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Vedanta non è la risposta

Teoria e dottrina.
latriplice
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Vedanta non è la risposta

Messaggio da latriplice » 17/11/2018, 0:18

S: Il mio obiettivo è raggiungere una costante pace mentale. Penso che conoscere e controllare la mia mente/pensieri sia la chiave per raggiungerlo. La padronanza di sé!

V: Questo è un buon obiettivo, presupponendo che la pace mentale sia persino possibile. Dal momento che la mente cambia costantemente come potresti mantenerla inalterata? Potresti provare a rallentare o fermare temporaneamente i cambiamenti nella mente usando le tecniche per controllarla, ma i cambiamenti stessi sono spesso causati o influenzati da un fattore che non puoi controllare affatto: il mondo esterno. Dal momento che non puoi prevedere cosa farà il mondo non sai mai come reagirà la tua mente. È vero che puoi e dovresti lavorare per ridurre le tue reazioni a situazioni esterne. Ma il problema è che le tue reazioni a situazioni esterne sono spesso dettate dal subconscio e dalla mente inconscia, due cose a cui puoi a malapena accedere, per non parlare del controllo. A causa del mondo esterno e del subconscio/inconscio non puoi mai essere sicuro di ciò che farà la tua mente, indipendentemente da quanto tu tenti di tenerla sotto controllo. Ecco perché puoi rendere la mente più pacifica ma è impossibile renderla continuamente pacifica. Non c'è nulla di male nel provare, ma è molto frustrante quando non funziona. E ironicamente, questa frustrazione ti priva ulteriormente di tranquillità.

Ecco perché il Vedanta è diversa dalla scienza, dalla psicologia e da altri tipi di spiritualità. Mentre quelle cose ti trattano come se tu fossi la mente, Vedanta ti dice che non sei la mente. Perciò il Vedanta chiede: "In che modo padroneggiare la mente può essere padronanza di sé se la mente non è il Sé"? Questa è una differenza radicale, e se capita, il vantaggio è che puoi lavorare sulla tua mente con totale obiettività, senza mai prendere personalmente le condizioni della mente. Quando la mente è arrabbiata, non pensi "Sono arrabbiato" per poi diventare ancora più emotivamente disturbato pensando"Non dovrei essere arrabbiato!" La mente è qualcosa che "appartiene" a te. È semplicemente uno strumento, nello stesso modo in cui è la tua auto. La differenza è, nonostante il fatto che sia la mente che l'auto sono oggetti conosciuti da te, che non ti identifichi con la tua auto. Quando la tua auto funziona male, non la prendi personalmente dicendo "Oh no, i miei iniettori di carburante non funzionano correttamente! Mi sento malissimo con me stesso perché non dovrebbero farlo! ". Questo non succede perché sai chiaramente che l'auto non sei tu. In questo modo puoi guardare la situazione in modo obiettivo, libero da disturbi emotivi o sensi di colpa e affrontarla. Puoi lavorare sulla macchina. Se la macchina può essere riparata non dici "Evviva, mi sono riparato!", né se la macchina non può essere riparata, dici "Guai a me, sono rotto!"

Capisci il valore di ciò che Vedanta sta offrendo qui? Sta dicendo che se vuoi lavorare sulla mente, è grandioso, ma lavorare sulla mente è molto più facile ed efficace quando lo fai oggettivamente, con la chiara comprensione che non sei la mente. Inoltre, quando capisci che non sei la mente, i problemi della mente diventano molto meno importanti perché sai che non ti appartengono o ti influenzano, come i problemi della tua auto.

S: Sto lottando per capire come funziona la mia mente attraverso Adavaita Vedanta.

V: Voglio salvarti la fatica di lottare dicendo che l'Advaita Vedanta non ti aiuterà a capire come funziona la tua mente. Non ci prova nemmeno, davvero. I suoi obiettivi sono:

1) Mostrarti che la mente non è reale.

2) Mostrarti che non sei la mente. Questo è tutto.

Se stai cercando di capire come funziona la tua mente, la psicologia è la strada da percorrere. Se vuoi seguire il percorso 'spirituale', allora lo yoga e la meditazione sono la via. La meditazione mi ha insegnato molto sulla mia mente. È una pratica eccellente. Ma per essere chiari, il Vedanta non è la risposta. È vero che il Vedanta a volte viene presentato come un mezzo per l'autocontrollo, ma ciò proviene da insegnanti che mischiano lo yoga/meditazione con il Vedanta. Il Vedanta non è contrario allo yoga/meditazione in alcun modo, anzi lo incoraggia come un passo preliminare, ma i loro obiettivi sono totalmente diversi. Lo yoga/meditazione è per manipolare la mente, il Vedanta serve per trascendere del tutto la mente. E per "trascendere" intendo la piena comprensione, "Io non sono la mente né mi influenza".

S: Sono continuamente alla ricerca di strumenti pratici per migliorare il mio essere.

V: Ecco perché è così utile sapere che il tuo vero essere, pura coscienza/esistenza, non può essere migliorato. È perfetto, nel senso che sei perfetto. Conoscendo questo, puoi prendere la condizione della mente con calma e lavorare su di essa in modo molto più oggettivo ed efficace, sempre comprendendo che non ha nulla a che fare con te.

Pubblicato il 18 aprile 2018 da Vishnudeva nel blog END OF KNOWLEDGE (https://end-of-knowledge.com/2018/04/18 ... he-answer/)

viviana
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Iscritto il: 27/04/2018, 20:55

Re: Vedanta non è la risposta

Messaggio da viviana » 18/11/2018, 21:02

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"presupponendo che la pace mentale sia persino possibile. "
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Non so chi sia V ma da quello che dice sembra quasi sia identificato con questa funzione ordinaria della coscienza: la mente ordinaria. Talmente identificato da negare la possibilità che sia possbile raggiungere uno stato di serenità mentale prolungato.
Se la pace e la serenità non fossero possibili che senso avrebbe percorrere un qualsivoglia cammino? Senza la fede nella possibilità di arrivare a "stabilizzarsi in ciò che si è" non penso ci sarebbero persone disposte alla rinuncia e allo sforzo necessario per cercare di preparare il terreno alla risoluzione dell'io e allo svelarsi del Se'; e ben sappiamo che affinchè l'io possa essere risolto è necessario che ogni suo frammento sia visto, osservato, compreso ed integrato.

_______________________________________________________________________________________________
"Dal momento che la mente cambia costantemente come potresti mantenerla inalterata?"
_______________________________________________________________________________________________

Attraverso la consapevolezza e il distacco/l'equanimità che sono le qualità necessarie affinchè la nostra mente possa purificarsi quel tanto da poter "svelare e reggere" la realtà che il nostro io è in grado di accettare.
(E preferisco non inoltrarmi nel discorso della mente non ordinaria perchè, temo sorgerebbero ultriori incomprensioni.)

Il distacco/l'equanimità è quella posizione coscienziale in cui si comprende che ciò che osserviamo non siamo noi, è una posizione coscienziale di disidentificazione da ciò che non si è e per comprenderlo (e successivamente stabilizzarcisi) bisogna esperirlo consciamente (e con perseveranza). Quando l'osservazione è fatta rettamente attraverso retta conoscenza/consapevolezza e distacco/equanimità emerge il discernimento.

Maggiore sono conoscenza e distacco, maggiore è il discernimento della realtà che siamo in grado di accogliere e comprendere, integrandola.
Coltivando il discernimento, favorendo il terreno adatto al suo sorgere, sboccia naturalmente la possibilità di agire anzichè reagire al mondo interiore/esteriore.
La reazione non è l'unica forma di movimento possibile, chi lo sostiene probabilmente conosce solo questa via ma ciò non ne determina l'assolutezza.
La retta pratica quotidiana ci offre l'opportunità di far emergere il discernimento e grazie a questo di poter scegliere e sperimentare l'azione anzichè la reazione.

La pratica tende alla risoluzione della Polarità, a comprendere ed integrare la molteplicità, non ad opporvicisi o a controllarla, la pratica ci insegna a lasciar andare.
Distacco e Conoscenza/Consapevolezza ed Equanimità devono andare di pari passo altrimenti si finirà x girare in tondo, in un loop continuo che potrà anche far credere alla nostra mente ordinaria/Io che stiamo proseguendo nel cammino mentre stiamo ossessivamente girando in cerchio, ossessivamente trincerati ed aggrappati alle nostre false verità... e questo capita a tutti, periodicamente...

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"Ma il problema è che le tue reazioni a situazioni esterne sono spesso dettate dal subconscio e dalla mente inconscia, due cose a cui puoi a malapena accedere, per non parlare del controllo. A causa del mondo esterno e del subconscio/inconscio non puoi mai essere sicuro di ciò che farà la tua mente, indipendentemente da quanto tu tenti di tenerla sotto controllo. Ecco perché puoi rendere la mente più pacifica ma è impossibile renderla continuamente pacifica. Non c'è nulla di male nel provare, ma è molto frustrante quando non funziona. E ironicamente, questa frustrazione ti priva ulteriormente di tranquillità. "
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A questo serve la pratica.
Arrivare alla conoscenza del Sé presuppone ovviamente l'integrazione di tutti i contenuti inconsci, lo svelamento dell'Io è non solo possibile ma necessario.
E' un processo molto doloroso e difficile e bisogna aver sviluppato le qualità (Conoscenza e distacco) necessarie a sostenerne la visione e successivamente la comprensione ed integrazione dei contenuti emersi.
Sebbene non abbia conosciuto nessuno che sia stato in grado di raggiungere qs livello coscienziale ho fede in ciò che i Maestri hanno svelato, negli strumenti che ci hanno lasciato e nella direzione verso cui hanno volto il nostro sguardo e ho fede in ciò che, grazie a questo, l'esperienza mi ha insegnato: primo fra tutto che uno stato coscienziale di pace mentale prolungato è auspicabile oltre che possibile.

