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La natura del Gioco

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viviana
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La natura del Gioco

Messaggio da viviana » 11/07/2019, 20:43

Avete presente il discorso del pulire lo specchio, beh, io in qs periodo non solo non voglio pulirlo ma ci butto sopra manate di fango:

v o l o n t a r i a m e n t e,

ho ceduto alle tentazioni,

Vi ricordate le sibilanti, sinuose tentazioni di cui vi raccontavo a proposito di quanto esperito nell’ultimo ritiro meditativo?
Beh, ora ne sono pervasa, sì perchè è un attimo:
si cede un pochino e la breccia, nel tempo, subdolamente, quasi silenziosamente, ti pervade, stabilizzandosi e talvolta, nel peggiore dei casi, radicandosi.

E pur riconoscendo e comprendendo la natura del Gioco,
quel Gioco così sottile e perverso, quel Gioco che la maggior parte degli esseri ignora e/o non comprende,
ho deciso di aderirvi volontariamente e nonostante qs stessa decisione mi disgusti, purtroppo, non mi vergogno a dirlo, talvolta me ne compiaccio persino
e paradossalmente, pur essendone consapevole, pur sapendo che è un errore, mi ostino a non cambiare rotta stabilmente, non ancora.

Non fraintendetemi, non è che vi aderisca sempre e ciecamente, scelgo quando farlo,
è che capita troppo spesso ultimamente,
e decidendo di lasciarmi pervadere da questa montante onda di frustrazione, odio ed ottusa ignoranza non faccio che rispondere a vibrazioni bassamente tamasiche con altrettanti vibrazioni bassamente tamasiche nutrendole, moltiplicandole, attirandole a me per assonanza
e la mia putrida mente (o meglio ciò che in lei c’è di putrido) si sfrega le mani compiaciuta:

Accresco la mia ignoranza? E chissene.
Accresco la mia sofferenza? Ecchisene.
Accresco la sofferenza degli altri? Beh, no, fortunatamente qs no, qs, per me, è il limite.

E, badate bene, non sto parlando della sofferenza meramente egoica, di quella mi preoccupo poco, e talvolta, ottusamente, mi compiaccio nel provocarla (eh già...)
parlo di quella sofferenza che nasce dall’incapacità di difendersi, di quella fragilità che nasce dal “bisogno primario non accolto”, dalla violenza fatta a chi non è in grado di difendersi, parlo del male gratuito (che equivale anche al non fare il bene) vs chi è più debole, verso chi è in condizione di estremo bisogno.

Ed è in casi come qs, quando sto per agire con violenza da carnefice verso i carnefici, che riesco volontariamente a fermarmi e a fare un passo indietro, ma non è abbastanza,
alla prima grande mareggiata ripiombo nell’oscurità facendomi sbatacchiare dalle onde, permettendo a qs violente forze roboanti di pervadermi e di reagire con violenza vs chi è violento, vs chi mente sapendo di mentire per trarne vantaggio, vs chi diffonde odio, ignoranza e maldicenza.
Intendiamoci: non ho fatto fisicamente male a nessuno ma talvolta la voglia non manca.

L'altro giorno sono saltata letteramente dalla sedia perchè ho scambiato un poveraccio che parlava al cellulare per un noto politico onnipresente in tv.

eh già, non son messa bene.

E così, paradossalmente, proprio cio’ che in me fa scattare la reazione più bassa e violenta è ciò che la ferma.

Così come scatto reagendo di fronte ad un sopruso, così mi blocco dispiaciuta quando mi rendo conto che il sopruso sono io a volerlo agire
e proprio grazie a qs ho l’opportunità di rettificare ciò che ho quasi agito, cercando di porvi rimedio,
giacchè non è dalla sola azione che scaturisce il male ma anche dall'intenzione, speciie quando qs è violenta e piena di forza.

E grazie a qs ripetersi di visioni di orrori su orrori, in qs periodo ho accolto il fatto che è proprio perchè mi riconosco in qs (orrori) che reagisco così violentemente, il punto è che:

è difficile accettare l’orrore che si cela(va) in me.

Riconoscersi carnefici è sempre destabilizzante, essere sul punto di agire da carnefici è sconvolgente ma comprendere che anche qs violente pulsioni sono presenti in noi, cercare ed infine essere in grado di osservarle equanimamente può aiutarci ad accettare ciò che ci pervade e che è possibile risolvere.
Io non ho ricevuto qs Grazia che saltuariamente ma mi auguro che un giorno anche qs preghiera venga accolta stabilmente, nel frattempo cerco di preparare il terreno prestando fede alla Misericordia Divina.

E cmq sono fortunata, ho la grazia di poter vivere qs periodo con una donna salda nella sua educazione di non violenza e qs suo essere così salda talvolta mi riporta a riva, permettendomi di prendere una boccata d’aria pulita, permettendomi di ricordare che il cielo puo’ ancora essere profondamente blu e che il perdurare nell’errore aggiunge solo sofferenza alla sofferenza,
che non c’è possibile sollievo nello sfogo delle proprie basse pulsioni tamasiche/rajasiche ma solo errore, autoesaltazione dell’io e mero (in)soddisfacimento narcisistico oltre che immensa sofferenza.

Questi sono tempi diffcilissimi, abbiamo sempre più bisogno di essere vicini a chi ha scelto di non partecipare a qs Gioco proprio perchè ne riconosce costantemente la natura.
Abbiamo bisogno della vicinanza di qualcuno che vibrando ad "un'altra frequenza” ci ricordi qual’è la natura del Gioco e come sottrarvicisi semplicemendo agendo per il Bene, agendo con amore e gentilezza, ricambiando il male con il Bene.

E’ in tempi come qs che la vicinanza del sangha è fondamentale, è in tempi come questi che è così importante ricordarsi vicendevolmente cosa è vero da cosa non lo è,
come non aderire a cosa in realtà non ci appartiene,
è in tempi come qs che la voce di un amico stabilizzatosi nel cammino può fare la differenza mostrandoci la direzione da seguire e aiutandoci a ritrovare la forza e la fede per rimetterci in sella.

