Il gruppo che cura Vedanta.it inizia ad incontrarsi sul web a metà degli anni 90. Dopo aver dialogato su mailing list e forum per vent'anni, ha optato per questo forum semplificato e indirizzato alla visione di Shankara.
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Bhakti

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Bhakti

Messaggio da Fede79 » 19/04/2018, 8:48

Il concetto di bhakti è presente sia nell'induismo che nel buddismo,ma qual'è la differenza?

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Re: Bhakti

Messaggio da Fedro » 19/04/2018, 8:54

È l'intensità della fiamma che importa, non i nomi e le forme.

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Re: Bhakti

Messaggio da Mauro » 19/04/2018, 18:41

Fedro ha scritto:
19/04/2018, 8:54
È l'intensità della fiamma che importa, non i nomi e le forme.
Non è obbligatorio rispondere, però rispondere con frasi di questo genere (stile filosofico/ mistico), non credo evada la domanda fatta.

Nel merito: non credo che il buddhismo, inteso come dottrina, preveda la bhakti.

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Re: Bhakti

Messaggio da Fedro » 19/04/2018, 19:01

Mauro ha scritto:
19/04/2018, 18:41
Fedro ha scritto:
19/04/2018, 8:54
È l'intensità della fiamma che importa, non i nomi e le forme.
Non è obbligatorio rispondere, però rispondere con frasi di questo genere (stile filosofico/ mistico), non credo evada la domanda fatta.

Nel merito: non credo che il buddhismo, inteso come dottrina, preveda la bhakti.
Vero che non è obbligatorio rispondere :)
È anche vero che ciascuno risponde secondo il proprio stile (filosofico, mistico o altro)

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Re: Bhakti

Messaggio da Mauro » 19/04/2018, 20:05

Si ma nel merito della domanda, che volevi dire con la tua risposta, Fedro?

Io l' ho letta nella versione: "tanto è tutta un' illusione", cioè il classico "passepartout"...

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Re: Bhakti

Messaggio da Fedro » 19/04/2018, 20:48

Mauro ha scritto:
19/04/2018, 20:05
Si ma nel merito della domanda, che volevi dire con la tua risposta, Fedro?

Io l' ho letta nella versione: "tanto è tutta un' illusione", cioè il classico "passepartout"...
Beh no....
Ho detto quello che semplicemente ho detto, ponendo cioè l'accento sull'intensità della bahkti, piuttosto che al culto a cui essa si riferisce.

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Re: Bhakti

Messaggio da cielo » 19/04/2018, 20:52

Mauro ha scritto:
19/04/2018, 18:41

Nel merito: non credo che il buddhismo, inteso come dottrina, preveda la bhakti.
Concordo, prevede la presa di rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sanga, che è una forma di devozione da praticare nel qui e nell'adesso.
Nel buddhismo (secondo la mia visione) l'aspetto devozionale presuppone un'apertura interiore, il rispetto e la fiducia nei tre Gioielli che non sono visti come simboli di un credo a cui rendere culto, ma strumenti, mezzi abili per conoscersi e trascendere la sofferenza del samsara.
Nelle pratiche dei monasteri il Buddha viene personificato, e le sue statue vengono onorate dalla devozione dei monaci e delle monache con offerte di incensi o fiori, ma la parola "buddha" è un termine indicativo della saggezza insita nell'essere umano; Buddha è colui che conosce la verità" o "quello che conosce". L'adorazione è interiore, proprio come nella pura bhakti che trascende i culti formali.
La parola buddha evoca il sanscrito bodha: la conoscenza intuitiva, diretta, la conoscenza che è effettiva presa di consapevolezza della Realtà. La bodha è comprensione che risolve e scioglie ogni legame duale, è il risveglio coscienziale.
E il Buddha è chiamato anche il risvegliato.

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Re: Bhakti

Messaggio da Mauro » 19/04/2018, 22:02

Prendere rifugio nel Dharma, nel Sangha e nel Buddha, a mio avviso non è bhakti.

