Tutto il discorso sulla testimonianza mi pare sia variamente articolato; vi sono vari modi di intenderla e interpretarla, partiamo da un ottica, da un punto di vista già esposto quello dei "trasmettitori-ripetitori" cui si parlava altrove ed anche in altri tempi:
Un trasmettitore trasmette consapevole della sua funzione.
Raphael da qualche ha detto o scritto di essere solo un trasmettitore o ripetitore. Perché questo sono certi esseri.
Ripetitori, nel senso di trasmettitori, essi trasmettono, ripetono la testimonianza tradizionale. Essi non aggiungono alcunché di individuato, dell'io, sono né più né meno che dei rishi, uditori che ripetono.
Premadharma, tratto da forum pitagorico, dialogo privato 22/02/2016, 10:57
E non a caso si accosta il termine trasmettitori-ripetitori ai ṛṣi (rishi) là dove il glossario sanscrito così declina:
Ṛṣi (m) : "saggio", "veggente"; Colui che ha realizzato la Conoscenza. I grandi saggi che hanno "visto" e "udito" la Tradizione (Sruti) e l'hanno tramandata attraverso i Veda e le Upanisad in particolare.
Personalmente avrei usato il verbo testimoniare piuttosto che tramandare, "I grandi saggi che hanno "visto" e "udito" la Tradizione (Sruti) e l'hanno
testimoniata attraverso i Veda e le Upanisad in particolare (avendola
realizzata). Del resto la smrti dipende dalla sruti e nella sruti trova la sua autorevolezza.
Raphael stesso è un ṛṣi in questo senso inquanto, avendo realizzato in esseità a sua volta tale Conoscenza non ha potuto che testimoniarla-testimonia-rsi per ciò che è, Conoscenza.
E, se è pur vero che non ha aggiunto alcunchè di individuato e dell'io, ha comunque magistralmente tradotto, commentato e chiosato intere upanisad con un linguaggio attuale e comprensibile ai tempi e luoghi odierni. Oltre che scrivere interi libri a dimostrazione ed evidenza della Una e Unica Tradizione nei\dei vari rami tradizionali, occidentali ed orientali.
Quindi a mio vedere la sruti-rishi sono "testimonianza", la testimonainza della Tradizione stessa e di chi l'ha realizzata, incarnata, vivente.
Non dissimile anche se di grado e modalità diversa è anche la testimonianza dell'aspirante. Diceva Bodhananda in un brano riportato più sopra:
La tradizione è tale non perché tramandata, ma perché è vivente nell’aspirante che, praticandola, la testimonia.
E' la pratica dell'aspirante che testimonia la Tradizione, una testimonianza da "work in progress", ma anche, mi si permetta di dirlo, non solo in divenire ma anche in essere. Si testimonia la pratica, sì è vero ma si testimonia anche (e forse ancor più) ciò che si è, nel qui e ora, adesso.
E quando dico qui e adesso, non intendo nulla di trascendentale o mistico, ma semplicemente e nudamente, quanto anche crudamente, ciò che si è, qualunque cosa ciò voglia dire e sia. Nel senso, tanto per essere chiari, quanto personalmente parlando, la testimonianza (di sè) , perchè non può essere altro che di sè, non ha nulla a che vedere col giudizio e col giudicare, proprio o altrui.
La testimonianza è una "foto" un'istantanea di ciò che si è, ed una foto non giudica niente e nessuno, semplicemente descrive ciò che vede.
La testimonianza di sè è questo, una foto a 360 gradi di ciò che si è, e questo per il beneficio nostro quanto altrui, se mai ci siano degli altri interessati a vedere-leggere tale testimonianza di sè. A noi serve come strumento di conoscenza, un "paletto" sulla lunga via del "conosci te stesso", agli altri quale eventuale termine di confronto e condivisione-riconoscimento del loro cammino e percorso a loro volta.
Personalmente io leggo in questi termini la testimonianza (di sè). In un certo senso è l'equivalente spirituale dei tanto rinomati quanto talvolta biasimati "selfie" che la gente si fa con i cellulari e poi posta in mezzo mondo. La testimonianza è un "selfie spirituale", nudo e crudo, senza giudizi nè trucchi, possibilmente, senza alterazioni photoshop, ci si vede per quello che si è e per tali ci si descrive. Una questione anche di onestà, onestà intellettuale oltre che spirituale, una onestà che ci fa vedere, dire e descrivere ciò che si è, qui e ora, quello siamo e per tale ci si descrive, come siamo, e non come vorremmo o desidereremmo essere .
C'è un detto (di quelli mai detti ma che tutti conoscono) che dice; si parte da dove si è. Da dove si è non da dove vorremmo essere o crediamo di essere, o desideriamo essere; Un viaggio, un cammino prevede un punto di partenza ed uno di arrivo, al momento l'unico che abbiamo a disposizione è quello di partenza, senza il quale sbaglieremmo ogni progetto di cammino. Quindi è importante, molto importante sapere dove si è, per progettare qualsiasi cammino si abbia in mente. In questo senso una buona testimonianza di sè, una buona pratica della testimonianza di sè, dà, sul cammino in corso, in divenire, vari punti e tappe intermedie, oltre che il fatidico punto di partenza, perchè un "punto di partenza" c'è sempre per ogni passo che si intende fare.
Poi certo, c'è la divulgazione, l'erudizione, la cultura, e chi più ne ha più ne metta, ma questi sono strumenti, che rientrano nelle varie ed eventuali, ma non strettamente necessari. Invece sapere e conoscere se stessi e sapere di volta in volta, nel divenire della vita e del cammino dove si è questo è necessario e indispensabile per non perdersi ed errare.