Io non so come si possa stabilizzare tutto qs senza avere uno spazio (anche temporale) in cui potersi ritirare, per quanto mi riguarda trovare rifugio in me stessa nel Silenzio è l’unico modo che conosco per coltivare un po’ di stabilità tale da potervi temporaneamente risiedere anche in qs maremoto di correnti tamasiche e rajasiche che ci circondano.

Certo se il mio cuore fosse più forte e la mia mente meno impura sarei in grado di accogliere ogni cosa gentilmente, con amore ma purtroppo non è così, spesso mi oppongo con ferocia,
è anche per qs che non ho più scritto nel forum, mi trovo a reagire impazientemente e di certo sono poco accogliente, cerco gratificazioni a breve raggio e talvolta mi oppongo con forza anche quando potrei evitare di farlo.

Ma poi pensi che magari anche altri si trovano ad annaspare nelle stesse marose acque e talvoolta il sapere di non essere i soli a può esser d'aiuto e quindi vi scrivo e per il momento, mi limito al cercare di aggrapparmi a tutto ciò che mi ricorda la natura di qs Gioco il più spesso possibile,
non a caso canticchio spesso la bellissima Sympathy for the devil dei Rolling Stones di cui vi allego il link.


https://www.youtube.com/watch?v=XoeblKHWdkA


Ogni bene a tutti noi, amorevolmente gentili.

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Fedro
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Re: La natura del Gioco

Messaggio da Fedro » 12/07/2019, 10:33

Buondì Viviana
cominciando dai Rolling Stones (ho un debole per la musica) mi verrebbe innanzitutto da dire:
e che male c'è ad avere simpatia per il diavolo? :)
Lo stesso che avere simpatia per il paradiso della perfezione. 8-)
Sono punti che la nostra mente proietta installandovi il nostro ideale di perfezione o perdizione che sia.
La realtà è però un'altra: dove, se non nell'immaginazione esiste il paradiso o l'inferno?
Quindi, non trovo nulla di male nel visitare questi luoghi di bellezza o orrore che siano:
l'importante è non arrivare a compiacersene o costruirne ideali di bellezza (come forse fa Mick Jagger) o ritenerli veri e assoluti:
sono solo luoghi della nostra mente.
Luoghi in cui poter parcheggiare, non essendo ancora capaci di liberarcene, le nostre aspirazioni o paure.
Quindi se, man mano, impariamo a non sentirci prede delle nostre attrazioni (o repulsioni)
ovvero senza bisogno di resistervi (sicché rispunteranno da un'altra parte perchè non li abbiamo ben visitati e conosciuti...)
e senza giudicarci:
bene, se siamo stato abbastanza "spirituali" ovvero se abbiamo ben seguito le regole che ci siamo imposti...
o male, se invece abbiamo ceduto alle cosiddette tentazioni o peccati (che brutto termine di retaggio giudaico..)
e che ci fan ricadere in terribili sensi di colpa per il "fallimento", o per il male ipoteticamente compiuto, allontanandoci dall'ideale prefissato,
qualche passo lo vedremo, senza aspettarcelo.
Non sto dicendo di diventare troppo indulgenti verso se stessi (altrimenti si ricade nell'autogiustificazione) ma di cercare di fare spazio all'amorevolezza di sè, quindi cercando di osservare ad una certa distanza che non ci coinvolga tanto, o quantomeno: quando riemergiamo da quel momento, cercare di osservare quel che resta di ciò abbiamo attraversato, anche fosse una tempesta, stretti all'albero maestro:
se non ci riusciamo, osserveremo questo.
Daltronde va sempre tutto bene, è sempre il nostro miglior presente, quel che viviamo (come diceva PD) ovvero l'unico che può consentirci di evolverci se siamo presenti ad esso...
e non c'è alcuna gara da vincere, solo cercare di aprire poco a poco gli occhi alla realtà.
Ciao :)

viviana
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Re: La natura del Gioco

Messaggio da viviana » 12/07/2019, 18:13

Buondì Fedro,
mi sono espressa male, sono assolutamente d’accordo con te:


“Non sto dicendo di diventare troppo indulgenti verso se stessi (altrimenti si ricade nell'autogiustificazione) ma di cercare di fare spazio all'amorevolezza di sè, quindi cercando di osservare ad una certa distanza che non ci coinvolga tanto, o quantomeno: quando riemergiamo da quel momento, cercare di osservare quel che resta di ciò abbiamo attraversato, anche fosse una tempesta, stretti all'albero maestro:
se non ci riusciamo, osserveremo questo.
Daltronde va sempre tutto bene, è sempre il nostro miglior presente, quel che viviamo (come diceva PD) ovvero l'unico che può consentirci di evolverci se siamo presenti ad esso...
e non c'è alcuna gara da vincere, solo cercare di aprire poco a poco gli occhi alla realtà.”


verissimo,

"è sempre il nostro miglior presente"


come esprimerlo meglio?


Ed iniziando dai Rolling Stones (grandissimi) ti dirò che io non ho mai inteso Sympathy for the devil in quel senso.
Secondo me esprime il messaggio opposto:

bisogna essere gentili vs “il male” altrimenti cadremo nel suo gioco, bisogna esserne consapevoli, bisogna accettare e comprendere la sua natura riconoscendola per quello che è: una forza.
Cio’ non vuol dire aderirvi ma riconoscerne il volto non permettendogli di influenzarci, di pervederci.

E’ una forza che si trova anche dentro di noi e non possiamo non arrivare un giorno a riconoscerla ed accettarla fino a comprenderla e risolverla,
"nulla ci è estraneo..."

Ed e’ proprio quella amorevolezza di cui scrivevi la propensione con cui dovremmo accogliere il male.

