultimo di ogni maestro (e relative parole usate) è portare la consapevolezza del discepolo a sua stessa misura e grado fino a coincidere perfettamente con quella del maestro stesso (leggasi realizzazione-illuminazione-liberazione-mukti, etc etc) ovvero all’identità-coincidenza con la Consapevolezza-maestro.

Nel più dei cammini ciò avviene gradualmente nel tempo, in alcuni rari casi ciò avviene all’istante, subitaneo e immediato, talvolta persino senza un maestro (esterno).

Quindi le parole sono dei tramiti, degli indicatori di direzione, di dove cercare e dove riconoscere e ritrovare tale consapevolezza, la stessa del maestro e delle sue parole.

In tutte le tradizioni la conoscenza additata e ricercata è quella di sé stessi; la consapevolezza di se stessi, di essere ciò che si é. Non a caso uno delle indicazioni più sovente date da Ramana era “Sii ciò che Sei”.

Le parole di un maestro rimandano sempre e comunque a se stessi, a ciò che si è, ad essere sii te stesso\a. Ma fintanto che non siamo (pienamente) consapevoli di se stessi, di chi siamo, allora quelle parole hanno un valore ed una indicazione del tutto personale e individuale in chi le ascolta e segue. E’ per questo che non andrebbero mai scambiate o rivolte ad altri le parole che sono state rivolte a noi, alla nostra persona e individualità. E quandunque fossero anche parole generali rivolte a tutti come in un libro pubblico o un discorso pubblico, la nostra lettura e comprensione le stesse sarebbe sempre e comunque personale, perché personale è la nostra consapevolezza del momento in cui vengono lette o ascoltate.

Non ci è dato usare la nostra comprensione di quelle parole per rivolgerle e abbatterle sul prossimo, specie quando ancora noi non conosciamo il nostro prossimo non avendo ancora conosciuto e realizzato noi stessi.

Il giorno in cui questa comprensione e consapevolezza di noi sarà totale e completa allora non ci sarà più un problema nell’usare le parole di alcun maestro, perché saremo maestri noi stessi e si potranno tranquillamente usare e testimoniare le “nostre” stesse parole a fronte di quella Consapevolezza che allora saremo (con la C maiuscola).

Vorrei porgere anche una nota su un termine così spesso usato ma così altrettanto spesso frainteso, ovvero testimoniare, la testimonianza.

Mi verrebbe da pensare e riflettere, ma non è scontato evidentemente, che testimoniare e testimonianza siano (ovviamente) riflessivi. Ovvero esiste una sola e vera-autentica testimonianza ed è quella di sé. Non è dato e non si può testimoniare (nel corretto e proprio uso del termine) per parole e consapevolezza altrui, da cui abbiamo attinto e copiato quelle parole altrui.

Si può solo ed unicamente testimoniare se stessi e ciò che si è, eventualmente anche ciò che non si è nel caso ancora non si sappia e si sia realizzato appieno chi si è, ma solo e nient’altro che questo; sempre e solo comunque in riferimento a se stessi ed a ciò che si è, vuoi in negazione o affermazione. (neti-neti, iti-iti ?)

Usare le parole altrui, la testimonianza altrui, senza averne parimenti consapevolezza da dove sia fluite è improprio oltre che dannoso talvolta.

C’è un passo nella Bhagavadgitā: (III, 35) il seguente:

«Meglio il proprio dharma, quantunque imperfettamente adempiuto, che il dharma degli altri, anche se perfettamente compiuto. È preferibile morire adempiendo il proprio dharma ché quello di un altro produce danno». Mi pare abbastanza eloquente, ma per chi ne interessa un commento autorevole (di Raphael) lo può trovare qui

latriplice
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Re: Quaderno vedanta di agosto_rettifica

Messaggio da latriplice » 18/08/2023, 21:01

"Si può solo ed unicamente testimoniare se stessi e ciò che si è, eventualmente anche ciò che non si è nel caso ancora non si sappia e si sia realizzato appieno chi si è, ma solo e nient’altro che questo; sempre e solo comunque in riferimento a se stessi ed a ciò che si è, vuoi in negazione o affermazione. (neti-neti, iti-iti ?)"

Si può solo ed unicamente testimoniare se stessi e ciò che si è, vero quello che dici, ciò che testimonia è quel principio (cit) consapevole di ciò che è presente nella propria sfera coscienziale, ma per quanto riguarda l'esistente (sat), quello che siamo, cosa sappiamo a riguardo?