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Re: Bhakti

Messaggio da cielo » 20/04/2018, 19:02

Mauro ha scritto:
19/04/2018, 22:02
Prendere rifugio nel Dharma, nel Sangha e nel Buddha, a mio avviso non è bhakti.
Sì, non è bhakti soprattutto per come inteso il termine nel quadro-visione del vedanta, dove bhakti si traduce con devozione e la si intende come abbandono pieno e incondizionato al Principio, all'ideale, alle parole del guru e delle śastra. Non viene legata al culto, ma slegata da ogni vincolo e orpello ritualistico. Mostra che la devozione è oltre il rituale, da esercitare finchè serve, finchè c'è bisogno di un sostegno, e, parlo per me, di una consolazione mentre si saltella sui carboni ardenti del samsara.
Viene tratteggiato così un percorso di spogliazione in cui la devozione si auto rende "pura", decantandosi progressivamente da tutti gli elementi di adorazione ad un oggetto (che perpetua la relazione duale di un io e un Tu, seppure supremo) affrancandosi dai culti e perfino dalla sadhana che inevitabilmente si struttura su percorsi ritualistici, pur se solo più mentali.
La devozione si libera anche dal mercanteggiamento che orienta la preghiera a chiedere per la soddisfazione di un desiderio, non per la liberazione dal desiderio stesso.
Il vedanta, a mio avviso, cerca di condurre il ricercatore dall'esteriorità all'interiorità, verso la condizione-stato di coscienza della para bhakti che a sua volta è condizione per la pura conoscenza, jnana.
Cercavo la kārikā di Gaudapada in merito, ma casualmente il libro si è aperto qui:

"La conoscenza dell'essere illuminato, la quale è onnipervadente, non ha rapporto con alcun oggetto; così le anime non hanno rapporti con gli oggetti. Questo punto di vista non è stato espresso dal Buddha."
(Mandukya upaniṣad , capitolo IV, Dell'estinzione del tizzone ardente, k. 99)

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Re: Bhakti

Messaggio da cielo » 23/04/2018, 9:37

Sarebbe "bello" che sull'argomento bhakti, oltre le incasellature in specifici darśana e dottrine, si aprisse un pacifico dibattito tra noi.

Difatti c'è spesso una disamina polemica fra la via della conoscenza, jñānayoga e via della devozione, bhaktiyoga che cade quando i Conoscitori affermano che, in ciascuna, l’altra è sottesa e integrata. Non c’è conoscenza senza amore e non c’è amore senza conoscenza, facce di un’unica medaglia la cui integrità necessita entrambe.. (da Introduzione di Bodhananda a Ricordi, di Ramana Maharshi, raccolti da G.V. Subbaramayya. Ed. Pit.)

Nella Gita inoltre Krishna spiega che in questa era di Kali, oscura e ferrosa, la via più facile da praticare è quella della devozione, e ne deduco, forse erroneamente, che molti ricercatori seri tendono a sviluppare e coltivare preferibilmente forme devozionali, in "proprio" o in una comunità o sanga a cui si affidano per confronto e sostegno, imparano culti e rituali di varia origine, pregano in tanti modi diversi, chiedono preghiere agli altri, e in generale si ancorano alla speranza che la Misericordia Divina provveda a riparare i guasti interiori di questa umanità, nonchè i guasti che ha causato sul pianeta che sta rotolando nel cosmo. E' un istinto primordiale la preghiera, secondo me, l'uomo incarnato non può farne a meno, almeno finchè è imbevuto della paura di perdere ciò che ha e della morte, che se è perso il corpo che fine farò? Che succede a questo "me"?

Questo ancoraggio è necessario, è utile?
Da una visione che tenta la trascendenza del duale, a chi prega, si affida e spera che da fuori vengano risolti i problemi intimi o planetari, si possono rispondere le solite frasi che ben conosciamo: "C'è solo il Sè, stai nel Sè perchè tu sei Quello, atma nel Paramatma, non c'è niente da chiedere o da fare, sii ciò che sei...." e via discorrendo.
Per quello che mi riguarda mi è stata indicata come adatta l'asparsa vada, la via senza sostegni o della non generazione (di ulteriori semi di karma, vasane, impulsate dal moto incessante del desiderio) e questo tentativo di praticare "l'impraticabile", senza "rete", mi crea una sorta di frattura interiore perchè spesso mi trovo combattuta o a combattere con "forme devozionali troppo spinte" o troppo emotive che mi provocano un immediato giudizio mentale e una sorta di irritazione emotiva.