Secondo me Sympathy for the devil esprime con gran chiarezza (oltre che con arte) qual’è la natura del Gioco,
quali siano i campi in cui si gioca la partita: l’adesione vs forze più basse e tamasiche o vs forze più sottili.
E' Lucifero stesso a spiegarcelo nella canzone,
egli ci spiega la sua natura, ci mostra i suoi volti e quale sia l'unico modo per rispondervi
ma noi siamo per lo più perplessi e sconcertati dalla natura del gioco, non la comprendiamo
e così non crediamo alle verità che il male ci mostra e rispondiamo alle sue efferatezze reagendo ottusamente.
Molto spesso (soprattutto di qs tempi) non consideriamo che anche non fare il bene è male, e qui, secondo me non si tratta di inutili sensi di colpa (di cui fortunatamente non son più vittima da alcuni decenni) ma di essere consapevoli che

se riconoscendo il male non agiamo per contenerlo (essendo in grado di farlo)
contribuiremo alla sua crescita
e qs vuol dire accrescere l’errore, contribuire a radicare la sofferenza.

La peggior cosa che ho fatto in vita mia è stata non fare del bene quando potevo, ancora ne soffro, soffro perchè non ho ancora accettato la sofferenza che ho causato attreaverso quella mancanza e l’insulsa abiezione a cui adesso so di essere in grado di aderire in determinate condizioni.
Non mi sento in colpa, semplicemente non accetto ancora la "mia abiezione".
Una volta non capivo come fosse possibile uccidere, torturare... ora ne sono consapevole, sono consapevole che ci si possa compiacere nel farlo, che si possa provare piacere, ora so che in ognuno di noi si cela un mostro e che se non saremo in grado di riconoscerlo, accoglierlo e comprenderlo con amorevole gentilezza ed equanimità saremo, volenti o nolenti, in parte guidati dalla sua prorompente, feroce forza quando le opportune condizioni si presenteranno.
E so che quando qs mostro che è in noi si presenta con il volto dell’altro è difficile non cadere nel Gioco reagendo all’odio con odio e alla violenza con violenza ma è proprio qui che se mi viene in mente di canticchiare Sympathy for the devil cambio frequenza e abbandonando la reazione talvolta mi si stampa persino in faccia un bel sorriso.

E visto che anche a te piace la musica ti saluto con la mia canzone preferita di Battiato:
Lode all’Inviolato,
anche qs bellissima e dal testo così “profondo e semplice” da incantarmi ogni volta che l’ascolto.

https://www.youtube.com/watch?v=dJ7bNI0K3Wk

latriplice
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Re: La natura del Gioco

Messaggio da latriplice » 13/07/2019, 12:27

Così come scatto reagendo di fronte ad un sopruso, così mi blocco dispiaciuta quando mi rendo conto che il sopruso sono io a volerlo agire.

Interessante osservazione, quella della reazione dell'apparato psicofisico spontanea e naturale in presenza di una situazione contingente. L'unica nota dolente che trasforma il nirvana nel samsara, è quel "sono io", quell'abitudine radicata a porsi al centro dell'universo e convinzione di essere artefice del proprio destino in cui non c'è posto per Dio.

L'umiltà fatta persona, che quando conviene non è degna della presenza dei realizzati.

cielo
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Re: La natura del Gioco

Messaggio da cielo » 14/07/2019, 8:10

latriplice ha scritto:
13/07/2019, 12:27
Così come scatto reagendo di fronte ad un sopruso, così mi blocco dispiaciuta quando mi rendo conto che il sopruso sono io a volerlo agire.

Interessante osservazione, quella della reazione dell'apparato psicofisico spontanea e naturale in presenza di una situazione contingente. L'unica nota dolente che trasforma il nirvana nel samsara, è quel "sono io", quell'abitudine radicata a porsi al centro dell'universo e convinzione di essere artefice del proprio destino in cui non c'è posto per Dio.

L'umiltà fatta persona, che quando conviene non è degna della presenza dei realizzati.
Non ho capito la tua ultima frase.

Per il resto, vivere stabilmente in ua posizione di ahimsa (non violenza) presuppone ua capacità di distacco dalle percezioni e la comprensione profonda dell'interdipendenza di tutte le forze e le potenzialità in gioco, che impulsano il mondo oggettivo di cui diventiamo parte attiva o passiva nel corso del flusso della vita che difficilmente va nelle direzioni visualizzate e auspicate.

Le qualità che vediamo repellenti, una volta integrate tramite la costante auto-osservazione, svaniranno così come svanisce ogni differenziazione e proiezione di aspettative di "miglioramento", secondo il nostro punto di vista soggettivo.

Chi ha realizzato (praticandola) l'unità della Vita, o sta aspirando a quella meta ultima, non può non astenersi spontaneamente dal nuocere a tutti gli altri esseri viventi, pur tra mille difficoltà e scivolate e nella consapevolezza dei passi mancati in quella direzione.

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Fedro
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Re: La natura del Gioco

Messaggio da Fedro » 14/07/2019, 11:42

cielo ha scritto:
14/07/2019, 8:10
Le qualità che vediamo repellenti, una volta integrate tramite la costante auto-osservazione, svaniranno così come svanisce ogni differenziazione e proiezione di aspettative di "miglioramento", secondo il nostro punto di vista soggettivo
Non capisco il senso di proiettare una dimensione che non c'è, credendo che debba arrivare, e nel frattempo vivere nel pensiero di miglioramento o di ciò che dovrebbe essere, senza osservarne l'illusione e quindi non porre invece la focalizzazione su ciò che c'è, come unica realtà che ci concerne.

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Re: La natura del Gioco

Messaggio da viviana » 14/07/2019, 20:57

Sinceramente inizio a pensare che sia improbabile riuscire ad andare oltre lo stesso identico punto che pare aver assunto le caratteristiche di un loop..