Tutto quello che sappiamo con certezza è che sono (sat) e che so di essere (cit). Perché? Semplicemente perché non sono concetti sostenuti dall'opinione che possono essere asseriti o negati, come per esempio l'esistenza di Dio, del karma o delle vite passate. Che io sono e so di essere, che sono aspetti inscindibili dello stesso principio, non posso assolutamente negarlo, perché come ho già detto, è l'unica cosa nella nostra esperienza che non é un concetto. Pertanto sotto questa prospettiva come si pone la questione di realizzare qualcosa di assodato già in partenza e da parte di chi? Che tu sei e che sai di essere lo dai per scontato senza bisogno da chicchessia di conferme. Resta comunque aperta la domanda su cosa sei veramente. Che cos'è l'essere, l'esistente, sat. La risposta a questa domanda la troviamo a patto che ispezioniamo la nostra diretta esperienza senza deviare in concetti o opinioni basandoci solamente ed unicamente su ciò che c'è. Ebbene, cosa ci troviamo? L'esistente è la totalità vibratoria dell'Essere che si esprime e si manifesta come percepire, sentire, pensare, emozionare, ecc. Uso espressamente dei verbi per descrivere le frequenze energetiche che contraddistinguono queste particolari manifestazioni perché sostanzialmente di un Verbo si tratta.
Prendiamo il percepire per esempio, l'esperienza presente in questo momento. Soffermati solo sul puro percepire, la totalità di ciò che sta avvenendo nel momento presente e dimmi se in quel percepire tu non sei il percepire stesso in assenza di un percettore e percepito aggiunti dalla mente, perché è quello che fa, interpreta e frammenta l'esperienza in una percezione duale.
Nella triade percipiente, percepire e percepito, di reale nella tua diretta esperienza c'è solo il verbo (sat), il percepire. Gli sostantivi sono aggiunti dalla mente e la dualità che appare è la mente stessa. La stessa cosa avviene con il pensare, tanto è vero che il pensatore che si suppone sia la sorgente del pensiero e che detenga il controllo su di esso è pura vanità, un parto della mente. A manifestarsi spontaneamente come modalità vibratoria dell'esistente è il pensare, successivamente l'esperienza viene scissa in un soggetto pensatore e l'oggetto del pensiero, che sono di fatto inesistenti ma che per ignoranza di questo meccanismo vengono sostenuti. L'essenza di Maya.

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cannaminor
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Re: Quaderno vedanta di agosto_rettifica

Messaggio da cannaminor » 18/08/2023, 23:07

Vi sono termini, nel mio lessico, che negli anni hanno visto e visitato molti e mutevoli significati; parlo di termini come esperienza, come percepire, come esistere. Non sempre e non facilmente si riescono ad usare con pertinenza, alle volte su un piano coscienziale hanno un significato e su un’altro ne assumono altro. Vengo al dunque e cerco di spiegarmi. Permettimi di prendere come filo conduttore un vecchio articolo di Bodhananda, Manolayasutra che trovi riproposto in molti articoli non ultimo sul sito madre di questo forum, vedanta.it .

Il canovaccio della sequenza è questo;

1) Io sono questo e quello
2) Io sono
3) Sono

ognuna di queste frasi descrive un piano coscienziale, volendo sempre descrivere dei piani e porre delle differenze e dei distinguo.

“Io sono questo e quello” è la condizione duale per eccellenza; il mondo, il divenire, la molteplicità (quella che Plotino chiamava “Uno e i molti”). Siamo nell’esistere, nell’esistenziale, nel percepire, nell’esperire. C’è un soggetto che percepisce-esperisce-esiste in funzione dell’altro da sé, di ciò che appunto percepisce ed esperisce quale altro da sé. E’ la relazione in essere tra il soggetto e l’oggetto, relazione esistenziale, che fa appunto percepire ed esperire se stessi in funzione dell’altro da sé. Soggetto e oggetto, aham e idam, io e altro da me sono autoreferenziali ed autosussistenti. Se cade l’uno cade anche l’altro, di conseguenza, immediatamente, istantaneamente.

Quando invece l’esperienza, la percezione, l’esistere trova invece significato in se stessi, meglio di se stessi, allora siamo nell’ Io sono. L’Io sono è coscienza di sé, consapevolezza di sé, la dove il sé assume l’ultimo significato di oggetto e “altro da sé” utile. L’Io sono è la Consapevolezza di sé, che si differenzia, vedremo poi dopo, dal (semplice) Sono che invece è inteso come Consapevolezza in sé. Io sono ha ancora un significato affermativo che trova contrapposizione nella negazione dell’Io non-sono, così come l’Essere lo trova ancora ed in ultimo, in un’ultima ed estrema forma duale di negazione del non-Essere. Io sono (perché) mi contrappongo al non-sono, al non-essere. Io esisto perché mi contrappongo al non-esisto, io sono vivo perché mi contrappongo al sono morto (non-vivo), etc etc. E’ l’esistere ed esistenza dell’Essere in funzione della negazione del suo opposto, del Non-Essere. Io sono vivo inquanto non sono morto! (lapalissiano si direbbe).

Siamo ancora ed in ultimo nell’esistere di sé, nel percepire di sé, nell’esperire di sé….

L’ultimo e definitivo Sono va da sé che è inteso come il Sono in Sè, senza alcun secondo di alcun genere vuoi in negazione o affermazione cui confrontarsi. Il Sono è quello che il Vedanta chiama Uno senza secondo, mentre l’Io sono è ancora un Uno con secondo o quello che Plotino chiamava Uno-Molti da differenziarsi dall'Uno e i molti di prima e dall’Uno-Uno o Uno-Bene che è l’equivalente dell’Uno senza secondo Vedanta.

Un’altro termine che non ho menzionato prima, di quelli sempre difficili da descrivere è realizzazione e realizzare che trova equivalenti in termini di significato spirituale in illuminazione, liberazione, risveglio, etc.

