Cielo ha scritto:
Quindi tu sei uno di quelli che "sa" e dimori stabilmente nel samadhi savikalpa?
Come te la cavi con la vita quotidiana e con i colleghi, stai evitando che ti erigano degli altarini?
Non è che ci dimori come fosse una esperienza discreta diversa dalle altre. Mi sembra di essere stato chiaro che quel "sapere" escluda questa nozione tipica degli yoghi. E' un "sapere" data dall'auto-conoscenza che io (consapevolezza) non dipendo dall'esperienza ma che questa dipende da me. E se dipende da me, il suo contenuto non può essere altro che me stesso. Questo "sapere" (jnana) porta la mente a valutare tutto allo stesso modo (
sama=uguale,
dhi=intelletto) indipendentemente dal contenuto dell'esperienza, in una visione non duale. Pertanto è un samadhi naturale e definitivo in conformità alla tua natura essenziale.
Certamente lo yoga può essere un percorso prezioso per preparare la mente all'illuminazione, ma lo yoga non è un mezzo per la liberazione.
Se tu fossi qui per non essere qui, non saresti qui.
La credenza nella non-dualità esperibile è chiamata yoga. Lo yoga è dualità (dvaita) per definizione. Considera il Sé reale ed il mondo reale. La liberazione per costoro (dualisti) comporta la graduale eliminazione del mondo fino a quando il Sé rimane. Se questo è vero non c'è moksha, liberazione, per gli yoghi. Per moksha, devi capire che il mondo e il Sé non sono in conflitto. Se vuoi il moksha esperibile hai bisogno di perfezionare il nirvikalpa Samadhi, ma nessuno vuole il nirvikalpa Samadhi perché se lo sperimenti, non puoi sperimentare la tua vita. Se tu fossi qui per non essere qui, non saresti qui. Non puoi evitare la vita. Inoltre Samadhi termina ad un certo punto e richiede sforzo. E 'impossibile esercitare lo sforzo in modo costante pertanto prima o poi è destinato a cessare.
Il Vedanta d'altro canto ti fornisce linee guida, insegnamenti, che ti aiutano a indagare in modo tale da poter determinare se sei in realtà limitato. Quando indaghi il tuo Sé con l'aiuto di questa saggezza ti rendi conto che sei sempre libero. È per questo che la liberazione è spesso chiamata auto-realizzazione. Non è qualcosa che ottieni che non avevi, piuttosto è un fatto a cui ci si sveglia e ci si rende conto. Se c'è un qualche "fare" in questo percorso, è l'uso della tua intelligenza in modo pratico e discriminatorio per rimuovere i malintesi che hai su di te e sul mondo.
Lo yoga è un termine esperenziale. Significa collegarsi, unirsi e/o ottenere. Che cosa deve essere collegato, unito o ottenuto? Tu, un sé individuale, devi essere collegato o unito al Sé universale. E per fare questo, devi "scioglierti" o "fonderti" nel Sé universale in modo da perdere il senso di limitazione e sperimentare la libertà.
Non è forse questa la tua nozione di moksha?
Il Vedanta però stabilisce che siccome esiste solo un Sé e che non è separato dal mondo, qualunque cosa tu esperisca è sempre e solo il Sé ... pertanto l'idea di cercare un'esperienza speciale e discreta definendola illuminazione è errata. Tuttavia l'esperienza di unione che lo yoga provoca conferma la tesi del Vedanta che si tratta infatti di una realtà non duale nonostante le apparenze dicano il contrario.
Per scoprire se lo yoga funziona dobbiamo esaminare la natura del karma. Karma significa azione. Significa le cose che fai ed i risultati delle cose che fai. La natura del karma è in aperto contrasto con la nozione yoghica della liberazione. Perché? Perché l'azione dipende da un agente e dalle motivazioni dell'agente. Deve esserci qualcuno per compiere l'azione. Secondo lo yoga, il praticante che pratica lo yoga è limitato e vuole diventare illimitato ("fondersi nel Sé" o "diventare uno con Dio") attraverso tale pratica. Quindi questa persona compie certe pratiche per produrre il risultato desiderato. Lo yoga è una disciplina dura e molto lunga che coinvolge molte fasi e pratiche, tra cui la pratica della meditazione e il tentativo di coltivare i samadhi, certi stati sottili della mente.
Ma il problema è: come può una persona limitata produrre un'azione o una serie di azioni che assicurino un risultato permanente illimitato? Anche migliaia di piccole azioni sommandosi non producono l'infinito.
Pertanto come potrai essere libero in questo modo? Infatti, il problema è più grave di quanto sembri perché gli yoghi sono quasi sempre assuefatti dalla beatitudine che provengono da questi sottili stati d'animo e soffrono notevolmente quando la mente torna a stati più grossolani. Questo problema deriva dall'incapacità dello yoga di accettare il fatto che l'esperienza è soggetta al cambiamento.