Riproviamoci in un altro modo:

ognuno di noi abita un corpo, se finiamo in una latrina a cielo aperto, se ci buttano addosso un pentolone zuppo di olio usato per friggere le cozze, la sporcizia aderisce a noi vero? Profumiamo forse di violetta e di lillà? Non credo.
Noi magari la sporcizia non la vediamo tutta, magari abbiamo il naso tappato e non ne sentiamo l’odore, magari non abbiamo idea di quale sia la misera condizione in cui versiamo e le misere percezioni (e di conseguenza reazioni) che potremmo indurre nel prossimo, o magari non ci siamo mai lavati e siamo talmente abituati alla zozzura e al cattivo odore da non renderci neanche conto che siamo così sporchi e maleodoranti e così non ci preoccupiamo della ns malsana condizione, non ce ne occupiamo e magari ci arrabbiamo o ci sentiamo feriti ed insultati se qlc ce lo fa notare o se qlc si allontana al nostro arrivo.

Beh, una persona in grado di riconoscere cosa sia malsano da cosa non lo sia, se accadesse una qualunque di qs cose, la prima cosa che farebbe sarebbe farsi un bel bagno, magari anche due, darsi una bella ripulita sfregando ben bene tutta la zozzura che è penetrata negli orifizi e grattando attentamente tutta la superficie del corpo.
E il lavarsi, anche al di fuori di qs incidenti eccezionali, sarebbe cosa ordinaria, perchè se ci si lava ci si sente meglio e si arreca anche meno disturbo agli altri.

Beh, la stessa cosa è per la mente.

Lo sporco è forse illusione? Ambiamo a trasformarci in qualcos’altro o in qualcuno altro sgrossandoci di dosso ciò che in realtà non ci appartiene? Lavandoci, ripulendoci da ciò che è aderito e penetrato nel nostro corpo diventeremo i re del mondo? La gente spargerà petali di rose al nostro passaggio? Acquisiremo dei superpoteri? Ogni passante si inchinerà a noi dicendoci: ma come sei pulito, risplendi di luce propria, d’ora in avanti ti adorerò o mio maestro!?
No, ovviamente, ci saremo semplicemente ripuliti, rimanendo pur sempre “noi” ma, magari, non puzzeremo più così tanto, vivremo in una condizione di maggior benessere e riusciremo a vedere il colore della nostra pelle per quello che è.

Allontanarci un pochino da quell’autorefenzialità cui così spesso noi tutti aderiamo, quell’autorefenzialità che ci porta a proiettare i nostri errori, le ns illusioni, le ns pulsioni di avversione e bramosia, la ns interpretazione del mondo su tutto ciò con cui entriamo in contatto, serve a “far spazio nel cuore”;
lo spazio necessario all’ascolto e alla comprensione, serve ad aiutarci a risiedere nel silenzio e nella calma, ci permette di fare un passo indietro e osservare quanto accade in noi senza regire immediatamente facendoci impulsivamente guidare dalle ns pulsioni.

La “normale osservazione” non è retta osservazione perchè condizionata da bramosia, avversione ed illusione, è “osservazione compulsiva”, finchè siamo coinvolti nella reazione delle ns identificazioni, finchè aderiamo ai nostri condizionamenti non siamo in grado di “osservare rettamente”.
Il favorire l’emersione dell’equanimità, della non reazione, è funzionale all’osservazione e l’autosservazione è funzionale al favorire dell’emersione dell’equanimità è un circolo virtuoso, ne abbiamo già lungamente scritto.

Quando riusciamo a “creare spazio non aderendo ai condizionamenti scaturiti dal contatto con gli oggetti del mondo” riusciamo, seppur per un attimo a rallentare il tempo di reazione, introvertendo l’attenzione, creando lo spazio atto all’autosservazione comprendiamo che possiamo agire anzichè reagire e che in qs modo creiamo e subiamo meno sofferenza, non aderiamo immediatamente alla mera reazione e cecità del giudizio, cui ognuno di noi tende per natura, per ignoranza.

La pratica incentrata all’autosservazione è motivata dal tentativo di cercare di rettificare l’errore, di Conoscersi per estinguere la sofferenza, la finalità è stare bene
NON essere il migliore, essere il re del mondo.
A qs punto mi sorge il dubbio che forse il voler a tutti i costi identificare lo sforzo nella pratica dell’autosservazione con l’anelito all’adorazione da parte del prossimo, o dell’autoesaltazione, possa rispecchiare la visione di un infantile narcisistico bisogno che forse nasce da una profonda ferita e o dal non aver mai praticato la retta autosservazione e così, non comprendendola, la si identifica con una distorta proiezione della pratica, una, magari profondamente celata, bramosia o avversione.

E anche qui per retto non s’intende migliore, per retta s'intende priva di giudizio e pregiudizio, essa risiede nella non reazione, nella capacità di attenzione e concentrazione, dimora proprio in quell’essere centrati perchè risiedendo stabilmente nel Silenzio ci viene offerta comprensione e pace e gentile amorevolezza, ci viene donato lo spazio sufficiente a darci un'opportunità, l'opportunità a non aderire ai condizionamenti.

Sappiamo che qs pratica dovrebbe divenire il nostro modus operandi ma quanti di noi sono in grado di rendersi conto di tutti i condizionamenti che ci vivono quotidianamente? Quanti di noi riescono ad essere presenti in ogni attimo irradiando amore, accogliemento, comprensione e saggezza nonostante le feroci forze che ci spingono nella direzione diametralmente opposta? Quanti di noi riescono a riconoscere e a non aderire quotidianamente a qs basse ed ottuse forze che pervadendoci ci rendendono così ottusi da essere incapaci di discernere ciò che è vero da ciò che non lo è spingendoci vs la mera e cieca reazione?

Io non sono sicuramente fra questi pochissimi beati saggi e quindi cerco di praticare e oltretutto non mi basta farlo “a sprazzi” nel quotidiano, non sono saldamente centrata in me, tendo a perdermi nella reazione, non riconosco sempre l’emersione dei condizionamenti, non ho ancora fatto amicizia con tutti i miei demoni e non credo neanche di averli incontrati tutti.
Per me è fondamentale avere periodicamente degli spazi di assoluto silenzio e calma che possano accogliere la neccessità di autosservarmi senza interruzione, periodi prolungati dedicati unicamente alla mera autosservazione, periodi che mi permattono di praticare con costanza e senza disturbi e che, grazie a qs favoriscano il terreno atto all’emersione di un po’ di santa equanimità.