Tutti termini che alludono a verbi, specie il realizzare, che nell’uso stesso implica subito mentalmente un divenire, un tempo, un’azione; un prima non ero realizzato e dopo lo sarò, tralasciando sempre l'eterno quesito del “chi” prima non lo era e dopo lo sarà…

Nella mia “esperienza” (e di nuovo mi trovo costretto ad usare un termine in modo improprio) il termine che più si avvicina a quelli di realizzare-illuminare-risvegliare-liberare-etc è quello di Identità. Nella “realizzazione” non si raggiunge né ottiene nulla di nulla di nuovo (che prima non c’era e dopo c’è di acquisito) ma semplicemente l’Identità, la Consapevolezza identitaria di ciò che si è e si è sempre stati e si sarà sempre in un’ottica in divenire. L’Essere è Identità con l’essere, dell’essere, nell’essere, identità e coincidenza perfetta. L’opera realizzativa (o gli altri verbi in uso) non è mai acquisitiva, non è persino un’opera intesa come un quid-azione in divenire, nel tempo e nello spazio, è invece centratura, coincidenza centrata, identità dell’Essere e Consapevolezza di Ciò.

Quindi quando si dice e augura “Sii ciò che Sei” o di Essere ciò che si è, non è mai inteso in divenire, da raggiungere e conseguire, ma piuttosto di EsserLo, in Esseità, in Identità, in centratura perfetta e coincidente del punto col punto. E così come l’Essere è Essere in sé, così la Consapevolezza è Consapevolezza in sé (e non di sé come precedentemente).

Testimoniare sé stessi, analogamente al realizzare e altri verbi, non è un’azione, un’agire, un divenire su questo piano duale di esperienza, esistenza e percezione; è piuttosto un Essere (ciò che si è); al limite e relativamente a questo piano in divenire in cui si manifesta, una manifestazione appunto dell’essere, un’esistere dell’essere che si manifesta appunto tramite e per la testimonianza data. La manifestazione stessa nella sua interezza è testimonianza dell’Essere, cos’altro? Manifestazione ed esteriorizzazione dell’Essere su questo piano percettivo ed esperienziale del Molteplice. Ma nella sua essenza la Testimonianza altro non è che l'Essere ciò che (si) è; è l'Essere stesso.

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Re: Quaderno vedanta di agosto_rettifica

Messaggio da latriplice » 19/08/2023, 0:15

"Quindi quando si dice e augura “Sii ciò che Sei” o di Essere ciò che si è, non è mai inteso in divenire, da raggiungere e conseguire, ma piuttosto di EsserLo, in Esseità, in Identità, in centratura perfetta e coincidente del punto col punto. E così come l’Essere è Essere in sé, così la Consapevolezza è Consapevolezza in sé (e non di sé come precedentemente)."

Questo è il punto cruciale di tutta la faccenda, l'esortazione anche se espressa in forma passiva evitando lo sforzo personale di raggiungere e di conseguire, che denota, nonostante l'EsserLo in identità con i termini da te usati, la presenza di una entità con la quale ti identifichi, che realizzi per immedesimazione ciò che è già. Il fatto stesso di concepire una contorsione mentale del genere è segno di ignoranza e ciò spiega il perché della seguente tua stessa affermazione:

"Il giorno in cui questa comprensione e consapevolezza di noi sarà totale e completa allora non ci sarà più un problema nell’usare le parole di alcun maestro, perché saremo maestri noi stessi e si potranno tranquillamente usare e testimoniare le “nostre” stesse parole a fronte di quella Consapevolezza che allora saremo (con la C maiuscola)."

L'ignoranza è equiparabile al sostantivo "io", che per il suo stesso divenire, posticipa la realizzazione di ciò che è già.

Intendiamo realizzare il brahman, il Verbo vivente (sat cit ananda), ma il solo concepire una oscenità del genere (come ho fatto io come altri per gran parte della mia esistenza) è segno di arroganza e dell'unica ignoranza possibile.

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Re: Quaderno vedanta di agosto_rettifica

Messaggio da Fedro » 19/08/2023, 7:19

latriplice ha scritto:
19/08/2023, 0:15

L'ignoranza è equiparabile al sostantivo "io", che per il suo stesso divenire, posticipa la realizzazione di ciò che è già.

Intendiamo realizzare il brahman, il Verbo vivente (sat cit ananda), ma il solo concepire una oscenità del genere (come ho fatto io come altri per gran parte della mia esistenza) è segno di arroganza e dell'unica ignoranza possibile.
Poiché non ho nulla da eccepire/aggiungere al bel dialogo (visto che, al solito, si riduce tra i "soliti noti") e benché sia nato con altre premesse/richieste ancora non raccolte, quel che mi viene da aggiungere è qualche parola sull'approccio delle nostre osservazioni.
Tra i tanti "riflessi" imparati tramite Bodhananda, vi è quello dell'approccio alla sadhana:
sì alla spietatezza verso se stessi, in modo da non lasciare alcuno spazio di alibi e giustificazione ai nostri "movimenti e maculazioni mentali" , ma nello stesso tempo, undisporsi "con dolcezza " (usava proprio questo termine) verso se stessi, ovvero in modo arrendevole e comprensivo, con amore, in altri termini, ovvero senza imporsi rigidità esteriori e che infine risultano soltanto espressioni di quello stesso io che si vorrebbe smascherare o non credere.
Quindi mi verrebbe da chiedere "chi" è che concepisce "oscenità" e "arroganza" come dici tu stesso, se dopo ci si arroga il diritto di condannarsi?
Da quel che ho visto, ancora una volta, così rinforziamo lo stesso soggetto illusorio di prima, poiché queste sono le sue modalità in atto, producendo un movimento che non spezza il cerchio illusorio.

