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Il presente o ciò che è

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cielo
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Il presente o ciò che è

Messaggio da cielo » 08/04/2017, 15:50

Teano » 21/11/2010 (forum pitagorico)

Alle volte si dimentica un caposaldo della pratica: il presente o ciò che è.

In qualsiasi azione si può iniziare solo da dove si è. O da quanto si è. O da cosa si è.

Non si può iniziare da dove o quanto o cosa non si è.

L'Atman è questo. E' ciò che è.

Nella percezione sensibile lo possiamo solo "sentire", "vedere", "cogliere", attraverso altro che chiamiamo sovrapposizione, altro da noi, etc.

Bene, anche per risolvere la sovrapposizione occorre considerare il presente o ciò che è.

Inutile immaginare vita monacale, se si hanno dei figli, inutile teorizzare non dualità varie. Occorre considerare il proprio stato, le proprie possibilità o indoli, occorre considerare le limitazioni cui siamo chiamati ad ottemperare.

La propria percezione è il campo della sadhana cui si è chiamati, quale che sia l'aspirazione spirituale. Negare o ignorare il proprio presente o ciò che è in nome delle aspirazioni non è un buon metodo di cammino.

Abbandonare i figli in fasce per andare a fare il monaco errante, sarà forse gratificante per qualcuno, ma è una fuga vera e propria. Andare a fare servizio fuori casa o nelle missioni all'estero, ci farà sentire buoni, ma ci fa ignorare il malato accanto alla nostra porta, se non addirittura entro la nostra porta.

"Ogni jiva che esperimenta la condizione di vita umana ha degli obblighi, prima di tutto verso se stesso, poi verso il suo gruppo più diretto: la famiglia; ancora, verso la società in cui vive e infine verso la Vita tutta. Man mano che la coscienza del jiva si espande e comprende un principio-dovere più universale, certamente si volge verso il tutto e l’inclusione anziché verso la parte e l’esclusione. L’autentico guerriero combatte non per la propria causa, ma per quella universale."

Bhagavadgita, Raphael, pag. 71 (edizioni Asram Vidya)


Solo una volta assolto il dharma più vicino, ci si può volgere ad un dharma più ampio. Non è dato il dharma universale a chi sfugge il dharma individuale, familiare, sociale, etc.

Solitamente l'aspirante che fugge il proprio dharma lo riconosciamo come aspirante sirena e non come aspirante discepolo.

Ramakrishna, Ramana Maharshih, Raphael, Shankara, Sai Baba, tutti i Maestri tradizionali hanno donato la medesima indicazione.

Lo studio dei testi tradizionali non deve divenire fine a sé medesimo, lo studio è strumentale alla conoscenza di sé, non al piacere dell'indulgenza.
Nel testo sacro va cercato il prossimo proprio passo, la direzione di quel passo, la risoluzione delle difficoltà che impediscono quel passo, gli strumenti che aiutano l'ottemperanza del nostro dharma, l'ausilio per applicare una disciplina al proprio presente, non devono essere una via per fuggire il proprio presente e dharma.

Quando leggiamo di esseri che sembra si siano realizzati senza disciplina, sadhana, maestro e etc., consideriamo l'eventualità che tali esseri abbiano percorso in altri momenti certi passi o che non si siano realizzati affatto e siano delle sirene, grandi e temporaneamente utili, ma pur sempre delle sirene.

Ramana non seguì una disciplina per realizzarsi? Vero. La seguì dopo.
Sri Ramakrishna non seguì una discplina per realizzarsi? Vero. Le seguì tutte.
Sai Baba non seguì una disciplina per realizzarsi? Vero. Tutta la sua vita è stata poi una disciplina di servizio.

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