Per quanto riguarda il discorso su Dio e l’autoesaltazione invece non ti rispondo neanche perchè è evidente che tu non sia interessato a leggere nè tantomeno a comprendere ciò che ho scritto.

Sul confabulare di umiltà e i realizzati invece buio assoluto, non ci provo neanche..

latriplice
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Re: La natura del Gioco

Messaggio da latriplice » 16/07/2019, 1:28

"Sinceramente inizio a pensare che sia improbabile riuscire ad andare oltre lo stesso identico punto che pare aver assunto le caratteristiche di un loop.."
Esattamente, il girarci intorno senza approdare ad una soluzione risolutiva perché identificati allo stesso identico punto come proprio centro autoreferenziale che mi sembra tu non abbia mai messo in discussione, la persona che credi di essere.

Libera di raccontartela e crederci.

A tal proposito, il Vedanta, la materia di cui si occupa questo forum è chiarissimo: non puoi migliorare l'individuo ne sbarazzarti delle sue tendenze perché non sono reali e non sono il problema. L'identificazione con l'individuo e le sue tendenze è il problema. Non è possibile ne necessario sbarazzarsi dell'individuo e delle sue tendenze. Può soltanto essere compreso che non è il Sé attraverso la rimozione dell'ignoranza data dall'auto-conoscenza, che in quanto Sé, si è già liberi.

Conseguentemente con la rimozione dell'ignoranza, l'individuo privato dal senso di essere l'artefice dell'azione smette di essere al centro dell'universo e le tendenze non più alimentate da codesta ignoranza perdono forza e non sono pertanto vincolanti.

Cosa diversa se si parte dal presupposto di essere l'individuo ed in quanto tale si intende raggiungere la purezza del Sé. Il girarci intorno è la naturale conseguenza di questa ignoranza.

L’auto-indagine non è una esperienza, è l’applicazione della conoscenza discriminante e ovviamente il suo successo dipende dalle qualificazioni presenti. L’auto-indagine ti rivela che la consapevolezza è la tua vera natura e che tutte le esperienze (oggetti) sorgono da te e appaiono in te (incluso l'individuo e la storia che si racconta e prende per vera), ma tu in quanto Sé-consapevolezza sei libera dagli oggetti. Gli oggetti sono te, ma tu non sei gli oggetti. Tenendo questa conoscenza in mente e costantemente contemplandola è auto-indagine.

Il Vedanta stabilisce che moksa (liberazione) è viveka, che significa discriminazione basata sulla conoscenza. Essa insegna che soltanto l’auto-conoscenza, non l’esperienza, è capace di rimuovere l’ignoranza. Quando possiedi l’auto-conoscenza non c’è più bisogno di meditazione, esperienze spirituali o stati elevati d’essere, perché come il Sé tu sei oltre ogni stato mentale, tu sei la meditazione. Non hai bisogno di rincorrere l’esperienza della consapevolezza perché sai che stai soltanto sperimentando da sempre la consapevolezza, non importa cosa succede o non succede nella mente.

E soprattutto non hai bisogno di ostentare la classica umiltà dell'ultima arrivata, quando nel raccontarti ti sei posta al centro dell'universo, perdendo di vista il vero Artefice.

Discriminazione
Che cos’è la discriminazione (viveka)? È la comprensione che solo il Sé è eterno ed immutabile. Pertanto, solo il Sé è reale. Tutto il resto, il non sé, è irreale. Distinguere tra il reale, il Sé, e l’irreale, il non sé, è discriminazione.
Tattva Bodha

latriplice
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Re: La natura del Gioco

Messaggio da latriplice » 16/07/2019, 5:17

P.S.

Chissà perché ho la sensazione di aver perso tempo, pertanto non tenete conto del post precedente, cestinatelo pure e non degnatevi di replicare. Sarebbe una perdita di tempo anche per voi.

Grazie.

cielo
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Re: La natura del Gioco

Messaggio da cielo » 16/07/2019, 9:04

latriplice ha scritto:
16/07/2019, 5:17
P.S.

Chissà perché ho la sensazione di aver perso tempo, pertanto non tenete conto del post precedente, cestinatelo pure e non degnatevi di replicare. Sarebbe una perdita di tempo anche per voi.

Grazie.
Perchè cestinare? E' una sintesi encomiabile del percorso-non percorso, quello verso la stabilizzazione piena e costante dell'interdeterminazione dell'io sperimentatore, che muta inevitabilmente col movimento del divenire (maya), quindi non c'è, inutile cercarlo e volerlo afferrare, anche se viene costruito e mantenuto come personaggio dei film, utile nei vari scenari del dharma dove è opportuno estrinsecare la propria vera natura e compiere il proprio dovere, testimoniando al meglio delle proprie capacità e potenze.

C'è solo un passaggio che non mi torna dove dici:

Il Vedanta stabilisce che moksa (liberazione) è viveka, che significa discriminazione basata sulla conoscenza. Essa insegna che soltanto l’auto-conoscenza, non l’esperienza, è capace di rimuovere l’ignoranza. Quando possiedi l’auto-conoscenza non c’è più bisogno di meditazione, esperienze spirituali o stati elevati d’essere, perché come il Sé tu sei oltre ogni stato mentale, tu sei la meditazione. Non hai bisogno di rincorrere l’esperienza della consapevolezza perché sai che stai soltanto sperimentando da sempre la consapevolezza, non importa cosa succede o non succede nella mente.

Perchè è proprio attraverso la discriminazione nell'esperienza e scaturita da essa che si comprende la necessità di calarsi nel flusso della vita, mantenendo la concentrazione "sull'unico punto" e consapevoli della tendenza a ritenersi responsabili dell'azione.
Non lo siamo per quello che riguarda l'orientamento degli eventi, ma lo siamo nella qualità della vita che ci cuciamo attorno, alcuni emanano un ritmo armonioso e luminoso, altri paiono immersi ancora nell'oscurità e stretti nel bozzolo delle proprie idee. Ognuno ha la sua "stoffa", togliere filo dopo filo è l'applicazione del neti-neti ad ogni istante. Ognuno lo fa come può. E' la trasparenza della stoffa e la sua lucentezza che conta.