Subito scattano domande tipo: "Chi preghi? Chi è Dio? Un tizio seduto sulle nuvole che butta caramelle o fulmini a seconda di come buttano i peccati e i meriti del mondo? Cosa sono le preghiere che chiedi per la pace in Siria? Si muovono nel vento, vanno in una pentola di energia buona che cuoce? Le mettiamo nei contenitori con le etichette? (queste per la Siria, queste per l'amica che si deve operare, queste per la famiglia, per tutto il mondo forse è meglio...un unico contenitore?)
O l'energia che mi mandi col reiki di terzo livello, faticosamente conquistato, cos'è, scientificamente parlando, com'è che la tua arriva e la mia no?
Ma l'Energia non era una?
Ma sono domande che già mi facevo alle elementari, al catechismo, per via di certe vicende lì raccontate che secondo me non stavano nè in cielo nè in terra, o comunque andavano circostanziate, almeno un minimo, non buttate lì così a una povera bambina che avrebbe un sacco di domande da fare. La Torre di Babele e Sodoma e Gomorra (se ti volti indietro diventi una statua di sale...), Adamo ed Eva, il serpente, la mela, la cacciata dall'eden, le prove durissime dopo...
Ṁi piaceva molto la storia di Caino e Abele, quella si capiva bene.

L'aspirante asparsin, per come l'ho capita io, non dovrebbe condannare nè combattere i dualisti, perchè se è giunto a quella posizione coscienziale ha visto in sè la costante scissione dualistica, e quindi ritiene i dualisti semplicemente imperfetti conoscitori della Realtà suprema, proprio come sè stesso.
Semplicemente ancora ignoranti (che ignorano) immersi nell'illusione, velati e offuscati da Māyā, la Bella dei mondi.
Si dice che la māyā è anirvacanīya, cioè indescrivibile, proprio perchè è māyā; essa è una constatazione di fatto e basta. La māyā può essere eliminata ma non descritta perchè nel momento in cui la si osserva sparisce.
Quando il sognatore notturno si sveglia dal sogno, la realtà del sogno sparisce, ma finchè si stava nel sogno si sperimentava la realtà. Quando l'essere sognante si sveglia e si toglie i veli che lo avvolgono, la māyā sparisce. L'universo esiste e non esiste, dipende dalla visuale in cui ci si pone.

L'ignoranza (equivalente di Māyā a livello individuale) è dunque reale e non reale, esiste eppure può essere vinta.
L'autentico asparsin è uno yogi che tutto comprende e, se comprende, non si contrappone ad alcuno. La māyā della separazione ha cessato di esistere.

Questo però, nelle relazioni umane, non dovrebbe essere un mero atteggiamento di sufficiente tolleranza verso "i dualisti" che necessitano di forme esteriori o credenze per vivere, ma il riconoscimento interiore che nel tempo-spazio tutti possono avere ragione e a tutti bisogna dare la libertà di esprimere il proprio punto di vista, il proprio modo di imparare dalla Vita e con la Vita che mostra all'incarnato la sua incredibile molteplicità.
La coscienza senza circonferenza dell'asparsin ha in sè tutti i punti di vista particolari perchè essendo Brahman, non può non contenere in sè la totalità.
Mi sforzo per non intrappolarmi da sola in concetti mentali e vuote sentenze in modo da evitare di esprimere sufficiente tolleranza o eccessivo buonismo o critica aggressiva e demolitrice. Provare non nuoce.

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Re: Bhakti

Messaggio da latriplice » 23/04/2018, 10:45

La coscienza senza circonferenza dell'asparsin ha in sè tutti i punti di vista particolari perchè essendo Brahman, non può non contenere in sè la totalità.
Brahman : sat cit ananda (satya)

Asparsin: nama rupa. (mitya)
?
La vera bhakti é quando elimini dalla visione il nome e la forma.

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Re: Bhakti

Messaggio da Fedro » 23/04/2018, 10:52

latriplice ha scritto:
23/04/2018, 10:45
La coscienza senza circonferenza dell'asparsin ha in sè tutti i punti di vista particolari perchè essendo Brahman, non può non contenere in sè la totalità.
Brahman : sat cit ananda (satya)

Asparsin: nama rupa. (mitya)
?
La mente separa (categorizza) e si domanda delle differenze di ciò che ha diviso.
Il nous unisce e vede quello che c'è.