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Re: Quaderno vedanta di agosto_rettifica

Messaggio da cannaminor » 19/08/2023, 9:44

latriplice ha scritto:
19/08/2023, 0:15
"Quindi quando si dice e augura “Sii ciò che Sei” o di Essere ciò che si è, non è mai inteso in divenire, da raggiungere e conseguire, ma piuttosto di EsserLo, in Esseità, in Identità, in centratura perfetta e coincidente del punto col punto. E così come l’Essere è Essere in sé, così la Consapevolezza è Consapevolezza in sé (e non di sé come precedentemente)."

Questo è il punto cruciale di tutta la faccenda, l'esortazione anche se espressa in forma passiva evitando lo sforzo personale di raggiungere e di conseguire, che denota, nonostante l'EsserLo in identità con i termini da te usati, la presenza di una entità con la quale ti identifichi, che realizzi per immedesimazione ciò che è già. Il fatto stesso di concepire una contorsione mentale del genere è segno di ignoranza e ciò spiega il perché della seguente tua stessa affermazione:

"Il giorno in cui questa comprensione e consapevolezza di noi sarà totale e completa allora non ci sarà più un problema nell’usare le parole di alcun maestro, perché saremo maestri noi stessi e si potranno tranquillamente usare e testimoniare le “nostre” stesse parole a fronte di quella Consapevolezza che allora saremo (con la C maiuscola)."

L'ignoranza è equiparabile al sostantivo "io", che per il suo stesso divenire, posticipa la realizzazione di ciò che è già.

Intendiamo realizzare il brahman, il Verbo vivente (sat cit ananda), ma il solo concepire una oscenità del genere (come ho fatto io come altri per gran parte della mia esistenza) è segno di arroganza e dell'unica ignoranza possibile.
Parli di “ ...evitando lo sforzo personale di raggiungere e di conseguire”; sforzo di chi? Dell’io, di chi si crede di non essere oggi “realizzato” ma che lo sarà nel futuro nel divenire a seguito dello sforzo di conseguire il Brahman?

È esattamente quando dici “L'ignoranza è equiparabile al sostantivo "io", che per il suo stesso divenire, posticipa la realizzazione di ciò che è già.”
Posticipa e demanda al futuro, al divenire, al sarà un giorno ed un tempo a venire, etc. L’io campa vive ed esiste sopratutto a motivo del divenire, del movimento, dell’azione e dell’agire di cui si fa carico, fruitore e agente. Se lo fermi, se lo “puntualizzi”, scompare, come se non fosse mai stato.

L’io non sarà mai l’Essere, Brahman, o come lo si voglia chiamare. L’io non è di fatto, l’io è solo un movimento, un’apparenza, un fenomeno, un “tizzone ardente” che rotea nel vuoto. E forma figure di cerchi e altro. Nel momento che si ferma il movimento, cessa ogni forma, ogni mondo, ogni tempo e divenire delle cose. L’Essere, Brahman è proprio quel Fermo, quel Non-movimento, quella Costante puntuale da cui può emergere (come le forme-figure del tizzone ardente) la forma ed il mondo, ma questo è solo movimento (mentale peraltro) e null’altro che questo, un movimento che ora c’è e dopo non c’è, proprio per sua stessa natura temporale di essere e non essere. Spazio e tempo sono interconnessi (e consustanziali); lo spazio crea il tempo, il tempo crea lo spazio. Se togli l’uno viene meno anche l’altro. Non avresti tempo senza spazio, non avresti spazio senza il tempo.

L’io è questo, è spazio-tempo, vive di forma e di tempo (divenire), ma di fatto non è Reale.

Reale è solo ciò che non diviene, che è costante, fermo, inalterabile, immutabile, etc etc. Se oggi è e domani non è, non è reale, ma mutevole e cangevole, quindi non reale, per cui può benissimo tornare ad essere e non essere in ogni istante che passa, come è la forma e lo spazio-tempo che fa di questa sua variazione-vibrazione il suo esistere.

Parmenide affermava: "Non si potrà mai fare che siano le cose che non sono" Ciò che non è non potrà mai Essere, aggiungo a chiosa “io”.
Nessun “io” in nessuna forma, fosse anche solo esistenziale (io sono) potrà mai Essere ciò che non è. E quando dico Essere non è inteso in verbo, in divenire, ma in identità, in Sono, attuale e non non in divenire-movimento-tempo.