Affermare che non è possibile "stabilizzarsi al Centro di ciò che si è" equivale a dire che la realizzazione non è possibile, che nessuno è mai arrivato a liberarsi, che tutti i Maestri mentono o si sono illusi.

E' per questo che inizialmente ci affidiamo totalmente alla parola dei Saggi per puro atto di fede, all'inizio la nostra mente ordinaria è talmente impura da non poter sostenere altro che la propria ignoranza, la propria erronea percezione della realtà.
E' per questo che i passi necessari per avventurarsi nel cammino della conoscenza del Sé sono imprescindibili dalla purificazione della mente e primi su tutte l'osservanza e il rispetto delle "regole etiche universali", basi imprenscindibili e condizioni necessarie a porci nella "giusta vibrazione" per poter raccogliere l'attenzione ai fini dell'autosservazione.

Finchè la mente non è purificata dalle identificazioni/ilusioni e vibrazioni più grossolane non è possibile comprendere che non siamo la mente per il semplice fatto che non siamo in grado di osservarla:
finchè non arriviamo ad osservare la nostra mente non comprendiamo che non siamo la nostra mente.
E per poterla osservare è necessario aver sviluppato (poco importa se nel presente o nel passato) quel tanto di conoscenza che ci permetta di raccogliere l'attenzione, esercitare la concentrazione e il distacco necessari a farlo.
Solo allora la domanda sorge: "e allora chi sono io? cos'è questo?"
E non c'è bisogno di leggerla o che qualcuno ce la suggerisca perchè sorge spontaneamente, naturalmente, perchè quando osservi la tua mente SAI/SCOPRI che non sei la tua mente e allora LA domanda sorge, inquietandoti nel profondo e non lasciando alla tua mente altro spazio che questa domanda per lungo tempo.
Ed è così per tutti, oggi come ieri, perchè, come ben sai, siamo fatti così, perchè siamo Uno rivestito di molteplici forme e chiamato con molti nomi, esperiamo la realtà su diversi livelli coscienziali ma abbiamo tutti la stessa natura e condividiamo tutti le stesse leggi e le stesse sofferenze anche se non ne siamo consci.
Non ti sto dicendo che comprendo la risposta a questa domanda perchè così non è, ho solo risposte razionali e non esperienziali date da chi è arrivato a raggiungere questa condizione, ho i testi sacri e le parole dei maestri ad indicarmi il cammino verso cui tendere, ma non comprendo cosa voglia dire e questo mi spaventa, il non capire spaventa la mia mente ordinaria che vuol vivere nell'illusione di poter controllare alcunchè.

Il livello di frustrazione di cui parli è assolutamente normale e assolutamente superabile con la costanza nella pratica, esso è inversamente proporzionale al livello di concentrazione e distacco di cui siamo capaci, più ci si sente frustrati meno distacco si ha = i contenuti emersi sono ancora troppo "potenti" rispetto alla capacità di concentrazione e osservazione equanime degli stessi.

Ed è proprio attraverso le pratiche di purificazione della mente (qualunque esse siano), che possiamo, attraverso la perseveranza nella loro pratica, avere come supporto (e non come fine) dei validi strumenti che ci permettano di favorire l'emersione del distacco che ci permette di proseguire anche nel lavoro di emersione dei contenuti inconsci e nella loro elaborazione, comprensione ed integrazione.
E da cio' l'emersione del discernimento, la saggezza nata dalla pura osservazione equanime della realtà per quella che è e non per quello che vorremmo fosse, discernimento che ci permette di agire anzichè reagire. E' un circolo virtuoso che se rettamente intrapreso si autoalimenta.

Sì perchè ben sappiamo che i contenuti inconsci guidano la nostra vita a nostra insaputa e che ciò che chiamiamo inconscio è in realtà sempre ben consciente e reattivo. Non a caso persino Jung affermava:

“Rendi cosciente l'inconscio, altrimenti sarà l'inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino”

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"V: Voglio salvarti la fatica di lottare dicendo che l'Advaita Vedanta non ti aiuterà a capire come funziona la tua mente. Non ci prova nemmeno, davvero. I suoi obiettivi sono:

1) Mostrarti che la mente non è reale.

2) Mostrarti che non sei la mente. Questo è tutto. "
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Per quanto mi riguarda l'Advaita Vedanta va ben oltre questo.
Il potere evocativo di alcuni Testi va ben oltre questo primo passo, seppur esso sia fondamentale per intraprendere il cammino.
Oltre questo primo passo la strada è lunga, così lunga che noi "poveri enti così immersi nella grossolanità e nell'ignoranza" non possiamo neppure intenderne "la fine" ma solo aspirarvi per trarne la forza necessaria a cercare di percorrerla pur sapendo che qs vita non basterà neanche ad integrare la metà dei nostri contenuti inconsci.

Purtroppo o per fortuna dirci che non siamo la nostra mente a livello razionale non equivale ad averlo esperito, così come null'altro che possiamo dirci, io posso anche raccontarmi che sono l'Uno incondizionato, incausato, non nato, ma questo non mi porta ad aver risolto i miei condizionamenti, ad essere realizzato o ad essermi liberato da qualsivoglia frustrazione o sofferenza causata dall'ignoranza in cui sono immersa e più che talvolta persa.

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Fedro
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Re: Vedanta non è la risposta

Messaggio da Fedro » 18/11/2018, 23:03

viviana ha scritto:
18/11/2018, 21:02
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"presupponendo che la pace mentale sia persino possibile. "
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Non so chi sia V ma da quello che dice sembra quasi sia identificato con questa funzione ordinaria della coscienza: la mente ordinaria. Talmente identificato da negare la possibilità che sia possbile raggiungere uno stato di serenità mentale prolungato.
Se la pace e la serenità non fossero possibili che senso avrebbe percorrere un qualsivoglia cammino? Senza la fede nella possibilità di arrivare a "stabilizzarsi in ciò che si è" non penso ci sarebbero persone disposte alla rinuncia e allo sforzo necessario per cercare di preparare il terreno alla risoluzione dell'io e allo svelarsi del Se'; e ben sappiamo che affinchè l'io possa essere risolto è necessario che ogni suo frammento sia visto, osservato, compreso ed integrato.
Viviana, per quanto possa essere prolungato uno stato mentale, esso è comunque transitorio. Per un po di pace (mentale), qualsiasi strumento che ne sospenda i pensieri, mi pare possa essere sufficiente, ma non è segno di consapevolezza
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"Dal momento che la mente cambia costantemente come potresti mantenerla inalterata?"
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Attraverso la consapevolezza e il distacco/l'equanimità che sono le qualità necessarie affinchè la nostra mente possa purificarsi quel tanto da poter "svelare e reggere" la realtà che il nostro io è in grado di accettare.
(E preferisco non inoltrarmi nel discorso della mente non ordinaria perchè, temo sorgerebbero ultriori incomprensioni.)

Il distacco/l'equanimità è quella posizione coscienziale in cui si comprende che ciò che osserviamo non siamo noi, è una posizione coscienziale di disidentificazione da ciò che non si è e per comprenderlo (e successivamente stabilizzarcisi) bisogna esperirlo consciamente (e con perseveranza). Quando l'osservazione è fatta rettamente attraverso retta conoscenza/consapevolezza e distacco/equanimità emerge il discernimento.

Maggiore sono conoscenza e distacco, maggiore è il discernimento della realtà che siamo in grado di accogliere e comprendere, integrandola.
Coltivando il discernimento, favorendo il terreno adatto al suo sorgere, sboccia naturalmente la possibilità di agire anzichè reagire al mondo interiore/esteriore.
La reazione non è l'unica forma di movimento possibile, chi lo sostiene probabilmente conosce solo questa via ma ciò non ne determina l'assolutezza.
La retta pratica quotidiana ci offre l'opportunità di far emergere il discernimento e grazie a questo di poter scegliere e sperimentare l'azione anzichè la reazione.

La pratica tende alla risoluzione della Polarità, a comprendere ed integrare la molteplicità, non ad opporvicisi o a controllarla, la pratica ci insegna a lasciar andare.
Distacco e Conoscenza/Consapevolezza ed Equanimità devono andare di pari passo altrimenti si finirà x girare in tondo, in un loop continuo che potrà anche far credere alla nostra mente ordinaria/Io che stiamo proseguendo nel cammino mentre stiamo ossessivamente girando in cerchio, ossessivamente trincerati ed aggrappati alle nostre false verità... e questo capita a tutti, periodicamente..

anche qui: l'autore sta parlando dello strumento mentale, ed esso non corrisponde, né si trasmuta in altro da sé (consapevolezza)
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"Ma il problema è che le tue reazioni a situazioni esterne sono spesso dettate dal subconscio e dalla mente inconscia, due cose a cui puoi a malapena accedere, per non parlare del controllo. A causa del mondo esterno e del subconscio/inconscio non puoi mai essere sicuro di ciò che farà la tua mente, indipendentemente da quanto tu tenti di tenerla sotto controllo. Ecco perché puoi rendere la mente più pacifica ma è impossibile renderla continuamente pacifica. Non c'è nulla di male nel provare, ma è molto frustrante quando non funziona. E ironicamente, questa frustrazione ti priva ulteriormente di tranquillità. "
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A questo serve la pratica.
Arrivare alla conoscenza del Sé presuppone ovviamente l'integrazione di tutti i contenuti inconsci, lo svelamento dell'Io è non solo possibile ma necessario.
E' un processo molto doloroso e difficile e bisogna aver sviluppato le qualità (Conoscenza e distacco) necessarie a sostenerne la visione e successivamente la comprensione ed integrazione dei contenuti emersi.
Sebbene non abbia conosciuto nessuno che sia stato in grado di raggiungere qs livello coscienziale ho fede in ciò che i Maestri hanno svelato, negli strumenti che ci hanno lasciato e nella direzione verso cui hanno volto il nostro sguardo e ho fede in ciò che, grazie a questo, l'esperienza mi ha insegnato: primo fra tutto che uno stato coscienziale di pace mentale prolungato è auspicabile oltre che possibile.