Non esiste un'esperienza permanente piacevole, non importa quanto sottile, che dura per sempre. Vedanta risolve il problema del karma stabilendo chiaramente che sei il Sé, la consapevolezza illimitata e perciò non sei un agente. Se puoi osservare questo, o osservare chiaramente che l'azione non produrrà la libertà, allora puoi vedere che il problema non è quello di ottenere un'esperienza di illuminazione, ma di eliminare l'ignoranza di Sé.
Significa che seguiamo Vedanta e butto via lo Yoga? Non è così semplice. In realtà lo Yoga è una parte molto necessaria del proprio percorso spirituale. Perché? Perché la realizzazione del Sé dipende dalla natura della mente. La realizzazione del Sé avviene in quella parte del Sé chiamata mente. Il Sé è già libero e lo sa, quindi non c'è bisogno di risvegliarlo, ma una parte di essa ha (improbabile) dimenticato questo fatto. Se la mente è ottusa (tamasica) o passionale (rajasica), la realizzazione del Sé non avrà luogo.
Certamente puoi avere una visione fugace di un risveglio, ma quando la mente ridiventa rajasica o tamasica, inizi nuovamente a sentirti limitata e la realizzazione della non-dualità scompare con essa. Quindi la mente deve essere chiara e molto attenta per accogliere l'auto-conoscenza.
Qui entra in gioco lo yoga che è una serie di pratiche, uno stile di vita che genera una mente chiara e viva, capace di fare un'indagine sostenuta e attenta per vedere se il Sé è limitato o illimitato. Lo yoga funziona perché la mente è limitata e le azioni (karma) può influenzarla. L'unico problema, che è sempre un problema di azione, è che devi continuare a fare le pratiche per ottenere i risultati ... almeno fino a quando diventa stabile e coinvolge poco o nessun sforzo. Pertanto lo Yoga è un mezzo efficace per preparare la mente per l'auto-indagine.
Siccome lo Yoga ha un effetto profondo sull'esperienza di una persona da causare stati estatici (samadhi), si è portati a convincersi che c'è qualcosa oltre la mente, uno stato di unione, una beatitudine infinita, ecc. Quando questi stati vengono esperiti per un certo tempo, succede che molti yoghi iniziano a svolgere una indagine sulla natura del Sé. Cioè pongono domande su questo "stato" o "essere" che è "oltre". Oppure si pongono domande sullo sperimentatore, la persona, che sta avendo l'esperienza dell'unità. È separato dall'esperienza o in realtà sta solo sperimentando il proprio Sé? È la natura della mente di indagare sul significato dell'esperienza. Di solito le persone del mondo spirituale hanno comunque una certa conoscenza del Sé: dalla lettura, dalla frequentazione dei satsang e dall'esperienza diretta. In India, dove l'idea di Yoga si è sviluppata a fianco del Vedanta diverse migliaia di anni fa, molti yoghi hanno familiarità con gli insegnamenti del Vedanta e li trovano assolutamente essenziali per eliminare i dubbi che nascono dalla propria esperienza.
Ramana è un buon esempio di uno yoghi che ha compreso il valore dello Yoga e del Vedanta. È caduto in un samadhi quando era piuttosto giovane e realizzò il Sé, ma sedette in meditazione per molti anni facendo un'indagine sul Sé, rimuovendo i dubbi rimasti, finché non era più necessario sedersi in meditazione (Yoga) o fare un indagine (Vedanta). Ecco perché, come le Upanisad e la maggior parte dei testi vedantici, ha incoraggiato sia la pratica del samadhi che la pratica dell'indagine sul Sé.
Il problema centrale con lo Yoga è che accetta l'idea che il Sé sia uno sperimentatore, un agente e un fruitore. Questo lo rende molto attraente per le persone, perché è proprio come esse si vedono. Certo, lo scopo dello Yoga è quello di "sciogliere" l'agente, lo sperimentatore nell'infinito, "unire" l'onda all'oceano, ma che tipo di dissoluzione è questo? È una dissoluzione di qualche entità solida, una persona reale, in una sottile massa amorfa di coscienza o è semplicemente la negazione della credenza che uno è limitato?
In realtà, non c'è nessun problema perché non si può cessare di esistere ... puoi solo credere che tu lo possa. Quando il tuo ego si scioglie questo non è la fine di niente. È l'inizio di una visione più grande. Vedanta risolve questo problema affermando chiaramente che il Sé non è un agente o un fruitore. Se tu pensi di essere un agente e un fruitore, bene lo stesso. Ma suggerisce di avere uno sguardo più ampio per vedere se non sei ancora qualcosa di più. I suoi insegnamenti rivelano un'identità molto più grande, quella che comprende e trascende l'ego, permettendoti di operare nel mondo come sempre, senza la sensazione di limitazione.