Qui invece sei andato sul "personale", comprensibile visto che lo hai spesso subito a tua volta ("l'attacco" personale, spesso ideologico), ma per favore evitiamolo. Ogni pera sull'albero ha il suo punto di maturazione, inoltre le pere vengono gradite a volte acerbe, oppure mature e quasi sfatte.

E soprattutto non hai bisogno di ostentare la classica umiltà dell'ultima arrivata, quando nel raccontarti ti sei posta al centro dell'universo, perdendo di vista il vero Artefice.

Inchiniamoci, fronte sulla terra, al vero Artefice: non io, non tu, non noi, non voi, non loro...Chi?
Sat cit ananda.

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Re: La natura del Gioco

Messaggio da Fedro » 16/07/2019, 10:02

cielo ha scritto:
16/07/2019, 9:04
latriplice ha scritto:
16/07/2019, 5:17
P.S.

Chissà perché ho la sensazione di aver perso tempo, pertanto non tenete conto del post precedente, cestinatelo pure e non degnatevi di replicare. Sarebbe una perdita di tempo anche per voi.

Grazie.
Perchè cestinare? E' una sintesi encomiabile del percorso-non percorso, quello verso la stabilizzazione piena e costante dell'interdeterminazione dell'io sperimentatore, che muta inevitabilmente col movimento del divenire (maya), quindi non c'è, inutile cercarlo e volerlo afferrare, anche se viene costruito e mantenuto come personaggio dei film, utile nei vari scenari del dharma dove è opportuno estrinsecare la propria vera natura e compiere il proprio dovere, testimoniando al meglio delle proprie capacità e potenze.

C'è solo un passaggio che non mi torna dove dici:

Il Vedanta stabilisce che moksa (liberazione) è viveka, che significa discriminazione basata sulla conoscenza. Essa insegna che soltanto l’auto-conoscenza, non l’esperienza, è capace di rimuovere l’ignoranza. Quando possiedi l’auto-conoscenza non c’è più bisogno di meditazione, esperienze spirituali o stati elevati d’essere, perché come il Sé tu sei oltre ogni stato mentale, tu sei la meditazione. Non hai bisogno di rincorrere l’esperienza della consapevolezza perché sai che stai soltanto sperimentando da sempre la consapevolezza, non importa cosa succede o non succede nella mente.

Perchè è proprio attraverso la discriminazione nell'esperienza e scaturita da essa che si comprende la necessità di calarsi nel flusso della vita, mantenendo la concentrazione "sull'unico punto" e consapevoli della tendenza a ritenersi responsabili dell'azione.
Non lo siamo per quello che riguarda l'orientamento degli eventi, ma lo siamo nella qualità della vita che ci cuciamo attorno, alcuni emanano un ritmo armonioso e luminoso, altri paiono immersi ancora nell'oscurità e stretti nel bozzolo delle proprie idee. Ognuno ha la sua "stoffa", togliere filo dopo filo è l'applicazione del neti-neti ad ogni istante. Ognuno lo fa come può. E' la trasparenza della stoffa e la sua lucentezza che conta.
La consapevolezza non ha un centro a cui riferirsi.
Centro che chiamiamo io.
È questo cambio di paradigma, che il Vedanta stesso indica, che nega la possibilità dell'esperienza (di chi?).
Quindi, sin quando si pone e ci si identifica con un centro illusorio che fa esperienze, non facciamo altro che rinforzare questa illusione.
Il cambio di paradigma è quindi negare pure questo illusorio centro, che non contiene Quello...
Quello che è appunto oltre ogni esperienza, a parte l'identità in consapevolezza (ma che non può definirsi comunque "esperienza"
Qui invece sei andato sul "personale", comprensibile visto che lo hai spesso subito a tua volta ("l'attacco" personale, spesso ideologico), ma per favore evitiamolo. Ogni pera sull'albero ha il suo punto di maturazione, inoltre le pere vengono gradite a volte acerbe, oppure mature e quasi sfatte.

E soprattutto non hai bisogno di ostentare la classica umiltà dell'ultima arrivata, quando nel raccontarti ti sei posta al centro dell'universo, perdendo di vista il vero Artefice.

Inchiniamoci, fronte sulla terra, al vero Artefice: non io, non tu, non noi, non voi, non loro...Chi?
Sat cit ananda.

ortica
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Re: La natura del Gioco

Messaggio da ortica » 16/07/2019, 10:50

latriplice ha scritto:
16/07/2019, 1:28
"Sinceramente inizio a pensare che sia improbabile riuscire ad andare oltre lo stesso identico punto che pare aver assunto le caratteristiche di un loop.."
Esattamente, il girarci intorno senza approdare ad una soluzione risolutiva perché identificati allo stesso identico punto come proprio centro autoreferenziale che mi sembra tu non abbia mai messo in discussione, la persona che credi di essere.

Libera di raccontartela e crederci.