Affermare che non è possibile "stabilizzarsi al Centro di ciò che si è" equivale a dire che la realizzazione non è possibile, che nessuno è mai arrivato a liberarsi, che tutti i Maestri mentono o si sono illusi.

E' per questo che inizialmente ci affidiamo totalmente alla parola dei Saggi per puro atto di fede, all'inizio la nostra mente ordinaria è talmente impura da non poter sostenere altro che la propria ignoranza, la propria erronea percezione della realtà.
E' per questo che i passi necessari per avventurarsi nel cammino della conoscenza del Sé sono imprescindibili dalla purificazione della mente e primi su tutte l'osservanza e il rispetto delle "regole etiche universali", basi imprenscindibili e condizioni necessarie a porci nella "giusta vibrazione" per poter raccogliere l'attenzione ai fini dell'autosservazione.

Finchè la mente non è purificata dalle identificazioni/ilusioni e vibrazioni più grossolane non è possibile comprendere che non siamo la mente per il semplice fatto che non siamo in grado di osservarla:
finchè non arriviamo ad osservare la nostra mente non comprendiamo che non siamo la nostra mente.
E per poterla osservare è necessario aver sviluppato (poco importa se nel presente o nel passato) quel tanto di conoscenza che ci permetta di raccogliere l'attenzione, esercitare la concentrazione e il distacco necessari a farlo.
Solo allora la domanda sorge: "e allora chi sono io? cos'è questo?"
E non c'è bisogno di leggerla o che qualcuno ce la suggerisca perchè sorge spontaneamente, naturalmente, perchè quando osservi la tua mente SAI/SCOPRI che non sei la tua mente e allora LA domanda sorge, inquietandoti nel profondo e non lasciando alla tua mente altro spazio che questa domanda per lungo tempo.
Ed è così per tutti, oggi come ieri, perchè, come ben sai, siamo fatti così, perchè siamo Uno rivestito di molteplici forme e chiamato con molti nomi, esperiamo la realtà su diversi livelli coscienziali ma abbiamo tutti la stessa natura e condividiamo tutti le stesse leggi e le stesse sofferenze anche se non ne siamo consci.
Non ti sto dicendo che comprendo la risposta a questa domanda perchè così non è, ho solo risposte razionali e non esperienziali date da chi è arrivato a raggiungere questa condizione, ho i testi sacri e le parole dei maestri ad indicarmi il cammino verso cui tendere, ma non comprendo cosa voglia dire e questo mi spaventa, il non capire spaventa la mia mente ordinaria che vuol vivere nell'illusione di poter controllare alcunchè.

Il livello di frustrazione di cui parli è assolutamente normale e assolutamente superabile con la costanza nella pratica, esso è inversamente proporzionale al livello di concentrazione e distacco di cui siamo capaci, più ci si sente frustrati meno distacco si ha = i contenuti emersi sono ancora troppo "potenti" rispetto alla capacità di concentrazione e osservazione equanime degli stessi.

Ed è proprio attraverso le pratiche di purificazione della mente (qualunque esse siano), che possiamo, attraverso la perseveranza nella loro pratica, avere come supporto (e non come fine) dei validi strumenti che ci permettano di favorire l'emersione del distacco che ci permette di proseguire anche nel lavoro di emersione dei contenuti inconsci e nella loro elaborazione, comprensione ed integrazione.
E da cio' l'emersione del discernimento, la saggezza nata dalla pura osservazione equanime della realtà per quella che è e non per quello che vorremmo fosse, discernimento che ci permette di agire anzichè reagire. E' un circolo virtuoso che se rettamente intrapreso si autoalimenta.

Sì perchè ben sappiamo che i contenuti inconsci guidano la nostra vita a nostra insaputa e che ciò che chiamiamo inconscio è in realtà sempre ben consciente e reattivo. Non a caso persino Jung affermava:

“Rendi cosciente l'inconscio, altrimenti sarà l'inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino”
diceva Bodhananda: "non puoi diventare ciò che sei, puoi solo smettere di credere ciò che non sei".
Questo per dire pure che, l'idea di raggiungere altro da sé, è un'illusione che ha bisogno di crearsi la mente per uscire da se stessa (ma in realtà rimanere inalterata.)
Le pratiche possono lucidare la superficie (la mente) in modo che essa non interferisca con le sue sovrapposizioni, altro non possono e, se cadono le illusioni, al distacco conseguente, esso non è un raggiungere il Sé, visto che eri da sempre "lì" e non può essere diversamente
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"V: Voglio salvarti la fatica di lottare dicendo che l'Advaita Vedanta non ti aiuterà a capire come funziona la tua mente. Non ci prova nemmeno, davvero. I suoi obiettivi sono:

1) Mostrarti che la mente non è reale.

2) Mostrarti che non sei la mente. Questo è tutto. "
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Per quanto mi riguarda l'Advaita Vedanta va ben oltre questo.
Il potere evocativo di alcuni Testi va ben oltre questo primo passo, seppur esso sia fondamentale per intraprendere il cammino.
Oltre questo primo passo la strada è lunga, così lunga che noi "poveri enti così immersi nella grossolanità e nell'ignoranza" non possiamo neppure intenderne "la fine" ma solo aspirarvi per trarne la forza necessaria a cercare di percorrerla pur sapendo che qs vita non basterà neanche ad integrare la metà dei nostri contenuti inconsci.

Purtroppo o per fortuna dirci che non siamo la nostra mente a livello razionale non equivale ad averlo esperito, così come null'altro che possiamo dirci, io posso anche raccontarmi che sono l'Uno incondizionato, incausato, non nato, ma questo non mi porta ad aver risolto i miei condizionamenti, ad essere realizzato o ad essermi liberato da qualsivoglia frustrazione o sofferenza causata dall'ignoranza in cui sono immersa e più che talvolta persa.
Infatti si può continuare a credere, o credere al contrario di quel credere, che non equivale allo smettere di credere a questa o quella storia su se stessi o sull'Advaita, che sia.

ortica
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Iscritto il: 17/03/2017, 10:29

Re: Vedanta non è la risposta

Messaggio da ortica » 19/11/2018, 11:31

viviana ha scritto:
18/11/2018, 21:02
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"presupponendo che la pace mentale sia persino possibile. "
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Non so chi sia V ma da quello che dice sembra quasi sia identificato con questa funzione ordinaria della coscienza: la mente ordinaria. Talmente identificato da negare la possibilità che sia possbile raggiungere uno stato di serenità mentale prolungato.
Se la pace e la serenità non fossero possibili che senso avrebbe percorrere un qualsivoglia cammino? Senza la fede nella possibilità di arrivare a "stabilizzarsi in ciò che si è" non penso ci sarebbero persone disposte alla rinuncia e allo sforzo necessario per cercare di preparare il terreno alla risoluzione dell'io e allo svelarsi del Se'; e ben sappiamo che affinchè l'io possa essere risolto è necessario che ogni suo frammento sia visto, osservato, compreso ed integrato.

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"Dal momento che la mente cambia costantemente come potresti mantenerla inalterata?"
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Attraverso la consapevolezza e il distacco/l'equanimità che sono le qualità necessarie affinchè la nostra mente possa purificarsi quel tanto da poter "svelare e reggere" la realtà che il nostro io è in grado di accettare.
(E preferisco non inoltrarmi nel discorso della mente non ordinaria perchè, temo sorgerebbero ultriori incomprensioni.)

Il distacco/l'equanimità è quella posizione coscienziale in cui si comprende che ciò che osserviamo non siamo noi, è una posizione coscienziale di disidentificazione da ciò che non si è e per comprenderlo (e successivamente stabilizzarcisi) bisogna esperirlo consciamente (e con perseveranza). Quando l'osservazione è fatta rettamente attraverso retta conoscenza/consapevolezza e distacco/equanimità emerge il discernimento.

Maggiore sono conoscenza e distacco, maggiore è il discernimento della realtà che siamo in grado di accogliere e comprendere, integrandola.
Coltivando il discernimento, favorendo il terreno adatto al suo sorgere, sboccia naturalmente la possibilità di agire anzichè reagire al mondo interiore/esteriore.
La reazione non è l'unica forma di movimento possibile, chi lo sostiene probabilmente conosce solo questa via ma ciò non ne determina l'assolutezza.
La retta pratica quotidiana ci offre l'opportunità di far emergere il discernimento e grazie a questo di poter scegliere e sperimentare l'azione anzichè la reazione.

La pratica tende alla risoluzione della Polarità, a comprendere ed integrare la molteplicità, non ad opporvicisi o a controllarla, la pratica ci insegna a lasciar andare.
Distacco e Conoscenza/Consapevolezza ed Equanimità devono andare di pari passo altrimenti si finirà x girare in tondo, in un loop continuo che potrà anche far credere alla nostra mente ordinaria/Io che stiamo proseguendo nel cammino mentre stiamo ossessivamente girando in cerchio, ossessivamente trincerati ed aggrappati alle nostre false verità... e questo capita a tutti, periodicamente...

