Ti replico qui, aprendo un tread diverso dalla tua presentazione, così da non mescolare impropriamente argomenti con altri.Daniele ha scritto: ↑07/01/2020, 16:05Certo, non è una domanda banale sembra che abbia scritto effettivamente come se si trattasse di uno sport!
Intendo che ho praticato seguendo gli insegnamenti del satipatthana sutta, secondo la tradizione theravada.
Prendere coscienza così dei pensieri che passano nella propria mente, riconoscerli, vedere il loro inizio, proseguimento e fine e disidentificarsi con essi, evitando di vivere con l'autopilota ; guidati da oggetti esterni secondo le bipolarità attacco/fuga, attrazione/repulsione ma identificarli così come esperienze che di per sé non hanno un valore positivo/negativo ma solo tali sotto luce della nostra identificazione ed etichettamento.
Grazie dell'avermi risposto, innanzitutto, e grazie d'avermi subito indicato il contesto degli insegnamenti in cui pratichi la meditazione.
Ti vorrei ora chiedere qualche ulteriore approfondimento su quanto hai detto e vorrei, se possibile, una tua risposta, per la tua esperienza-consapevolezza e non per quella letta, studiata, appresa e quant'altro sia pur da nobili insegnamenti etc.
Ovvero la prima cosa che ti chiedo è quanto segue: descrivi di pensieri che passano durante la meditazione (il che già per primo mi fa pensare che la "meditazione" che pratichi si svolga in un arco temporale che tu stesso definisci) nella propria mente, e che la mediatazione (che pratichi) consista nel "riconoscerli, vedere il loro inizio, proseguimento e fine e disidentificarsi con essi"...il che mi fa per primo (ancora) pensare, che i pensieri siano contenuti in un contenitore a nome "mente", quasi come vedere delle immagini scorrere su\in un televisore.
Nella mia esperienza, che non è nè vedanta, nè altro, semplicemente la mia esperienza e per tale te la porgo in libero scambio e condivisione di "esperienze di cammino", dicevo nella mia esperienza la mente non è un contenitore-scatola che contiene i pensieri che scorrono-passano, come gli uccelli o le nuvole in cielo, ma è e coincide esattamente con ciò che pensa. Ovvero la mente è i pensieri stessi (pensati). Quindi, sempre nella mia esperienza, vedere uno, dieci o centomila pensieri scorrere è sempre e solo vedere la una e sola mente. Di più, e qui mi avvicino e mi riconosco in almeno un insegnamento, quello di Ramana, che tra tutti i pensieri possibili che puoi vedere ce ne è uno ed uno solo che è testa a tutti gli altri ed è il pensiero "io". È il primo pensiero che sorge alla veglia e l'ultimo che se ne va, tutti gli altri pensieri seguono e si rifanno a lui come pensiero capostipite, senza di lui nessun altro pensiero sarebbe. Tutto ruota e fa riferimento a lui e solo lui, "io", quello è il primo e ultimo.
Da qui ne segue che se era vero che la mente è i pensieri che pensa, a maggior ragione la mente è l'"io" stesso, capostipite di tutti i pensieri pensabili.
Quindi ancora se disidentificazione deve essere e praticata, la prima (e anche l'ultima) da cui occore prendere distacco e disidentificazione è proprio l'"io", l'io mentale, l'io-pensieri-mente, perchè di fatto è un tutt'uno. Volendo spingersi anche un po' oltre si potrebbe dire che la coscienza stessa, è coscienza dell'io, della mente, dei pensieri pensati. Coscienza è pensare, coscienza è la mente, l'io, mente ed io e pensieri intesi come avere coscienza di. Certo, volendo stare in questi termini toccherebbe allora distinguere la coscienza dalla pura coscienza, o meglio la coscienza di, dalla pura coscienza. Ma là dove la coscienza è coscienza di qualcosa, qualcuno (fosse anche di me stesso-io-mente) sarebbe appunto coscienza di, quella di cui puoi paradossalmente avere coscienza nella meditazione, perchè nel qual caso non è più la coscienza ad essere in ballo, ma la consapevolezza, e là dove la stessa meditazione cambia nome e diventa consapevolezza, consapevolezza della coscienza (esistenza-esistere), consapevolezza dei pensieri pensati-mente-io, etc. E dove, aggiungo in ultimo, la consapevolezza (la meditazione di prima) non è più uno spazio-tempo definito, ma diventa atemporale aspaziale, quindi un samadhi praticamente.