A tal proposito, il Vedanta, la materia di cui si occupa questo forum è chiarissimo: non puoi migliorare l'individuo ne sbarazzarti delle sue tendenze perché non sono reali e non sono il problema. L'identificazione con l'individuo e le sue tendenze è il problema. Non è possibile ne necessario sbarazzarsi dell'individuo e delle sue tendenze. Può soltanto essere compreso che non è il Sé attraverso la rimozione dell'ignoranza data dall'auto-conoscenza, che in quanto Sé, si è già liberi.
Il Vedanta è una via completa, anzi - a mio avviso - la più completa di quante sia stato dato di conoscerne.
Cosa significa completa?
Significa che comprende i Piccoli Misteri e i Grandi Misteri, ovvero parte dalla vita ordinaria con tutti i suoi problemi, fino a giungere al pinnacolo dell'Advaita.
Che, come ben sappiamo, non è per tutti, bensì per pochi, pochissimi; diceva Premadharma che, per ogni generazione, si contano sulle dita di una sola mano.
Fra miliardi.
Solo a quei pochi è dato di non sottostare ai precetti della morale, di non desiderare di cambiare il mondo e se stessi.
Ora, puó darsi che tu sia fra quei pochi e te/me lo auguro.
Ma se tu fossi fra quei pochi sapresti ben rispondere a una viandante che porta testimonianza concretissima della vita concreta, senza ricorrere, sempre e comunque, a metodi e terminologie della via jnana, che non esaurisce - come ben sappiamo - il Vedanta, ma ne è solo una delle componenti, insieme a karma e bhakti.
Senza parlare dell'Asparsa, o Ajati vada, che ne è la conclusione.
Uno sthitaprajna, un realizzato non-duale, che viva ancora nel mondo pur non essendo del mondo, sa scendere e salire di piano con estrema agilità a seconda delle esigenze dell'astante.
Anche perché egli è l'astante.
Anche perché tutti i piani gli sono coesistenti.
Uno sthitaprajna si mostra topo fra i topi, soltanto lo differenzia il fatto che indica la possibilità di rivolgere lo sguardo al cielo, con i modi e le parole e le tecniche più adatti a ciascuno.


Conseguentemente con la rimozione dell'ignoranza, l'individuo privato dal senso di essere l'artefice dell'azione smette di essere al centro dell'universo e le tendenze non più alimentate da codesta ignoranza perdono forza e non sono pertanto vincolanti.

Cosa diversa se si parte dal presupposto di essere l'individuo ed in quanto tale si intende raggiungere la purezza del Sé. Il girarci intorno è la naturale conseguenza di questa ignoranza.

L’auto-indagine non è una esperienza, è l’applicazione della conoscenza discriminante e ovviamente il suo successo dipende dalle qualificazioni presenti. L’auto-indagine ti rivela che la consapevolezza è la tua vera natura e che tutte le esperienze (oggetti) sorgono da te e appaiono in te (incluso l'individuo e la storia che si racconta e prende per vera), ma tu in quanto Sé-consapevolezza sei libera dagli oggetti. Gli oggetti sono te, ma tu non sei gli oggetti. Tenendo questa conoscenza in mente e costantemente contemplandola è auto-indagine.

Il Vedanta stabilisce che moksa (liberazione) è viveka, che significa discriminazione basata sulla conoscenza. Essa insegna che soltanto l’auto-conoscenza, non l’esperienza, è capace di rimuovere l’ignoranza. Quando possiedi l’auto-conoscenza non c’è più bisogno di meditazione, esperienze spirituali o stati elevati d’essere, perché come il Sé tu sei oltre ogni stato mentale, tu sei la meditazione. Non hai bisogno di rincorrere l’esperienza della consapevolezza perché sai che stai soltanto sperimentando da sempre la consapevolezza, non importa cosa succede o non succede nella mente.
L'auto-conoscenza non si possiede, semmai se n'è posseduti, meglio ancora sarebbe dire si è.
O non si è.
E, fino a quando non si è, si è topi e necessita un altro topo per poter cominciare a districare i nodi.
Un topo che quei nodi conosca per averli a sua volta districati, in qualsivoglia talquando.



E soprattutto non hai bisogno di ostentare la classica umiltà dell'ultima arrivata, quando nel raccontarti ti sei posta al centro dell'universo, perdendo di vista il vero Artefice.
Inoltre, uno sthitaprajna sa riconoscere la vera umiltà e non la prende in giro.


Discriminazione
Che cos’è la discriminazione (viveka)? È la comprensione che solo il Sé è eterno ed immutabile. Pertanto, solo il Sé è reale. Tutto il resto, il non sé, è irreale. Distinguere tra il reale, il Sé, e l’irreale, il non sé, è discriminazione.
Tattva Bodha
Ricordo che viveka è solo un passo della sadhanacatustaya (la sadhana in quattro parti), così come descritta da Adi Shankara nel Vivekacudamani (il gran gioiello della discriminazione).
Solo un passo, uno strumento per la moksha, non l'unico.
Solo un passo, o meglio una qualificazione, che se non c'è non c'è e se c'è si mostra soprattutto nella compassione profonda.

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Re: La natura del Gioco

Messaggio da Fedro » 16/07/2019, 11:35

Se usiamo il metro discriminatore della mente egoica, non possiamo che riconoscere i topi dagli eroi e non conoscere che questo mondo e i suoi viventi.
Cercando di usare viveka, invece, non emergono più paragoni (per quanto non ci sia uguale consapevolezza che emerge ovunque, ovviamente.) e il discrimine è solo tra reale/non reale.
Rimane comunque il fatto che, in qualunque parte sì cominci o ci si attesti: nel Vedanta non c'è alcun io fittizio e presunto a cui appellarsi.
Dice R.
"Siamo seri: chi è intento a scavarsi la fossa con le proprie mani, non ha tempo di credersi questo o quello, né di andare di qua e di là a mendicare inutili e inopportuni sostegni, né di procacciarsi alibi compensatori" (Alle fonti della vita)

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Re: La natura del Gioco

Messaggio da ortica » 16/07/2019, 15:38

Fedro ha scritto:
16/07/2019, 11:35
Se usiamo il metro discriminatore della mente egoica, non possiamo che riconoscere i topi dagli eroi e non conoscere che questo mondo e i suoi viventi.
Cercando di usare viveka, invece, non emergono più paragoni (per quanto non ci sia uguale consapevolezza che emerge ovunque, ovviamente.) e il discrimine è solo tra reale/non reale.
Rimane comunque il fatto che, in qualunque parte sì cominci o ci si attesti: nel Vedanta non c'è alcun io fittizio e presunto a cui appellarsi.
Quale Vedanta?
Il Vedanta della Tradizione è la fine (e il fine) dei Veda e le sue fonti sacre sono costituite dal Prashtanatrayi: Upanishad, Bhagavadgita, Brahma Sutra.
Fonti, tutte, che presuppongono un ego, apparente quanto vuoi ma ben radicato, che andrà superato e risolto attraverso la pratica dell'insegnamento e la conoscenza diretta.
Il Pashtanatrayi è costituito eminentemente da dialoghi distruzione fra maestro o maestra e discepolo o discepola.
Shankara stesso, nei suoi commentari, si rivolge al discepolo.
Dunque, a quale Vedanta ti riferisci?