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"Ma il problema è che le tue reazioni a situazioni esterne sono spesso dettate dal subconscio e dalla mente inconscia, due cose a cui puoi a malapena accedere, per non parlare del controllo. A causa del mondo esterno e del subconscio/inconscio non puoi mai essere sicuro di ciò che farà la tua mente, indipendentemente da quanto tu tenti di tenerla sotto controllo. Ecco perché puoi rendere la mente più pacifica ma è impossibile renderla continuamente pacifica. Non c'è nulla di male nel provare, ma è molto frustrante quando non funziona. E ironicamente, questa frustrazione ti priva ulteriormente di tranquillità. "
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A questo serve la pratica.
Arrivare alla conoscenza del Sé presuppone ovviamente l'integrazione di tutti i contenuti inconsci, lo svelamento dell'Io è non solo possibile ma necessario.
E' un processo molto doloroso e difficile e bisogna aver sviluppato le qualità (Conoscenza e distacco) necessarie a sostenerne la visione e successivamente la comprensione ed integrazione dei contenuti emersi.
Sebbene non abbia conosciuto nessuno che sia stato in grado di raggiungere qs livello coscienziale ho fede in ciò che i Maestri hanno svelato, negli strumenti che ci hanno lasciato e nella direzione verso cui hanno volto il nostro sguardo e ho fede in ciò che, grazie a questo, l'esperienza mi ha insegnato: primo fra tutto che uno stato coscienziale di pace mentale prolungato è auspicabile oltre che possibile.

Affermare che non è possibile "stabilizzarsi al Centro di ciò che si è" equivale a dire che la realizzazione non è possibile, che nessuno è mai arrivato a liberarsi, che tutti i Maestri mentono o si sono illusi.

E' per questo che inizialmente ci affidiamo totalmente alla parola dei Saggi per puro atto di fede, all'inizio la nostra mente ordinaria è talmente impura da non poter sostenere altro che la propria ignoranza, la propria erronea percezione della realtà.
E' per questo che i passi necessari per avventurarsi nel cammino della conoscenza del Sé sono imprescindibili dalla purificazione della mente e primi su tutte l'osservanza e il rispetto delle "regole etiche universali", basi imprenscindibili e condizioni necessarie a porci nella "giusta vibrazione" per poter raccogliere l'attenzione ai fini dell'autosservazione.

Finchè la mente non è purificata dalle identificazioni/ilusioni e vibrazioni più grossolane non è possibile comprendere che non siamo la mente per il semplice fatto che non siamo in grado di osservarla:
finchè non arriviamo ad osservare la nostra mente non comprendiamo che non siamo la nostra mente.
E per poterla osservare è necessario aver sviluppato (poco importa se nel presente o nel passato) quel tanto di conoscenza che ci permetta di raccogliere l'attenzione, esercitare la concentrazione e il distacco necessari a farlo.
Solo allora la domanda sorge: "e allora chi sono io? cos'è questo?"
E non c'è bisogno di leggerla o che qualcuno ce la suggerisca perchè sorge spontaneamente, naturalmente, perchè quando osservi la tua mente SAI/SCOPRI che non sei la tua mente e allora LA domanda sorge, inquietandoti nel profondo e non lasciando alla tua mente altro spazio che questa domanda per lungo tempo.
Ed è così per tutti, oggi come ieri, perchè, come ben sai, siamo fatti così, perchè siamo Uno rivestito di molteplici forme e chiamato con molti nomi, esperiamo la realtà su diversi livelli coscienziali ma abbiamo tutti la stessa natura e condividiamo tutti le stesse leggi e le stesse sofferenze anche se non ne siamo consci.
Non ti sto dicendo che comprendo la risposta a questa domanda perchè così non è, ho solo risposte razionali e non esperienziali date da chi è arrivato a raggiungere questa condizione, ho i testi sacri e le parole dei maestri ad indicarmi il cammino verso cui tendere, ma non comprendo cosa voglia dire e questo mi spaventa, il non capire spaventa la mia mente ordinaria che vuol vivere nell'illusione di poter controllare alcunchè.

Il livello di frustrazione di cui parli è assolutamente normale e assolutamente superabile con la costanza nella pratica, esso è inversamente proporzionale al livello di concentrazione e distacco di cui siamo capaci, più ci si sente frustrati meno distacco si ha = i contenuti emersi sono ancora troppo "potenti" rispetto alla capacità di concentrazione e osservazione equanime degli stessi.

Ed è proprio attraverso le pratiche di purificazione della mente (qualunque esse siano), che possiamo, attraverso la perseveranza nella loro pratica, avere come supporto (e non come fine) dei validi strumenti che ci permettano di favorire l'emersione del distacco che ci permette di proseguire anche nel lavoro di emersione dei contenuti inconsci e nella loro elaborazione, comprensione ed integrazione.
E da cio' l'emersione del discernimento, la saggezza nata dalla pura osservazione equanime della realtà per quella che è e non per quello che vorremmo fosse, discernimento che ci permette di agire anzichè reagire. E' un circolo virtuoso che se rettamente intrapreso si autoalimenta.

Sì perchè ben sappiamo che i contenuti inconsci guidano la nostra vita a nostra insaputa e che ciò che chiamiamo inconscio è in realtà sempre ben consciente e reattivo. Non a caso persino Jung affermava:

“Rendi cosciente l'inconscio, altrimenti sarà l'inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino”

________________________________________________________________________________________________

"V: Voglio salvarti la fatica di lottare dicendo che l'Advaita Vedanta non ti aiuterà a capire come funziona la tua mente. Non ci prova nemmeno, davvero. I suoi obiettivi sono:

1) Mostrarti che la mente non è reale.

2) Mostrarti che non sei la mente. Questo è tutto. "
________________________________________________________________________________________________

Per quanto mi riguarda l'Advaita Vedanta va ben oltre questo.
Il potere evocativo di alcuni Testi va ben oltre questo primo passo, seppur esso sia fondamentale per intraprendere il cammino.
Oltre questo primo passo la strada è lunga, così lunga che noi "poveri enti così immersi nella grossolanità e nell'ignoranza" non possiamo neppure intenderne "la fine" ma solo aspirarvi per trarne la forza necessaria a cercare di percorrerla pur sapendo che qs vita non basterà neanche ad integrare la metà dei nostri contenuti inconsci.

Purtroppo o per fortuna dirci che non siamo la nostra mente a livello razionale non equivale ad averlo esperito, così come null'altro che possiamo dirci, io posso anche raccontarmi che sono l'Uno incondizionato, incausato, non nato, ma questo non mi porta ad aver risolto i miei condizionamenti, ad essere realizzato o ad essermi liberato da qualsivoglia frustrazione o sofferenza causata dall'ignoranza in cui sono immersa e più che talvolta persa.

Condivido.
Quanto sopra è testimonianza degli effetti di una buona pratica, perseguita per anni e anni con pazienza e perseveranza secondo i dettami della Tradizione dell'Advaita Vedanta nella visione di Shankara, ovvero quella cui questo luogo e il riferimento di questo luogo s'ispirano.

Se si legge con attenzione lo scritto di Viviana emerge con chiarezza l'uso corretto dei mezzi/strumenti di cui si parla nell'ininterrotto lignaggio di Shankara (Vivekacudamani, Aparoksanubhuti e relativi commenti dei suoi successori) per la sadhana advaita in quattro parti. Mezzi/strumenti che sono simili a quelli di altre vie, per quanto diversamente indicati, né potrebbe essere altrimenti visto che la Tradizione per sua stessa natura è Unica e Universale.
Emerge altresì la chiara consapevolezza che di strumenti si tratta e non di altro, da utilizzare con riconoscenza per i Saggi che ce li hanno indicati e lasciare cadere quando verrà il momento ed emerge dunque il discernimento fra il mezzo e il fine, il che mostra la realizzazione (sebbene parziale, come onestamente chiarito dall'autrice) di discernimento e distacco.
La realizzazione finale, il goal, l'obiettivo cui tutti noi aspiriamo, infatti, non può che essere preceduta da una serie di realizzazioni parziali.

Ringrazio quindi Viviana, inchinandomi alla sua testimonianza preziosa.

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Fedro
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Re: Vedanta non è la risposta

Messaggio da Fedro » 19/11/2018, 12:04

Giusto per chiarire ortica.
Non sta a me né a te poter analizzare la pratica di Viviana, che quindi non mi permetto di giudicare.
Figuriamoci il poter stabilire se sia entro la visione shankariana...
Oltretutto, bisognerebbe aver attraversato Shankara per poterlo stabilire, non solo averlo letto.
Dunque ciascuno parla dal proprio punto di osservazione e non altri, dei quali si potrebbe solo opinare.
Mi sono quindi, semplicemente permesso di entrare in merito a certe affermazioni rispetto al testo, confrontandole con la mia pratica e cammino, non certo riguardo al suo, e di cui, l'unica cosa che oso dire, è che vi è in essa molta determinazione e serietà.

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Re: Vedanta non è la risposta

Messaggio da ortica » 19/11/2018, 12:12

Fedro ha scritto:
19/11/2018, 12:04
Giusto per chiarire ortica.
Non sta a me né a te poter analizzare la pratica di Viviana, che quindi non mi permetto di giudicare.
Figuriamoci il poter stabilire se sia entro la visione shankariana...
Oltretutto, bisognerebbe aver attraversato Shankara per poterlo stabilire, non solo averlo letto.
Dunque ciascuno parla dal proprio punto di osservazione e non altri, dei quali si potrebbe solo opinare.
Io mi sono permesso di entrare in merito solo a certe affermazioni rispetto al testo, non certo riguardo al suo cammino, e che, se posso dire, segue con molta determinazione e serietà.
Dopo tutti questi anni dovresti aver appreso a parlare esclusivamente per te e per la tua visione, senza entrare nel merito di quelle altrui.
Ma evidentemente ancora non è così.

