Sadhana - dialogo dIstruzione

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cielo
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Sadhana - dialogo dIstruzione

Messaggio da cielo » 02/04/2017, 12:50

Dialogo Nio - Suomy Nona del 30/09/2011 (Matematici - forum pitagorico)


D. L’idea di Unità è ricorrente e trasversale ad ogni tradizione, a cominciare proprio dalla Tradizione stessa, una Tradizione, un Dio, una Verità, una Conoscenza, un Brahman, un Atman, e si potrebbe continuare; non ultimo a questa lunga e possibile serie di termini, un Cammino, una Sadhana, sebbene quest’ultima, ma come anche per ognuno dei termini precedenti, venga spesso suddivisa a sua volta in ulteriori sotto-ordini come per esempio, jnana, bhakti, karma, raja e via dicendo.
Mi domandavo pertanto questa ulteriore suddivisione, nello specifico della sadhana, perché nasce, a che pro, a che scopo? Perché dividere la Sadhana Una in sotto sadhane? Perché in generale la necessità di scindere l’unità in molteplicità? Se il Cammino è uno, perché tanti nomi, tante codifiche, tanti manuali anche nell'ambito dello stesso ramo tradizionale?

R. Ti si potrebbe rispondere che sei tu a vedere molteplicità dove altri vedono unità. Oppure che dal latte di mucca si fanno migliaia di tipi di formaggio, come migliaia di tipi di pane dalla farina di grano. "La necessità di scindere l’unità in molteplicità" è l'esigenza di vivere, estrinsecare l'azione vitale. Se la vita è una perché il bisogno di fare figli? Se la Vita è una perché il bisogno di parlare a terzi? Perché non tutti colgono la compiutezza di sé stessi: la completezza e pienezza del Sé.

D. Posso comprendere che la molteplicità sia negli occhi di chi guarda, quindi, sebbene la Tradizione sia Una, sia vista come molteplice e dai molteplici insegnamenti. Però mi scusi, quando entro in una libreria e vedo tanti testi sacri, di tanti indirizzi diversi, e pur nell'ambito dello stesso ramo tradizionale vedo negli scaffali testi di advaita, jnana, bhakti, raja, karma, e via dicendo, quelli non li ho mica scritti io, quelli ci sono e anzi già mi preesistevano alla mia stessa nascita in questa vita. Forse che chi li ha scritti aveva a sua volta la molteplicità negli occhi? O forse più semplicemente la Tradizione viene incontro al molteplice perchè per tale è vissuto dai più degli individui?

R. La verità è lì da sempre, basta aprire gli occhi e vederla. I testi che indicano la via alla verità sono lì da quasi sempre, basta aprirli e leggerli. Eppure, nonostante questo, ancora si scrivono testi. Evidentemente si ravvisa la necessità di avere più modalità di approccio. Forse che Shankara e Platone, non puntavano il dito alla medesima luna pur usando parole e concetti diversi? Ramana e Ramakrishna? Satya Sai e Shirdi Sai? Tu stesso non usavi una maschera diversa da oggi con i tuoi figli quando avevano 2 anni e un'altra ancora con la loro madre? Quando ti rivolgi al cane usi la stessa maschera di quando ti rivolgi ad un albero?
Se tu indossi una maschera diversa a seconda dell'interlocutore, vedrai anche che addossi una maschera diversa ad ogni interlocutore. Eppure quello è sempre e comunque l'essere, solo che quanto tu cogli è l'individuazione, non l'essere che la rende possibile.
Ti muovi non nell'assolutezza dell'essere, ma nella sua relatività.
Parli di sadhana e cammino come se fossero altro da ciò che sei quale manifestazione. Come vedi possibile una qualsiasi modificazione di ciò che sei? Se ti consideri un movimento, una persona, non puoi non accorgerti che qualsiasi flusso energetico cui aderisci identificandoti con esso, a chiamarlo veicolo corporeo, mentale o emotivo, è comunque espressione o effetto di altro, di un precedente movimento o flusso, quindi non esiste una insorgenza causale che non sia stata determinata da altro. Pertanto non esiste alcuna sadhana che si possa indicare come qualcosa di nuovo; essa è comunque una trasmutazione-continuazione di altro preesistente, è quanto viene indicato legge di causalità o karma o, in fisica, principio di trasformazione dell'energia.
C'è un flusso vitale. Il distacco da esso o equanimità, permette il naturale suo termine. L'adesione ad esso lo perpetua. Taluni confondono la sadhana con le precipuità del terzo o quarto stato vitale (vanaprasthya e samnyasa).

