KaaRa ha scritto: ↑12/06/2018, 21:15
Vi ringrazio Cielo e Ortica. Non potevate secondo me spiegare meglio di come avete fatto. Posso solo dire che, pur comprendendo (anzi, apprezzando tuttora) la garanzia di cui parla Cielo, quella che ci viene fornita dal nome-forma di chi per tradizione (antico o moderno che sia) viene considerato una fonte autorevole in questi nostri argomenti, ho cominciato già da tempo a "leggere" in quasi tutto e tutti i segni della Fonte. Rimane sempre più difficile saper distinguere chi è saggio e chi no, e non nel senso che non riconosco (pur nei miei limiti) se una parola è evidentemente in linea con le tradizioni più elevate, ma nel senso che da tutto si può veder filtrare la saggezza (questo non impedisce di rapportarsi con le varie cose e persone a seconda di come si mostrano nei loro vari aspetti più formali).
Dice la tradizione (Uddhava Gita, l'insegnamento di Krishna ad Uddhava, dallo Srimad Bhagavatam, XI, 7), che Dattatreya l'Avadhuta abbia avuto 24 maestri, fra cui il sole, il vento, il fuoco, la formica, l'acqua, la danzatrice Pingala, il costruttore di archi, etc.
Da ognuno apprese, per poi rinunciare a quanto aveva appreso e perfino alla rinuncia.
Ma Dattatreya era, appunto, un Avadhuta.
Ai comuni mortali più fortunati, e predisposti, si palesa talvolta la Grazia del Maestro, la tradizione vivente, e tutto diviene più semplice, anche imparare dal sole, dal vento, etc.
Nei riguardi della forma di concentrazione che Ortica potrebbe aver riconosciuto in ciò che ho descritto, mi viene solo da "invidiare" coloro a cui basta un "nome divino" (o un "oggetto naturale", come diceva Fedro), e a questo proposito chiedo a tutti (magari aprirò un altro argomento, prima ancora di aprirne uno sul Brahmasutra, se ci sarà occasione), nel caso abbiano praticato una attività del genere, qualunque fosse l'oggetto usato: quanto, e con quale intensità e qualità, riuscite a mantenere una concentrazione del genere? E riuscite ad andare oltre alla concentrazione? (Mi riferisco alla "sequenza" concentrazione-meditazione-contemplazione, di cui parla anche Sai Baba, anche se non so se ho invertito gli ultimi due termini).
La massima intensità di concentrazione si mantiene senza sforzo nelle ore beate (ahimè troppo poche) in cui lavoro sui testi sacri.
Il mondo esterno, i pensieri, le sensazioni fisiche, il senso dell'io, tutto scompare, assorbito dalla parola del Maestro.
Potrei andare avanti per giorni, senza mangiare nè bere, senza necessità di sorta, se non fossi chiamata dalle esigenze del quotidiano.
Per il resto da tempo, salvo casi particolari in cui sento la necessità di ricentrarmi, ho abbandonato la pratica formale della concentrazione seduta o camminata, seguendo le indicazioni del Riferimento di portare l'attenzione nella vita quotidiana, cogliendomi peraltro quasi sempre distratta.
Cerco di espletare lo svadharma, in base al varnasrama, dedicando ogni azione al Divino.
Se mi posso permettere un suggerimento, non farne un'ossessione, vivi finché ci sarà l'istanza a sperimentare questa vita.