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Re: Vedanta non è la risposta

Messaggio da Fedro » 19/11/2018, 12:36

ortica ha scritto:
19/11/2018, 12:12
Fedro ha scritto:
19/11/2018, 12:04
Giusto per chiarire ortica.
Non sta a me né a te poter analizzare la pratica di Viviana, che quindi non mi permetto di giudicare.
Figuriamoci il poter stabilire se sia entro la visione shankariana...
Oltretutto, bisognerebbe aver attraversato Shankara per poterlo stabilire, non solo averlo letto.
Dunque ciascuno parla dal proprio punto di osservazione e non altri, dei quali si potrebbe solo opinare.
Io mi sono permesso di entrare in merito solo a certe affermazioni rispetto al testo, non certo riguardo al suo cammino, e che, se posso dire, segue con molta determinazione e serietà.
Dopo tutti questi anni dovresti aver appreso a parlare esclusivamente per te e per la tua visione, senza entrare nel merito di quelle altrui.
Ma evidentemente ancora non è così.
Guarda che è il contrario, forse hai letto male: non mi permetto di entrare in merito della visione di Viviana, lo hai fatto tu... sono semplicemente entrato in merito ad alcune sue affermazioni rispetto a come vissute dalla mia esperienza, è ben diverso.
Spero stavolta sia piu chiaro

latriplice
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Re: Vedanta non è la risposta

Messaggio da latriplice » 19/11/2018, 14:04

Viviana ha scritto:

Purtroppo o per fortuna dirci che non siamo la nostra mente a livello razionale non equivale ad averlo esperito, così come null'altro che possiamo dirci, io posso anche raccontarmi che sono l'Uno incondizionato, incausato, non nato, ma questo non mi porta ad aver risolto i miei condizionamenti, ad essere realizzato o ad essermi liberato da qualsivoglia frustrazione o sofferenza causata dall'ignoranza in cui sono immersa e più che talvolta persa.
1.11 Invero, colui che si considera libero è libero, nondimeno colui che si considera schiavo è schiavo. Qui (nella esistenza attuale) questa comune affermazione è verità: "quale è la (propria) convinzione, tale sarà il corso esistenziale".

Si vive nella condizione di esistenza che, consciamente o meno, si è concepita, per così dire, il contenuto del proprio pensiero e, quindi, quella stessa energia che dirigerà il corso dell'esistenza futura.

Astavakrasamhita, 2015 Kevalasangha, pag.32

Nel brano precedentemente postato, l'autore fa un cruciale e significativo commento che recita: "In che modo padroneggiare la mente può essere padronanza di sé se la mente non è il Sé"? Questo a mio avviso costituisce lo spartiacque fondamentale tra la visone del Vedanta e lo Yoga, dove moksha (liberazione) corrisponde a viveka (discriminazione) per il primo, e chitta vritti nirodha (sospensione delle fluttuazioni mentali) per il secondo.

Dal momento che, "Si vive nella condizione di esistenza che, consciamente o meno, si è concepita, per così dire, il contenuto del proprio pensiero e, quindi, quella stessa energia che dirigerà il corso dell'esistenza futura" a commento del verso 1.11, si può affermare che l'unica differenza tra una cosiddetta persona "non illuminata" e una persona "illuminata", è che la persona "illuminata" non solo sa di essere il Sé, ma lo accetta completamente. Assume il Sé come propria identità primaria e lascia che le implicazioni di quell'identità inizino a cambiare il modo in cui pensa, nel senso che permette alla conoscenza, "Sto sempre bene, non importa cosa" inizi a ridurre la frequenza e a volte, la gravità dei propri disturbi emotivi o fluttuazioni mentali.

Lo scopo di soffermarsi costantemente su questo insegnamento (che è la pratica) è di riconoscere che non c'è differenza tra ciò che sai e chi sei. Se sai che il Sé è libero, allora dovresti sapere che tu sei libera. Significa possedere pienamente quella conoscenza e iniziare a vivere di conseguenza. Questo è "vivere la verità" perché stai vivendo in armonia con come sono realmente le cose. Se all'inizio ti sembra strano, per non dire scandaloso, vivere la tua vita dal punto di vista dell'autoconoscenza (che fondamentalmente è viveka), non preoccuparti. Dopo tutto, è una prospettiva radicalmente diversa da quella che hai avuto per tutta la vita. Ma continua a praticare. Col tempo la tua fiducia aumenterà e la tua tranquillità aumenterà. "Come si pensa, così si diventa". Le persone cercano di rendere complicata l'autoconoscenza quando è davvero così semplice.

Detto questo, mi piacerebbe fare un altra puntualizzazione. Avere una mente pacifica è una cosa eccellente, ma la pace della mente è solo l'obiettivo secondario del Vedanta. Come mai? Perché l'assunto principale del Vedanta è mostrare chiaramente che non sei la mente. Perché non essere la mente piuttosto di avere una mente pacifica? Perché la mente non può mai essere pienamente controllata, il che significa che anche se è principalmente pacifica, ci saranno momenti in cui è arrabbiata, agitata, triste ecc. Quindi, quando la mente è meno che pacifica, avendo la conoscenza, "Io non sono la mente" sai che, indipendentemente dalle condizioni della mente, sei sempre ok. E questa è la vera pace della mente.

L'ignoranza di cui parli e sei afflitta, ormai dovrebbe esserti chiaro, è disconoscere il Sé come la tua vera identità.

cielo
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Re: Vedanta non è la risposta

Messaggio da cielo » 19/11/2018, 19:50

latriplice ha scritto:
19/11/2018, 14:04
Viviana ha scritto:

Purtroppo o per fortuna dirci che non siamo la nostra mente a livello razionale non equivale ad averlo esperito, così come null'altro che possiamo dirci, io posso anche raccontarmi che sono l'Uno incondizionato, incausato, non nato, ma questo non mi porta ad aver risolto i miei condizionamenti, ad essere realizzato o ad essermi liberato da qualsivoglia frustrazione o sofferenza causata dall'ignoranza in cui sono immersa e più che talvolta persa.
1.11 Invero, colui che si considera libero è libero, nondimeno colui che si considera schiavo è schiavo. Qui (nella esistenza attuale) questa comune affermazione è verità: "quale è la (propria) convinzione, tale sarà il corso esistenziale".

Si vive nella condizione di esistenza che, consciamente o meno, si è concepita, per così dire, il contenuto del proprio pensiero e, quindi, quella stessa energia che dirigerà il corso dell'esistenza futura.

Astavakrasamhita, 2015 Kevalasangha, pag.32

Nel brano precedentemente postato, l'autore fa un cruciale e significativo commento che recita: "In che modo padroneggiare la mente può essere padronanza di sé se la mente non è il Sé"? Questo a mio avviso costituisce lo spartiacque fondamentale tra la visone del Vedanta e lo Yoga, dove moksha (liberazione) corrisponde a viveka (discriminazione) per il primo, e chitta vritti nirodha (sospensione delle fluttuazioni mentali) per il secondo.

Dal momento che, "Si vive nella condizione di esistenza che, consciamente o meno, si è concepita, per così dire, il contenuto del proprio pensiero e, quindi, quella stessa energia che dirigerà il corso dell'esistenza futura" a commento del verso 1.11, si può affermare che l'unica differenza tra una cosiddetta persona "non illuminata" e una persona "illuminata", è che la persona "illuminata" non solo sa di essere il Sé, ma lo accetta completamente. Assume il Sé come propria identità primaria e lascia che le implicazioni di quell'identità inizino a cambiare il modo in cui pensa, nel senso che permette alla conoscenza, "Sto sempre bene, non importa cosa" inizi a ridurre la frequenza e a volte, la gravità dei propri disturbi emotivi o fluttuazioni mentali.

Lo scopo di soffermarsi costantemente su questo insegnamento (che è la pratica) è di riconoscere che non c'è differenza tra ciò che sai e chi sei. Se sai che il Sé è libero, allora dovresti sapere che tu sei libera. Significa possedere pienamente quella conoscenza e iniziare a vivere di conseguenza. Questo è "vivere la verità" perché stai vivendo in armonia con come sono realmente le cose. Se all'inizio ti sembra strano, per non dire scandaloso, vivere la tua vita dal punto di vista dell'autoconoscenza (che fondamentalmente è viveka), non preoccuparti. Dopo tutto, è una prospettiva radicalmente diversa da quella che hai avuto per tutta la vita. Ma continua a praticare. Col tempo la tua fiducia aumenterà e la tua tranquillità aumenterà. "Come si pensa, così si diventa". Le persone cercano di rendere complicata l'autoconoscenza quando è davvero così semplice.

Detto questo, mi piacerebbe fare un altra puntualizzazione. Avere una mente pacifica è una cosa eccellente, ma la pace della mente è solo l'obiettivo secondario del Vedanta. Come mai? Perché l'assunto principale del Vedanta è mostrare chiaramente che non sei la mente. Perché non essere la mente piuttosto di avere una mente pacifica? Perché la mente non può mai essere pienamente controllata, il che significa che anche se è principalmente pacifica, ci saranno momenti in cui è arrabbiata, agitata, triste ecc. Quindi, quando la mente è meno che pacifica, avendo la conoscenza, "Io non sono la mente" sai che, indipendentemente dalle condizioni della mente, sei sempre ok. E questa è la vera pace della mente.