La stessa frase “Io sono” non potrà mai essere-Sono senza perdere e morire a se stesso dell’Io che vuole essere questo e quello, in ultimo l’essere stesso.

Se l’Essere non diviene perché È, sempre comunque e quantunque, in qualunque verso sia passato che futuro, come fa qualsivoglia soggetto in divenire, in movimento, esistente proprio inquanto movimento e divenire quale un “io” a credere di poter divenire ciò che non è di sua stessa natura.

Il divenire, il movimento può essere fermo solo a fermarsi, ma ciò facendo rinuncia in toto alla sua stessa natura per assumerne ed esserne altra, totalmente e completamente altra dall’originale. Il divenire non potrà mai essere (in divenire) la costante-fermezza proprio perché non è la sua natura.

C’era un passo di Raphael da qualche parte nei suoi libri in cui interrogava il suo interlocutore su come ci si potesse fermare, camminando, o come ci si potesse tacere, parlando. Evidentemente è un assurdo, non puoi stare fermo e costante, muovendoti e variando (camminando era nell’esempio di Raphael), così come non puoi stare zitto ed in silenzio, continuando a parlare.

Lo stesso dicasi dell’io e del ricercatore che anela all’Essere. Non è anelando, non è desiderando, non è mettendo in campo spazio e tempo che pongono in esistenza l’io stesso che si può Essere. Non sarà mai siano le cose che non sono…

Quando dico e parlo di Identità, usando questo termine che trovo il più prossimo ad esprimere la realizzazione, non lo intendo quale fosse una “immedesimazione” che l’io porta di se stesso. No, perché allora sarebbe analogo di ogni divenire-azione-agire che fino ad ora ho contestato.

Immedesimarsi è sempre divenire, così come il verbo realizzarsi, c’è sempre un presupposto soggetto di partenza che per il tramite di quell’azione (immedesimarsi, realizzarsi, illuminarsi, etc etc) arriva e giunge ad una condizione altra e diversa da quella di partenza. No, non è questo di cui sto parlando.

L’identità non è un divenire, un’azione, un fare ma è un atto, un’attualità, una “constatazione attuale” non saprei davvero come altrimenti descriverla. Qualcosa che non è in divenire ma in atto, attuale, dell’istante, del momento, del famigerato “qui e ora”, come la si può definire?

Prendi per esempio il Presente, il “qui e ora” così tanto spesso sbandierato ai quattro venti; Si dice che il Presente non è ovviamente il divenire, non è il passato non è il futuro, ma è il “qui e ora”. Ovvero non diviene (lapalissiano…) ma è l’esatto Presente attuale, il quale però se ci si pensa è sempre, è sempre il Presente attuale, è sempre “qui e ora”, in ogni qui e ora lo si possa pensare.

Visto in quest’ottica il Presente si “dilata” all’eterno, all’eternità, ad ogni possibile passato ed ogni possibile futuro, all’infinito. È la coincidenza, per tanti assurda tra lo zero e l’infinito, tra il “punto” ed ogni possibile spazio-tempo-universo si possa venire a creare.

Quindi tornando ai termini di partenza, L’Essere è assimilabile (concettualmente) al Presente, all’Attuale, al Punto, all’identità, etc etc. Sono tutti concetti mentali, gli unici che si posso scrivere e descrivere, non ne ho altri, ma sempre per cercare di condividere un’attualità che è sempre presente, sempre è, non viene mai meno, pur nella varianza e divenire di “io-individualità” che dialogano tra di loro.

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cannaminor
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Re: Quaderno vedanta di agosto_rettifica

Messaggio da cannaminor » 19/08/2023, 10:37

Volevo aggiungere un’ulteriore riflessione a quanto già detto. C’è una frase di Nisargadatta che mi è sempre piaciuta e mi è sempre stata molto significativa del mio “cammino”. La seguente:

“ Puoi solo conoscere ciò che non sei; ciò che sei lo puoi solo essere.”

Certo, molto dipende da cosa si possa intendere per “conoscere”. Se a conoscere diamo significato di comprendere (cum-prehendere, prendere seco, abbracciare, includere, inglobare, etc) allora viene da sé che il comprendere ha luogo e significato quando rivolto ad altro da noi, a ciò che non siamo.
Io posso abbracciare (e fare “mio”) un amico, un’amica, una madre, un figlio, una colonna, un albero (!) ma sempre altro da me sono. Certo lo si può anche declinare in termini riflessivi, quello di comprendersi, ma troverebbe poco senso l’idea di abbracciare se stessi, così come quella nell’esempio vedanta di ballare sulle proprie stesse spalle, a meno di oggettivare quel “se stessi” tanto da poterlo abbracciare quale fosse un’altro da noi.

Quindi la proposizione iniziale che puoi solo conoscere ciò che non sei (leggasi altro da te) trova al mio senso mentale il suo significato.

La seconda parte per quanto esclamativa è anche risolutiva; ciò che sei, ovvero “te stesso”, lo puoi solo essere!