Tornando alla meditazione, sempre secondo me, (della serie per chi non l'avesse ancora capito che qui ognuno parla per sè e per nessun'altro) la prima necessità di chi si pone in meditazione è quella di calmare la mente, ossia quello che dicevi lo scorrere-passare dei pensieri, e questo sempre secondo mia esperienza lo si può solo fare centrandosi su se stessi, sul senso e "sentimento" direi di se stessi. Può venir utile l'uso di centrasi per il tramite di un seme di meditazione, il respiro, una candela, la punta del naso, qualsiasi cosa in fondo va bene basta centrare la mente lì, puntarla lì, proprio dal termine punto, e puntuale. La si focalizza in un punto-seme e lei di solito lì sta, non generando altri pensieri etc etc. In quella condizione di stasi, di fermo mentale, la centratura di sè si ottimizza, ascende, trascende, quella "coscienza di" di cui si parlava prima, si interiorizza salendo verso una condizione più pura, meno "di", più consapevole, quella consapevolezza che fa appunto essere consapevoli della mente stessa, del suo essere i pensieri che pensa (quando li pensa) e dell'identificazione di tutto ciò con il senso dell'io, perchè l'io in effetti è un senso dell'io, è un sentire, è una coscienza dell'io. In fondo è tutto coscienza (pura), quella identificata e quella non, quella di (questo e quello) e quella non, tutto qui. Il filo di ascesa è centrale, è puntuale, è quella centratura-centro-punto che si cerca appunto nella meditazione e per il tramite di cui ci si distacca e si ascende dalla identificazione terrena e piana del piano orizzontale-grossolano-io-mente.
Questa più o meno la visione-esperienza (di visione) che ne ho e per tale te la porgevo, per condivisione di visioni ed esperienze, e per vedere esplorare insieme in cosa collimano ed in cosa no, senza alcuna pretesa di nessuno di voler convincere nessuno della rispettiva veridicità.
Che poi vedi anche qui sul discorso della veridicità delle esperienze che si vivono e si hanno (realizzano); in fondo non esiste un'esperienza che sia falsa in quanto tale e per cui nemmeno vera in quanto tale. Ognuno ha un suo vissuto che coincide, si spera sempre se davvero vissuto-realizzato, con ciò che è. E ciò che si è e\o ciò che si è sperimentato-conosciuto di sè essere, non è falso come non è vero, è sempre e solo ciò che si è.
Questo per cercare di dire che la "mia" visione delle cose non potrà mai essere più vera o meno vera (falsa?) di quella di chiunque altro. È vera per me, perchè ciò che sono (che conosco di me essere) ciò è, non altro, è quell'evidenza e concidenza di essere ciò che si è. Volendo anche per la mente ciò che pensa è (vero) infatti quella è la sua verità, peccato poi che perda tanto tempo ed energie e confrontarla-scontrarla con altre, a volerne avere supremazia, certezza, convincimento e convinzione, etc etc. Ad ogni grado coscienziale corrisponde la sua verità, che è indubitabilmente vera per quel grado coscienziale vissuto. Come si usa dire "ogni cosa è al suo giusto posto", anche le verità parziali e relative.
Comunque quanto sopra era solo uno spunto, un'occasione, anche per altri, oltre che me e te (daniele), di poter intervenire (se lo ritengono) e dire, testimoniare, condividere la loro esperienza in merito.