L'ignoranza di cui parli e sei afflitta, ormai dovrebbe esserti chiaro, è disconoscere il Sé come la tua vera identità.
Considerare sè stessi come entità che progredisce verso un futuro "migliore" dove si riconosce permanentemente la propria identità col Sè, è ancora un'utopia partorita dalla mente a compensazione del danno che la mente stessa provoca aderendo inevitabilmente all'azione che impulsa lo svolgersi del mondo di veglia "mappato" da desideri e obiettivi (sempre nuovi).
E' però anche vero che il sadhaka non dovrebbe starsene con le mani in mano a contemplarsi l'ombelico, anche se ogni tanto il farlo aiuto a parare i colpi di quella vita ordinaria che ci sbatte come foglie nel vento, qua e là.
Non dovrebbe mollare mai con la pratica del neti -neti (se il suo darśana preferito è il vedanta), ovvero, se è lo yoga, dovrebbe mantenere l'attenzione costantememente focalizzata sull'agire dei "corpi", stabilizzato nel circolo energetico che collega cielo e terra, la creatura al Creatore, e concentrato (h. 24) sul fluire del respiro che congiunge cielo e terra, almeno fino a quando l'ancoraggio alla terra, "tiene".
So ham, oppure Om, aiutano la focalizzazione.
Nulla porta al Sè, che non è un luogo da raggiungere, non ci sono mappe codificate, anche se Ramana stesso parla di raggiungere quel "luogo del cuore" dove pulsa il seme d'oro che racchiude la nostra imperitura Essenza.
Una in tutti.
Adempiere ai propri compiti, per chi ha avuto e ha la fortuna di aver avuto l'accesso a determinate conoscenze di "verità" (sanathana dharma) comprende, secondo me, anche l'umiltà di riconoscere di non avere quasi mai la pace immobile del Sè, e di dibattersi ancora nelle tenebre dell'ignoranza appena la mente aderisce al suo stesso pensiero. Come una madre che allatta il figlio eppure vorrebbe disconoscerlo.
Shanti

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Re: Vedanta non è la risposta

Messaggio da Fedro » 20/11/2018, 7:59

Si cielo, ma così permane sempre un fraintendimento alla base e che sembra dividere, come si vivesse due approcci diversi.
Il punto è che il goal, la carota da inseguire, esiste insieme al credere alla mente.
Mente che per il Vedanta esiste solo come strumento e quindi non può detenere obiettivi, al decadere da sé di questa illusione che si trascina dietro.
Ora, non è detto da nessuna parte (quindi è solo una errata inferenza mentale) che a questo punto si entra nel neoadvaita perché qualcuno dice che senza obiettivo non si fa più niente, perché tanto tutto è realizzato ecc. Probabilmente invece, il fare non interessa più la mente che insegue un obiettivo (la realizzazione) e dunque è un tutt'uno con l'osservazione di sé, da cui è inevitabile non poter più tornare indietro (sarebbe solo una paura della mente).
Ciò non significa che tutto ciò sia liscio e facile come una passeggiata; e se ciò che comanda in noi è ancora l'onestà di non credersi altro, e vige l'amore per la verità (fine a se stessa) allora non abbiamo più scelta da fare o obiettivo da raggiungere, se non quello che ci tocca.

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Re: Vedanta non è la risposta

Messaggio da cielo » 21/11/2018, 21:20

Fedro ha scritto:
20/11/2018, 7:59
Si cielo, ma così permane sempre un fraintendimento alla base e che sembra dividere, come si vivesse due approcci diversi.
Il punto è che il goal, la carota da inseguire, esiste insieme al credere alla mente.
Mente che per il Vedanta esiste solo come strumento e quindi non può detenere obiettivi, al decadere da sé di questa illusione che si trascina dietro.
Ora, non è detto da nessuna parte (quindi è solo una errata inferenza mentale) che a questo punto si entra nel neoadvaita perché qualcuno dice che senza obiettivo non si fa più niente, perché tanto tutto è realizzato ecc. Probabilmente invece, il fare non interessa più la mente che insegue un obiettivo (la realizzazione) e dunque è un tutt'uno con l'osservazione di sé, da cui è inevitabile non poter più tornare indietro (sarebbe solo una paura della mente).
Ciò non significa che tutto ciò sia liscio e facile come una passeggiata; e se ciò che comanda in noi è ancora l'onestà di non credersi altro, e vige l'amore per la verità (fine a se stessa) allora non abbiamo più scelta da fare o obiettivo da raggiungere, se non quello che ci tocca.
Se il fare non interessa più, si è pronti per il pieno ritiro dal mondo.
Stando nel mondo, per necessità o per scelta, si adempie al dharma e per farlo si usa lo strumento mentale, da deporre nella quiete quando il dovere-scopo connesso all'attività di veglia e alle priorità che l'io si sceglie, è compiuto.
Comunque non sono sicura di aver capito il tuo messaggio un po' criptico, nel finale mi sembra che concordi sul fatto che occorre fare quello che "tocca" rimanendo nella costante osservazione " di non credersi altro" (da ciò che si è?).
La mia tattica di convincimento di una mente ribelle e di un senso dell'io scapestrato è ricordare:
"stai nella corrente che ti porta, fai la morta guardando il cielo e le nuvole che passano, ma dai qualche bracciata se necessario ad evitare di sbattere contro le rocce affioranti.
Se ti agiti troppo rischi di affogare prima di aver raggiunto il delta del fiume. Se un mulinello ti prende e ti porta al fondo, resta immobile, come ti ha portato giù ti riporterà su."
La corrente è l'apparenza del mondo che ci trascina nel tempo di "accensione" della forma indossata.
A me serve a poco raccontarmi che anche la forma che indosso è illusorio frutto di credenza mentale, visto che volente o nolente la percepisco e me ne devo occupare e spostarla di qua e di là, farla agire.

Il sapore dell'oceano immenso può essere sentito pieno e completo in ogni singola goccia delle sue acque, ma questo non implica che la goccia sia l'oceano.
La natura e il gusto li rendono identici (goccia e oceano) ma la distinzione è inevitabile percependole ancora come entità distinte.

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Re: Vedanta non è la risposta

Messaggio da Fedro » 21/11/2018, 21:38

Non lo so se chi si ritira dal mondo non faccia niente e viceversa.
Probabilmente sono due diversi modi di fare.
Il fare di cui si parlava era inseguire il goal che, come dicevo, fa parte di un raggiungimento presupposto dalla mente, e di cui si ha da riconoscere la bella natura illusoria delle sue pretese, richieste, domande, desideri. Tutto qui

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Re: Vedanta non è la risposta

Messaggio da Fedro » 22/11/2018, 11:54

cielo ha scritto:
21/11/2018, 21:20
Fedro ha scritto:
20/11/2018, 7:59
Si cielo, ma così permane sempre un fraintendimento alla base e che sembra dividere, come si vivesse due approcci diversi.
Il punto è che il goal, la carota da inseguire, esiste insieme al credere alla mente.
Mente che per il Vedanta esiste solo come strumento e quindi non può detenere obiettivi, al decadere da sé di questa illusione che si trascina dietro.
Ora, non è detto da nessuna parte (quindi è solo una errata inferenza mentale) che a questo punto si entra nel neoadvaita perché qualcuno dice che senza obiettivo non si fa più niente, perché tanto tutto è realizzato ecc. Probabilmente invece, il fare non interessa più la mente che insegue un obiettivo (la realizzazione) e dunque è un tutt'uno con l'osservazione di sé, da cui è inevitabile non poter più tornare indietro (sarebbe solo una paura della mente).
Ciò non significa che tutto ciò sia liscio e facile come una passeggiata; e se ciò che comanda in noi è ancora l'onestà di non credersi altro, e vige l'amore per la verità (fine a se stessa) allora non abbiamo più scelta da fare o obiettivo da raggiungere, se non quello che ci tocca.
Se il fare non interessa più, si è pronti per il pieno ritiro dal mondo.
Stando nel mondo, per necessità o per scelta, si adempie al dharma e per farlo si usa lo strumento mentale, da deporre nella quiete quando il dovere-scopo connesso all'attività di veglia e alle priorità che l'io si sceglie, è compiuto.
Comunque non sono sicura di aver capito il tuo messaggio un po' criptico, nel finale mi sembra che concordi sul fatto che occorre fare quello che "tocca" rimanendo nella costante osservazione " di non credersi altro" (da ciò che si è?).
La mia tattica di convincimento di una mente ribelle e di un senso dell'io scapestrato è ricordare:
"stai nella corrente che ti porta, fai la morta guardando il cielo e le nuvole che passano, ma dai qualche bracciata se necessario ad evitare di sbattere contro le rocce affioranti.
Se ti agiti troppo rischi di affogare prima di aver raggiunto il delta del fiume. Se un mulinello ti prende e ti porta al fondo, resta immobile, come ti ha portato giù ti riporterà su."
La corrente è l'apparenza del mondo che ci trascina nel tempo di "accensione" della forma indossata.
A me serve a poco raccontarmi che anche la forma che indosso è illusorio frutto di credenza mentale, visto che volente o nolente la percepisco e me ne devo occupare e spostarla di qua e di là, farla agire.

Il sapore dell'oceano immenso può essere sentito pieno e completo in ogni singola goccia delle sue acque, ma questo non implica che la goccia sia l'oceano.
La natura e il gusto li rendono identici (goccia e oceano) ma la distinzione è inevitabile percependole ancora come entità distinte.
Rileggendo il tuo post...
Ricordo sempre le parole di PD, divenute per me, nel tempo, un vero monito-mantra:
non credere alla mente.
Ciò è ben diverso dal negarla. Ma non significa nemmeno non osservare l'identificazione in essa che si presenta, volta per volta.
Si presentano delle percezioni, sia relative ai sensi o emozionale: benissimo... sono forse mie o attraversano semplicemente questo corpo? D'altronde non possiamo raccontarci che non ci siano, oppure negarle, ma possiamo sempre osservarle e non crederle nostre.
Ecco il non credere alla mente, al suo continuo tentativo di proninarci le sue pretese di realtà o obiettivi da raggiungere, ovvero per alienarci dal presente, sia creandoci una promessa di felicità, sia tramite un modello ideale che chiamiamo realizzazione (che sempre il medesimo alibi è)

viviana
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Iscritto il: 27/04/2018, 20:55

Re: Vedanta non è la risposta

Messaggio da viviana » 22/11/2018, 18:46

Qui sono arrivate le prime nevi e con loro la connessione ad intermittenza, non so quante volte ho dovuto riaprire il post..

