Raphael (brano dall'introduzione della Mandukya Upanisad, Edizioni Asram Vidya, pag 18-27).
Gaudapada nelle sue karika (Mandukya Upanisad IV, 2) afferma:
«Saluto quello yoga - insegnato dalle stesse Scritture - ben conosciuto come asparsa, libero da relazioni, benefico, generatore di beatitudine per tutti gli esseri, esente da opposizioni e contraddizioni».
«Asparsa yogah - commenta il grande Samkara - è lo yoga senza sparsa: contatto o relazione con chicchessia; è proprio della natura del Brahman (nirguna). I conoscitori del Brahman lo chiamano con questo nome; in altri termini, è detto asparsa yoga quello libero da ogni relazione (causale). Esso diviene una benedizione per tutti gli esseri. Alcuni (aspetti dello) yoga, come ad esempio l'austerità (tapas), sono comunque associati alla sofferenza, per quanto si dicano produttori di felicità intensa; ma questo yoga non appartiene a simili categorie. Qual è, allora, la sua natura?
E' beatitudine per tutti gli esseri.
Possiamo dire che il godimento di un particolare tipo di oggetto può portare felicità, ma non stabile benessere (il godimento di qualunque ordine e grado è sempre duale, quindi conflittuale); questo yoga, invece, porta beatitudine e allo stesso tempo stabile benessere, poiché la sua natura è al di là dell'impermanenza. Inoltre, esso è esente da opposizioni. Perché? Perché è privo di contraddizione. A questo yoga, insegnato dalle Scritture, io porgo il mio saluto».
«Questo yoga che viene denominato "asparsa" (senza alcun contatto), è difficile da comprendere per molti yogi, perché essi, che sentono la paura (dell'annichilimento) laddove non esiste, ne hanno timore». (III, 39).
«Asparsa yogah nama: questo è conosciuto - commenta sempre Samkara - come lo yoga senza contatto o sostegno poiché non ha relazione (con qualcosa), non è, quindi, in contatto con niente. Comunque esso viene descritto nelle Upanisad. Uno yoga di questo genere è difficilmente accessibile agli yogi sprovvisti della vera conoscenza delle Upanisad. L'idea è che questa verità possa essere realizzata solo a seguito di uno slancio il cui coronamento rappresenti la consapevolezza dell'atman in quanto Realtà una (senza secondo). Gli yogi hanno paura (di tale yoga), mentre non ne dovrebbero avere; i non discriminanti temono, praticando questo yoga, l'estinzione della loro individualità, per quanto (tale yoga) sia al di là di ogni timore».
Il termine asparsa yoga sembra avere una contraddizione perché asparsa significa: non contatto, e yoga: contatto, unione di due cose. Il primo è in riferimento a ciò che è privo di relazione, il che comporta la non-dualità assoluta, la quale, per la sua natura, non può avere alcun contatto con "qualche cosa", poiché dal punto di vista dell'ultima verità non può esistere altro se non l'Assoluto nella sua unica indeterminatezza. Il secondo termine, invece, implica relazione e contatto di due dati: la creatura e il Creatore, il jiva individuale e Isvara, la coscienza individuale e quella universale, ecc.
Gaudapada, alla via che porta all'Assoluto, all'Uno-senza-secondo, al Brahman nirguna, senza alcuna eccezione, dà il nome di yoga, intendendolo nell'accezione di "metodo", modalità operativa per eliminare gli ostacoli che impediscono alla Verità di svelarsi.
«La conoscenza dell'essere illuminato, la quale è onnipervadente, non ha rapporto con alcun oggetto; così le anime non hanno rapporti con oggetti». (Mandukya Upanisad IV, 99).
Qui si mette in risalto come la Conoscenza (Brahman), che è onnipervadente e omogenea come l'etere, non ha alcun rapporto con gli oggetti i quali non sono altro che rappresentazioni mentali. Questo Brahman è non-nato, libero dalle differenze, senza secondo. Così, l'asparsa yoga imbocca la strada che conduce direttamente alla realizzazione dell'Essere trascendente assoluto. Il suo punto di vista è di ordine metafisico puro perché il suo volo si svolge al Principio non-duale, senza scendere a un pur minimo livello di dualità. Costituisce l'autentica "Filosofia dell'Essere", in quanto puro e unico Essere.
La difficoltà di cogliere l'assolutezza è grande perché non è con la mente, la quale opera nel dominio del soggetto-oggetto, che si può comprendere la non-dualità assoluta. Vani sono gli sforzi di colui che tende a porre l'Assoluto come semplice oggetto di rappresentazione mentale.
Si può dire che questo yoga, per essere veramente compreso, impone necessariamente e senza equivoci un approccio d'identità. In altri termini, essendo uno yoga senza rapporto, è, ovviamente e soprattutto, uno yoga senza sostegni. Così si esige un porsi immediato nel Sè, senza appoggiarsi né ad oggetti esterni né a qualificazioni della stessa individualità come il sentire, il volere o il conoscere empirico. Gli altri tipi di yoga richiedono necessariamente un'aspirazione, uno slancio verticale, un impulso che parta sempre dall'individualità in quanto effetto, e si diriga verso la sua trascendenza; abbisognano, quindi, del desiderio.
Nel sentiero metafisico puro non è più il desiderio a determinare, ma è la consapevolezza stessa di "trovarsi", di Essere. Il discepolo non è spinto, è trattenuto; si può dire, necessitato non all'acquisizione di qualcosa di inferiore o superiore, ma alla risoluzione di ogni istanza mayahica, compresa quella dell'Unione comunemente intesa.
Il discepolo dell'asparsa yoga s'interiorizza e comprende l'Assoluto, che si dispiega in tutta la sua maestà, nel segreto alveolo del proprio cuore. Al di là di ogni idea, concetto, ideale, idolo, fenomeno, c'è Quello, che è la Totalità, non soggetto o dipendente da alcun concetto o cambiamento.
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