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Hatha yoga - dharmikāsana: la foglia caduta

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cielo
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Hatha yoga - dharmikāsana: la foglia caduta

Messaggio da cielo » 01/10/2017, 9:52

Una foglia di paulonia

trafitta dal sole

è caduta giù


- Kyoshi Takahama -


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Mi è capitato di consigliare una posizione “base” dello hatha yoga tradizionale indiano a un’amica che non ha molta dimestichezza di āsana e che soffre di problemi legati a una non perfetta circolazione cerebrale che le provocano, come sintomi, un rallentamento (questa è la percezione che ne ha lei) della “velocità” (chiamiamola così per capirci) del processo del pensiero discorsivo, quello che permette di leggere, di comprendere al “volo” quello che si legge, di scrivere trovando le sequenze di parole adatte per farsi comprendere ed esprimere quello che si è deciso di esprimere e di condividere. Il processo avviene comunque, ma è necessario più tempo e mi diceva, sono necessarie lunghe pause, anche di ore, per mettere a fuoco e scrivere le frasi desiderate.
In effetti la preoccupazione maggiore della mia amica è che questi problemi di "rallentamento" possano costituire un pericolo per gli altri, più che per sé stessa, visto che queste stasi accadono imprevedibilmente, anche mentre guida.

Mi è venuto istintivo descriverle, come profilassi preventiva, la posizione della “foglia caduta” che mi sembrava quella giusta non solo per far affluire delicatamente sangue al cervello allentando le tensioni della zona cervicale e lombare, ma anche per creare volontariamente una pausa di contemplazione.
Inoltre la posizione “piega” alla possibilità di contemplazione di un problema fisico che non sempre si ha la pazienza di affrontare, delegando all'esterno (medici o fisioterapisti) la sua risoluzione.

Rendendomi conto della pochezza della mia esposizione telefonica alla mia amica di quella posizione e consapevole di quanto siamo pigri, io per prima, nell’inserire nel nostro programma quotidiano alcune semplici posizioni e buone pratiche come l'automassaggio, ad esempio, al fine di mantenere in efficienza l'“involucro fisico”, ho pensato di offrire qui un piccolo approfondimento sulla posizione della foglia caduta, il cui nome sanscrito corretto è "dharmikāsana”.


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E’ considerata la posizione devozionale per eccellenza, la posizione del bhakti, colui che si arrende al Divino con tutto se stesso.


C'è una grande abbondanza di Grazia che Dio può riversare su di voi,

ma essa si trova in profondità e per ottenerla sono richiesti alcuni sforzi.

Se volete prendere dell'acqua da un pozzo, dovete attaccare una corda ad un secchio, calarlo nel pozzo

e poi tirarlo su con l'acqua.

Ma voi non state né legando la corda al secchio, né calando il secchio nel pozzo.

Per questo l'acqua non arriva fino a voi.

La corda da usare è quella della devozione.

Questa corda deve essere legata al secchio del vostro cuore, per poterlo calare nel pozzo della Grazia di Dio.

Ciò che viene fuori dal pozzo, quando tirate fuori il secchio, è l'acqua della pura beatitudine (anugraha)

e non quella della rabbia (agraha) o della gelosia (asoya)

(Sai Baba, dal discorso del 24 maggio 2002)




Nello yoga la dharmikāsana viene collegata alla sperimentazione della devozione. E’ chiamata “posizione devozionale” perché aiuta a contemplare, sedandola, la paura della vita, rafforza il coraggio e la fiducia in se stessi, favorisce il rilassamento delle tensioni più profonde del corpo, e permette di permanere in uno stato di concentrazione sul nucleo più interno del corpo, sul sacco delle viscere, sull’addome.

Questa posizione è anche conosciuta come la posizione della “foglia caduta”. Così mi è stata insegnata.
Si parte dalla posizione del diamante (vajra asana), la normale posizione di seduta in ginocchio (eseguita il più possibile con presenza, stabilità, senso di apertura e di leggerezza) e si arriva in dharmika asana, la posizione devozionale che ci aiuta a rilassare le tensioni e a entrare in uno stato di offerta di tutto, di deposizione di ogni cosa.
Il corpo è raccolto come un feto nell’utero della madre. Respira con lei, percependo la pulsazione del respiro nella zona addominale, compressa dalla posizione. Gli organi si fanno spazio nella cavità addominale e si decomprimono massaggiandosi a vicenda.
C'è anche la possibilità di una variante, nel caso si soffra di problemi di peristalsi intestinale, mettendo i pugni agli inguini, fra la radice della coscia e la base della parete addominale, prima di scendere nella posizione. L'automassaggio degli organi interni si accentuerà.

La posizione dovrebbe essere eseguita tre volte, in preparazione della "contemplazione" della forma finale che dovrebbe essere protratta almeno per tre minuti. L’osservazione viene mantenuta sulla respirazione nella zona addominale, anche se, essendo l’addome compresso dalla forma, è necessario percepire l’espansione della “gobba” della schiena, per creare spazio al corpo, tutto rannicchiato.
Si deve contestualmente visualizzare un fiore che sboccia nel punto dove la fronte tocca il suolo e percepirne il contorno, i petali, il colore, il profumo.
La posizione è considerata un क्रिया kriyā : un’azione perfetta in se stessa. Un sigillo, una porta.

Dalla posizione si ritorna o nella posizione adamantina (in ginocchio: vajra āsana) avendo cura, nel passare da dharmika a vajra āsana, di sollevare la testa immaginando di offrire il nostro fiore al mondo, srotolando la colonna vertebrale con la levità del gambo di un fiore che si raddrizza per godere del sole; oppure si completa la posizione portando in avanti le braccia fino a che le mani, (che avevano prima i palmi rivolti verso l’alto) si uniscono davanti alla testa (con i palmi verso la terra) per formare la forma completa della foglia che, dopo essere caduta, viene offerta. Da qui si prosegue solitamente con le sequenze della posizione del cobra.

Nell’accezione classica dharmikāsana viene anche chiamata “la posizione del virtuoso”. L’aggettivo dharmika deriva dal sostantivo dharma, attestato per la prima volta nel Rigveda nella forma neutra "dharman".
L’etimologia del sostantivo dharma deriva dalla radice verbale dhr che ha il significato di sostenere, trattenere, rendere stabile.
Dharma è letteralmente “ciò che è stabile”, ciò che sta a fondamento della sfera sociale e, in tal senso, assume il significato di legge, ma in senso etico è anche ciò che sta a fondamento dell’ordine morale e assume il significato di virtù.
Dharma è anche la conformità con la regola e con ciò che è giusto, la sintonia e l’accordo con la natura delle cose, pertanto dharmikāsana è espressione di uno stato devozionale proprio di chi è in sintonia con il fluire delle cose, con il proprio cammino spirituale, con il proprio ruolo.
Il cammino è inteso come il sentiero che sostiene e costituisce il supporto, la base stabile sulla quale ci si muove.
Riflettevo…
La posizione dharmica non è dunque quella del diamante, in cui lo yogi sperimenta il suo spazio tra cielo e terra (con un filo attaccato al cranio che va verso il cielo e con un filo che scende nelle viscere a terra come una lunga radice), ma, bensì, una posizione in cui si depone tutto ai piedi del Divino.
Come una foglia che si stacca dal ramo, volteggia per un po’ e si posa a terra, giunta al termine del suo ciclo vitale.
Dalla terra tornerà a vorticare e formerà humus per nutrire l’albero.
Albero e foglia sono la medesima cosa, entrambi generati da un unico seme.

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