Probabilmente molti fraintendimenti sono frutto di un problema di comunicazione, leggendo la risposta di Fedro al mio commento a Triplice mi son resa conto di come potesse esser stato letto da "uno sguardo" diverso; vedere e vedermi da un'altra angolazione, è sempre una buona opportunità di ossevare quei turbamenti che in me nascondono profonde ed insane aderenze.

Cmq, tornando alla comunicazione: scusatemi, so di essere in difetto, non ho un registro comunicativo aderente a quello di questo forum. Non è mia intenzione portare agitazione o affermare verità assolute, ho semplicemente un mediocre registro comunicativo e faccio molta fatica a cambiarlo perchè, ovviamente, rispecchia il mio stato coscienziale, se a questo poi aggiungiamo che spesso scrivo di getto e che preferisco non utilizzare termini specifici della Tradizione... beh, scusate.

So che, per evitare ulteriori ed inutili fraitendimenti dovrei utilizzare i termini propri della Tradizione. Se non lo faccio è perchè sento di non averli ancora "compresi interamente"; è come se, x me, ci fosse ancora qualcosa di celato dietro a certi termini, è come esser coscienti che cercando di parlare in una lingua che ancora non si padroneggia si rischiano tragicomici sperchi di energia e tempo per rimediare a più che probabili incomprensioni.

Detto questo penso che oltre ad un problema di comunicazione ci siano forme mentis e posizioni coscienziali molto differenti e quando questo avviene, se a muovere le nostre interazioni non è la volontà di comprendersi e condividere le proprie fallaci esperienze e differenze, probabilmente ci saranno poche possibilità di scambi vicendevolmente fruttiferi e questo è un peccato.
A scanso di equivoci: non mi interessa la competizione, non sono qui per questo, se la discussione diventa una sterile presa di posizione e non vi è possibile breccia all'ascolto, solitamente preferisco non continuare a discorrere.

La Triplice, Fedro:
è chiaro che, l'Unità, quello che per me è "l'ultimo passo", forse l'unico che non dipende dalla mia volontà, sembra per voi essere il primo e da quanto affermate sembra che per voi sia possiBble esperirlo proprio tramite un atto di volontà.
Abbiamo una visione diametralmente opposta.

Per la mia dimensione conscienziale ciò è incomprensibile e non trovo utilità nel sentirmelo ripetere, perchè so che per quanto mi riguarda non è attuabile, è qualcosa che, ad un certo punto accade.
E so che devo percorrere ancora molta strada e probabilmente moltissime vite prima di arrivare al punto in cui la mia identità si risolverà nel Sé stabilmente.

Nel frattempo mi dedico ai preparativi.

Fedro: per me serenita' e pace mentale sono conseguenze di una condizione coscienziale di identità, affiorano quando l'attenzione è interamente focalizzata al Centro, quando si risiede in se stessi.

Non penso che la sospensione dei pensieri dia pace o serenità. Dove hai letto che la mia pratica è indirizzata a questo? In che modo hai dedotto che per me la sospensione del pensiero faccia emergere consapevolezza? Cosa ti ha fatto arrivare a queste conclusioni? Dove ho scritto che la mente ordinaria si trasforma in alcun chè? Che l'io o l'ego si trasforma in alcun che?

La percezione che ho leggendoti è che, nei miei riguardi, hai aderito ad un tuo preconcetto mentale, una visione della mia pratica e del mio stato coscienziale che appartiene esclusivamente ad una tua rappresentazione, non c'è apertura e nel caso vi fosse non traspare.

Ho già logorroicamente e noiosamente spiegato e rispiegato cosa intenda per consapevolezza e purificazione della mente, ne abbiamo già parlato ma tu torni sempre allo stesso punto.

Così come x la questione della pratica: sembra che tu identifichi la mia pratica unicamente nella meditazione e che cmq vs qs strumento o sul fatto che io lo utilizzi , tu nutra una certa avversione, non so quale nervo tocchi ma così appare.
Ho capito che ti han detto che non serve, che c'è ben altro da fare, che basta essere, amare... ma questo l'han detto a te, era rivolto a te o ad altri in un determinato momento e contesto.
E, ripeto, premettendo che le frasi che hai riportato sono frasi estrapolate da un discorso probabimente più ampio, fatto in un determinato contesto a determinate persone, in funzione di un determinato motivo...
_______________________________________________________________________________
diceva Bodhananda: "non puoi diventare ciò che sei, puoi solo smettere di credere ciò che non sei".
Questo per dire pure che, l'idea di raggiungere altro da sé, è un'illusione che ha bisogno di crearsi la mente per uscire da se stessa (ma in realtà rimanere inalterata.)
_______________________________________________________________________________

Chi ha mai affermato che voglio raggiungere altro dal Sè?

"Smettere di credere in ciò che non sei...."
Mi rendo conto della mia mediocre capacità comunicativa e dei differenti piani coscienziali che esperiamo ma è possibile che in tutte le spatafiate che ho scritto non sia mai emerso che, ovviamente, il punto è questo? Sempre e soltanto questo, che tutto è fatto in preparazione a questo?

Se a te è bastato dirti:
"smetti di credere in ciò che non sei" e tu: "et voilà, libero come l'etere", beato te, ne devi aver percorsa di strada.
Io invece sono all'inizio: talmente immersa nella sofferenza e nell'errore che non riesco a risolvere ciò che non sono con una semplice affermazione.
Io ho evidentemente bisogno di una lunga preparazione, altrimenti sarei già identificata stabilmente nell'Uno, lo sarei da oltre trent'anni, da quando in prima superiore ho letto: neti neti! tat tvam asi.
E invece no, invece la mia forma mentis era talmente condizionata da errori, grossolanità e preconcetti che mi ci sono voluti anni di sforzi, di sofferenza (egoica) e di rinuncia per poter arrivare ad avere una forma mentis sufficientemente spuria ed atta ad accoglierlo anche solo come concetto.
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Le pratiche possono lucidare la superficie (la mente) in modo che essa non interferisca con le sue sovrapposizioni, altro non possono e, se cadono le illusioni, al distacco conseguente, esso non è un raggiungere il Sé, visto che eri da sempre "lì" e non può essere diversamente
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E' esattamente quello che affermo e che continuo ad affermare ma non sembra che tu lo voglia accogliere...
Le pratiche sono uno strumento NON il fine e, tanto per ripetermi:
la mia pratica non si limita alla meditazione.
Se sei nato in qs forma con uno stato coscienziale in cui la tua mente è pervasa da oscurità e i tuoi guna non hanno raggiunto un consono equilibrio, hai bisogno di praticare, che equivale a dire (e mi ripeto): purificare la tua mente da ciò che non sei e NON volerti trasformare in qualcosa.
Praticare per me non è altro che vivere secono le leggi universali, ma come fai a vivere in accordo ad esse se non le hai comprese e non sei in grado di esperirle rettamente?
Come puoi comprendere che sei nell'errore se non lo riconosci e come puoi riconoscerlo se la tua mente non è purificata da tutti i condizionamenti, gli attaccamenti, le illusioni, i preconcetti e le aderenze cui siamo soggetti?

...per quanto mi riguarda la risposta è:
se non sei in grado di discernere pratichi secondo quanto ti è stato mostrato dai Saggi, da chi questo cammino l'ha già percorso, utilizzi con dedizione gli strumenti e le indicazioni che ti sono state offerte e che più risuonano al tuo stato coscienziale, cerchi di abbandonare una per una tutte le certezze mentali, emotive e mondane a cui aderisci con l'assoluta fiducia che quegli strumenti, quelle indicazioni possano supportarti nel cammino, aiutandoti a risolvere tutto ciò che non ti serve, svelandoti tutto ciò che non è reale, non cercando opposizione ma comprensione, integrazione.

Quello che tu chiami:
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Il fare di cui si parlava era inseguire il goal che, come dicevo, fa parte di un raggiungimento presupposto dalla mente, e di cui si ha da riconoscere la bella natura illusoria delle sue pretese, richieste, domande, desideri. Tutto qui
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per me si chiama aspirazione per il sè ed è una qualificazione necessaria.
Non c'entra nulla con la natura illusoria della mente, non è assolutamente un'esigenza della mente ordinaria, è proprio il contrario, la mente ordinaria fare di tutto per combatterlo e mantenere il controllo.
Puoi identificarla con un'esigenza della mente ordinaria se non esperisci quanto i Testi della Tradizione suggeriscono, se anzichè esperirla rettamente la utilizzi come gioco mentale, gratificazione, strumento di consolazione, conforto ed affermazione egoica.
Non è semplice capire le indicazioni, è difficile seguirle, ed è un dono riuscire a comprenderle. Periodicamente ci si rende conto di aver imboccato un vicolo cieco, l'affiorare del discernimento ci permette, mano a mano, di riconoscere l'errore e di poter riniziare con rinnovato vigore e fede, non illusione ma fede.