Ovvero non lo puoi comprendere, cum-prehendere, non lo puoi conoscere quale alterità rispetto a te stesso che va conoscendo ciò che non è, lo puoi solo essere, e aggiungo io in Identità, in Esseità, non per un atto di comprensione, immedesimazione, conoscenza, etc etc ma per un atto di identità, esseità, inseità (in sè). Così come quando parlavamo di testimonianza, la Testimonianza, il testimoniare non è un testimoniare di sè (come normalmente è e viene inteso) ma testimonianza in sè. L'Essere è in sè, non "di sè".

Aristotele sosteneva che “Conoscere è Essere” (“L'anima è tutto ciò che essa conosce” De Anima) ma qui credo che per Aristotele il conoscere avesse significato di realizzazione attuale e non (solo) di comprensione e comprendere.

Se il Conoscere ha significato Realizzativo ovvero Attuale-Identitario allora certamente è Essere, altrimenti rischia di scivolare nel divenire e nel conoscere diluito nel tempo, che allora non è più essere, ma comprensione e comprendere, il che è sempre bella cosa, ma non la stessa dell’Identità.

Vorrei finire chiarendo un’ultima cosa; non ho nulla contro il divenire, contro lo spazio-tempo, il mondo, la maya, contro il comprendere ed il cammino e\o sadhana che ciascuna individualità percorre, “io” incluso in primis. Non sto a negare il mondo, e tutto ciò che comporta e ne consegue, ne prendo solo atto al meglio che posso. Così come non vorrei si fosse interpretato quanto detto come l’ennesima sparata “neo-advaita” che nega ogni cammino, ogni sadhana, ogni anelito e\o percorso “tanto è tutto già qui, siamo già tutti l’essere, c’è solo da prenderne atto e realizzarlo”!

No, per favore non fraintendetemi. Non nego il mondo né gli individui e individualità in esso, me compreso, persino se volete in cima alla lista dei “dannati” di cui siamo tutti partecipi. Siamo stati tutti cacciati dal paradiso, a cominciare dal nostro beneamato antenato adamo ed eva, quindi bene, mal comune mezzo gaudio!

Non mi tiro fuori, sono solo riflessioni di un aspirante che a mia volta ancora vaga nel mondo credendolo per giunta vero e reale quanto se stesso che vaga. Abbiate clemenza e comprensione di questa mia ancora “ignoranza” e avidya di sé.

latriplice
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Re: Quaderno vedanta di agosto_rettifica

Messaggio da latriplice » 19/08/2023, 12:08

Volevo aggiungere un’ulteriore riflessione a quanto già detto. C’è una frase di Nisargadatta che mi è sempre piaciuta e mi è sempre stata molto significativa del mio “cammino”. La seguente:

“ Puoi solo conoscere ciò che non sei; ciò che sei lo puoi solo essere.”


Non sei il colui che pensa ed il pensiero, ma il pensare.

Non sei colui che percepisce ed il percepito, ma il percepire.

Non sei il testimone ed il testimoniato, ma il testimoniare.

Il Verbo vivente nelle sue molteplici espressioni viene apparentemente frammentato da sostantivi in una percezione duale, concetti attraverso i quali ci rappresentiamo l'esistente.

Certo che puoi conoscere (cit) ciò che sei, a patto che tu eviti la tendenza mentale di rappresentarti l'evento che stai sperimentando in attualità basandoti essenzialmente su ciò che c'è e che non è concettuale.

Ciò che sei è la totalità vibratoria dell'Essere nelle sue molteplici espressioni vitali (sat) che puoi risuonare interamente (perché lo sei) oppure a sintonizzarti con una parte distaccata dalla nota fondamentale.

La frase citata è corretta se nel riferirsi a ciò che non sei intende i sostantivi aggiunti dalla mente per rappresentarsi l'Essere, ma quest'ultimo lo conosci certamente avendolo sotto il naso tutto il tempo.

Non solo sei (sat) ma sai di essere (cit), due aspetti dello stesso principio. E scevro da alterità e contaminazioni concettuali induce ananda.

Tu sei una fiamma del Fuoco unico che tutto pervade. Sei in conflitto e vivi la solitudine dell'io perché ti consideri una fiammella distinta dalla Fonte.

Raphael


Quell'io che ha la pretesa e l'arroganza di realizzare il Brahman.

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cannaminor
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Re: Quaderno vedanta di agosto_rettifica

Messaggio da cannaminor » 19/08/2023, 14:19

latriplice ha scritto:
19/08/2023, 12:08

Non sei il colui che pensa ed il pensiero, ma il pensare.

Non sei colui che percepisce ed il percepito, ma il percepire.

Non sei il testimone ed il testimoniato, ma il testimoniare.
Queste tue parole mi ricordano uno scambio avuto con Bo, molti anni fa, su delle ML (Mailing List) così allora si chiamavano, che ti riporto per attinenza a ciò che stai dicendo.

«Il punto è un altro. Noi crediamo di essere qualcosa di ben individuato, crediamo di essere un soggetto ben preciso o che per lo meno, esista un soggetto di qualche fatta che possiamo essere.

È estremamente difficile per un aspirante o per un discepolo che la sua vera natura, o meglio tutto ciò che egli è, è proprio quella “sensazione” di essere.

Siamo così abituati a pensare o credere o sentire di essere "qualcosa" (un qualcosa di definito e individuato), che ci rifiutiamo di vivere o vedere che noi siamo proprio e solo quello stato che chiamiamo essere.