Viveka, la discriminazione, è al contempo strumento e qualificazione.
Se se ne fa un feticcio se ne stravolge il senso e si crea un ulteriore sostegno cui aderire.

Dice R.
"Siamo seri: chi è intento a scavarsi la fossa con le proprie mani, non ha tempo di credersi questo o quello, né di andare di qua e di là a mendicare inutili e inopportuni sostegni, né di procacciarsi alibi compensatori" (Alle fonti della vita)
Raphael ha scritto molto, rivolgendosi ai più diversi livelli coscienziali.
Evidentemente quello che citi non è il mio, che al momento sono ben radicata nella terra.


Visto che oggi si celebra Gurupurnima, sarà opportuno rileggere insieme questo brano di Premadharma:

Si afferma: "Questa è una realtà non duale".

Sì, se la si è realizzata. Altrimenti è una credenza. E l'opinione è data come mezzo di conoscenza se, e solo se, essa viene applicata nella propria sadhana, purché pronti a lasciarla cadere.

Nel momento stesso in cui usiamo tale affermazione fuori dalla sadhana, è semplicemente una inferenza, una credenza come tante, non diversa dal credere questo mondo reale, il Divino esistente, etc.

Tat tvam asi.
È di grande potenza sino a che è la nostra via. O quando un realizzato qualificato all'insegnamento ce la propone, sino ad allora è solo una chiacchiera come le tante contenute nelle scritture sacre del mondo, sino a quando un aspirante non le pratica, non le vive.

Sino a quel momento, ci è dato solo di testimoniare il nostro cammino, con le nostre parole, o forse con quelle sacre di un realizzato, attenti a non farle nostre, attenti a non usarle da ramazza in casa altrui.

Raccontare che i serpenti sono corde, va bene per colui che tende alla trascendenza, forse un po' meno per tutti coloro che hanno quattro o più bocche da sfamare; e ancor meno a bimbi che vivono in un mondo popolato di vipere.

È bene offrire una scala, spiegarne gli scalini e narrare cosa c'è in cima, se si è arrivati in cima. Altrimenti offriamo
la nostra testimonianza, intera, a chi chiede o cerca".

(...)

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Re: La natura del Gioco

Messaggio da Fedro » 16/07/2019, 16:11

Non ho detto di credere ad una non dualità non vissuta, quanto di non aderire ad un io fittizio.
PD, lo diceva sempre: per quanto tu lo viva, tu non ci credere.
Applico solo questo, e non c'entra il livello, qualificazione, è soltanto la Tradizione.

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Re: La natura del Gioco

Messaggio da cielo » 16/07/2019, 17:56

Fedro ha scritto:
16/07/2019, 16:11
Non ho detto di credere ad una non dualità non vissuta, quanto di non aderire ad un io fittizio.
PD, lo diceva sempre: per quanto tu lo viva, tu non ci credere.
Applico solo questo, e non c'entra il livello, qualificazione, è soltanto la Tradizione.
E' una pratica che condivido: cercarmi e non trovarmi.
Ho abituato la mente come un cane: riesco a darle l'ordine di stare a cuccia.
Questo alleggerisce la mia giornata.
Vedo sorgere in me un coagulo energetico e riconosco le pulsioni "base" che lo hanno fatto sorgere e dato alla mente in forma di osso da rosicchiare: smarrimento, ansia, paura, preoccupazione per il futuro, senso di inadeguatezza.
Il Censore provvede anche a far notare il sorgere del coraggio che è un attimo che si trasformi in presunzione e senso di potere.
Perchè il coraggio (di affrontare la sadhana vedanta: io non sono questo corpo, questa mente, questa energia emotiva) è necessario e potrebbe servire, ove coltivato onestamente e in ancoraggio con il Signore dell'Universo, Iśvara, il Sat Guru, come fece il prode Hanuman) è un'arma a doppio taglio proprio come la sadhana sulla quale siamo chiamati a confrontarci: sottile come la lama di un rasoio.

Un aiuto da Premadharma:

Il cammino spirituale necessita una grande attenzione, è un lungo cammino sul filo di un rasoio. Ogni passo va ponderato e vissuto in consapevolezza. Per quanto la mente cerchi stereotipi cui aggregarsi (anche contestazione e trasgressione sono stereotipi aggreganti), essa va tenuta sotto il nostro controllo, al pari di qualsiasi altro organo. Noi usiamo la mano e piedi alla bisogna, lo stesso va fatto con la mente. A maggior ragione un aspirante non lascia che essa si impadronisca delle Scritture e le usi a suo uso e consumo per giustificare le vari inferenze di turno.

Lo studio e la riflessione dell'insegnamento tradizionale consiste nella sua realizzazione, non nella strumentalizzazione mentale dello stesso.

L'aspirante deve apprendere a gestire le diverse sfere esistenziali consapevole della loro separazione e di come ogni passo sia da un lato a sé stante e dall'altro una possibile chiave di volta che "risolve" contenuti e aspetti più ampi di quanto sia visibile.

D'altra parte occorre che la mente apprenda che ogni insegnamento e ogni via non è limitata né dai limiti di chi la insegna, né da quelli di chi apprende.

Se su certi insegnamenti cala il silenzio è perché oltre un certo aspetto non sono né esprimibili, né intellegibili per una mente che si commensuri con il sensibile.


E come diceva Teano:
"Come aspiranti siamo chiamati alla continua presenza, camminando sul filo di un rasoio".

Se il cane non abbaia la Presenza me la gusto di più.

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