D. Nell’ambito della manifestazione nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, quindi anche “io” in quanto manifestazione in essere, la sadhana che percorro, le relazioni che instauro, etc, in effetti sono già tutte parte del flusso vitale, del movimento energetico che chiamiamo manifestazione. "Panta rei" diceva il filosofo, e questo lo comprendo, così come comprendo la nostra libertà (consapevolezza) in quanto enti di aderirvi o meno; di meno comprendo “il naturale suo termine” nel caso di non aderenza, avrei pensato che il flusso continuasse a fluire, la manifestazione ad essere, "me" aderente o meno che sia. O forse devo intendere l’aderenza (e quindi in antitesi il distacco, l’equanimità) quale causa\termine a sé del flusso stesso, della manifestazione stessa? Perciò la domanda diventa: il flusso-manifestazione -pre e post- esiste l’individuo oppure no, è l’aderenza stessa (la “caduta”) a creare-generare il flusso, il movimento, la manifestazione, ed "io" non posso far altro che nuotarci, o meno, dentro?

R. L'uomo è essenzialmente divino, nella sua essenza è la libertà. Nell'individualità la mancanza di libero arbitrio. Sino a che si agita è come il criceto dentro la palla, essa non si fermerà mai. Se il criceto si ferma la palla si ferma. Il fermarsi del criceto è l'azione equanime, la contemplazione del Divino, la concessione della Grazia del Divino, l'adesione all'Ordine, la discriminazione e il distacco, la Realizzazione del Sé.

D. Quindi più che fermare o non fermare la palla non è dato? Concetti come armonia, equilibrio, etc dove trovano allora collocazione, ambito, contesto?

R. No, no. Non è dato di fermare o non fermare la palla. La palla si ferma da sola. E in tale ambito il fermarsi della palla viene e coincide [con] armonia, equilibrio, etc. L'adesione all'individualità invece crea il movimento, il continuare a rotolare della palla.

D. Il fermarsi o non fermarsi della palla era letto in riferimento al fermarsi o non fermarsi del criceto come da sue stesse parole, "se il criceto si ferma la palla si ferma". Ciò che chiedevo era se l'armonia, l'equilibrio etc fossero in relazione al criceto e al suo fermarsi o meno. Ovvero l'equilibrio e l'armonia sono relativi al criceto o alla ruota?

R. Ad entrambi perché in realtà non c'è differenza fra essi, la consapevolezza non è corporea. La legge causale è la legge di Cesare. La libertà di essere consapevoli è la legge di Dio.

Chiedersi se equilibrio e armonia siano relativi al criceto o alla ruota, è come discettare se l'iniziazione sia relativa all'aspirante invece che al discepolo e al maestro. Si continua a mischiare un piano causale-sequenziale con un piano principiale o metafisico atemporale.
Nel piano causale la cerimonia-sacrificio è il rito che evoca rtha, si celebra nel micro cosmo ciò che vengono intuite essere le leggi de macrocosmo. Siamo nel piano duale causale, l'uomo "crede" che la sua volontà possa influenzare gli accadimenti. Più lo ierofante sarà "santo", più la sua credenza collimerà con la legge causale, più vedrà la sua azione rispondente agli eventi successivi e li interpreterà come ottenimento della compassione divina che genera la Grazia.
In ambito metafisico, l'iniziazione è un riconoscimento fra Maestro e discepolo. Un riconoscimento per identità, slegato dalla temporalità, privo di ogni confronto, incomprensibile per la mente umana che esiste anche su categorie quali sequenzialità e tempo. Il Maestro e il discepolo sono due battiti dello stesso cuore, non necessariamente sequenziali (fra l'uno e l'altro battito possono essere intercorsi milioni di battiti). Questo riconoscimento è l'iniziazione, poiché entrambi sono espressione del Sé, non sono certo i corpi a riconoscersi, è il Sé incarnato che si riconosce nel Sé (che può anche essere disincarnato). Possiamo pertanto distinguere fra iniziazione e sadhana nei Piccoli Misteri o mondo di Cesare e iniziazione e sadhana nel regno di Dio, l'una può essere considerata orizzontale, la seconda verticale.

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