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Re: Bhakti

Messaggio da latriplice » 23/04/2018, 12:24

Come pervenire alla pura visione (bahkti) scevra della contaminazione del nome e della forma?

Con l'auto-conoscenza"io sono Brahman", poiché il mondo dei nomi e delle forme esiste soltanto per chi ritiene di essere un corpo-mente separato da tutto il resto.

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Re: Bhakti

Messaggio da Fedro » 23/04/2018, 12:31

latriplice ha scritto:
23/04/2018, 12:24
Come pervenire alla pura visione (bahkti) scevra della contaminazione del nome e della forma?

Con l'auto-conoscenza"io sono Brahman", poiché il mondo dei nomi e delle forme esiste soltanto per chi ritiene di essere un corpo-mente separato da tutto il resto.
E chi ha stabilito che nel "momento bahkti" si debba fare a meno del nome e forma?

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Re: Bhakti

Messaggio da cielo » 23/04/2018, 16:10

latriplice ha scritto:
23/04/2018, 10:45
La coscienza senza circonferenza dell'asparsin ha in sè tutti i punti di vista particolari perchè essendo Brahman, non può non contenere in sè la totalità.
Brahman : sat cit ananda (satya)

Asparsin: nama rupa. (mitya)
?
La vera bhakti é quando elimini dalla visione il nome e la forma.
L'asparsin, non io che sono un jiva sognante, sa di essere Brahman, è il Brahman, ha trasceso il nama rupa, pur indossandolo finchè c'è.
E' satya, la incarna. Afferma la Realtà ultima e assoluta, il solo dato di cui si possa dire che è veramente reale. E' un ente senza nascita la cui essenza, fuori dal tempo, è coscienza omogenea.
"Io sono libero dall'inizio alla fine. Ṅon ho mai avuto legami. Questa è la mia certezza, che sono puro e senza macchia per mia natura".(Avadhūtagītā: cap. I,44)

E' oltre il mondo della relazione e del concetto, oltre ogni approccio di ordine religioso-ritualistico, teologico o filosofico-concettuale, aldilà di tutti i tipi di yoga classico che si appoggiano all'azione, al sentimento e alla volontà di conoscere.
Brahman è, e aggiungervi qualcosa o tentare di descriverlo significherebbe dargli attributi che appartengono al mondo del relativo.
E' il paradosso classico in cui si cade quando si afferma che l'universo è māyā visto che implicitamente si sostiene che esso esiste eppure non esiste: dipende dalla visuale in cui ci si pone.
Dalla prospettiva di turīya l'universo è moto apparente, da quella empirica invece è movimento conformato, ordinato, che per l'occhio sensoriale è reale.
La testimonianza metafisica dice che l'Assoluto non crea, nè può creare. Il serpente che si vede al posto della corda, nè nasce, nè si riassorbe nella corda, perchè la corda non ha prodotto niente. Il serpente non è qualcosa di sostanziale, di reale che possa dirsi di essere, di esistere, con una sua direzione, finalità. Si può dire solo che è māyā, che non evolve verso qualcosa, ma sparisce al tocco della consapevolezza della corda, come il sogno notturno che svanisce al risveglio, con l'insorgenza della coscienza di veglia che quando vuole cogliere il movimento del sogno, "pensarlo", esso svanisce completamente o resta indeterminato.

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Re: Bhakti

Messaggio da latriplice » 23/04/2018, 20:18

E tu in tutto questo, dove ti collochi?

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Re: Bhakti

Messaggio da cielo » 23/04/2018, 21:51

latriplice ha scritto:
23/04/2018, 20:18
E tu in tutto questo, dove ti collochi?
jiva sognante. Tu?

latriplice
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Re: Bhakti

Messaggio da latriplice » 23/04/2018, 22:46

Brahman sognante...... di essere un jiva.

Il Brahman è apparentemente celato perché l'attenzione del jiva è rivolta ai cinque involucri, e non sulla propria natura, l'osservatore degli involucri, che è il Brahman.

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Re: Bhakti

Messaggio da Fedro » 24/04/2018, 9:44

latriplice ha scritto:
23/04/2018, 20:18
E tu in tutto questo, dove ti collochi?
Perché invece non osservare questo collocarsi?