Avendo una forma non puoi non sottostare a determinate leggi che la governano finchè non hai raggiunto il punto di trascenderla ma chi puo' dire di averlo fatto? Chi?
Tu, io, noi tutti siamo sottomessi e condizionati dalla forma e dai movimenti che la creano, vivere nella mondanità e della mondanità ci immerge talmente tanto nelle correnti più tamasiche, ci trascina talmente in basso, ci condiziona talmente che non possiamo che esserne continuamente distratti e confusi.
Non è un caso che quando si è pronti a farlo, sorga naturlamente l'esigenza di ritirarsi dalla mondanità, di ritirarsi in luoghi solitari in eremitaggio, con compagni che abbiano "le medesime virtù" o nel caso in cui non si incontrino, da soli.
Certo prima è necessario vivere tutto ciò che si deve vivere, non avere più forti bramosie mondane, è neessario aver cercato di soddisfare tutte le più potenti brame che ci condizionano per poter capire che non è possibile soddisfarle e che non sono altro che brame e che ad una bramosia ne segue sempre un'altra, senza fine.
Il ritiro dalla mondanità non è un rifugio o una fuga dal mondo ma un'opportunità, l'opportunità di poter focalizzare tutta la propria attenzione all'interno di sé, di poter dedicare completamente la propria vita, il proprio quotidiano allo stabilizzarsi nel Sè.

ll fare diviene "retta azione" quando è puro, cioè non condizionato da una aspettativa o da un risultato, quando tutta l'attenzione è concentrata nell'azione, e quando ciò avviene la mente ordinaria non ha alcuno spazio x apportare distrazione all'indagine, all'autosservazione.
A quel punto coscienza e conoscenza sono uno, sono consapevolezza scaturita dalla saggezza che a sua volta scaturisce dalla retta ed equanime osservazione, da quel vuoto e in quel silenzio in cui si riesce a risiedere sempre più a lungo. Questo tipo di azione è pratica. Ogni azione di questo tipo è pratica, persino tagliare le cipolle, e meno distrazioni esterne hai, più opportunità hai di poterla agire continuativamente.

Da ciò che affermi sembra quasi che tu non creda che si necessiti di una preparazione.

Io credo che, per quanto mi riguarda, la preparazione mi sia necessaria, che la meditazione sia un validissimo strumento, che le qualità dei guna che ad oggi mi qualificano siano molto condizionanti e proiettive e purtroppo focalizzate più verso la grossolanità che verso la trascendenza.

Credo che avendo una forma ed essendo involontariamente condizionata da ciò verso cui questa forma è attratta e verso cui risuona, io non possa far altro che cercare di preparare il terreno, cercare di "portare maggiore equilibrio nella forma", cercare di purificare la mente affinchè mi sia possibile focalizzarmi non tanto verso proiezioni, preconcetti e condizionate aderenze, quanto verso un trascendere tutto ciò che non è reale, tutto ciò che non sono.
E vista la mia posizione coscienziale attuale credo che, ad oggi, l'unica libertà che ho sia quella di cercare di scegliere i condizionamenti a cui sottomettermi.
Affinchè, un giorno molto molto lontano, possa esser pronta a riconoscere e osservare e accogliere e comprendere ciò che sono, stabilmente.

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Fedro
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Re: Vedanta non è la risposta

Messaggio da Fedro » 22/11/2018, 20:24

Cara Viviana, avendo poco tempo, intanto scrivo qualcosa a caldo, mentre sono in treno, nel mio pendolo quotidiano.
Innanzitutto: non hai da scusarti di niente (lo dico perché lo hai fatto tante volte in questo ultimo tuo messaggio). Inoltre, come tu stessa dici, non siamo qui per competere, ma solo per offrire la propria visione personale, quando serve (ma effettivamente serve meno di quel che pensavo sinora).
Non so della tua pratica, né mi permetto di giudicarla, dunque mi spiace siano sorti certi fraintendimenti, uno su tutti: che io e il triplice diciamo che si arriva in fondo con volontà... ecco credo di aver detto proprio il contrario, anzi.
Non entro stavolta nello specifico di quello che dici, anche perché non è detto che si tocchino certi punti col medesimo linguaggio (ma neanchio uso il sanscrito ) e punto di vista.
Dunque è tutto OK...
Inoltre, sono spartano nello scrivere, lo ammetto e questo porta a fraintendimenti...
Infine, non credo serva molto toccare punti di lana caprina, in quanto può soltanto confondere ulteriormente, soprattutto quando l'essenziale sembra già presente...
Un caro saluto :)

viviana
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Re: Vedanta non è la risposta

Messaggio da viviana » 24/11/2018, 23:14

Va ben,
ogni bene a noi :)

cielo
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Re: Vedanta non è la risposta

Messaggio da cielo » 25/11/2018, 10:25

Fedro ha scritto:
22/11/2018, 20:24
Cara Viviana, avendo poco tempo, intanto scrivo qualcosa a caldo, mentre sono in treno, nel mio pendolo quotidiano.
Innanzitutto: non hai da scusarti di niente (lo dico perché lo hai fatto tante volte in questo ultimo tuo messaggio). Inoltre, come tu stessa dici, non siamo qui per competere, ma solo per offrire la propria visione personale, quando serve (ma effettivamente serve meno di quel che pensavo sinora).
Non so della tua pratica, né mi permetto di giudicarla, dunque mi spiace siano sorti certi fraintendimenti, uno su tutti: che io e il triplice diciamo che si arriva in fondo con volontà... ecco credo di aver detto proprio il contrario, anzi.
Non entro stavolta nello specifico di quello che dici, anche perché non è detto che si tocchino certi punti col medesimo linguaggio (ma neanchio uso il sanscrito ) e punto di vista.
Dunque è tutto OK...
Inoltre, sono spartano nello scrivere, lo ammetto e questo porta a fraintendimenti...
Infine, non credo serva molto toccare punti di lana caprina, in quanto può soltanto confondere ulteriormente, soprattutto quando l'essenziale sembra già presente...
Un caro saluto :)
Spartano nel linguaggio?
Io ti trovo molto ateniese, assiso nell'Agorà a disquisire con i dotti i diversi punti di vista, tutti uniti almeno nella speranza di schivare i fulmini di Padre Zeus, unico ad esercitare la volontà sull''Olimpo e sul mondo, e di eventuali suoi temporanei emissari, ma anche separati nelle proprie visioni personali, che purtroppo, a volte, risultano inamovibili e neppure ce ne accorgiamo.

Volevo chiederti quali sono secondo te i punti di lana caprina che sono stati toccati (come e da chi) in modo da non confonderni.
In realtà (la mia) mi sembra chiarissima l'esposizione di Viviana che illustra il percorso di un qualsiasi sadhaka che si arrabatta con le pratiche che ritiene più consone al proprio livello coscienziale e utili a placare lo strumento mente.
Il fine giustifica i mezzi? Secondo me sì, perchè è chiaro che ognuno troverà i propri mezzi utili, in modo che la mente invece che partire per la tangente dietro ogni coda di passero, si assesti al centro, nel cuore, dove percepire quella quiete dell'Essere, e coltivare quella sicurezza interiore che rafforza sia l'intento (di arrivare al goal), sia la capacità di mantenere l'apertura in modo che ogni scambio (anche nell'agorà) sia propizio e istruttivo, oltre che stimolante la "creatività" personale di visione che più è ampia, meglio è. Si aderisce a un punto di vista e si lascia andare una volta compreso e integrato. Nessuna contrapposizione, in ogni circostanza e in ogni scambio.
L'ampiezza e l'apertura non escludono la capacità di centrarsi "sull'unico punto", anzi, secondo me la favoriscono.

Io vedo il sadhaka come un artista che crea la propria opera - strada nella giungla del samsara, con un macete in mano, sfronda le frasche che ostacolano il cammino, aggira le paludi e si accampa per la notte. Fortunato assai se trova un luogo dove bersi una tazza di sakè in buona e allegra compagnia.

Che l'essenziale sia già presente concordo, ma lo sforzo di togliersi gli occhiali colorati e guardare sè stessi e il mondo "così come sono", nudi e crudi, credo che dovremmo farlo tutti, nessuno escluso.
E non mi pare questione di lana caprima.

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Re: Vedanta non è la risposta

Messaggio da Fedro » 25/11/2018, 11:09

Perfetto; e visto che tu mi veda meglio di quanto possa vedermi io stesso, non mi pare che serva perdere tempo ad aggiungere colori alle lenti personali preesistenti.
L'ho già detto:
ciascuno pensi a guardarsi propri pregiudizi(colori) personali.
Da parte mia, impieghero' più tempo a questa impresa piuttosto che aggiungere colori qui.
Buona domenica e buona continuazione :)

PS in questa ultima settimana, sei la terza persona che entra in merito nel percorso di altri, e che però attribuisce a me questa azione.
Singolare no?

cielo
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Re: Vedanta non è la risposta

Messaggio da cielo » 25/11/2018, 12:47

Fedro ha scritto:
25/11/2018, 11:09
Perfetto; e visto che tu mi veda meglio di quanto possa vedermi io stesso, non mi pare che serva perdere tempo ad aggiungere colori alle lenti personali preesistenti.
L'ho già detto:
ciascuno pensi a guardarsi propri pregiudizi(colori) personali.
Da parte mia, impieghero' più tempo a questa impresa piuttosto che aggiungere colori qui.
Buona domenica e buona continuazione :)

PS in questa ultima settimana, sei la terza persona che entra in merito nel percorso di altri, e che però attribuisce a me questa azione.
Singolare no?
perchè arrabbiarsi? io ti vedo come ti vedo, mica ho detto che la mia visione è giusta. Ognuno ha lenti colorate e vede il mondo e le persone a modo suo.
Dire di essere spartano nel linguaggio è entrare in merito al proprio percorso? E' qualcosa che hai fatto tuo questo giudizio sul tuo modo di scriverei, è un vedersi esclusivo, oppure consente anche all'altro di vedere ciò che vede e magari di dirlo?
Mi spiace, non mi ero accorta di essere entrata in merito al tuo percorso.

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Tra gli occhiali colorati

Messaggio da Fedro » 25/11/2018, 14:09

Senti, più che arrabbiato sono un po stufo; come vedi non serve molto tentare di mettersi al posto degli.altri.
Sei entrata tu e ortica a dare giudizi DOC o di livello circa il percorso di Viviana (se vuoi ti cito) e di me parli di Olimpo ecc..
Poi anche Viviana lo ha fatto, ma conoscendomi poco, ma soprattutto da poco, una proiezione in più, ci può anche stare.
Ecco, penso possa scemare qui questo interminabile e infruttuoso riflesso

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