Adesso mentre scrivo, io non sono certo bo., quello è un nome che è stato dato, nè sono
il nome con cui questo ente viene indicato all'anagrafe.

Sì, certo questo corpo è stato partorito all'origine da una donna, ma "io" non sono questo
corpo che si usura, che un giorno si disgregherà, nè è mia questa mente che permette la
postulazione delle parole, nè esiste un qualche "io" che possa essere definibile.

La pratica del testimone non serve a trovare il testimone (per il semplice fatto che non esiste), ma per trovare la testimonianza.

Poi possiamo chiamarla sat-cit-ananda, atman, brahman, o tao...»

Come vedi, nella frase che ho sottolineato, sta dicendo lo stesso che stai dicendo tu più sopra, esattamente lo stesso, e non può che trovarmi concorde.
latriplice ha scritto:
Il Verbo vivente nelle sue molteplici espressioni viene apparentemente frammentato da sostantivi in una percezione duale, concetti attraverso i quali ci rappresentiamo l'esistente.

Certo che puoi conoscere (cit) ciò che sei, a patto che tu eviti la tendenza mentale di rappresentarti l'evento che stai sperimentando in attualità basandoti essenzialmente su ciò che c'è e che non è concettuale.

Ciò che sei è la totalità vibratoria dell'Essere nelle sue molteplici espressioni vitali (sat) che puoi risuonare interamente (perché lo sei) oppure a sintonizzarti con una parte distaccata dalla nota fondamentale.

La frase citata è corretta se nel riferirsi a ciò che non sei intende i sostantivi aggiunti dalla mente per rappresentarsi l'Essere, ma quest'ultimo lo conosci certamente avendolo sotto il naso tutto il tempo.

Non solo sei (sat) ma sai di essere (cit), due aspetti dello stesso principio. E scevro da alterità e contaminazioni concettuali induce ananda.
Conoscerai sicuramente quella famosa frase attribuita a Sankara “Brahma Satyam. Jagan Mithya. Jivo Brahmaiva Na Parah” ovvero...

«Il Brahman é reale (brahma satyam), il mondo ha la natura del sogno (jagan mithya); il jiva non é altro che lo stesso Brahman (jivo brahma iva naparah)»
il che fa paio (secondo me) con quell’altra altrettanto, se non più famosa, Tat Tvam Asi, “Tu sei Quello” (Il jiva non è altro che lo stesso Brahman)

Dire che il jiva non è altro che lo stesso Brahman sembra una contraddizione in termini rispetto a quanto appena detto prima, il Brahman è reale, il mondo ha la natura del sogno (dell’apparenza). Mentalmente verrebbe da dire e pensare delle due una...o è Reale o non lo è, non può essere entrambe contemporaneamente.

Hai ragione latriplice ad aver cercato a lungo la quadra di tutto, tu come tanti, come tu stesso ammetti e mi ci metto pure io tranquillamente in questa ricerca ancora non esaurita, almeno per quanto mi riguarda.

“La pratica del testimone non serve a trovare il testimone (per il semplice fatto che non esiste), ma per trovare la testimonianza.”; “Non sei il testimone ed il testimoniato, ma il testimoniare” (o la testimonianza).

Verrebbe da chiedersi, da domandarsi, ma qui sopra, su questo forum, quale delle tre trova luogo?
Il testimone, il testimoniato (soggetto, oggetto) o il testimoniare-testimonianza (la consapevolezza-coscienza-essere che vi intercorre e sottende tra i due)?

Se questa fosse una “Testimonianza” allora non ci sarebbe alcun soggetto-testimone né alcun oggetto-testimoniato; saremmo in quella condizione che la gita definisce azione senza azione, agire senza agire; l’azione sattvica, l’azione perfetta, l’azione senza soggetto agente. Saremmo nel Presente, nel (nostro) miglior presente, così come lo definiva sempre il caro Bo; il nostro presente, che è sempre il nostro “miglior” presente, non fosse altro perché non ce ne sono altri! (Uno senza secondo?)

Un abbraccio latriplice e a voi tutti...

P.S Chissà che un giorno non si riesca a pubblicare tutte o almeno molte, una selezione, di quelle mail intercorse in quegli anni su quelle ML; le più significative e\o certamente tutte o molte di quelle di Bo. Chissà....

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Re: Quaderno vedanta di agosto_rettifica

Messaggio da cielo » 20/08/2023, 10:49

Queste tue parole mi ricordano uno scambio avuto con Bo, molti anni fa, su delle ML (Mailing List) così allora si chiamavano, che ti riporto per attinenza a ciò che stai dicendo.

«Il punto è un altro. Noi crediamo di essere qualcosa di ben individuato, crediamo di essere un soggetto ben preciso o che per lo meno, esista un soggetto di qualche fatta che possiamo essere.

È estremamente difficile per un aspirante o per un discepolo che la sua vera natura, o meglio tutto ciò che egli è, è proprio quella “sensazione” di essere.