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Re: Bhakti

Messaggio da cielo » 24/04/2018, 19:14

latriplice ha scritto:
23/04/2018, 22:46
Brahman sognante...... di essere un jiva.

Il Brahman è apparentemente celato perché l'attenzione del jiva è rivolta ai cinque involucri, e non sulla propria natura, l'osservatore degli involucri, che è il Brahman.

Dire che l'osservatore degli involucri è il Brahman la trovo un po' azzardata, :) considerato che il Brahman non può essere l'osservatore, perchè non è un soggetto che osserva altro da sè. Può l'occhio osservare sè stesso?

Però....a tuo favore (filosofico) gioca il fatto che Raphael in persona dice, nella nota 12 alla Māndūkya upaniṣad, II cap., pag. 127:

(...) tutto si può mettere in dubbio, tranne il Soggetto ultimo che sta dubitando, tutto si può vedere apparire e scomparire tranne il Testimone cosciente di tale altalena samsarica.


Il jīva sognatore e il brahman che osserva il jiva sognatore sono entrambi ancora dei soggetti che osservano, da punti di vista soggettivi, mentre si dondolano sull'altalena del samsara.

Ma il testimone non è l'onnipervadente brahman-turīya, è il jīva individuale che si è risolto nel jīva Principiale che l'ha "proiettato" apparentemente fuori da sè. Colui che l''ha espirato, insieme all'intero mondo sostanziale: jagat. Il regista del film.

Ma il Brahman è Quello da cui le parole recedono, non compie azione, è immobile, non osserva e non crea.

Dice Raphael:
Nello stato di veglia si hanno dati soggettivi e oggettivi, quelli soggettivi non vengono considerati i reali perché appunto peculiari allo stato d'animo del solo percipiente (dati particolari), mentre quelli oggettivi vengono considerati reali perché percepiti da tutti (dati generali).
In fondo, ciò si verifica anche nella condizione di sogno: una moltitudine di persone vede la stessa montagna o lo stesso elefante, ecc.
La differenza, comunque, è questa: nello stato di sogno il soggetto-oggetto viene proiettato dal jīva individuale, mentre nello stato di veglia il soggetto- oggetto viene proiettato dal jīva Principiale (Īśvara, coscienza o mente universale); ma quando Il jīva individuale si risolve nel jīva universale comprende che il soggetto-oggetto universale è ugualmente interno alla sua coscienza, quindi, non distinto dalla mente universale.
Le idee di soggetto-oggetto, di dentro-fuori, di sopra-sotto, di veglia-sogno-sonno profondo, ecc. sono modificazioni del pensiero empirico; esse non sono altro che concetti distintivi utili alla comprensione per la mente individuata.


Se usiamo la parola Brahman ci poniamo oltre il Testimone, non possiamo più concettualizzare, ci intrappoleremmo da soli, come i topi che seguono il pifferaio magico.
Possiamo invece sforzarci, secondo me, di comprendere che le argomentazioni di Gaudapadha e Shankara, che hanno testimoniato la tradizione metafisica, universale, unica sono rivolte più a dimostrare ciò che non è piuttosto ciò che è il brahman o Realtà suprema, perchè voler parlare della Realtà significa non aver compreso.

Riguardo alla "metafisica universale e unica" sulla quale abbiamo l'onore e l'onere di poterci confrontare in questo spazio web dicendo le nostre castronerie o pseudo saggezze filosofiche (perdonami, ma lo penso), vorrei aggiungere una precisazione di Bodhananda sulla tradizione millenaria che viene fatta risalire in Occidente ad Orfeo, a Parmenide, a Pitagora e in Oriente ai Rishi vedici che leggiamo vivi come allora, proprio nelle parole di Shankara, Raphael e Bodhananda.

Riguardo questa tradizione iniziatica che chi aspira ad essa definisce universale, metafisica e unica, Bodhananda dice:
Unica nel senso di "una", non nel senso che le altre siano false o non vere, ma che ogni filosofia realizzativa, ogni religione trascendente, ogni percorso di autoconoscenza non è altro che un ramo o espressione di questa tradizione. [archivio forum vedanta & c.o.]

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