Siamo così abituati a pensare o credere o sentire di essere "qualcosa" (un qualcosa di definito e individuato), che ci rifiutiamo di vivere o vedere che noi siamo proprio e solo quello stato che chiamiamo essere.
“La pratica del testimone non serve a trovare il testimone (per il semplice fatto che non esiste), ma per trovare la testimonianza.”; “Non sei il testimone ed il testimoniato, ma il testimoniare” (o la testimonianza).

Verrebbe da chiedersi, da domandarsi, ma qui sopra, su questo forum, quale delle tre trova luogo?
Il testimone, il testimoniato (soggetto, oggetto) o il testimoniare-testimonianza (la consapevolezza-coscienza-essere che vi intercorre e sottende tra i due)?

Se questa fosse una “Testimonianza” allora non ci sarebbe alcun soggetto-testimone né alcun oggetto-testimoniato; saremmo in quella condizione che la gita definisce azione senza azione, agire senza agire; l’azione sattvica, l’azione perfetta, l’azione senza soggetto agente. Saremmo nel Presente, nel (nostro) miglior presente, così come lo definiva sempre il caro Bo; il nostro presente, che è sempre il nostro “miglior” presente, non fosse altro perché non ce ne sono altri! (Uno senza secondo?)

In pratica, per essere nella condizione della "Testimonianza" che hai descritto, l'unica azione che possiamo "scegliere" è negare la realtà delle sovrapposizioni velanti o upadhi che ricoprono quell'Essenza immutabile, l'Unità non duale di beatitudine indivisibile [sat cit ananda] che l'ente (vivo nel duale e sperimentatore dei tre piani di esistenza) può cogliere solo per identità, realizzando ciò che è (atman), da sempre e nel per sempre, visto che l'Essere può cercare la sua vera compiutezza solo nell'Essere.
Stare solo nella "sensazione di essere" senza ulteriori istanze.
Eppure: Siamo così abituati a pensare o credere o sentire di essere "qualcosa" (un qualcosa di definito e individuato), che ci rifiutiamo di vivere o vedere che noi siamo proprio e solo quello stato che chiamiamo essere.

A parole, a pensarla, la teoria vedanta si comprende e si espone, ma spesso i vetri, le finestre del nostro vaso di argilla vivente, sono ben offuscati da tende scure e pesanti, le sovrapposizioni velanti sono multiple, sembrano autogenerarsi. La vita continua ad essere anche una valle di lacrime. Non abbiamo chiare neppure le nostre priorità. Cosa vogliamo, cosa cerchiamo, cosa scegliamo?

Finchè c'è una mente che le pensa e ci crede (alla valle di lacrime e alla sua stessa oscurità) il vento ammassa le nuvole, poi a volte, lo stesso vento riesce a disperderle.

Ma ritrovarsi "esistenza omogenea come il cielo" (per dirla alla Dattatreya) non è una passeggiata nel bosco e richiede un processo di autoconoscenza che impegna l'intera vita concessa su questo piano.
Non sono questo corpo, non sono questa mente, non sono queste visioni immaginifiche, non sono le teorie che penso, le emozioni e i sentimenti. Non sono (solo) percezione. E' richiesto distacco e discriminazione, costanti, non intermittenti a seconda di come tira il vento.

Mi è rimasto impresso Raphael dove dice che:

"L'individuo ha un solo dharma, quello di ricomporsi, riscoprirsi, ritrovarsi: il suo peregrinare, il suo fare, sono compensazioni perché non essendo pensa, così operando, di essere. Ma se l'incentivo è giusto, la direzione è sbagliata.
Chi ha perso un tesoro, unica fonte di vita, potrà avere la vera pace quando riavrà quel tesoro. Soltanto allora ogni ricerca, ogni movimento, ogni ansia e ogni ideale verranno a cessare. Chi si è realizzato atman non ha più niente da realizzare, chi si è riconosciuto atman non ha più niente da conoscere, chi è in pace non si muove, non agisce e non desidera."

(Opere minori II).

Nell'ottica vedanta ci sono a monte i quattro scopi nella vita da attuare, i famosi purushartha: kama (desiderio), artha (benessere), dharma (dovere, scopo), moksha (liberazione).
Se non prevale kama per moksha, non accade niente e continueremo a parlare confusamente di cose spirituali, convinti di aver capito la procedura della realizzazione del sè. Il che non pare risolutivo.

"Il vento ammassa le nuvole e lo stesso vento le disperde; così la mente immagina la schiavitù, ma immagina anche la liberazione." (Vivekacudamani 172)

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Re: Quaderno vedanta di agosto_rettifica

Messaggio da Fedro » 20/08/2023, 11:29

cielo ha scritto:
20/08/2023, 10:49

Se non prevale kama per moksha, non accade niente e continueremo a parlare confusamente di cose spirituali, convinti di aver capito la procedura della realizzazione del sè. Il che non pare risolutivo.

"Il vento ammassa le nuvole e lo stesso vento le disperde; così la mente immagina la schiavitù, ma immagina anche la liberazione." (Vivekacudamani 172)
Se però auguro (desidero?) un accadere...sono ancora nella prospettiva della mente che immagina (la liberazione), piuttosto che fermarmi a guardare le nuvole (la mente, i pensieri)
e il loro Gioco.

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